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Autore: lilyhachi    25/04/2017    3 recensioni
(Bucky Barnes/Steve Rogers; one shot; missing moment collocato tra la fine di Civil War e la scena post-credit)
Steve si chiese da quanto tempo Bucky non dormisse a quel modo, senza turbamenti o paure, privo della necessità di guardarsi costantemente alle spalle, consapevole del fatto che la porta non sarebbe stata sfondata da un momento all’altro. Tratteggiare il suo viso con la matita era stato un gesto del tutto naturale, come respirare.
Voleva immortalare quel momento unico e irripetibile. Voleva prendersi il lusso di godere di quell’attimo, sapendo che presto le palpebre di Bucky avrebbero rivelato i suoi occhi azzurri.
Voleva accertarsi del suo petto che si alzava e si abbassava nel sonno.
Voleva ricordare l’ultimo risveglio di Bucky, prima che lo congelassero.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: "Stars"; one-shot.
Rating: giallo.
Genere: angst; introspettivo; romantico.
Contesto: Civil War.
Personaggi: James "Bucky" Barnes; Steve Rogers.
Pairing: Bucky/Steve (Stucky).
Avvertimenti: missing moment.


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Stars
 
 
“Amore non è Amore se muta quando scopre un mutamento
o tende a svanire quando l'altro s'allontana.
Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai;
è la stella guida di ogni sperduta barca, il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza.
Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva lama.
Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio:
se questo è errore e mi sarà provato 
io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato”.
(William Shakespeare – Sonetto 116)
 
 
Da quando Bucky Barnes era precipitato in un vuoto fatto di neve, Steve non credeva che avrebbe mai potuto più assistere all’evento che si stava svolgendo dinanzi ai suoi occhi: Bucky dormiva ed era reale.
Ogni cosa intorno a lui era reale: la stanza dalle pareti bianche che gli rammentava un po’ un ospedale, l’ampia finestra che affacciava nella fitta giungla, la comoda poltrona sulla quale lui stesso si era adagiato, il blocco da disegno che teneva stretto tra le mani, il letto matrimoniale sul quale una figura era beatamente distesa.
Le tracce di sangue dal volto di Bucky erano sparite, lasciando il posto ad un viso pulito e, per quanto possibile, meno cupo.
I capelli prima disordinati e logori, adesso erano lucenti, i vestiti sporchi e strappati non avvolgevano più il suo corpo stanco, ora fasciato da una canotta bianca e un pantalone nero della tuta.
Dormiva con la schiena rivolta alla finestra e il volto nella sua direzione.
Steve si chiese da quanto tempo Bucky non dormisse a quel modo, senza turbamenti o paure, privo della necessità di guardarsi costantemente alle spalle, consapevole del fatto che la porta non sarebbe stata sfondata da un momento all’altro.
Tratteggiare il suo viso con la matita era stato un gesto del tutto naturale, come respirare.
Voleva immortalare quel momento unico e irripetibile.
Voleva prendersi il lusso di godere di quell’attimo, sapendo che presto le palpebre di Bucky avrebbero rivelato i suoi occhi azzurri.
Voleva accertarsi del suo petto che si alzava e si abbassava nel sonno.
Voleva ricordare l’ultimo risveglio di Bucky, prima che lo congelassero.
Quando Bucky gli aveva confessato di volere che fosse nuovamente congelato, Steve non aveva reagito granché bene, e ancora si vergognava del modo in cui aveva spalancato gli occhi, fissando Bucky come se fosse impazzito e facendogli notare quanto la sua idea fosse assurda e da scartare.
Bucky gli aveva rivolto un sorriso amaro. “Non voglio far del male a nessun’altro”.
Aveva rimarcato quel nessun’altro guardandolo come se, dietro quelle poche parole messe insieme, ci fosse una spiegazione più articolata che non riusciva a dargli, non ancora.
Così, T’Challa era accorso in loro aiuto mettendo a completa disposizione il suo equipe medico e Bucky aveva parlato loro del congelamento, fino a quando ciò che aveva messo radici nella sua testa non sarebbe stato completamente sradicato. Intanto, Steve aveva ascoltato tutto in mero silenzio e senza il coraggio di alzare gli occhi verso Bucky, sotto lo sguardo attento e indagatore di T’Challa.
Ogni cosa sarebbe stata messa a punto il giorno successivo, nel frattempo Bucky era stato sottoposto ad una serie di esami di routine e curato da tutte le ferite inferte dall’ultimo scontro con Tony. Quel pensiero colpì Steve come un pugno nella pancia, riportandogli alla mente gli ultimi istanti del combattimento più difficile che avesse mai affrontato.
Scosse la testa, allontanando ogni cosa: doveva essere lucido, per Bucky.
Sorrise, guardandolo dormire. Sapeva che tutti i prelievi e gli esami che i medici avevano sostenuto non avevano sortito alcun effetto sul suo stato fisico, eppure, eccolo lì che dormiva tra le lenzuola fresche e pulite senza alcuna intenzione di svegliarsi ancora.
Si perse tra le linee della sua matita, continuando a definire il volto di Bucky.
“Cosa stai facendo?”.
La voce roca di Bucky lo fece sussultare, mentre l’altro sorrideva, trattenendo uno sbadiglio.
Steve faticò a staccare gli occhi da quella scena: sembrava così quieto.
Tutto ciò che era accaduto non poteva svanire e basta?
Non potevano restare chiusi lì per sempre, lontani da ogni cosa e intrappolati in uno squarcio spazio-temporale all’interno del quale nessuno avrebbe potuto separarli?
 
