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Autore: Koa__    25/04/2017    15 recensioni
John Watson, un medico reduce di guerra finito nelle Indie Occidentali, cerca di sopravvivere a una vita di solitudine e senza un briciolo di avventura. Un giorno, John fa però un incontro straordinario e del tutto inaspettato. Nella sua monotona esistenza, entrano così Sherlock Holmes, pirata della peggior specie, e la sua stramba ciurma.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Let's Pirate!'
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Trame e sottotrame
 


 
Mai discutere con un idiota ti trascina al suo livello e ti batte per esperienza.
[Oscar Wilde]

 
 
 
Furono le forti braccia di Angelo a trasportare sotto coperta il corpo privo di sensi di padre Trevor, all’alba di quella prima sera. Dopo il caos tremendo che l’azzardata manovra ordinata da capitan Holmes aveva scatenato, le acque si erano calmate e una sorta di rilassatezza dimorava tra l’equipaggio. Molti di loro avevano addirittura ripreso a cantare e ora inneggiavano a marinai naufragati e a sirene incantatrici; altri invece si erano radunati sotto il cassero e, col naso rivolto all’insù, alimentavano una malcelata tensione. Sembrava che ci fosse una preoccupazione crescente nella ciurma e che le sorti del prete fossero tenute in seria considerazione persino dal più semplice mozzo. Dubitava che una ferita fosse una novità tanto grande, e lo credette nonostante quello strano modo che avevano di fissare la scena, quasi non avessero mai visto un uomo sanguinare. Con il passare dei minuti, a seguito di un minuscolo gruppetto capitanato da un John che pareva aver ritrovato il cipiglio militaresco di un tempo, s’era assiepata una fiumana di persone. Era come se ogni pirata si fosse scordato della situazione in cui versava la nave, quasi non ci fosse Moran il corsaro a poche miglia di distanza o la Queen Elisabeth non stesse poco lontano, girata su un fianco. Pareva che nessuno s’interessasse poi molto di doversi attenere agli ordini impartiti dal capitano (il quale era sparito appena dopo aver portato a termine la manovra, del tutto incurante di quanto sarebbe potuto succedere). Questo atteggiamento sembrava essersi contagiato finanche alla ciurma, l’insistenza che avevano nello spiare era talmente accentuata che a un certo punto, da una qualche parte lungo il tragitto, John si voltò con uno scatto deciso, fronteggiando ogni filibustiere e senza badare troppo a chi fossero o a quanto pericolosi potessero essere. Nelle ombre di un corridoio parzialmente illuminato, Watson il reduce di guerra assunse un cipiglio che credeva di aver perduto per sempre. Una volta e per tutte deciso nel non permettere a nessuno di controbattere a quelli che erano degli ordini. Semplicemente, fece notare quanto tutto quello fosse ben poco salutare per il malato e di come fosse necessario avere un’intimità. Lestrade, che tra tutti era sembrato il più sinceramente in ansia e che doveva esser lì perché mosso da una sincera apprensione, fu il primo a filarsela blaterando un qualcosa circa il suo aver di meglio da fare che pensare a simili sciocchezze. Il dinoccolato Bill Wiggins, venuto giù dall’albero di trinchetto, fu spedito a recuperare panni puliti mentre Angelo che stava fermo sulla porta a braccia conserte, si era ingegnato per cacciar via i tanti curiosi.
«Ehi, voi» gracchiò dita di ferro in direzione di due marinai che, sorprendentemente, erano ancora fermi ai piedi delle scale e guardavano fin dentro la cabina del nuovo venuto con aria circospetta. Facevano passare lo sguardo dal letto a John, e viceversa, mostrando un’insistenza eccessiva e tratti fastidiosa. Non ne conosceva i nomi, ma ricordava di averli visti sul ponte in un paio di occasioni. Avevano un aspetto trasandato e non bello, caratterizzato da una pelle bruciata e annerita dal sole, c’erano profonde rughe su fronte e mani, segno che il loro mestiere era stato da sempre legato alla navigazione. Uno dei due vestiva con abiti semplici: un paio di brache comode e una camicia consunta mentre l’altro, più basso e tozzo, doveva aver più cura del proprio aspetto perché portava capelli discretamente pettinati e legati in un codino, era sbarbato e la blusa che indossava sembrava esser meglio tenuta. Dopo una prima e fugace occhiata curiosa, rivolta a quei coraggiosi individui, John prese parola.
