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Autore: _Lady di inchiostro_    25/04/2017    5 recensioni
C’è chi dice che la nostra strada è già stata decisa, che è il destino che stabilisce quali difficoltà dobbiamo incontrare durante il cammino, o chi ci accompagnerà durante il percorso.
C’è chi dice che la nostra strada, invece, ce la costruiamo da soli, che siamo noi a decidere chi incontrare, siamo noi padroni delle nostre azioni.
Iwaizumi Hajime aveva sempre creduto nella seconda opzione. Finché non ha incontrato Oikawa Tooru. E allora si chiese se il destino non volesse farli incontrare per davvero, in qualsiasi modo possibile.
***
[Future Fic and What if?] [Tanto angst e cose belle ♥]
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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III
~


 
[17 ottobre 2016]





L’atmosfera, in ufficio, era quella di un classico lunedì come tutti gli altri: noioso e apatico, fatto di persone che si erano pentite di essersi alzate dal letto quella mattina. 
Hajime, di solito, non era tra queste persone, per lui tutti i giorni erano uguali, tutti i giorni potevano essere neri o una scusante perfetta per non abbandonare il proprio letto. Rimaneva sempre lo stesso, continuava a rivolgersi ai suoi colleghi nello stesso modo, anche se questi tendevano ad essere più stizziti, con i nervi a fior di pelle, ma alla fine sapeva di essere odiato da almeno la metà di quelle persone, e l’altra metà gli parlava solo per farsi notare da Oohashi-sensei. 
Solo che, quella mattina, ad avere un diavolo per capello era proprio Hajime, i nervi tesissimi: decisamente, non aveva mai avuto una giornata più nera di quella, almeno fino ad ora. 
Cercava di tenere in tutti i modi lo sguardo concentrato sulla pagina digitale, ma aveva riscritto e cancellato l’ultima riga per ben cinque volte. Sbuffò, abbandonando le braccia lungo la sedia girevole. Pensava che non potesse esserci nulla di peggiore che intervistare Oikawa Tooru, e invece si era sbagliato di grosso, qualcosa c’era: il doverlo chiamare per riferirgli che il numero con la sua intervista sarebbe uscito quel giovedì stesso; senza contare che Hajime gli aveva assicurato che non c’era alcuna possibilità che si risentissero. 
Il suo capo l’aveva fregato un’altra volta, e tutti i buoni proposti di riuscire a scrivere un pezzo decente erano sfumati non appena Oohashi era passato dalla sua postazione per riferirgli quello che doveva fare. Sperava di poter contare su Tomoko, ma la ragazza stava già lavorando al suo prossimo articolo, e quest’ultimo richiedeva diverse ricerche più accurate, per cui in quei giorni non sarebbe stata spesso in ufficio.
Gli era arrivato il suo messaggio con il numero di Oikawa due ore prima , sotto suggerimento del suo capo, e in quel lasso di tempo Hajime non aveva fatto altro che spostare lo sguardo dal cellulare alla pagina digitale, la lucetta dello smartphone che brillava a intermittenza. 
Rilesse velocemente quello che aveva scritto, la gamba destra che si muoveva su e giù irrefrenabilmente, in un tic fastidioso; non si salvava niente di quello che era riuscito a scrivere fino ad allora, era tutto da buttare. Si passò le mani sul viso, aprendo poi le dita per dare la possibilità ai suoi occhi di fissare lo schermo nero del telefono.
In fin dei conti, non doveva giustificarsi con lui, non c’erano secondi fini, lo stava sul serio chiamando per una questione di lavoro – anche se non capiva bene perché il suo capo volesse che gli dicesse una cosa del genere. Ringraziarlo della disponibilità?
Afferrò il cellulare, aprendo finalmente il messaggio dell’amica, accompagnato da una serie di “ma dove sei finito?”, poco dopo il numero in questione. Lo digitò e aspettò che qualcuno rispondesse.
La voce gioviale del setter arrivò al suo orecchio dopo un minuto circa. «Pronto?» 
Rimase in silenzio, mordendosi la lingua nel frattempo.
«Pronto ~?»
«Ciao Oikawa…» si decise a rispondere. 
Si pentì amaramente di averlo chiamato non appena sentì Oikawa esclamare una serie di “ohhh”, sorpreso. 
«Te l’avevo detto, avevo ragione io, Iwa-chan!»
«Ti chiamo per una questione di lavoro, cretino!» Sbuffò, spazientito. Non lo conosceva per niente, ma lo aveva inquadrato abbastanza da capire che tra lui e il bambino dal grembiulino celeste non c’era differenza. «Il mio capo voleva farti sapere che giovedì esce il numero con l’intervista di Tomoko-san. E vuole farti avere una copia gratuita.» Sì, era decisamente un modo per ricambiare la sua disponibilità. 
«Oh, perfetto, e quando potrò averla?»
«Passa in ufficio e te la darà direttamente lui» disse, sbrigativamente. Voleva tagliare quella discussione lì e, possibilmente, cancellare il numero di Oikawa. Sperava solo che quello non cominciasse a torturarlo via messaggi. Forse avrebbe dovuto cambiare direttamente numero.
Oikawa fece schioccare la lingua, stizzito. «Pensavo me la portassi tu, Iwa-chan ~!»
«Ah?»
«Ma sì, in fondo ci hai lavorato anche tu, no? E poi devi ancora ricambiare l’invito!» insistette, il suo tono di voce sempre più acuto, e Hajime era quasi tentato di scostare il telefono dall’orecchio per poter parlare con lui senza diventare sordo. 
«Ti ho già detto che non devo ricambiare un bel niente. Il mio capo mi ha detto questo e io te lo sto riferendo…»
«Oh, andiamo Iwa-chan ~!» cantilenò. «Non ti è piaciuto passare del tempo con me?»
Il giornalista si passò ancora una volta la mano sul viso. Vero, avevano trascorso una giornata abbastanza gradevole, ma la cosa poteva benissimo chiudersi lì – anzi, se fosse stato per Hajime, si sarebbe chiusa la mattina in cui l’aveva intervistato. Sarebbe stato un volto come tanti altri che vedeva passare per le strade, sui treni, al semaforo e – in questo caso – in televisione. Avrebbe atteso che il setter dicesse qualcosa di stupido all’intervistatrice, forse avrebbe ricordato il loro pranzo e come a Oikawa gli occhiali stessero storti sul naso, poi avrebbe fatto un verso stizzito e avrebbe cambiato canale. 
Erano così che le cose dovevano andare. 
Allora perché lui continuava a insistere? Perché voleva a tutti i costi che diventasse suo amico? Cosa ci aveva visto di speciale in quel ragazzino che l’aveva preso in faccia con la palla fino a farlo sanguinare? 
Hajime non era sicuro di volere sapere la risposta. Si puntellò la fronte con le dita, la mano ancora sul viso, cercando di cancellare con tutto se stesso l’immagine di Oikawa che scoppiava a ridere al ristorante, dopo quel gioco di sguardi tra loro due.
Non seppe cosa lo costrinse a guardare dentro il cestino sotto la sua scrivania, colmo di carta fino al midollo. Forse era stato il colore acceso di un volantino che stava quasi per straripare fuori. Doveva averlo buttato distrattamente, senza degnarlo di un’occhiata, un rimasuglio della posta che aveva controllato giusto quella mattina.
Lo aprì, e si accorse che riguardava una promozione che davano in un cinema vicino casa sua. 
Fissò la scritta a caratteri cubitali, corrucciato, cercando di scacciare l’idea che si era insinuata nella sua mente e che sapeva sarebbe stata pessima.
No. Non poteva cedere. L’avrebbe salutato, sperando di non incontrarlo un’altra volta da qualche parte. Tuttavia, c’era una parte di lui che smaniava per sapere dove voleva andare a parare Oikawa, e Hajime aveva oramai la certezza che la sua naturale curiosità l’avrebbe ucciso, primo o poi. Aveva vinto lei. Come sempre, del resto, e se  non fosse stato così probabilmente non sarebbe riuscito a scrivere l’articolo che gli aveva permesso di lavorare lì. 
«Sei ancora lì, Iwaaa-chan ~?» La vocetta di Oikawa lo risvegliò dai suoi pensieri, tuttavia continuò a tenere lo sguardo contrito sul volantino, pentendosi per la centesima volta della decisione che stava per prendere e di essere nato. 
«So per certo che, se adesso ti chiudessi il telefono in faccia, probabilmente tu mi tortureresti con messaggi vari su Line, o addirittura mi richiameresti tutte le volte che ti è possibile fino a quando non sarò costretto a rispondere…» Non arrivò nulla d’altra parte, e Hajime si ritrovò a fissare la cornetta nera del telefono dell’ufficio. Se non fosse così sicuro che Oohashi gli avrebbe detratto i soldi della telefonata dalla paga, probabilmente avrebbe potuto chiamarlo da lì. Maledetto Oohashi-sensei e il suo dannatissimo atteggiamento da oratore da quattro soldi. «Ti piace il cinema?»
Lo disse con un sospiro affranto, ed era quasi sicuro che Oikawa stesse sbattendo gli occhietti per la sorpresa. Pensava di dover insistere un altro po’, ed era già pronto a tormentarlo sul Line con tutte le immagini possibili o i messaggi più coloriti. Scoppiò a ridere. «Sì, mi piace andare al cinema!»
«Te lo saresti fatto piacere comunque! Sto facendo questo solo per farti stare zitto!»
«Certo, certo…»
Hajime si massaggiò la tempia con la mano libera: se non fosse stato in ufficio, gli avrebbe già urlato contro.
«Allora facciamo giovedì alle…?»
«Ti mando un messaggio io» disse, sbrigativamente.
«Ottimo! Allora ci sentiamo, Iwa-chan!»
«Okay, Shittykawa.» Non badò alle lamentele del castano, chiudendo direttamente la chiamata.
Prese un respiro profondo, rigirandosi il volantino tra le mani, e ogni tanto lanciando un’occhiata seccata alla pagina ancora aperta sul suo computer. 
Poi, un lampo di genio, un concetto espresso male ma che sapeva benissimo dove doveva essere aggiustato. «Ecco cosa ho sbagliato!» E si dimenticò completamente di Oikawa. 