“Lately, I've been, I've been losing sleep
dreaming about the things that we could be”.
 
Per la prima volta, Bucky Barnes poteva dire di aver dormito davvero, senza incubi famelici pronti a saltargli alla gola e intenti a non dargli pace. Tuttavia, cos’era un sonnellino in confronto al sonno perenne che lo aspettava?
Steve lo fissava dall’altro lato della stanza come se avesse visto un fantasma, ricordandogli quasi la prima volta che lo aveva rivisto dopo quella che doveva essere la sua morte. Eppure, c’era qualcosa di diverso nel suo sguardo, una sorta di genuina incredulità … quella di chi vede qualcosa di meraviglioso e fatica a credere a ciò che ha dinanzi agli occhi.
Possibile che Steve lo vedesse a quel modo?
Lui non era altro che un assassino, un fantasma, una macchina creata appositamente per strappare delle vite ed eseguire gli ordini senza alcun rimorso … il Soldato d’Inverno. Ma per Steve lui era ancora James Buchanan Barnes, il ragazzo alto e bello che lo difendeva dai bulli, che gli metteva un braccio attorno al collo e i cui gesti erano quasi sempre finalizzati a strappargli un sorriso, anche il più lieve.
“Niente, solo qualche schizzo”, rispose Steve, chiudendo subito il blocco.
Bucky si mise a sedere, prendendo ancora più familiarità con quell’ambiente.
C’era una strana tensione nell’aria, poteva percepire tutte le parole che Steve avrebbe voluto rivolgergli sospese nella stanza e in attesa di essere tirate giù, come i palloncini che aveva cercato di regalare ad una ragazza durante una serata al luna park come scuse per il suo comportamento da completo imbecille. La ragazza, in tutta risposta, gli aveva tirato un ceffone, così Bucky aveva regalato quei palloncini a Steve, certo del fatto che lui avrebbe indubbiamente apprezzato.
“Sei sicuro di quello che intendi fare?”.
Ed eccolo: il primo palloncino, bianco come la neve che per anni era stata la sua tomba, gelida e immacolata con chiazze rosse di sangue che si diramavano da essa.
“Te l’ho detto Steve”, esclamò Bucky cercando di restare inespressivo. “Non voglio fare del male ad altre persone”.
Non voglio far del male a te. Non voglio svegliarmi nel bel mezzo della notte e stringerti le mani attorno alla gola. Non voglio tornare in me e scoprire di aver portato a termine quella missione che tempo fa mi era stata imposta.
“Non potresti mai farlo, non più”.
Oh Steve, così ingenuo e prezioso come un tesoro raro da proteggere.
Bucky sfoggiò il suo solito sorriso amaro, quello che Steve odiava, ché sembrava farsi beffa di lui, sottolineare quanto lui fosse stupido a dire o pensare determinate cose. “Non puoi saperlo”.
“So che non mi faresti mai del male”.
Ecco un altro palloncino, rosso come il sangue che Steve aveva perso a causa dei colpi inferti dal braccio di Bucky, quello di cui adesso era privo ma che più volte gli aveva afferrato la gola, che aveva puntato un fucile nella sua direzione, che aveva dato la spinta per un colpo particolarmente violento diretto a lui. Bucky gli aveva fatto del male e nulla avrebbe potuto cambiare ciò.
“Eppure l’ho fatto”.
“Non avevi scelta … adesso ce l’hai”.
Adesso hai una scelta. Hai me.
Bucky non faticò a leggere quelle parole negli occhi di Steve.
Era sempre stato un libro aperto per lui, con i suoi grandi occhi azzurri che sembravano traboccare di aspettative ogni volta che si posavano su di lui.
Un altro palloncino.
Steve li stava tirando giù uno alla volta, come se tutti insieme coprissero il cielo sopra le loro teste … voleva riportarli a terra e lasciare che Bucky vedesse il cielo sereno che Steve tentava disperatamente di mostrargli, ma senza capire che non poteva essere come lui sperava. Ci sarebbero state altre tempeste, se lui non avesse messo un freno alla sua mente instabile e quante vite avrebbe dovuto togliere ancora? Bucky non voleva più sangue sulle sue mani.
Chiuse gli occhi, come per impedire a sé stesso di colmare la distanza che lo separava da Steve, quella stessa distanza che li aveva tenuti lontani per troppo tempo, e recuperare gli attimi di cui avrebbero potuto godere se solo il destino fosse stato più generoso.