«Se avete necessità di venir visitati sarò ben lieto di offrirvi i miei servizi, ma se siete qui solo per guardare temo di dovervi chiedere di andare. Abbiamo bisogno di pace e intimità, se lo desiderate gli riferirò quanto siete stati gentili a interessarvi circa le sue sorti. Più tardi, s’intende.»
«Doc, secondo lei tirerà le cuoia?» gli domandò il più alto dei due, con un fare quasi ansioso nel tono di voce e ignorando completamente quanto gli era appena stato detto.
«Direi che non è il caso di esagerare, è solo una piccola ferita e posso comodamente azzardarmi nel dire che si riprenderà prestissimo.»
«Quindi non morirà?» sbottò, come se ne fosse infastidito invece che felice «ci avevo scommesso due dobloni e ora…»
«E ora devi pagare, canaglia» mormorò l’altro sollevando in aria una mano e facendo un piccolo gesto con le dita, come se stesse in attesa di un qualcosa. Un qualcosa che aveva consistenza dell’oro e che uscì, prima di subito, da una piccola bisaccia agganciata alla cintola del tale più alto.
«Scusatemi, avete scommesso su che cosa?»
«Sul fatto che il prete prima o poi sarebbe schiattato. Io avevo detto che sarebbe stato ucciso da Lestrade, ma non è successo. Poi credevo che il capitano lo avrebbe dato in pasto ai pesci e quella volta ci ho perso più di cinque dobloni. Ah, che delusione» concluse con aria sconfitta mentre Angelo dava a entrambi una sonora sberla, che andò a colpirli sulla nuca.
«Il capitano ne verrà informato e ora filate, via» ringhiò al pari di una belva prima che questi indietreggiassero e, spaventati, corressero su per le scale in direzione dell’uscita. «Le scommesse e i giochi d’azzardo sono proibiti su la Norbury» proseguì dita di ferro, rivolgendosi ora a un confuso John, il quale annuì comprensivo «e Sherlock non è indulgente con chi trasgredisce il regolamento. Scusa, dottore, ma questo è un dovere che non può aspettare.» Angelo se ne andò così, con un cenno di saluto del viso e lasciandolo solo a fianco di un prete svenuto e sanguinante. Un sospiro lieve si andò a perdere nelle ombre di quella cabina mentre le onde sciabordavano contro i vetri degli oblò e la luce cristallina della notte segnava appena il contorno dei mobili. C’era un fascio di luce più chiara che sfiorava di poco i lineamenti di quel corpo magro, ora mollemente inerme sul letto. Era un raggio delicato che pareva non voler far altro che esaltare i tratti angelici ed eterei. Victor era indiscutibilmente bello, ma lo era in una maniera così delicata che a stento sembrava il medesimo e insopportabile uomo che John ormai associava a una sciagura. Se non fosse stato per il sangue che imbrattava le lenzuola, sarebbe rimasto a lungo ad ammirare quel niente così stupefacente.

Victor Trevor aveva la straordinaria abilità di farlo innervosire, allo stesso modo di come riusciva a lasciarlo confuso e imbarazzato. Ma nel vederlo disteso scompostamente sul letto a occhi chiusi, con il capo riverso indietro sul cuscino e la gamba che non la smetteva di sanguinare, un qualcosa di non propriamente definito prese ad agitarsi nello stomaco. Non poteva negare di essere in ansia per lui, ma allo stesso tempo era anche profondamente amareggiato da quello che reputava essere un comportamento ignobile. Avrebbe dovuto seriamente pensare di dirgliene quattro e magari anche fargli presente che non era in vena di scherzi, ma sarebbe stato un rimprovero che non era di sua competenza. In fin dei conti, a bordo non era proprio nessuno se non un nuovo arrivato e neanche sapeva quale sarebbe stato il suo futuro. Che ne sarebbe stato di quel tale Watson una volta giunti all’isola del tesoro? Pertanto avrebbe svolto il proprio dovere, magari limitandosi a una qualche sagace battuta colma di ironia, velenosa quel tanto da colpire nel segno e sottolineare la propria contrarietà. Sì, avrebbe fatto esattamente così, si ripeté mentre accendeva le lampade e recuperava la candela dallo scrittoio, di modo da poterci vedere per bene durante l’operazione. Solo a quel punto, dopo che Bill Wiggins fu tornato portando a braccia una pila di panni puliti, si decise a svegliare il moribondo.
