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Autore: melloficent    25/04/2017    1 recensioni
Romano trovava assolutamente inutile quella necessità di una persona con cui andare a Hogsmade, per di più solamente per sfoggiare la nuova conquista del mese.
Il fatto che lui non avesse mai avuto nessun’ammiratore –e quelli che c’erano probabilmente li aveva spaventati con il suo caratteraccio- non influiva in nessun modo sul suo pensiero.
Semplicemente odiava tutto quello sfoggio di inutili sentimentalismi.
Che poi fosse gay fino al midollo era un altro discorso. Era sicuramente molto più discreto di Bonnefoy, però.
Che, per inciso, detestava profondamente, come tutta la sua combriccola. Quasi quanto Arthur Kirkland, che non perdeva occasione di coprirlo di insulti.
Aveva tutta la sua stima, tra parentesi.
Ma c’era qualcuno che detestava ancor più di quanto detestasse il francese, e rispondeva al nome di Antonio Fernandez-Carriedo, settimo anno, Serpeverde.
Allora perché una minuscola parte di lui si sentiva autorizzata a sperare a un suo invito a Hogsmade?
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[hogwarts!AU | spamano | ravenclaw!romano | slytherin!antonio | hints of pruhun, fruk & gerita ]
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Bad Friends Trio, Belgio, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Note: per ovvie necessità ho dovuto dare un nome a Belgio e, di conseguenza, a Nederland e Lussemburgo (anche se poi Lussemburgo qui non appare, ma ho una mezza idea di fare una serie di questa AU quindi lo scrivo comunque).
Himaruya ha scritto nel suo blog che gli erano piaciute quattro proposte dei fan per il nome di Nederland, e sono Tim, Govert, Abel e Mogens. E a me piace un sacco Mogens, quindi Mogens sia.
Sempre nel suo blog, Himaruya ha scritto che per Belgio gli piacevano altre quattro proposte, sempre dei fan, che sono Laura, Emma, Anri e Manon. Ho scelto Manon perché ho un problema con i nomi con la M.
Per Lussemburgo ho scelto Michel, poiché è uno dei nomi più diffusi lì, visto che Himaruya non aveva lasciato indicazioni. E poi mi sembrava una cosa simpatica avere tre fratelli con i nomi inizianti per M –no? Non lo è. Mi ritiro, okay.
Il loro cognome sarà Jansen, uno dei più diffusi nei Paesi Bassi. Perché mi piace un sacco Nederland amen.
Ah, Belgio dovrebbe essere la migliore –e unica- amica di Romano.
Per l’età: Spagna e il resto del magico Bad Touch Trio sono al settimo anno, come anche Nederland, Germania e Inghilterra al sesto, Romano e Belgio sono al quinto, Feliciano è al quarto con Lussemburgo, anche se saranno per la maggior parte solo comparse.
Detto questo, io ho finito.
Enjoy :)
 
The date
 
 
Chiunque avesse avuto la brillante idea di programmare la prima uscita a Hogsmade dell’anno di sabato, e di dare il permesso agli alunni di rimanere fuori fino a tardi, doveva essere sicuramente un pazzo scriteriato.
O un inguaribile romantico, che dir si voglia.
Romano puntava sulla professoressa di divinazione, Parvati Patil, che era sempre stata incline ai sentimentalismi.
Questo, più che delle altre volte, aveva dato via alla corsa a un accompagnatore.
A Romano la cosa non interessava, ovviamente. Com’era giusto che fosse.
Non aveva tempo da perdere con simili sciocchezze, lui.
Romano trovava assolutamente inutile quella necessità di una persona con cui andare a Hogsmade, per di più solamente per sfoggiare la nuova conquista del mese.
Il fatto che lui non avesse mai avuto nessun’ammiratore –e quelli che c’erano probabilmente li aveva spaventati con il suo caratteraccio- non influiva in nessun modo sul suo pensiero.
Semplicemente odiava tutto quello sfoggio di inutili sentimentalismi.
Che poi fosse gay fino al midollo era un altro discorso. Era sicuramente molto più discreto di Bonnefoy, però.
Che, per inciso, detestava profondamente, come tutta la sua combriccola. Quasi quanto Arthur Kirkland, che non perdeva occasione di coprirlo di insulti.
Aveva tutta la sua stima, tra parentesi.