 
~



 
[20 ottobre 2016]





Quando aveva portato Oikawa in un ristorantino da quattro soldi vicino il cinema, aveva sperato che quest’ultimo si disgustasse al tal punto da rinunciare alla serata e tornarsene direttamente a casa. Cosa che, ahimè, voleva fare anche Hajime. 
E invece, quello se n’era stato seduto tutto tranquillo e composto, come se niente lo scalfisse, né le famigliole con bambini che, quasi sicuramente, erano dirette al cinema anche loro, né gli schiamazzi dei cuochi alle sue spalle. Insomma, come poteva una persona abituata a mangiare in posti come quello dell’altra volta, essere entusiasta della sua semplicissima scodella di noodles?
Hajime non riusciva, tutt’ora, a capirlo, e alla fine era finito con l’essere lui quello sconcertato, mentre Oikawa non aveva fatto altro che guardarsi intorno, curioso e senza smettere di sorridere. 
Avevano optato per il secondo spettacolo serale, poiché Oikawa usciva tardi dagli allenamenti, e avevano avuto giusto il tempo di mangiare qualcosa al volo prima che il film iniziasse. Si erano scambiati qualche parola durante la cena, Iwaizumi si era limitato a chiedergli come fossero andati gli allenamenti, e Oikawa gli aveva fatto tutto il resoconto per filo e per segno. Si era sorpreso di essere sinceramente interessato a quello che stesse dicendo il setter, ma d’altronde si trattava pur sempre di sport, e poi la pallavolo era stata la sua compagna di avventura durante quasi tutto l’arco della sua vita. Per questioni di forza maggiore l’aveva dovuta abbandonare, ma non era raro che avesse qualche ripensamento. 
Oikawa, invece, gli aveva chiesto come andasse il lavoro, e Hajime rispose senza particolare enfasi, consegnandogli poi la rivista, e si era ritrovato a osservarlo di sottecchi mentre, con gli occhi che brillavano, il giocatore aveva divorato l’intervista in una manciata di minuti, facendo i complimenti tra sé e sé a Tomoko-san. 
L’aveva osservato anche dentro la sala buia, sperando di trovarci una parvenza di noia nel suo viso, invece era rilassato, tranquillo. 
Hajime non era tipo che stava a fissare la gente, neanche con la sua ex-moglie l’aveva mai fatto, pur sapendo quanto tenesse lei all’idea secondo cui, dallo sguardo di una persona, si capisce se questa è veramente innamorata. Ad Hajime bastavano poche cose per capire la gente e per sapere che non doveva averci a che fare, e per Tooru aveva una lista di motivazioni che era quasi infinita. Eppure, erano lì, seduti al cinema, in silenzio, con altre milioni di persone dai volti sconosciuti, e lui lo stava guardando. 
Oikawa Tooru, lo sapeva, aveva qualcosa di magnetico, ma non ci aveva creduto per davvero fino a quando non lo aveva incontrato di persona. E per quanto continuasse ad elencarsi a mente i motivi per cui doveva stare alla larga da quell’individuo, c’era sempre qualcosa che lo spingeva a continuare a parlargli, almeno un minimo, per capire che cosa effettivamente volesse.
Forse, dopo quella sera, sarebbe finalmente stato in pace con se stesso.
Uscirono dalla sala dopo un’ora e mezza circa, il venticello fresco che li accolse non appena misero piede fuori. Iwaizumi continuò a torturare la zip del suo impermeabile, mordicchiandola, spostando poi lo sguardo di lato, verso un Oikawa che si stava stiracchiando. 
«Ti è piaciuto il film?» chiese, ancora le braccia alzate verso l’alto.
«Sono venuto al cinema solo per farti stare zitto, quindi non mi interessava granché» disse con fare eloquente. 
In quei pochi giorni – come Hajime aveva giustamente previsto – non aveva fatto altro che inondarlo di messaggi assolutamente inutili, e fu persino tentato di lanciare il telefono dalla finestra o di denunciarlo per molestia alla polizia. Passi per le fotografie che gli intasavano la memoria, ma era davvero necessario chiedergli cosa stesse facendo alle cinque del mattino? Non tutti sono dei disadattati mentali che corrono la mattina presto, diamine!
Il castano uscì la lingua. «Sei antipatico, Iwa-chan!»
«Bene, ma adesso la serata è finita, no?» disse, ponendosi davanti a lui, le mani in tasca. «Quindi adesso devo dedurre che ho pagato il mio debito?»
Oikawa parve pensarci su. «Non ancora, devi fare qualcosa per me!»
Se c’era un momento adatto per un terremoto di dimensioni catastrofiche, beh, era quello; a quanto pare, però, la terra sotto i piedi di Hajime non voleva proprio cedere, così, amareggiato, fu costretto a seguire il vicecapitano della squadra di pallavolo, che camminava all’indietro proprio davanti a lui. Desiderò, per una frazione di secondo, che cadesse e si facesse seriamente male. 
Non ci volle molto, le strade deserte, solo il rumore di qualche macchina lontana o di persone che si urlavano dentro casa a fargli compagnia. Sì, Hajime non abitava in una delle zone migliori di Tokyo, e questo era anche uno dei motivi per cui si chiese che cosa ci facesse lui con uno tutto sfarzo e lusso. Oikawa amava mettersi in mostra, parecchio. A lui non importava, se riceveva qualche gratificazione era più che bene, ma non amava vantarsi dei suoi successi. 
Lo aveva sempre creduto incapace di stare con la gente comune, il massimo era passare qualche minuto con le proprie fan, giusto il tempo di qualche autografo. Una cosa nuova, che aveva avuto il piacere di scoprire su Oikawa Tooru, era che invece sapeva adattarsi a qualsiasi cosa. 
«Eccoci arrivati!» Era talmente immerso nei suoi pensieri dal non essersi accorto che erano arrivati davanti a un parco giochi. Conosceva quel posto, di solito era utilizzato dai bambini dell’asilo affianco, ma capitava che ci andassero a giocare altri bambini durante le vacanze. 
Hajime alzò un sopracciglio. «E io esattamente che dovrei fare?»
Il castano gli sorrise e si sedette su uno dei piloni all’entrata del parco. «Adesso tu ti siedi – e nel dirlo, indicò il pilone accanto a lui – e fai due chiacchere con me!»
Adesso, entrambe le sopracciglia erano verso l’alto. «Mi vuoi psicanalizzare?»
«Forse…»
Il giornalista produsse un rumoroso sospiro col naso, la mano di Oikawa che batteva sul marmo freddo, roteando poi gli occhi e accettando l’invito. Lo spettacolo era desolante, l’altalena che si muoveva per via del vento e produceva un fischio inquietante. 
«A me non è dispiaciuto… Il film, intendo» sbottò poi il castano, inclinando la testa. «Anche se i thriller non sono proprio il mio genere. A te davvero non è piaciuto?»
L’altro si sporse in avanti, i gomiti sulle ginocchia. «A me non piace andare al cinema in generale…»