«Ehi, “dolcezza”» disse, imitando la maniera che Trevor aveva di parlare e facendo particolare attenzione a calcare la mano su quel vezzeggiativo. Lo stesso con cui John veniva di continuo appellato e che già aveva iniziato a detestare. «Apri gli occhi e risplendi, perché so perfettamente che stai fingendo e non è il caso di continuare con questa tragedia.»
«Diavolo di un uomo!» sbottò Victor, balzando a sedere ma subito ricadendo tra i cuscini. Una smorfia di dolore gli si era allargata su tutto il viso, segno che nonostante le manfrine e il finto svenimento, la gamba doveva fargli seriamente male. Il che non era poi tanto strano, c’era un taglio netto che aveva tranciato il polpaccio e che doveva misurare uno o due pollici almeno. Non era una ferita da nulla, come aveva lasciato a intendere alla ciurma. Al contrario era piuttosto seria e sarebbero occorsi molti punti.
«Sul ponte ti ho fasciato per evitare che uscisse altro sangue, ma adesso ti devo ricucire e, oh, mi dispiace ma non ho nulla con cui stordirti.»
«Cos’è? Fai dell’ironia, dolcezza? Ah, te lo devo proprio dire, sei molto più acuto di quanto credessi! E io avevo persino dubitato che fossi un medico... Come hai fatto a capire che non ero svenuto per davvero?»
«Dal modo in cui respiravi, ma anche perché non hai traumi alla nuca o sulla testa che giustifichino una perdita di sensi oppure dal fatto che sei un idiota. Sì, in effetti sono parecchi i fattori che mi hanno portato a pensarlo.» John si rese conto allora che cosa fosse il rimpianto, non era un sentimento che gli era mai stato davvero familiare perché per quanto monotona, amava la vita e non rinnegava il proprio passato. Ciononostante, un vago sentore di rimorso lo investì in pieno, lasciandogli addosso una sconsolatezza amareggiata. Se fosse rimasto zitto avrebbe evitato di dover assistere a tutto un monologo riguardo chissà che cosa, ma invece si era spinto oltre e adesso il monaco sacrilego stava recitando una giaculatoria che non doveva aveva una fine (Tranne che nella morte stessa). No, non lo aveva ascoltato poi molto. Preso come lo era stato dal preparare ago e filo e dal cercare le giuste foglie per l’impacco da mettere sulla ferita, non aveva sentito neanche la metà di quella predica. In tutta onestà, John non credeva che sarebbe mai riuscito a farlo tacere. Un uomo come Trevor, dalla parlantina svelta e a tratti invasiva e che sembrava aver sempre una qualche cosa da dire, temeva davvero che avrebbe dovuto dargli un colpo in testa e farlo svenire. E sebbene non fosse un atteggiamento professionale o degno di un medico, ci pensò seriamente. Per fortuna e proprio mentre pareva non volersi più fermare, Sherlock Holmes comparve sulla soglia e Victor Trevor si zittì del tutto. Sentirlo tacere fu una sorpresa e tanto che si costrinse a sollevare lo sguardo per comprendere il reale motivo per cui aveva smesso di parlare. Fu allora che scorse la figura del pirata bianco, immobile e guardava dritto davanti a sé con occhi sgranati. Era ancora nel corridoio e fissava il suo Vic, come aveva mormorato a un certo punto, con un sincero e non celato terrore in viso. Si trattava di una paura vera e reale, che in tutta fretta nascose dietro a una maschera d’impassibilità. Mai una volta, in quegli infiniti istanti, aveva portato lo sguardo altrove. Pareva che per il capitano, al mondo non esistesse che quella persona, intima più di chiunque altro. Victor che adesso vigliaccamente fissava il pavimento, come a voler nascondere le proprie malefatte o quasi il peso di esse fosse eccessivamente ingombrante. Sherlock aveva forse capito che era stata una finta? Dalla maniera repentina che aveva avuto di mutare il proprio umore e dall’irritazione che da un istante all’altro si era fatta strada sul suo viso, doveva essere così.
«Mi servirebbe una mano» disse John, ancora indaffarato e senza levare gli occhi dal mestiere che andava facendo, ma badando soltanto alla borsa che s’era trascinato vicino. Aveva recuperato poche cose, ma necessarie. Ago e filo, prima di tutto. Poi anche un barattolo di erbe, la bacinella d’acqua e quei panni puliti che gli erano stati da poco portati. Quando ebbe terminato di destreggiarsi tra quegli aggeggi, tutte le sue attenzioni si rivolsero a Sherlock. Voltò appena la testa e con un leggero sorrisino, si beò dell’imbarazzo che aveva colto nel capitano.
