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Autore: lithnim222000    26/04/2017    4 recensioni
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La porta si richiuse, e il ritmico scandire dell'orologio si fermò di colpo. Ora il silenzio era totale.
-Che tipa carina la tua amica, Os.- una voce dietro le sue spalle lo distrasse, facendolo balzare in piedi.
-Morfeo!- i suoi occhi si posarono sulla figura snella del ragazzo, appoggiato al muro con le braccia incrociate. Quanto ad aspetto, invece, suo fratello era lo stesso di sempre: un bel ragazzo dai capelli ricci e scuri, premuti sotto un cappellino da baseball. Indossava jeans scoloriti, con più buchi che stoffa, scarpe da ginnastica che si tenevano insieme a dispetto della forza di gravità e felpa rosso brillante, con la scritta in nero “chase your dreams, go to sleep”. Be', certe cose non cambiavano mai.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Dei Minori, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chi scende e chi sale


Quando era piccola, una volta, Amelie aveva dovuto partecipare ad una recita scolastica senza aver minimamente provato la propria parte. Non era stata colpa sua, per la verità: la protagonista si era ammalata all'improvviso, e all'insegnante era sembrata una buona idea piazzare le tredici pagine di copione in mano ad una ragazzina di sette anni e spedirla sul palco, infagottata in un vestito da principessa di due taglie più largo e troppo corto.

La tensione che aveva provato in allora, in piedi di fronte alla platea di genitori silenziosi, adesso le sembrava appena la punta di un iceberg, in confronto all'ansia che le divorava le viscere in quel momento.

Aveva scoperto di poter avocare anime dall'Ade un anno dopo essere arrivata al Campo. Credeva che fosse un'abilità tipica dei figli di Ecate, ma quando ne aveva parlato a sua sorella Lou Ellen lei era corsa subito ad avvertire Chirone. Il centauro non si era mostrato sorpreso -probabilmente ci era nato con la faccia da poker- ma si era accarezzato la barba con aria pensierosa.

-Sembra che tu abbia ereditato da tua madre il suo potere più raro.- era stato il verdetto -Che io sappia, non si è mai sentito di un figlio di Ecate in grado di evocare le anime dei morti. È un'abilità che di solito riceve la stirpe di Ade, ma chissà. Prima o poi potrebbe anche tornare utile.

Quel giorno era arrivato, a quanto pareva. L'unico problema? Lo spirito che doveva evocare era quello di Tiresia, il celebre indovino cieco. Amelie non si sarebbe mai tirata indietro di fronte ad una richiesta di aiuto, soprattutto quando ad averne bisogno era il Campo, la sua casa, però la sola idea dell'energia che le ci sarebbe voluta per far emergere dall'Ade uno spirito così potente le faceva girare la testa.

-È tutto okay?- una mano le si posò sulla schiena ossuta e il volto corrugato di Vieri entrò nel suo campo visivo. Le labbra di Amelie si piegarono in un istantaneo sorrisetto. Africa aveva tentato di impedire al figlio di Galene di seguirle all'interno della Casa Grande -era arrivata perfino a tirarlo per la maglia nel tentativo di spostarlo- ma non c'era stato niente da fare: Vieri aveva agganciato la mano a quella di Amelie e non l'aveva lasciata nemmeno sotto lo sguardo severo di Chirone e quello inquietante di Nico di Angelo. In condizioni normali, forse, la ragazza lo avrebbe trovato fastidioso, ma era grata che qualcuno le stesse accanto in un momento come quello.

-Ce la farò.- rispose solo, sollevando il mento con aria decisa. Vieri le rivolse un accenno di sorriso.

-Su questo non ho dubbi. È che ti sei ferita a furia di morderti il labbro.

Amelie si leccò le labbra e sentì sulla lingua il sapore ferroso del sangue. Mordicchiarsi le labbra era un'abitudine che aveva da sempre e che non riusciva a controllare, e diventava piuttosto imbarazzante quando le capitavano inconvenienti come quello. Grazie agli dei, Vieri le passò automaticamente un fazzoletto.

-Sono un po' nervosa.- ammise, premendolo sul piccolo taglio -Se poi Odisseo continua a fissarmi in quel modo...

Lanciò uno sguardo al ragazzo, seduto dall'altra parte della stanza in compagnia di Africa, e trovò immancabilmente i suoi occhi scuri fissi su di lei. Da quando era entrata, il figlio di Ipno non aveva fatto altro che osservarla imbronciato, come se ce l'avesse con lei. Amelie non si era mai data troppo pensiero di cosa la gente la pensasse nei suoi confronti, ma iniziava a trovarlo irritante.