«Allora perché mi ci hai portato?»
«Te l’ho già detto, per chiudere quella tua cazzo di bocca!»
«Quindi non guardi mai i film?»
«Certo…» esitò un attimo. «A casa mia.»
Oikawa mise su un’espressione molto simile a quella che gli aveva fatto una volta Akane, dopo che si era arrabbiata con lui per un motivo che, sul momento, gli sfuggiva. Ma le sopracciglia erano contratte verso il basso e il labbro inferiore era leggermente sporto in fuori proprio come nell’espressione di sua figlia. «Sei così noioso, Iwa-chan!»
Hajime decise di non rispondere all’esclamazione del giovane, fece solo schioccare la lingua per fargli capire di essere rimasto comunque stizzito dalla cosa.
«Almeno hai un film preferito?»
«In realtà, non ci ho mai riflettuto…» Ci rimuginò su. «Forse Pulp Fiction.»
«Uh, non ti facevo tipo da questo genere di film!»
«È solo quello che ho visto più spesso, tutto qua…»
Oikawa lo guardò, in attesa di qualcosa, seduto adesso a cavalcioni. «Non vuoi sapere qual è il mio?»
«Non me frega un tubo, sinceramente!» esclamò, seccato. Sperava di potersene tornare al più presto a casa. 
«Okay, te lo dico lo stesso!» disse, ignorando completamente quello che gli aveva detto l’altro, esattamente come farebbe un bambino capriccioso. «In realtà, si tratterebbe della saga di Star Wars, quindi sono più di uno, ma…»
Le ultime parole morirono ancor prima di nascere, perché Hajime lo stava guardando come se lui avesse appena confessato di aver ucciso un uomo a mani nude. «Non ti piace la saga di Star Wars?» gli chiese, aggrottando le sopracciglia.
«Odio la saga di Star Wars…» disse, quasi in un sibilo simile a quello di un serpente.
Ci fu giusto un momento di silenzio, in cui il cervello di Oikawa stava cercando di elaborare la notizia, senza riuscirci. Alla fine, sbottò: «Iwa-chan, non puoi vivere senza aver visto Star Wars!»
«Sei sordo? Ti ho detto che lo odio!» Alzò anche lui il tono di voce per cercare di sovrastare quello dell’altro, sperando che nessuno nelle vicinanze si lamentasse. 
«Lo odi solo perché non l’hai visto veramente!» continuò a farsi ragione l’altro, agitando le mani come un forsennato. 
«Anche se dovessi vederlo, continuerebbe a farmi schifo, perché io non sopporto i film di fantascienza!»
Se Oikawa avesse deciso di darsi al mondo dello spettacolo, probabilmente come attore melodrammatico avrebbe fatto furore. Si portò una mano al petto, simulando una sorta di arresto cardiaco, mentre con l’altra artigliava la spalla di Hajime, che guardò la scena senza smettere di pensare che quel ragazzo avesse in realtà dei seri problemi mentali. 
«Mi stai dicendo che non hai mai visto un film di fantascienza…?» domandò, quasi ansimando. 
«No. Odio la fantascienza da quando, una volta, ho provato a guardare qualche episodio di Star Trek con mio padre, e di anni ne avevo cinque…» rispose.
«Vedi, tuo padre è un grande uomo, in confronto a te!»
«Era.»
Non era necessario fare quella precisazione. La conversazione poteva benissimo andare avanti senza che lui correggesse Tooru. Eppure, c’era una parte di lui che credeva fosse una mancanza di rispetto nei confronti di chi…
«Scusami…» La voce, adesso abbassata di qualche grado, di Tooru, lo percosse tutto come una scarica elettrica. «Quando è successo?»
Hajime, dapprima spalancò gli occhi, poi li ridusse a due fessure: voleva capire se lo stesse seriamente prendendo in giro, oppure… 
«Tu non lo sai…»
Oikawa parve stralunato. «Sapere cosa?»
«Cazzo…» Non sapeva se piangere o ridere, mentre si stropicciava gli occhi con l’indice e il pollice, la mano del setter ancora sulla sua spalla. 
Se non fosse che non credeva in queste cose, probabilmente avrebbe pensato che il destino si stesse prendendo gioco di lui – ed era così, giocava con lui già da parecchio tempo. 
«Iwa-chan, mi vuoi dire che ti prende?»
Congiunse le mani, guardando un punto non ben preciso davanti a sé, oltre il parco, oltre i cespugli rinsecchiti, prendendo profondi respiri come se fossero sorsate d’acqua. «Il motivo per cui mi sono trasferito è perché i miei genitori sono morti in un incidente d’auto.»
Lo disse tutto d’un fiato. Non faceva meno male, ma se lo avesse detto con più lentezza avrebbe rischiato di sentire il dolore conficcarsi sotto la pelle, come pezzi di vetro o di cristallo. Serrò la mascella e le labbra, gli occhi smeraldini puntati in quelli color cioccolato di Oikawa, che boccheggiava sconvolto. 
La mano scivolò, ciondolando, e Hajime giurò di aver visto i suoi occhi farsi lucidi. Sbatté le palpebre, passandosi poi una mano davanti la bocca e cercando di guardare altrove.
«Mia madre mi aveva detto che tuo padre aveva trovato lavoro qui…» Era la prima volta che si sentiva così, lo stomaco praticamente sotto la suola delle scarpe, il cuore che ogni tanto tornava  a battere, pompando un po’ di sangue. Era la prima volta che si sentiva investito da una moltitudine di sensazioni negative, neanche dopo una sconfitta era mai stato in queste condizioni, incapace di dire anche solo mezza parola senza balbettare come uno stupido. «Merda, non ne avevo idea…»
«Sì, beh…» Hajime tornò a guardare davanti a sé, senza focalizzarsi su nulla in particolare. «Almeno adesso sai come mai non sono più venuto al Sendaishi…»
Piombò il silenzio, un silenzio che Oikawa avvertì come un ospite indesiderato tra loro due, e Iwa-chan sembrava avesse sollevato una barriera tra lui e il resto del mondo, lasciandolo fuori. Ed era successo proprio quando credeva di essere riuscito a fargli abbassare la maschera, a liberarlo da quella armatura che lo proteggeva dal malvagità del mondo. Era normale che fosse diventato così, chissà quante malelingue aveva sentito alle sue spalle, Oikawa poteva soltanto immaginarle. 
Studiò il suo profilo, asciutto, privo di qualsiasi emozione, per qualche secondo, senza comunque darsi per vinto. Avrebbe fatto abbassare anche quel muro, se fosse stato necessario. «Non sei obbligato a parlarne con me…»
«Non c’è molto da dire…» disse Hajime, atono, continuando a guardare avanti a sé. In realtà, avrebbe voluto parlarne. Fino a quel momento, aveva creduto che lui si comportasse così per compatirlo, come se sbattergli la sua splendida vita in faccia non fosse già abbastanza. Adesso, però si rendeva conto che non lo faceva di proposito, lui voleva veramente passare del tempo con lui come… amico? Beh, Hajime non ricordava quando era stata l’ultima volta che ne aveva parlato con qualcuno; probabilmente a casa di Tomoko-san, mentre lei stava preparando il tè e sua madre stava rifinendo i disegni. Si era sentito leggerlo come un palloncino, aveva sentito dolore, ma non troppo, e si era reso conto in quel momento che forse era stato più doloroso tenere tutto dentro. 