«Per favore, potresti farmi avere del rum. Una bottiglia basterà» gli disse mentre questi obbediva e lasciava la stanza senza battere ciglio, né obiettare ma con una fretta senza spiegazioni o ragione di esistere.
«E a che ti serve?» esplose il prete, con irritazione crescente e muovendosi agitato, come un pesce da poco pescato.
«Vorrei tanto dartela in testa e farti tacere per sempre» gli rispose pur senza levare gli occhi dai propri affari «ma ucciderti non sembra essere un’ipotesi saggia. Nah, mi serve che tu sia sufficientemente stordito. Devo ricucire i lembi di pelle e pulire la ferita, fare un impacco perché non s’infetti e possibilmente mentre te ne stai zitto e fermo. Ah, ed evita di chiamarmi “dolcezza”, potrei realmente innervosirmi.»
«Non rinnegare ciò che sei, dolcezza, la tua è solo fatica sprecata.»
«Ignora quell’idiota, John» sentenziò capitan Holmes facendo ritorno con una bottiglia che teneva stretta tra le dita in una mano e che lanciò subito sul letto senza troppa gentilezza. A fronte di quelle parole, padre Trevor s’imbronciò appena, quasi fosse stato punto sul vivo una volta e per tutte. Per grazia divina, però, la prospettiva di un ottimo rum dei Caraibi servì a fargli tenere la bocca impegnata. Finalmente in quella cabina prese a regnare la pace.
 


 
oOoOo


 
Se qualcuno gli avesse domandato che cosa sapeva de i pirati de la Norbury, non avrebbe risposto il falso nell’ammettere che non aveva preso confidenza con niente di ciò che stava a bordo. Li conosceva da un paio di giorni e i nomi che ricordava erano a malapena quelli dei pochi marinai che aveva incontrato, e la situazione andava peggiorando se si teneva in considerazione che tutti avevano almeno un soprannome. Eppure e nonostante tutto, poteva tranquillamente dire di aver trascorso abbastanza tempo con Victor Trevor d’aver capito già troppe cose di lui. E sebbene ci fossero tanti particolari che ancora gli sfuggivano e a stento aveva capito che razza di relazione aveva con Sherlock, il quadro andava pian piano delineandosi. Per questa ragione non si preoccupò di trattenere le parole che aveva sulla punta lingua e, preso un respiro profondo, decise di farsi avanti.
«Potresti avvicinare quella candela e reggerla, per favore» mormorò in direzione del capitano. Nel contempo si occupò di spogliare la gamba, senza farsi tanti problemi nello strappare il bendaggio che si era arrangiato quando si trovava sul ponte. Non era poi tanto brutta, pensò osservandola da vicino. Lunga, ma poco profonda. Il bastardo doveva aver fatto attenzione.
«Sai non vorrei sbagliare e cucirgli la bocca» aggiunse, stirando un ghigno più accentuato del normale mentre Sherlock invece esplodeva in una sonora risata. Mai nella propria misera e triste vita, John Hamish Watson aveva sentito un qualcuno ridere a quel modo. Proprio malgrado s’incantò addirittura a guardarlo, lasciando da parte ogni medicamento e ignorando persino l’odore acre del sangue. C’era un non so che di stupefacente in quel giovane pirata. Quando sorrideva gli si illuminava tutto il viso e gli occhi prendevano a brillare di un sentimento infantile, fanciullesco quasi. Sherlock tornava bambino, quando rideva. La bellezza del viso, solitamente austera, diveniva sincera. Era meno costruito, meno impostato, meno frenato dalle inibizioni e del tutto spogliato del ruolo che ricopriva e che doveva pesargli forse in maniera esagerata. Il pirata bianco non doveva divertirsi molto a bordo de la Norbury. Di sicuro non in quel modo, pensò dopo aver notato dello stupore apparire sul volto di Victor, subito sapientemente nascosto dietro al collo della bottiglia. Si trattava di una sincera sorpresa, carica di un pizzico di meraviglia e che aveva finito col mutare in un qualcosa di differente. Ora della fine divenne poco meno di un ghigno, eppure c’era un fare sagace e malizioso che ebbe il potere di farlo rabbrividire. Che cosa dimorava nella mente di padre Trevor? Aveva forse a che fare con la ferita alla gamba? John non ne aveva la benché minima idea e pensarci ulteriormente a nulla sarebbe servito.