-Quel ragazzo è mezzo andato di testa. Non farci caso.- tagliò corto Vieri. Quando lei lo guardò storto, roteò gli occhi con aria plateale -Okay, lo so! Non dovrei giudicare così nettamente le persone prima di conoscerle. Ma resta il fatto che su di lui girano un sacco di storie assurde.

-Le ho sentite quelle storie.- Amelie arricciò il naso -Secondo alcuni ha venduto la sua anima a Minosse in cambio di chissà quale privilegio, altri dicono che sia una spia, o che sia stato maledetto da suo padre stesso...mi sembrano i soliti pettegolezzi da figli di Afrodite.

-Però qualcosa di vero deve esserci.- Vieri abbassò la voce -Ti ricordi com'era, prima? Nemmeno Clovis aveva poteri grandi come i suoi. Ogni volta che ti addormentavi, Os era lì che girava nella tua dimensione onirica, e quelle rare volte che lo beccavi con gli occhi aperti poteva raccontarti per filo e per segno come stesse tua nonna, dall'altra parte del mondo. Da un anno a questa parte, invece, è tutto sparito. Ora riesce perfino a stare sveglio per una giornata intera, e nessuno lo incontra più nei propri sogni. È inevitabile che la gente si faccia qualche domanda.

-Io mi ricordo che prima i suoi incubi ci buttavano giù dal letto quasi tutte le notti.- ribatté Amelie -Adesso invece non ne fa più. Forse per questo ha voluto liberarsi dei suoi poteri. Noi non ne sappiamo nulla e non abbiamo il diritto di giudicarlo.

-No, ma per caso ora ti sembra più felice?- Vieri accennò con il mento al ragazzo, che aveva preso a tormentarsi gli orli delle maniche con le dita. Teneva lo sguardo basso e il cappuccio della felpa calcato sulla testa -Dammi retta: qualunque cosa abbia fatto, non è stato niente di buono.

-Comunque Africa gli vuole bene.- Amelie si strinse nelle spalle -Sono stati insieme fino all'anno scorso e lei non mi ha mai detto nulla di male su di lui. Quindi non sarò io a parlarne male.

Il figlio di Galene sembrò sul punto di replicare qualcosa, ma proprio in quel momento Chirone e Nico di Angelo rientrarono nella stanza. Il centauro stringeva fra le mani un grosso libro incartapecorito. Quando lo posò sul tavolo da ping-pong e lo aprì, dalle pagine si levò una nuvoletta di polvere.

-E quello?- William Solace interruppe la propria conversazione con Lou Ellen e Connor Stoll e si sporse in avanti. Sherman Yang storse il naso con aria schifata.

-Io non lo leggo.

-Perché, sai leggere?- lo apostrofò sarcastico Connor. Nico li gelò entrambi con un'occhiataccia.

-Non è per voi. Io e Chirone abbiamo solo ripassato un paio di cose sulle evocazioni e i culti misterici in onore di Ecate.

-Ci metteremo tuniche scure e cappelli a punta?- ridacchiò Katie Gardner.

-No.- la smontò Chirone -Però Amelie avrà bisogno di una torcia.

-Non mi è mai servita.- fece notare la ragazza, aggrottando la fronte -Di solito mi basta cadere in trance.

-Tiresia non è come gli altri. Ci vuole più potere per lui.- spiegò il centauro -Perciò...

Tirò fuori un bastone da una sacca che aveva a tracolla. Non era niente più che un lungo pezzo di legno secco, ma attorno alla punta era arrotolato uno straccio imbevuto d'olio. Lo passò alla ragazza, che lo prese, non senza una lieve esitazione.

-Come volete che la usi?

-Basterà che tu la tenga accesa. Lui verrà. - Nico si appoggiò ad una parete ed incrociò le braccia -Quando vuoi, Amelie.

Alla ragazza sembrò che la temperatura nella stanza si fosse abbassata di qualche grado mentre l'attenzione di tutti si catalizzava su di lei. Sentì Vieri stringerle la mano un'ultima volta.

-Ce la farai.- le ricordò sottovoce il ragazzo, prima di lasciarla e indietreggiare di qualche passo.

Amelie prese un respiro profondo mentre Africa fregava un accendino dalla tasca di Connor Stoll e dava fuoco allo straccio. La torcia avvampò immediatamente, vomitandole in faccia un calore improvviso e uno sbuffo di denso fumo nero, dal profumo inebriante.