Iwaizumi Hajime era fatto così, bisognava conquistare la sua fiducia per riuscire a conoscerlo davvero. Lui non si esprimeva facilmente. Quella sera, però, sebbene Oikawa non avesse conquistato appieno la simpatia del giovane, Hajime gli raccontò tutto. Era come se avesse il bisogno di svuotarsi, un’altra volta, dopo… tre anni? 
Prima di parlare con Tomoko aveva resistito per quattro anni; con Minori, aveva resistito per otto anni.
«È successo lo stesso giorno in cui ti ho preso in faccia con la palla…» cominciò, torturandosi le mani, e sperava di riuscire a tirare fuori tutto con la stessa velocità con cui lo aveva raccontato all’amica, ma non ci riuscì. Gli mancava l’aria. «I miei genitori dovevano andare a cena con degli amici, e poi sarebbero andati a vedere un film assieme…» Oikawa spalancò gli occhi, cercando di registrare quello che stava succedendo. Iwa-chan gli stava confessando…?
«Avevano chiamato la babysitter, perché il film non era proprio adatto ai bambini…» continuò, lasciandosi sfuggire una risata gutturale, gli angoli degli occhi che pizzicavano. Prese un bel respiro prima di esalare le ultime parole. «Non sono più tornati…»
Oikawa cominciava a sentire una spiacevole sensazione scorrergli sotto pelle, e avrebbe voluto strapparsela di dosso, dire a Iwaizumi di smetterla di parlare, ma rimase muto, per paura di poter rompere qualcosa, come se fosse dentro un labirinto di specchi. 
«Ora capisci perché non vado spesso al cinema…» disse, e adesso parlava come se fosse una macchina rotta che ripeteva sempre lo stesso nastro da anni e che nessuno era stato in grado di aggiustare. Si stropicciò gli occhi. «Sono stato al cinema dopo anni per il compleanno di mia figlia… Faceva quattro anni e le ho fatto una sorpresa…»
Fece un piccolo sorriso, immerso totalmente nei suoi pensieri per accorgersi che Oikawa lo stava fissando sconvolto. Certo, lui non sapeva neanche questo…
Sospirò, grattandosi la nuca. Oramai il danno era fatto, tanto valeva continuare a parlare. «Ho avuto una figlia quando ero molto giovane con la mia fidanzata. Ci siamo sposati dopo qualche anno, ma non è durata… Un anno e abbiamo divorziato.» Credeva che Oikawa esultasse per aver indovinato, quella volta al ristorante, ma invece lo sentì deglutire pesantemente. «Akane era piccola, perciò il giudice ha pensato bene di affidarla a sua madre. Dopo poco, la mia ex-moglie si è trasferita a Osaka per lavoro. Fortunatamente, non mi vieta mai di andare a trovarla… Siamo rimasti in buoni rapporti…»
La sua voce scemò all’ultimo, diventando sempre più bassa, Oikawa che continuava a guardarlo serio e stupito, bianco come il marmo su cui era seduto. Non sapeva davvero che cosa dire, non si era mai trovato a dover gestire il lutto di una persona, soprattutto il lutto di una persona che ha perso i propri genitori. 
Lui aveva perso i nonni quando andava alle elementari, tuttavia aveva dei ricordi sfocati di quei momenti, ricordava solo sua madre che si inginocchiava davanti a lui mentre guardava la televisione e gli dava la notizia. Cosa… cosa dicevano gli altri a sua mamma? 
Tentò, sebbene la lingua si fosse incollata al palato, di aprire la bocca, ma lo scrosciare delle mani di Hajime che battevano lo riscosse, come se fino ad allora stesse sognando e tutta quella conversazione non avesse avuto luogo. Si riscaldò le mani, il giornalista, girandosi ora verso di lui. «Bene, ora che hai scoperto quasi tutto della mia vita, possiamo dire che il mio debito sia saldato?»
Tooru non si aspettava quella domanda, non dopo un discorso del genere, e sulle prime non seppe proprio come reagire. La risposta, quella che si era già preparato da un po’, uscì fuori senza che lui volesse, e non ne sembrava tanto convinto a quel punto. «Una scodella di noodles e un biglietto del cinema non compensano il conto del pranzo…»
Hajime scosse la testa, lasciandosi sfuggire una mezza risata. «Vai a farti fottere, Shittykawa.»
«Grazie, lo farò senz’altro!» rispose, riuscendo a scrollarsi la tensione che gravava sulle sue spalle. 
E ancora, si fissarono come quella volta al ristorante, solo che questa volta a ridere per primo fu proprio Hajime. Non era una risata colorita come quella di Oikawa, ma per il setter aveva un bel suono, era contagiosa, e si ritrovò a ridere senza motivo anche lui, come se fossero rimasti in silenzio sino ad allora e non avessero mai parlato di quella storia. 
«Giuro che è la prima volta che qualcuno mi risponde in questo modo!» esclamò Hajime, inumidendo le labbra e continuando a ridacchiare di tanto in tanto. 
Ci voleva. Quella rispostaccia, dopo quanto detto, ci voleva. 
Era giusto quello che serviva ad Iwaizumi per tornare nel presente e non rischiare di rimanere arenato nel passato. 
«Beh, a me nessuno aveva mai detto una cosa del genere in faccia!» Il setter continuava a ridere, mischiando le lacrime di tristezza a quelle di gioia, asciugandosele con l’indice. 
Restarono così per un po’, prima che Oikawa si prendesse di coraggio e parlasse di nuovo. «Iwa-chan… Mi dispiace davvero…»
Hajime lo scrutò per diversi secondi.
Non era la prima volta che si sentiva dire una frase del genere: alcuni la dicevano perché si usava così ai funerali, non perché lo sentissero veramente, e aspettavano solo di potersi servire al rinfresco; altri la dicevano guardandolo con pietà, e persino a casa di Tomoko si sentì puntato nel vivo, e la cosa gli diede non poco fastidio. Preferiva quelli cui la cosa non interessava, preferiva quei suoi compagni che lo prendevano in giro – almeno, quelli, poteva pestarli fino a quando le nocche non cominciavano a sanguinare.
Quelli che lo compativano, li odiava. Odiava essere compatito, non ne aveva bisogno. Perché la gente che compatisce è quella che crede di sapere come ci si sente, ma in realtà non ne ha la più pallida idea. 
In quel momento, Oikawa non lo stava compatendo. Era dispiaciuto sul serio, e fu una cosa nuova per Hajime. Pensava che un’espressione come quella potesse trovarla solo in sua figlia quando gli chiedeva se fosse triste. Voleva fargli sapere che c’era, qualsiasi cosa fosse successa di lì in poi. 
Assottigliò lo sguardo, inarcando le labbra appena verso l’alto. «Grazie…»