Concentrarsi sul mestiere che aveva da fare fu assurdamente complicato, la vicinanza con Sherlock non aiutava e a poco serviva il percepirne il fiato caldo sul collo che di continuo lo stuzzicava. Avere lì accanto il pirata bianco in tutta la sua sfacciata bellezza era un’ottima maniera per distrarre lo sguardo, e per gettar via anni di militaresco stoicismo. Fu soltanto il sangue a tenerlo sveglio e consentirgli di non pensare a quei certi capelli ricci, al collo pallido, alla bocca carnosa, al sedere che pareva scolpito o alle lunghe e nodose dita delle mani che... Tener fissi gli occhi sulla fiammella della candela fu un valido aiuto, inoltre il chiarore che le lingue di luce andavano a creare gli permise di poter studiare con maggior attenzione il taglio. Fu allora che quell’inezia, la stessa già sul ponte aveva notato, andò confermandosi. I sospetti che s’era fatto a riguardo erano giusti: Victor si era ferito da sé e nonostante non avesse idea del motivo, capì che non spettava a lui il giudicare. Era un soldato, e lo era ancora e sebbene una ferita alla spalla gli impedisse di tirar di sciabola, sarebbe rimasto tale per il resto dei suoi giorni.
«Che c’è, dolcezza?» gli chiese il diretto interessato dopo svariati minuti di teso non parlare «mi sono fatto male per davvero.»
«Oh, certo che ti sei fatto male per davvero» sputò, accentuando quelle ultime parole con dell’ironia. «Peccato che questa sia una ferita da lama e non è possibile che sia stata provocata da un urto. Il che significa che o sei accidentalmente andato a sbattere contro la punta di un coltello, che ha tracciato un solco netto sul tuo polpaccio in maniera regolare, oppure te lo sei procurato da solo. È impossibile che tu sia andato a sbattere contro un’asse esposta come hai sostenuto, la ferita sarebbe stata differente e piena di schegge e, credimi, ora tu non saresti così vivace. Adesso, per favore, fa’ silenzio.» John evitò lo sguardo colmo di ammirazione e stupore di Sherlock, con un’abilità che chiunque avrebbe definito leggendaria e grazie a un ferreo stoicismo neanche badò troppo al fatto che gli stesse a meno di un palmo. Certo, ignorare il profumo che si portava addosso era difficile e ancor più complicato era il dover far finta che il calore del suo corpo gli fosse del tutto indifferente. Semplicemente tenne lo sguardo basso. Determinato a fare quel che doveva e a finirla alla svelta. Pertanto rimase concentrato sulla gamba di un Victor Trevor che, con odiosa malizia, spiava entrambi da dietro il vetro di una bottiglia di rum già consumata per metà, e intanto sorrideva. Sembrava stranamente vittorioso, il bastardo, soddisfatto al pari di un lupo che ha finalmente divorato la propria preda. Ma John nemmeno di lui si preoccupò. Doveva essere un soldato e tale sarebbe stato.

Occorse un lasso di tempo relativamente lungo perché l’operazione andasse a buon fine, ma dopo aver ricucito il taglio e creato una pasta di acqua e foglie, fasciò tutto quanto per bene.
«Domani le darò un’occhiata» sentenziò, ripulendosi le mani sporcate di sangue, in un panno. Victor non rispose e si limitò ad annuire prima di annegare di nuovo nel rum.