Ma c’era qualcuno che detestava ancor più di quanto detestasse il francese, e rispondeva al nome di Antonio Fernandez-Carriedo, settimo anno, Serpeverde.
Allora perché una minuscola parte di lui si sentiva autorizzata a sperare a un suo invito a Hogsmade?
Non era una cosa che doveva palesare, in ogni caso.
Dopotutto era solo un millesimo del suo cervello, quello che si era fumato quando aveva accettato di fargli da tutor.
Lui, del quinto anno, che doveva fare da tutor a uno studente del settimo per non fargli ripetere l’anno –cosa abbastanza denigrante e avvilente.
Okay che era un Corvonero, quindi intelligente e studioso, ma c’era un limite a tutto.
Evidentemente non alla stupidità dello spagnolo.
Che poi a lui nemmeno piaceva studiare, ma gli piacevano ancor meno le conseguenze del non farlo.
Lo faceva per orgoglio personale, ecco.
Ergo, non aveva tempo di andare appresso a questioni come un insulso accompagnatore a una stupidissima visita a Hogsmade, che era la stessa dai due anni in cui ci metteva piede.
Invece Manon non faceva altro che parlarne, declamando quanto sarebbe stato esaltante se qualcuno l’avesse invitata.
Romano evitò di farle notare che, nel caso, suo fratello Mogens avrebbe decapitato il malcapitato con un Bolide, dall’alto del suo essere il miglior Battitore della squadra di Grifondoro, nonché il suo capitano.
Avevano un rapporto morboso quei due.
Cioè, lui suo fratello Feliciano lo lasciava vivere tranquillo.
Non lo spiava assolutamente quando era solito lasciare la Sala Grande in compagnia di quel terribile Serpeverde del sesto anno dai capelli color biondo Barbie, palesemente tinti, che rispondeva al nome di Ludwig Beilschmidt, fratello di Gilbert, grande amico dell’ameba spagnola.
Una brutta famiglia, decisamente troppo subdola perché potesse permettere loro di traviare suo fratello, che era un innocente Tassorosso sprovveduto.
-Ma mi stai ascoltando?- chiese Manon dandogli un buffetto sul collo.
Romano si riscosse dalla sua trance e finì di mangiare il cornetto ormai freddo che aveva in mano –rifiutava a priori la colazione inglese, lui che era italiano e sapeva come si mangiava davvero.
-Sì, certo…- borbottò masticando e facendo arricciare il naso alla biondissima amica.
-E allora di cosa stavo parlando?- chiese lei aggiustandosi con meticolosa cura il cravattino di Grifondoro.
-… della vista a Hogsmade?- rispose con un’intonazione interrogativa.
Manon lo guardò come se gli avesse fatto il peggiore dei torti e mantenne l’infantile broncio.
-Questo dieci minuti fa. Ti stavo dicendo che Gilbert è venuto nella nostra Sala Comune per chiedere a Elizaveta di uscire insieme. Lei l’ha coperto di insulti e l’ha minacciato di colpirlo con una padella.- spiegò Manon imburrando una fetta biscottata.
-Ah, l’amore.- sospirò poi, civettuola. Romano, invece, roteò gli occhi al cielo.
-Io penso che lo odi, di solito quando ti piace una persona non la minacci di morte.- ribatté l’italiano prendendo un secondo cornetto e mollandolo velocemente nel piatto, tanto era bollente.
-Oh, no! Quando neghi una cotta a te stesso tendi a trattare male la persona che ti piace.- esclamò la belga annuendo convinta.
-Tipo te e Antonio, no?- aggiunse. A quel punto Romano sentì il primo boccone del cornetto andargli di traverso.
Tossì convulsamente e si calmò, per poi guardare Manon con un cipiglio decisamente torvo.
-A me non piace Antonio. Come potrebbe mai piacermi Antonio?- chiese deciso.
In quel momento lo spagnolo decise di fare la sua comparsa, trionfo e con al fianco gli altri due personaggi che completavano il trio delle meraviglie –Bad Touch Trio. Ma quale cretino dava un nome al proprio gruppo?-, come se il loro incedere fosse pari a quello di delle divinità greche.
‘Disgustosi’
Però quando lo spagnolo gli rivolse uno dei suoi sorrisi da capogiro –aperti, luminosi e sinceri-, a Romano andò il cornetto di traverso per la seconda volta, con conseguente risatina saccente di Manon.
-E pensare che i Corvonero dovrebbero essere intelligenti.- disse la bionda alzandosi e spazzando via le briciole dalla gonna della divisa.