Un fruscio lo costrinse a riaprire di scatto gli occhi per ritrovare Steve accanto a lui che teneva la sua mano destra stretta tra le dita.
“L’idea di perderti di nuovo non mi piace, lo sai”, dichiarò Steve, tentando di controllare una voce che sembrava creparsi lentamente. “Soprattutto dopo averti finalmente ritrovato. Ma se è questo ciò che vuoi … allora sarò con te fino alla fine”.
Bucky non rispose, si limitò ad scrutare meglio il suo viso in cerca di qualcosa che neanche lui riusciva a definire. Forse un segno, qualcosa che gli facesse capire di cosa si stava privando, forse un barlume di speranza: il viso di Steve era colmo di speranza e promesse, promesse di una meravigliosa vita che avrebbero potuto trascorrere insieme.
Da quando aveva capito di conoscerlo, la prima volta sul ponte, aveva tentato di imprimere il suo volto nella mente in vari modi: era andato allo Smithsonian ritrovandosi faccia a faccia con una vita che non pensava di avere e con qualcuno che ne aveva fatto parte.
Il volto di Steve Rogers era un marchio a fuoco sul suo cuore, e Bucky non avrebbe potuto ignorarlo neanche volendo: ci aveva provato, aveva tentato di allontanarlo, di non cercare nella piega delle sue labbra tracce di un passato che lo avrebbe soltanto mandato in crisi, di vederlo solo ed esclusivamente come la “sua missione” ma aveva fallito.
Erano come due corpi celesti, Bucky e Steve, facenti parte dello stesso sistema stellare e gravitando attorno alla stessa orbita ma senza mai incontrarsi davvero.
E adesso Steve era lì, ad una distanza appena percettibile e gli stava offrendo qualcosa: poteva ricordarlo piccolo com’era una volta mentre teneva stretti con la mano una manciata di palloncini che avrebbero potuto farlo sollevare in aria senza sforzo.
Quando Steve gli mise una mano attorno al collo, ogni cosa sembrò svanire: quei maledetti settant’anni non erano mai trascorsi e lui non era mai diventato il Soldato d’Inverno.
Erano semplicemente due ragazzi di Brooklyn che avevano capito troppo tardi di provare qualcosa che andava ben oltre un sentimento di amicizia.
Steve strinse maggiormente la presa e poggiò la fronte contro la sua, stringendo le palpebre come se provasse dolore.
Quando una lacrima gli solcò il viso, Bucky la baciò via, arrestando la sua traversata immediatamente, ché non aveva mai sopportato la vista di Steve che piangeva … gli provocava un dolore all’altezza del petto che non poteva reggere.
Steve continuò a tenere gli occhi chiusi, come se volesse restare sospeso in una qualche dimensione parallela creata appositamente per loro, e sfiorò le labbra con le sue. Così Bucky lo raggiunse in quel limbo personale, rispondendo al bacio.
Bucky Barnes era caduto, senza lasciare alcuna traccia di sé se non un cuore spezzato.
Era rimasto per anni sul bordo di un baratro, con dietro di sé una scia di sangue e disperazione, oltre la quale non credeva potesse mai esserci qualcosa. Non sapeva di essere bloccato in un tunnel come non credeva che qualcuno, presto o tardi, sarebbe corso a portarlo via da lì … a salvarlo. Poi c’era stato uno scoppio di luce e Steve era giunto da lui, come una supernova e allora tutto ciò che il Soldato d’Inverno aveva creduto di sapere era crollato, rivelando Bucky con la sua vecchia vita, il suo buon cuore e l’amore per un ragazzo magrolino di nome Steve a cui piaceva fare a pugni con i bulli.
Tuttavia, ciò che lui e Steve avevano non sembrava poter far parte del mondo reale.
Avevano ancora un giorno, il loro ultimo giorno.
Il ghiaccio li aveva separati e adesso stava per farlo ancora una volta.
Bucky e Steve erano destinati ad essere quei due corpi celesti, la cui sorte era gravitare attorno ad un’unica orbita senza mai sfiorarsi.
Un giorno, forse, Bucky avrebbe riaperto gli occhi e Steve sarebbe stato lì ad accoglierlo.
Un giorno, forse, avrebbero ricevuto la vita che meritavano.
Un giorno, forse, quei corpi celesti si sarebbero scontrati, dando vita ad una delle più incantevoli e luminose supernove che lo spazio avesse mai visto prima di allora.
Un giorno.
 