-Madre Ecate, tu che accompagni le anime nell'Ade, proteggi la mia strada e dammi la tua forza.- sussurrò a bassa voce. Aspirò a pieni polmoni le esalazioni della fiamma, poi chiuse gli occhi. L'ultima cosa che vide prima di sprofondare giù fra le ombre fu lo sguardo fisso e indecifrabile di Odisseo Seawind, il figlio maledetto di Ipno.

 

₪ ₪ ₪ ₪ ₪

 

L'I-pod, per Cameron, era una di quelle cose che nessuno poteva toccare. Se l'era comprato da solo, a undici anni, con soldi guadagnati un po' rubando e un po' tagliando il prato a tutte le vecchiette del quartiere, le stesse a cui vuotava il portafoglio. Gli piaceva: piccolo, sottile, rosso e lucido. Non si capacitava di come un affarino così minuscolo potesse contenere tanta musica, tanti sentimenti tutti insieme. La musica, a suo parere, era la cosa più vicina al cuore che potesse esistere, e vaffanculo ai compagni di classe che, quando aveva fatto l'errore di dar voce a quel pensiero, gli avevano simpaticamente sventolato sotto il naso il libro di scienze, consigliandogli un ripasso.

Si era comprato l'I-pod quando aveva capito che gli serviva una via di fuga, e forse quello era stato il primo passo che lo aveva portato a fuggire per davvero.

Le fasi della sua vita erano ognuna legata ad un oggetto. La fase felice, ovvero da quando riusciva a ricordare fino a sei anni, era quella in cui ancora c'erano il sorriso della nonna, le mani macchiate ma salde del nonno, il portachiavi a coltellino svizzero che lui cercava sempre di fregargli. Il nonno poi era morto, la nonna pure -fuga di gas, era la versione ufficiale, e nessuno aveva dato retta ad un bambino traumatizzato che parlava di un cane con la coda da foca, che aveva deliberatamente manomesso i tubi. Il portachiavi era finito chissà come nella sua tasca, mentre l'assistente sociale lo portava via da casa per affidarlo a suo padre.

Per un mese era andata bene. Poi erano arrivati il primo licenziamento dal lavoro, la prima bottiglia di birra. La prima di vodka. Le prime botte, la confusione (cosa c'entro io? Perché picchi me?), la vergogna, l'insicurezza, la certezza di essere sbagliato, perché papà forse aveva ragione, forse, in qualche modo che lui non capiva, era colpa sua. Il cappello grigio trovato sotto un banco di scuola sempre calato sulla faccia, sugli occhi, non sapeva neanche lui se per non vedere o per non essere visto.

A dieci anni, i mostri l'avevano trovato di nuovo. A dieci anni aveva dovuto decidere se soccombere o lottare. Era stato un attimo: il coltellino sfoderato, che per pura fortuna centrava l'occhio del Cinocefalo. La lama, per qualche miracolo, era di bronzo celeste. Il nonno allora sapeva tutto, ancora prima di lui? Non era mai riuscito a scoprirlo, ma intanto il mostro era esploso in una nuvola di polvere dorata.

Quell'uccisione aveva smosso qualcosa. Era stato un cambiamento minimo, un sassolino, ma poi era cresciuto, con ogni altro mostro che eliminava: grinta. Voglia di non mollare, di non arrendersi, di non morire. E questo aveva iniziato a farlo reagire anche nei confronti di suo padre. Di qui, l'I-pod, il suo primo tentativo di crearsi un proprio spazio, un posto da chiamare casa, nella musica. La prima fuga. E alla fine la seconda, lo stesso giorno -27 gennaio- in cui aveva compiuto sedici anni.

Al campo si era aspettato un nuovo inizio. Non era stato proprio così. Le cose erano di nuovo normali (nel limite del possibile per un semidio), ma lui non lo era più: era aggressivo, sfuggente, ombroso, e non aveva legato con nessuno. Dopo un anno e mezzo dal suo arrivo lì, l'unica cosa che riusciva a farlo sentire veramente in pace era ancora solo la musica.

You know I could have been with you
Been with you, done what you been through
I had a chance to choose
When enough's enough will you know it
When you reach your goal will you hold it...”