Certo che Romano era intelligente; proprio per quello non provava altro che fastidio per Antonio.
-Beh, io vado, devo ripetere Trasfigurazione. Ci vediamo a lezione!- aggiunse allegra, girando sui tacchi e uscendo dalla Sala Grande.
-bah… come se a me piacesse davvero quel rincoglionito.- borbottò Romano a mezza voce, finendo la sua colazione.
Le ultime parole famose.
 
Una cosa che Romano aveva imparato riguardo Antonio è che faceva assolutamente pietà in Trasfigurazione.
Non aveva mai visto nessuno più inetto e incapace di lui, e si ritrovava spesso a chiedersi come diavolo avesse fatto a conseguire quell’Accettabile ai G.U.F.O.
Sarebbe arrivato alla conclusione che aveva corrotto il professore, se Ferguson non fosse stato irremovibile.
L’unica spiegazione plausibile era un gesto di infinita pietas verso lo spagnolo.
Se Ferguson fosse stato un po’ più algido, ora non si sarebbe trovato a spiegare la teoria dell’Evocazione per la sesta volta.
-Fammi capire… quindi se qualcosa viene evocata non rimarrà per sempre una cosa esistente?- chiese Antonio per la terza volta.
E pensare che a Romano la Trasfigurazione piaceva da impazzire, tanto che poteva già eseguire degli incantesimi che erano oggetto di esame ai M.A.G.O.
-Sì, è la terza volta che te lo dico. Se evochi una cosa, prima o poi sparirà, se invece fai evanescere una cosa non si può sapere se rimarrà per sempre una non-cosa.- sbottò aggressivo, rivolgendogli un’occhiataccia omicida.
Quindi c’era sempre la speranza che il cervello di Antonio tornasse, un giorno.
Lo spagnolo però in quel momento lo stava guardando con un cipiglio preoccupantemente ebete, che faceva capire che quel giorno non era ancora arrivato.
-Ah! Ora ho capito.- disse sorridente, annuendo con convinzione e trascrivendo le parole di Romano sulla pergamena che usava per prendere appunti.
‘Alleluja, il miracolo è fatto’
-… e quindi che incantesimo si usa?- chiese ancora con il medesimo sorriso ebete.
Romano sentì le mani prudergli e l’occhio destro pulsargli per un tic. E lui non aveva mai avuto tic.
L’aveva sempre detto che parlava troppo presto.
-Ci sono decine di incantesimi da usare per evocare qualcosa, a seconda della cosa da evocare. E ti conviene studiarli, se non vuoi rimanere qui un anno in più.- disse tra i denti, con il nervosismo che saliva prepotente.
Guardò l’orologio, che segnava le cinque in punto. Segno che la loro ora di convivenza forzata era finita, per immensa grazia di Romano.
-Io vado, cretino.- borbottò l’italiano alzandosi velocemente per andarsene.
Sentì però il braccio artigliato piano dalla mano grande e forte dello spagnolo, si voltò a guardarla come se fosse un oggetto incriminato, ritrovandosi ad osservarne le vene leggermente sporgenti e il colore olivastro, solo leggermente più chiaro del suo.
Non poteva davvero incantarsi a guardare una mano.
-Mollami, deficiente.- sbottò guardandolo truce.
Antonio gli sorrise come se tra loro regnasse pace e concordia –e quei sorrisi non gli facevano assolutamente agitare le maledette farfalle nello stomaco.
-Ti andrebbe di venire a Hogsmade con me, sabato prossimo?- chiese con nonchalance.
Aveva un lieve accento spagnolo, tendeva ad arrotolare le r e a rendere la s più sibilante, nell’accento tipico di Madrid.
Quel modo di parlare non faceva venire i brividi a Romano, proprio no.
E in quel momento non sentiva il viso andare a fuoco e il cuore che batteva un po’ più velocemente.
Assolutamente no.
-Certo che sei proprio un cretino.- borbottò andando via, lasciando Antonio senza una risposta e con il sorriso congelato sul volto.
 
I colpi che scossero la porta di una stanza del dormitorio femminile di Grifondoro erano inconfondibili quasi quanto la voce attutita del ragazzo che stava percuotendo impunemente l’unica barriera tra la stanza di Manon e l’esterno.
-Romano, cosa c’è?- chiese la ragazza aprendo la porta e lasciando l’amico con il pugno alzato a mezz’aria.