«H-hai ancora bisogno di me?» domandò invece il capitano, con un fare appena balbettante e carico di quello che sembrava imbarazzo. E mentre Trevor accennava a un’occhiata divertita, John si domandò se erano davvero rosse le guance del pirata bianco o se era la sua fervida immaginazione a fargli strani scherzi. Era imbarazzato? Non poteva dire di conoscerlo bene, al contrario sapeva ben poco di Sherlock Holmes che non fossero le ben note leggende, ma per quel che aveva capito era raro il sentirlo indugiare e ancor più difficile doveva essere il vederlo arrossire. Eppure, la prova evidente che un qualche sentimento si muoveva dietro quelle maschere, ce l’aveva davanti agli occhi. Era palese, chiara e ovvia come il sole nel cielo e la luna di notte. Ma perché? Cosa stava provando di così intenso da balbettare e arrossire? Certo però che era stupendo! Bellissimo, aggiunse mentalmente. Semplicemente bello, con quelle labbra carnose e morbide che dovevano essere una vera delizia da mordere e baciare e gli occhi dalla tinta innaturale e sicuramente stregata. Credette d’impazzire, a un certo punto e a malapena aveva il controllo delle proprie azioni, tanto che non si rese conto di avergli detto che poteva andarsene. Però fu a quel punto che successe, che si guardarono, ritrovandosi a esser vicini come mai lo erano stati prima. Con il respiro dell’altro a meno di un palmo e il cuore che galoppava furioso. Si guardarono in ogni attimo, in ogni istante, tra un ansito e l’altro, tra un battito del cuore e uno di ciglia. Si guardarono senza sapere il perché, ma essendo certi che fosse assolutamente necessario. Si guardarono perché era vitale che lo facessero, importante come vivere o pensare. Si guardarono sempre, anche mentre Sherlock indietreggiava sino ad andare a sbattere contro la parete del corridoio. Nei minuti a venire e col respiro accelerato e il cuore che non ne voleva sapere di rallentare, John non si mosse da dove stava. Tenne a lungo gli occhi puntati là dove lo aveva visto per l’ultima volta mentre si domandava se fosse davvero quello l’amore. Innamorarsi di un qualcuno voleva dire guardare spazi vuoti in attesa di potersi rivedere di nuovo? Significava respirare all’unisono e sospirare? Diavolo, non lo sapeva! Perché pur avendo avuto un numero considerevole di donne, specialmente quando era sotto le armi, mai aveva amato una di loro. Questa era più di un’infatuazione passeggera. Era differente da una cotta senza importanza. Il sentimento che stava alimentando e che cresceva attimo dopo attimo era importante e potente, lo spaventava e confondeva in egual misura.
«Dolcezza, siete meravigliosi!» Naturalmente era stato Victor a parlare, riportandolo alla realtà in un modo involontariamente brutale e trascinandolo in un mondo nel quale John non era sicuro di niente. Eppure Trevor sogghignava e nel contempo lo fissava con sguardo sognante. Che voleva dire? Perché rideva? E in che senso erano meravigliosi?
«Dannatamente lenti, questo sì, ma vedervi è una vera e propria delizia.»
«Sei ubriaco» borbottò invece John senza dargli troppo retta e affrettandosi a ripulire la stanza. Non voleva discutere di questo e specialmente non con lui. Quindi lo avrebbe aiutato ad alzarsi e fatto filare via nella sua stanza, ma senza rispondere. Anzi, avrebbe fatto finta che non esisteva. Sì, proprio così. Da buon soldato.
«Ti avevo detto che avremmo dovuto parlare, dolcezza.»
«Lo ricordo» annuì John, ancora senza guardarlo ed evitando abilmente d’incrociare il suo volto «ma non mi pare di aver mai detto di volerlo fare anch’io.»
«Dolcezza, non me ne vado da qua finché non ti ho detto tutto quanto e guarda che so essere fastidioso quando voglio.»
«Allora lo vuoi sempre?» ribatté, sagace, mentre questi rideva e si lasciava cadere di nuovo sul cuscino.
«Oh, sì, sei dannatamente intelligente» replicò il prete. «Non mi stupisco che tu gli piaccia tanto ed è per questo che ti dirò tutto. Tutto quanto, John. Tutto quello che vuoi e che devi sapere su Sherlock Holmes.» Non seppe mai dire che cosa fu a farlo capitolare. Se quelle parole pronunciate con tanta determinazione, oppure lo sguardo di Victor Trevor o forse ancora la speranza che già stava nascendo dentro di lui. Però lo fece. Annuì e si lasciò cadere sulla sedia, deciso ad ascoltare e a rimandare a dopo i propri giudizi. E mentre una musica dolce e delicata gli arrivava alle orecchie, incuriosendolo, già una storia stava iniziando. C’entravano i pirati, ovviamente. Ma anche un passato lontano, un'Inghilterra fredda e inospitale. La Francia e delle estati trascorse insieme. Quella era la storia di un prete che andava a puttane e amava le baldracche più di qualsiasi altra cosa al mondo, e di un principe che faceva il pirata e suonava il violino. La meravigliosa avventura dell’uomo di cui si stava innamorando e del suo migliore amico.
 


 
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