 
 
 
Angolo dell’autrice:
 
  • Il sonetto iniziale di Shakespeare mi ha spinta a scrivere perché ho rivisto troppo questi due disagiati in ogni singola parola;
  • Il verso a metà storia è tratto dalla canzone “Counting Stars” degli One Republic;
  • La shot è una sorta di missing moment ambientato tra la fine di Civil War e la scena post-credit in cui Bucky decide di farsi congelare. Ho pensato che prima di quel momento orribile e strappalacrime, Steve e Bucky potessero aver passato del tempo insieme e così, nulla, ho lasciato volare la mia fantasia;
Sì, sono tornata e non è assolutamente un’allucinazione.
Non credevo che avrei mai pubblicato altro su efp ma il disagio Marvel è tornato e mi ha DECISAMENTE stesa. La colpa è di Rai4 che decide così all’improvviso di trasmettere Captain America: The Winter Soldier e già questa cosa non va bene, per niente.
Poi io, che sono masochista di natura, ho deciso di rivedere Civil War … quindi, diciamo che mi sono volutamente scavata la fossa e ho fatto riaffiorare i miei feels Stucky, quindi eccomi.
Ci tengo a precisare che io vivo per il multishipping e non avrei mai pensato di shippare Steve e Bucky, li ho sempre visti come fratelli, ma diciamo che nel profondo ho sempre avuto qualche dubbio sul loro rapporto … insomma, Steve si è inimicato 117 paesi più i suoi stessi compagni per proteggerlo e questa cosa (insieme al rewatch dei film) mi ha stesa.
Il mio disagio è stato alimentato, inoltre, da Tumblr e dalle varie aesthetic che mi hanno dato il colpo di grazia, oltre che da qualche personcina, che ho istigato a mia volta nel tunnel Stucky: la povera Chim, a cui giuro di non voler male e questa shot è tutta per lei
Spero che la storia vi sia piaciuta e se vi va di lasciarmi una recensione giusto per capire se questa one-shot è stata un completo disastro o meno, mi farebbe piacere, ogni commento è sempre ben accetto :) 
Alla prossima,
Lily.
 
   
 
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