-Mi ha chiesto di uscire. Sabato. Hogsmade.- disse entrando nella stanza che sapeva per abitudine essere vuota.
Manon inarcò un sopracciglio chiaro e perfettamente curato, decidendo che ormai i compiti di Difesa contro le Arti Oscure erano trascurabili e che li avrebbe copiati l’indomani da Romano.
-Sii specifico, chi ti ha chiesto di uscire?- chiese, anche se aveva una certa idea della risposta.
-Il cretino.- rispose l’italiano sedendosi sul letto sfatto senza farci caso.
-Antonio?- chiese lei di rimando, con il sorriso perfetto che si allargava sul volto delicato e gli occhi verdi –simili a quelli dello spagnolo, tuttavia più scuri e screziati di castano- si illuminavano.
-Sì, quel cretino.- rispose ancora Romano, artigliando le lenzuola nervosamente.
Manon battè le mani allegra, sedendosi accanto a lui sul proprio letto.
-E tu che hai detto?- chiese ancora, in attesa di una risposta con cui iniziare a tessere la trama della loro conturbante storia d’amore.
-… che è un cretino.- disse il castano, facendo cadere tutte le aspettative della belga in un attimo.
Era possibile essere così idioti? E pensare che a Corvonero erano intelligenti.
-Vuoi dire che hai rifiutato?- sbottò guardandolo incredula.
Romano la guardò e fece una smorfietta indecisa. -Teoricamente no.- .
-C’è ancora speranza, se giochi bene le tue carte.- esclamò la bionda, infervorata.
-Non sapevo nemmeno che Antonio preferisse i ragazzi, anche se in giro si diceva che gli piacessero entrambi i sessi. Ha anche un sacco di ammiratrici che potrebbe scegliere, e invece l’ha chiesto a te! E tu sputi addirittura sul piatto che ti servono!- strepitò alzandosi, infiammata da nuovo vigore.
Romano si sentì in dovere di farla tornare sul pianeta Terra.
-Ma a me lui non piace, sai?- disse inarcando un sopracciglio.
Manon non si calmò nemmeno di un secondo. Anzi, se possibile si esagitò ancora di più.
-Calunnia, calunnia e maldicenza. Tu neghi a te stesso quello che hanno capito tutti.- disse puntandogli un dito sul petto coperto dal maglione con lo stemma di Corvonero cucito a lato.
Chi fossero questi tutti, visto che Romano era in buoni rapporti con due persone in croce, non era dato saperlo.
 
La Sala Comune di Serpeverde, subito prima di cena, era sempre poco affollata e immersa nel silenzio, più di quanto lo fosse di solito.
Era rilassante quell’atmosfera, sebbene fosse resa lugubre dall’affaccio sulle acque del Lago Nero alle finestre e le tinte scure usate per arredare la stanza, che rendevano quel luogo ancora più buio di quanto non fosse.
Però Antonio non poteva fare a meno di entrare lì e sentirsi subito a casa, in un modo totalmente fuori dal suo personaggio, lui che amava il sole e il caldo della Spagna.
Sul divano foderato di velluto verde erano seduti Francis e Gilbert, in primo in una posa elegante e aggraziata tipica della sua figura e il secondo occupando due terzi del divano, come era consono alle sue manie di grandezza.
-Ah, Antonio!- disse l’albino tirandosi a sedere e guardandolo carico di aspettativa, così come Francis.
Erano stati loro a convincere Antonio a chiedere a Romano di andare a Hogsmade con lui, anche se era un’idea che gli era balenata in testa già da un po’.
-Donc, che ha detto?- chiese Francis con un marcato accento francese. Era arrivato lì da Beauxbatons durante il loro quarto anno, ma ancora non si arrendeva ad abbandonare l’accento.
-Sì, infatti. Che ha detto?- gli diede man forte Gilbert.
Antonio si sedette in mezzo a loro, sospirando e abbandonando le mani in grembo.
-Mi ha detto che sono un cretino.- rispose con rassegnata ironia. Sapeva che Romano era difficile, ma c’era qualcosa che l’aveva stregato.
Tipo come i suoi occhi castani si illuminavano quando spiegava un incantesimo di Trasfigurazione, il sorriso aperto che faceva quando una fattura particolarmente difficile gli riusciva –aveva le fossette, quelle da bambino coccoloso- e le battute sarcastiche che qualche volta snocciolava quando leggeva la biografia di questo o quel mago.