In seguito, i due si misero a parlare del più e del meno, e Oikawa era addirittura riuscito a farsi promettere che Iwa-chan avrebbe visto tutta la saga di Star Wars, fino all’ultimo film uscito – ma questo solo perché, ancora, voleva che il setter chiudesse quella sua dannatissima boccaccia. 
Non si accorsero per niente dell’orario, e decisero di incamminarsi verso le auto quando già era notte fonda; per fortuna, Tokyo era una città abbastanza caotica, anche se quella zona non era certo delle migliori.
«Vuoi un passaggio?» chiese il castano, giunti davanti la sua macchina rosso Ferrari.
«Abiterò qua vicino, ma non sono mica uno sprovveduto come te! Ho la mia» disse, e notò di averla posteggiata poco più avanti, all’angolo di una strada là di fronte.
«Ah-ah, molto spiritoso, Iwa-chan!» Anche se aveva ragione, la sua costosa macchina avrebbero potuto rimetterla a nuovo completamente in quel quartiere.
Iwaizumi non riuscì a replicare perché, improvvisamente, il telefono cominciò a vibrare dentro la sua tasca. Si accigliò nel leggere il numero di Minori sullo schermo. 
«Pronto?»
«Pronto papà?» Una vocetta assonata arrivò alle sue orecchie, e per poco non trasalì.
Sbloccò il telefono solo per intravedere l’orario. «Akane, si può sapere perché sei ancora sveglia? È tardissimo!»
«Scusami papà!» La bambina fece uno sbadiglio, poi tornò a parlare. «Ho aspettato che tornasse la mamma per chiamarti. Volevo darti la buonanotte di persona…»
Si passò le dita sugli occhi, prima di posarle sul ponte del naso. Se non fosse che Oikawa lo stava fissando con curiosità, probabilmente gli sarebbero venuti gli occhi lucidi un’altra volta. «Okay, ma adesso fila a letto.»
«Ti ho disturbato? Mamma mi ha detto che dovevi uscire…»
Hajime diede giusto un’occhiata veloce ad Oikawa prima di parlare, quasi come se avesse bisogno di confermare che era sul serio uscito con lui. O uscito con qualcuno in generale, senza che c’entrasse il lavoro o qualche mostra fotografica. «No, stavo giusto tornando a casa…»
«Okay… Buonanotte, papà! Ti voglio bene!»
«Anche io te ne voglio» disse, ammorbidendo la voce, e per un attimo gli parve che Oikawa si fosse irrigidito sul posto. Era davvero così innaturale sentirlo parlare così?
«La mamma è lì?»
«Sì, ma mi ha detto che ti chiama domani!»
«Va bene… allora buonanotte.»
Chiuse la chiamata, i piedi che si mossero verso la figura snella di Oikawa appoggiata alla macchina, le mani dentro le tasche del giaccone verde. Solo allora, con una punta d’invidia, si occorse che l’altro era più alto di qualche centimetro. 
«Era tua figlia?» chiese il setter. 
Hajime si passò una mano tra i capelli. «Di solito ci vediamo su Skype, ma le avevo detto che per stasera non sarebbe stato possibile, perciò…»
Oikawa avvertì il senso di colpa percorrere tutta la trachea, raggiungendo la gola, e bruciava da morire. «Oh, mi spiace…»
Il giornalista alzò un sopracciglio, riponendo il telefono in tasca. «Non è da te scusarti così tante volte nell’arco di poche ore, ti sei rammollito tutt’assieme?»
Oikawa sbatté gli occhietti color cioccolato, che quasi brillarono sotto la luce dei lampioni. «Ma guarda che io sono una persona molto sensibile, Iwa-chan!»
Lo sapeva che la domanda retorica di Iwaizumi stava a significare che era tutto nella norma, che non c’era bisogno di scusarsi. Sembrava una persona così complicata, ma in realtà era come un libro aperto: facilissimo da leggere. 
Fece uno sbuffo più simile a una risata. «Certo, hai la stessa sensibilità di un gorilla.»
«Veramente, tra i due, quello che assomiglia di più a un gorilla sei tu!»
«Tu lo sai che posso farti sanguinare anche l’altra narice, vero?»
Oikawa non rispose, però entrambi risero di nuovo, ed era bello vedere Iwa-chan così, che si lasciasse andare, che si sciogliesse e riuscisse a dare a quelle labbra la parvenza di un sorriso. Si mordicchiò il labbro inferiore, mentre l’altro tornava a scuotere la testa un’altra volta, chiedendosi se per sbaglio non avesse inalato dell’aria tossica e stesse impazzendo del tutto. 
Il setter stava per parlare ancora, ma Hajime lo precedette. «Tu piuttosto, non avevi impegni con Eiko?»
Oikawa sbatté ancora una volta gli occhi.  
«Al contrario di te, io conosco molte cose sul tuo conto… purtroppo!» continuò il giornalista, con una punta di divertimento nella voce. 
Il setter alzò le spalle. «Le ho detto che dovevo uscire con degli amici, e lei mi ha detto che doveva fare lo stesso con delle sue amiche. Anche se siamo fidanzati, vediamo altra gente, cosa credi?»
Hajime non badò alla domanda che gli era stata riposta, seppur teoricamente. «Amici?» si limitò a domandare. «Perché hai usato il plurale? Eiko-san potrebbe ingelosirsi, per caso?»
Tooru sorrise, mellifluo. «Dovrebbe.»
«Ah?» esclamò l’altro.
«Hai un certo fascino, lo sai?»
«Mi stai prendendo per il culo?» disse, aumentando il tono di voce, l’espressione del castano che non si decideva a sparire dal volto. 
«Sono serissimo, Iwa-chan! Hai solo un carattere di merda…»