Aveva le cuffie nelle orecchie anche in quel momento, mentre costeggiava il bosco nella sua corsa giornaliera, anticipata a prima di pranzo per rifarsi della mancata gara di nuoto. Era quasi giunto in prossimità delle stalle dei pegasi quando la scossa di gelo lo attanagliò all'improvviso, attraversandolo da capo a piedi e mozzandogli il fiato. Per un secondo non vide più niente se non un bianco abbacinante, poi, appena i suoi neuroni si scongelarono abbastanza da permettergli di ragionare, il suo pensiero corse subito a Taras del Club di Atene -anche se nella sua testa suonò più come “piccolo, maledetto, fottutissimo scarto della progenie di Chione!” .

Ma non c'era Taras nei paraggi. In compenso, appoggiato di schiena al tronco di un pino come se si fosse ripreso un attimo prima di cadere, scorse una ragazzo magro, basso come un folletto, infagottato in una felpa nera di almeno due taglie troppo grande, come denotavano i polsi bianchissimi, resi ancora più sottili dall'ampiezza delle maniche. Aveva la testa reclinata e una zazzera di capelli scuri gli copriva il volto, ma Cameron lo riconobbe ugualmente come Arthur Carmien, l'unico figlio di Erebo del Campo. Non ci aveva mai parlato direttamente, ma l'aveva incrociato un paio di volte nell'Arena e sapeva che era amico di Sophie Welch, la bimba prodigio della squadra di Sparta, il che automaticamente glielo fece catalogare come tipo a posto.

Neanche a dirlo, cambiò parere un attimo dopo. Arthur tese una mano verso di lui e un blocco di ghiaccio si depositò di nuovo sullo stomaco di Cameron. Il ragazzo si piegò in due, solo vagamente consapevole che l'I-pod gli era caduto a terra, sul sentiero.

-Che accidenti stai facendo?- esclamò, la voce strozzata dal dolore e dalla sorpresa -Ehi! Carmien, ehi!

Il figlio di Erebo alzò la testa: i suoi occhi erano due pozzi di inchiostro, completamente neri anche dove avrebbe dovuto esserci il bianco, come quelli di una creatura dell'ombra. La faccia, terrea, sembrava quella di un cadavere, e i lineamenti erano distesi in una calma piatta e inespressiva che stupidamente, per un istante, gli ricordò Madison.

-Non sono Arthur Carmien.- la voce che uscì dalle labbra incolori era così inadatta a quel corpo sottile che Cameron ci mise un attimo a capire che stava parlando. Era la voce di un vecchio, un vecchio piuttosto rauco, e c'era qualcosa, in essa, che assomigliava ad un ringhio.

-Come ti chiami, semidio?- continuò imperturbabile il qualcuno-nel-corpo-di-Arthur -No, aspetta...Cameron Keller, diciassette anni, figlio di Eris. Lingua ammaliatrice piuttosto potente.

Abbassò la mano e il gelo svanì, lasciando Cameron ad ansimare, ormai steso carponi.

-Cosa...- biascicò lui, alzando lo sguardo. Arthur di avvicinò, lo afferrò per un braccio e lo tirò in piedi. Era insospettabilmente forte, per essere così piccolo.

-Temo di essermi perso mentre salivo in superficie.- disse di nuovo la voce del vecchio -Stavo seguendo una ragazza, mi pare...aveva una torcia molto luminosa. Ma poi il vento l'ha spenta e sai, con questi occhi...

Si agitò una mano davanti al volto, con una smorfia rassegnata.

È cieco comprese Cameron, e immediatamente le parole di Africa gli risuonarono in testa “Amelie, ci serve il tuo aiuto per un'evocazione.” Evidentemente qualcosa doveva essere andato storto, se lo spirito uscito dall'Ade si trovava ora dentro il corpo di Arthur Carmien.

-Chi sei?- si azzardò a chiedere. Il ragazzo sorrise.

-Aiutami ad arrivare dal centauro, Chirone, e lo saprai.- gli afferrò un polso con le dita gelide. Cameron riuscì a malapena a reprimere un brivido, avvertendo quella stretta viscida come le squame di un pesce.

-Da questa parte.- articolò con la gola secca, muovendo qualche passo in direzione della Casa Grande. Arthur lo assecondò con un po' di fatica, come se avesse male alle ginocchia.

Nessuno dei due si accorse che l'I-pod rosso era rimasto abbandonato sul sentiero, la musica ancora accesa che continuava ad andare, impercettibile, fra l'erba.
 



Angolo autrice
Ehi. Scusate il ritardo. Nuovo capitolo per voi, e un nuovo pg inserito, anche se ancora solo a metà. Aki_and_Amy, perdonami/perdonatemi l'uso improprio, ma era un male necessario. Ci vediamo al prossimo capitolo!
   
 
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