Però il suo carattere era tutt’altro che una passeggiata. Doveva aspettarselo, anche se gli amici gli avevano assicurato che aveva una cotta per lui.
-Quoi? C’est triste!- sospirò sconsolato Francis, abbandonandosi allo schienale del divano.
-Ma questo non vuol dire che abbia rifiutato. Devi essere tenace, come il Magnifico Me con la mia amata Elizaveta.- disse invece Gilbert annuendo convinto.
Antonio evitò di dirgli che Elizaveta quella mattina l’aveva quasi affatturato nei corridoi, perché sapeva che l’amico stava cercando di tirargli su il morale e non era carino infierire.
-En effet! Romano non ha detto di sì, ma non ha detto nemmeno di no.- aggiunse il francese riavviandosi i capelli biondi.
-Prova a chiederglielo domani mattina, magari la sua amica bionda lo fa ragionare.- disse Gilbert stravaccandosi nella parte di divano di Antonio, con conseguente spinta per farlo tornare al suo posto dello spagnolo.
-Sì, immagino che non dovrei perdere le speranze.- disse Antonio con rinnovata speranrza.
Francis fece un sorriso sghembo e sornione e accavallò le gambe magre.
-Mais bien sûr, Romano ti muore dietro, fidati di noi.- ribatté con l’aria di chi stesse ripetendo un assioma fondamentale.
 
Il mattino dopo per Romano era iniziato in maniera del tutto normale, scendendo di buon ora per fare colazione e con la consueta aggressione di Manon quando aveva bisogno di copiare i suoi compiti.
E infatti in quel momento la bionda stava finendo di ricopiare nella sua grafia ordinata il tema di Romano di Difesa contro le Arti Oscure, che aveva bellamente interrotto il pomeriggio prima per convincere l’amico ad accettare l’invito di Antonio.
Invito di cui cominciò nuovamente a disquisire non appena finì di copiare il tema, con una fetta di pane ricoperto di marmellata in bocca e la penna d’oca ancora in una mano.
-Sei stressante. Smettila di parlarne e mangia con calma, che magari ti ammazzi pure.- disse Romano afferrando un cornetto e scottandosi, come quasi ogni mattina.
-Posso fare più cose contemporaneamente, tranquillo.- rispose Manon ingoiando il boccone di pane e rimettendo la penna al suo posto.
-Quindi accetterai, sì o no?- chiese poi, guardando con insistenza Romano, che alzò gli occhi al cielo in un cipiglio di caustica sofferenza e martirio. Aveva pensato di evitare sia l’amica che Antonio, in quei due giorni che precedevano il sabato.
-Non pen-…- disse, prima di interrompersi quando vide che Antonio era entrato in Sala Comune e, distaccandosi dai suoi amici, si stava avvicinando a lui con un sorriso diverso da quelli che esibiva di solito, più nervoso e impacciato.
L’italiano sentì le farfalle agitarsi nello stomaco realizzando che probabilmente era lui che lo metteva in agitazione, e per la prima volta si sentì vagamente in colpa per come l’aveva trattato.
Certo, con quel cervello da noce che si ritrovava se lo meritava anche, ma poteva essere un po’ più gentile. Per lo meno quando l’aveva invitato a Hogsmade.
Manon, al suo fianco, sembrava il ritratto dell’estasi religiosa.
Antonio, come previsto, si fermò davanti a loro, torreggiando su Romano, che era già di una testa più basso dello spagnolo, e in quel momento era anche seduto.
Non riusciva quindi a distinguere con la stessa chiarezza le sfumature degli occhi dell’altro e scoprì di essere in disappunto per quello.
Gli occhi di Antonio erano un’opera d’arte, con il verde limpido che si ritrovava sembravano due smeraldi, e non erano contaminati da screziature castane, però spesso tendevano all’azzurro quando c’era brutto tempo.
Avrebbe potuto scrivere un saggio sugli occhi di Antonio, e per la prima volta si ritrovò a essere geloso delle abilità artistiche di Feliciano, perché avrebbe voluto anche immortalarli in una tela.
Era decisamente, schifosamente e orribilmente cotto di lui.
Maledizione.
-Che vuoi?- chiese rude e, tentando di mantenere le apparenze, nonostante il viso in fiamme e il fatto che balbettasse.