Gli mollò una manata sul braccio, involontariamente, senza riuscire a controllare più gli impulsi nervosi che arrivavano al suo braccio. Dovette ammettere a se stesso che era stato quasi liberatorio, come se aspettasse solo il momento adatto per poter fare una bella lavata di capo a quell’alzatore tutto sorrisi e carinerie; non perché volesse fargli male seriamente, solo che sosteneva che i suoi compagni di squadra avrebbero dovuto lanciargli più spesso la palla su quella bella testolina. 
«Iwa-chan! Sei violento!» si lagnò, massaggiandosi la parte dolorante. «Che fine ha fatto il ragazzino che mi ha medicato il naso?»
«Così impari a prendermi in giro!» 
«Ma io dicevo la verità!»
«Lo sai, se non sapessi che sei la persona più eterosessuale della terra, probabilmente sospetterei che tu ci stia provando con me!» disse, con un’espressione contrariata. 
«Questo è un modo carino per dirmi che non vuoi più vedermi?»
Hajime lo osservò: aveva il capo chinato di lato, il bagliore di un sorriso a illuminargli il viso, esattamente come poco prima, come se quelle labbra non si fossero imbronciate per via del colpo di prima. Era tranquillo, quasi sicuro del fatto che il giovane giornalista volesse rivederlo ancora, e la cosa faceva andare Hajime fuori di testa. Forse, se avesse avuto un pallone tra le mani, glielo avrebbe lanciato dritto in faccia in quel preciso momento. Si chiese, in un angolo recondito della sua testa, che cosa diavolo stesse facendo, perché diavolo stesse passando la serata con un mezzo sconosciuto, perché diavolo non fosse a casa a parlare con sua figlia, che cosa diavolo gli era venuto in mente quando aveva deciso di portarlo al cinema.
Alla fine, la sua risposta l’aveva avuta: quel ragazzo estremamente petulante e invadente voleva sul serio stringere amicizia con lui. Ma se a una domanda era riuscito a trovare una risposta, ora toccava ad un altro quesito l’arduo compito di essere risolto: lui cosa voleva fare con Oikawa Tooru? Era seriamente intenzionato a stringere amicizia con lui? 
Non ne capiva niente di queste cose. Gli amici che aveva avuto durante l’adolescenza, li poteva contare sulle dita di una mano, escludendo Katsu e Minori, e di questi aveva perso i contatti anni fa, dopo la fine del liceo. Non era stato lui ad avvicinarli, erano venuti di loro spontanea volontà, e quella che Hajime considerò come amicizia nacque nel tempo, dopo aver condiviso hobby, pomeriggi di studio e sessioni di allenamento. 
Con Oikawa, però, aveva condiviso una cosa che aveva sempre cercato di tenere nascosta, forse per paura di sentirsi giudicato, o forse perché a quell’amicizia non ci credeva fino in fondo. Con un mezzo sconosciuto aveva condiviso una cosa importante come il suo passato, e solo allora realizzò di essersi completamente sbagliato, che alla fine il passato era in qualche modo ritornato, non l’aveva tagliato fuori del tutto. 
Si era rivolto al suo passato, perché Oikawa Tooru ne era comunque una parte. E, per assurdo, si era sentito completamente a suo agio a parlargli in quel modo, come se fossero amici di vecchia data e chiacchierate del genere fossero all’ordine del giorno. Si chiese perché proprio lui, con tutte le persone che lo circondavano, ma questo forse l’avrebbe saputo col tempo. 
Intanto, si limitò a dare voce a quello che gli aveva detto al parco con tono affranto. «Mi hai detto tu che devo ancora saldare il mio debito, no?»
Se fosse stato possibile, Oikawa sorrise ancora di più, quasi come se potesse esplodere per la contentezza, e Hajime si chiese esattamente quale fosse la ragione di tutta quella gioia. 
«Bene Iwa-chan, allora ci riaggiorniamo?» chiese, e quest’ultimo annuì, salutando poi il ragazzo e dirigendosi verso la sua macchina.
Si fermò di botto, le mani nella tasca del giubbotto, sentendolo canticchiare qualcosa a labbra chiuse. «Shittykawa?» Anche questa volta, non diede tempo all’altro di reagire all’insulto, che subito parlò. «La prossima volta, sceglilo tu il posto, così mi libero di te prima!»
Si voltò, solo per trovare Oikawa davanti alla portiera aperta e con un mezzo sorriso rivolto a lui. «Chi ti dice che non farò di tutto per sabotarti?»
«Tu sei uno di classe, non ti abbassi a frequentare i luoghi della plebe! È già tanto per te frequentare uno come me!»
«È una sfida?» chiese. 
«Se vinco, mi lascerai in pace?»
«E se vinco io, tu ti arrederai al fatto che sarai costretto a frequentarmi come amico?»
Se Oikawa si metteva una cosa in testa, Iwaizumi lo sapeva, avrebbe anche sollevato massi di duecento tonnellate pur di riuscirci. Su questo, era impeccabile, ed era anche per tali ragioni che la sua carriera d’atleta brillava come quella di una stella. Hajime non dubitava di quello che aveva appena detto, ma una vocina fastidiosa nella sua testa gli diceva di fare attenzione. 
La ignorò completamente. Lui e Tooru si stavano guardando come quella volta al ristorante, forse con più intensità, e Hajime credeva che il privilegio di quello sguardo potessero averlo solo gli avversari dall’altra parte del campo. E si rese conto che quell’atteggiamento di sfida era più elettrizzante di qualsiasi altra cosa. 
«Ci sto!»





Tooru salì in macchina poco dopo, le mani sul volante e la chiave inserita. Continuava a mordicchiarsi il labbro inferiore, sorridente. C’erano ottime probabilità che l’avrebbe spuntata lui, Iwa-chan non aveva scampo!
Mentre faceva queste considerazioni, pronto a mettere in moto, il suo cellulare squillò e la foto di Eiko apparve sullo schermo. 
«Pronto amore?» disse una voce femminile non appena la chiamata fu agganciata, una gran confusione in sottofondo. «Tutto bene lì?»
«Sì, abbiamo finito, sono appena entrato in macchina, da te invece?»
«Eh, le ragazze hanno un po’ alzato il gomito…» 
Si sentì il rumore tipico della musica da discoteca, e Oikawa si ritrovò a dover parlare più forte per farsi sentire. «Vuoi che ti passi a prendere io?»
«Oh, grazie, sei sempre un tesoro!» esclamò l’altra tutta contenta. «Ti amo tanto!»
Fu la prima volta da quando stava con Eiko – quattro lunghissimi anni di relazione – che si ritrovò ad esitare nel risponderle. Di solito lo faceva con facilità, come se fosse la cosa più semplice di questo mondo. In realtà, non lo era. 
Si tendono a dare per scontate cose che non lo sono. In quel caso, possibile che quelle due paroline le dicesse soltanto perché, oramai, ci aveva fatto l’abitudine?
Scosse la testa. «Ti amo anch’io!» e riagganciò.
Strinse le sue dita sottili sul volante e prese un bel respiro, lo sfondo del cellulare illuminato e che gli mostrava una foto scattata tra lui e la sua ragazza. Girò le chiavi e partì.
Qualcosa non andava, Oikawa lo comprese solo adesso, anche se cercò di scacciare il pensiero. Perché non era possibile che, mentre osservava l’immagine di loro due, gli fosse tornato in mente Iwa-chan che sorrideva. 