Antonio si morse le labbra piene –e Dio, Romano avrebbe voluto baciarle- e si grattò la nuca, dove i capelli castani, più corti, si arricciavano.
-Ieri non mi hai dato una vera e propria risposta, a parte insultarmi…- gli fece notare lo spagnolo con un sorrisetto nervoso, continuando a torturarsi i riccioli dietro la nuca.
Romano sentì un misto di senso di colpa e fierezza per essere riuscito a mandare in crisi Antonio, sempre affabile e sicuro di sé.
-Entonces verrai con me a Hogsmade, sabato?- chiese finalmente, abbassando il braccio per abbandonarlo lungo il fianco come l’altro, ma torturando la divisa al posto dei capelli.
Aveva usato una parola in spagnolo nella frase, segno che era nervoso.
Avete presente l’esatto momento in cui decidete che una determinata persona è l’unica che pensate possa piacervi in secula seculorum, amen? Ecco, per Romano quello era quell’esatto momento.
Perché all’italiano balenò in testa, in modalità lucine di Natale intermittenti da crisi epilettica, che Antonio non era proprio un cretino. Cioè, era stupido oltre ogni misura, un completo inetto in Trasfigurazione e aveva due soli neuroni che facevano contatto ogni tanto, ma era buono, gentile, e lo sopportava quando moltissima altra gente l’avrebbe lasciato perdere da tempo, e con buoni motivi.
-Sì, va bene…- disse con le guance dalla temperatura che faceva concorrenza a quella del sole e il cervello che lampeggiava come delle psichedeliche lucine di Natale.
Forse Manon aveva ragione a dire che era totalmente cotto.
Antonio, alla sua risposta, si illuminò come una delle suddette lucine, rivolgendogli il primo vero sorriso della giornata e con gli occhi che brillavano dalla contentezza. Quel ragazzo sembrava davvero un bambino, a volte, e la cosa faceva sciogliere il cuore a Romano, insieme a fargli agitare le farfalle dello stomaco e far aumentare la sua frequenza cardiaca esponenzialmente.
Per non parlare di quanto era arrossito. Doveva sembrare un pomodoro, ora.
-Oh… fantastico! Quindi ci si vede…- iniziò Antonio, prontamente interrotto da Romano.
-A ripetizioni di Trasfigurazione, alle quattro in biblioteca.- rispose per lui, con il sorriso che lottava per apparire. E lui era ridicolo quando sorrideva, perché aveva delle terribili fossette da bambino.
-A dopo, allora, Lovinito!- disse lo spagnolo allontanandosi e andandosi a sedere accanto a Francis e Gilbert, che sghignazzavano da una quantità interminabile di minuti.
-A dopo…- rispose poco convinto Romano.
-Aspetta! Chi cazzo ti ha dato il permesso di chiamarmi così, Carriedo?- chiese alzando la voce per farsi sentire oltre la marmaglia di gente che parlava nella Sala Grande.
-Nessuno, Lovinito~.- rispose Antonio con un sorriso da capogiro.
Romano sbuffò e continuò a mangiare, sentendo le guance in fiamme e lo sguardo di Manon addosso, che lo guardava come se avesse fatto chissà quale prodezza degna di onore.
-… cretino.- borbottò, tenendo lo sguardo basso, per poi rialzarlo e notare che anche Antonio lo stava guardando.
 
Due giorni dopo, con la neve che aveva iniziato a venire giù a fiocchi e il freddo raggelante di inizio Dicembre, ci fu il famigerato appuntamento.
Manon era più entusiasta di Romano, che sentiva solo le viscere contrarsi e non aveva nemmeno mangiato –cosa molto preoccupante- per il nervosismo.
Temeva di non piacere ad Antonio, ma l’amica gli fece notare più volte che se era riuscito a sopportare il suo caratteraccio senza battere ciglio allora era già vero amore.
Manon leggeva troppi romanzi, decisamente.
E lui stava avendo delle reazioni da protagonista di un romanzetto rosa scadente, ma proprio non poté fare a meno di avvampare e sentirsi le viscere rimescolate non appena vide Antonio che, all’ingresso di Hogwarts, si era sbracciato per farsi notare e, una volta sicuro di aver attirato la sua attenzione, gli rivolse uno dei suoi sorrisi svenevoli.
Era così orribilmente cotto.
-…ciao.- balbettò una volta avvicinatosi a lui, infagottato nella pesante sciarpa di Corvonero e nel giubbotto ancor più pesante perché soffriva tantissimo il freddo, e con le guance di una curiosa sfumatura di bordeaux.
-Buenos dìas, Lovinito!- rispose Antonio, allegro come una pasqua e con solo un cappotto e la sciarpa di Serpeverde portata larga a proteggerlo dal freddo gelido.
Come Romano ebbe modo di constatare quando, appena usciti dal castello, lo spagnolo gli prese la mano fasciata in dei guanti senza dita, non era minimamente infreddolito, anzi: le sue mani erano caldissime, e con il freddo sembravano bollenti.
Romano non si ritirò dal contatto, ma arrossì, se possibile, ancora di più.
-Ma Lovinito, sembri un pomodoro.- gli fece notare ridacchiando Antonio, infilando la mano libera tra i capelli castani dell’altro, scompigliandoglieli un po’.
-Taci, cretino. E non toccarmi i capelli.- disse l’altro con un tono che voleva sembrare minaccioso, ma che risultò per la maggior parte imbarazzato.
L’aveva insultato ed erano usciti da meno di dieci minuti, era un bilancio promettente.
Hogsmade con la neve era davvero bella, dovette ammettere Romano. E romantica, anche se lui odiava quelle cose.
Però aveva la mano intrecciata a quella di Antonio e stava calcando con le dita il profilo delle vene leggermente sporgenti sul dorso.
‘Venti punti a Corvonero per la coerenza.’
Quando si alzò una folata di vento ebbe un fremito e rabbrividì. Antonio se ne accorse, tirandolo più vicino a sé e facendogli calore con il suo corpo.
-Meglio?- chiese, e Romano annuì senza dir nulla. Lo spagnolo si stava prendendo troppe confidenze, ma l’altro non si stava ribellando, cosa più unica che rara, considerata la sua avversione al contatto fisico.
Sarà che Antonio gli piaceva davvero, con il sorriso luminoso e l’aria da bambino troppo cresciuto.
Aveva scoperto che il suo colore preferito era il rosso, che gli piacevano le caramelle, ma non la liquirizia, che odiava i guanti e i cappelli e ci voleva una grande forza di volontà per fargli mettere la sciarpa, che si era trasferito da Madrid a Londra a undici anni, ma i suoi erano di Barcellona, e che detestava l’Inghilterra perché il cielo non era mai terso e il sole non era abbastanza caldo, e infatti ogni estate tornava in Spagna, la sua materia preferita era Difesa contro le Arti Oscure e aveva avuto un contratto per entrare nei Cannoni di Chudley, la squadra che tifava da sempre, come cacciatore.
Parlava davvero un sacco, al contrario di Romano, a cui piaceva ascoltare il suono della sua voce, calda e avvolgente, bassa e un po’ svagata.
Nonostante tutto Antonio riuscì a metterlo subito a suo agio, tanto che riuscì a fare qualche discorso senza usare il suo perenne sarcasmo e, soprattutto, senza insultarlo.
Quando entrarono ai Tre Manici di Scopa Romano stava addirittura ridendo, senza imbarazzo e senza trattenersi.
Antonio scoprì che avrebbe potuto ascoltare la sua risata per ore e ore, e si disse che voleva farlo ridere di più, perché era più carino quando non odiava il mondo.
-Mi piace quando ridi.- gli disse una volta seduti in un tavolino abbastanza appartato del locale.
Romano arrossì ancora, torturandosi le mani ora libere dai guanti, e distolse lo sguardo dalla figura di Antonio, che sembrava brillare di luce propria.
-Uhm… grazie.- disse facendo un sorrisetto timido e lasciando comparire sulle guance un accenno di quelle fossette che lo spagnolo adorava.
-…anche a me piace…la tua risata.- aggiunse dopo. Gli piacevano anche la sua voce, le sue mani, il modo in cui ignorava il suo sarcasmo e l’essere rude perché alla fine erano le uniche difese di Romano, come gli si illuminavano gli occhi quando parlava di qualcosa che gli piaceva e i suoi occhi in generale.
-Grazie, Lovinito.- disse Antonio con un sorriso sereno che fece agitare ancora una volta le farfalle nello stomaco di Romano.
Quel soprannome lo odiava, però. Ma era sempre meglio di quando lo chiamava pomodoro.
Che poi i pomodori erano opere d’arte, e su quello concordavano.