Loro non potevano saperlo, ma erano come due pupazzi nelle mani del destino. 
Due bambole di pezza le cui mani non sono definite, non hanno i segni delle cinque dita; questo, però, non gli impediva di legarle comunque tra loro con un filo di colore rosso.


 
 
[If you're gonna let me down, let me down gently
Don't pretend that you don't want me]




 
 
Delucidazioni:
Ed eccomi di nuovo qui, con un capitolo ricco di emozioni! ;)
*la gente scoppia a ridere*
No, sul serio, mia sorella mi ha detto che l’aveva capito che i genitori di Hajime erano venuti a mancare, quindi penso che alcuni di voi l’avessero già intuito :’)
Per farla breve: aveva più o meno cinque anni quando i genitori sono morti ed è stato affidato alle cure di sua zia, che abita a Tokyo. Di conseguenza, la sua vita l’ha passata lì. La mamma di Oikawa sapeva benissimo cosa era successo ai genitori del ragazzo, ma non ha detto niente al figlio per paura di impressionarlo. L’argomento non è mai stato ripreso, e lui non ha mai saputo la verità fino ad adesso.
Tramite alcune informazioni varie, ho scoperto che l’età in cui viene consentito il matrimonio in Giappone è venti, per cui Minori e Hajime hanno avuto Akane in quel periodo, e il ragazzo ha dovuto abbandonare l’università e la pallavolo per cercare lavoro. Con Minori si sono resi conto che non funzionava e hanno deciso di divorziare; non so come funzioni in Giappone, ma di solito si tende a prediligere la madre nei casi di affidamento, tranne in casi estremi. Per questa ragione, Akane sta con la madre. Poco dopo, quest’ultima è stata presa all’orchestra di Osaka e si è dovuta trasferire.
Spero di essere stata abbastanza esaudiente :’)
Qualche piccola informazione: Kotomi mi ha ricordato di dirvii che ci sono delle date all’inizio di ogni capitolo, se non si fossero notate; non c’è un motivo preciso, volevo rendere la storia più attuale *la picchiano*; Line è una piattaforma simile a Whatsapp ed è molto usata in Giappone; il film che sono andati a vedere è uno di Nicholas Cage, uscito proprio a ottobre del 2016 (ora capite i problemi che mi faccio…?); lo spezzone finale è tratto da Water Under The Bridge di Adele, amatela! <3
Che dire, fatemi sapere che cosa ne pensate di questo capitolo! Spero di non aver fatto un casino…
Secondo voi che sta succedendo a Oikawa? Eh, eh? Ditemi gente! :3
_Lady di inchiostro_
 
P.S: passatemi a trovare sull’uccellino che cinguetta, se vi va! ♥
 
 
 
  
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