Alla fine rimasero in giro fino a quando il cielo cominciò a imbrunire all’orizzonte e si erano spinti fino alla Stamberga Strillante, e Romano aveva iniziato a snocciolare leggende e racconti su quell’edificio.
Era così bello mentre raccontava quelle cose che Antonio non osò interromperlo.
Alla fine, però, lo prese per mano e lo fece spostare esattamente di fronte a lui.
Erano così vicini che lo spagnolo poteva distinguere le lentiggini sparse sulle gote di Romano, così piccole che era quasi impossibile accorgersene da lontano, e come le sue guance fossero ancora rosse –‘un pomodoro’, pensò con un sorriso- e i suoi occhi non solo castani, ma screziati di verde vicino la pupilla. Notò anche che le sue labbra erano carnose e leggermente dischiuse, e il fiato che si condensava quando respirava.
Lo baciò senza preavviso, e si sentì la persona più felice del mondo quando Romano ricambiò e gli gettò le braccia al collo, alzandosi sulle punte per stare più comodo.
Sentiva il cuore dell’altro battere come un forsennato e il suo fare la stessa cosa, battere allo stesso ritmo.
Era migliore di qualsiasi incantesimo.
Stava ricominciando a nevicare, sentiva i primi fiocchi infiltrarsi nello spazio tra il cappotto e la pelle esposta, tra i capelli e sulle guance, facendolo rabbrividire.
Romano si allontanò a malincuore e lo guardò con un lieve broncio –‘adorabile’, pensò ancora.
-Immagino che dobbiamo andare.- disse con le guance ancora arrossate.
Ad Antonio non sfuggì che era stato l’altro a prendergli la mano, quella volta.
 
 
 
 
Francis e Gilbert camminarono placidi per Hogsmade, nonostante la neve, e sospirarono guardando Romano e Antonio tornare velocemente al castello, ridendo quando uno dei due rischiava di capitombolare a terra.
Il biondo sospirò, scuotendo i capelli dorati per far andare via la neve che ci si stava infilando e sciogliendo, mentre l’altro la ignorò totalmente.
-Ce l’abbiamo fatta, mon ami.- disse Francis guardando soddisfatto i due.
-Avevi dubbi? Il Magnifico Me ha sempre ragione.- rispose Gilbert gonfiando il petto con orgoglio.
Francis fece una debole risata e sospirò ancora.
-Non fare tanto il gradasso, che siamo soli e senza nessun accompagnatore, noi due.- gli disse divertito.
-Prima o poi la mia Elizaveta cederà, fidati. E anche il tuo Arthur. Il Magnifico Me ha sempre ragione.- ribattè annuendo convinto.
Il francese decise di liquidare le sue manie di grandezza con un gesto della mano e guardò la neve cadere.
-Certo che potevamo trovarci delle persone con dei caratterini un po’ meno… particolari.- continuò l’albino sospirando.
-Et ensuite che gusto c’è?- chiese Francis con un sorriso sornione sul volto.
 
 
 
 
 
 
 
 melloficent says (aka l’angolino delle ammissioni di colpa)
ho finito questa storia in tre ore contate, ignorando bellamente greco che ho procrastinato questi tre giorni di vacanza.
e vbb, la notte è giovane.
e poi volevo scrivere qualcosa sulla spamano dal lontano 2015, ma non ho mai avuto la giusta ispirazione.
che mi è venuta stamattina appena sveglia, tanto per la cronaca.
non ho molto da dire, a parte chiedere clemenza al popolo per questa cosa.
spero che i personaggi non siano OOC e che non abbia sbagliato a smistarli in questa o quella casa.
Romano in Corvonero è un mio sfizio che dovevo assolutamente soddisfare.
mi piacciono troppo le Hogwarts!AU, perdonatemi. Sono la mia croce e la mia delizia, e questa è la prima che riesco a portare a termine.
hip hip hurrà per me.
tra l’altro sono 4500 parole, molto più di quanto abbia mai scritto per una one-shot.
mi sento produttiva, ho pubblicato due cose in una settimana.
detto questo, spero in una vostro parere sotto forma di recensione, che fanno sempre bene e rendono felici chi le scrive e chi le riceve.
ah, e perdonatemi se ho fatto qualche errore con le esclamazioni francesi di Francis, non ricordo quasi nulla di francese sigh.
detto questo, mi ritiro a vita privata.
bacini baciotti,
-Akemi
  
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