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Autore: usotsuki_pierrot    26/04/2017    1 recensioni
Piccola fic incentrata sulla KakuHida. Una sorta di sfida a me lanciata da due mie care amiche.
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Kakuzu però era diverso da Hidan, era realista. Ed era consapevole che tutto ciò non sarebbe mai stato possibile, e che fantasticare in quel modo non avrebbe portato né lui, né il compagno da nessuna parte. Anzi, non aveva nemmeno idea di come la sua mente si distaccasse dalla realtà in quella maniera, e si distanziasse così tanto fino a fargli dimenticare lo scopo di quei "viaggi", né del motivo per il quale questo succedesse solo con il grigio.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hidan, Kakuzu | Coppie: Kakuzu/Hidan
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
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PREMESSA
Questa è la mia primissima KakuHida! Ed è il risultato di una "sfida", chiamiamola così, lanciatami da due mie care amiche, le creatrici di Lizzy e Hitomi / Kaguya per intenderci, che rimangono sempre sconcertate dalla mia abitudine di inserire dell'angst ovunque. Perciò mi hanno sfidata a scrivere una storia totalmente priva di... dolore, ecco. E alla mia richiesta "allora proponetemi voi una coppia protagonista", se ne sono uscite con forse una delle coppie più complicate per scrivere un qualcosa senza feels.
TUTTAVIA non mi tiro indietro, soprattutto quando si tratta di scrivere fic, e così ho fatto.
PS: ancora non l'hanno letta, perciò sarà la prima volta anche per loro e non so per certo se io sia riuscita a rispettare i criteri della "scommessa" :'')
Non ho nulla d'altro da dire se non... buona lettura!


 

Kakuzu aveva sempre pensato che Hidan fosse una seccatura. Dal primo giorno in cui l'aveva visto, dalla prima missione eseguita da compagni, e tanto più quando si era rivelato per il grande chiacchierone a tratti rompiscatole che era.
L'immortale aveva tuttavia capito che il grigio era un bravo ragazzo tutto sommato. Tolto il fattore Jashin, sarebbe stato anche un tipo quasi normale.
Magari, iniziava a pensare tra sé e sé, se si fossero ritrovati in un altro universo, se non ci fossero stati di mezzo l'Akatsuki, i Jinchuuriki e le battaglie, se avessero potuto vivere un'esistenza immortale ma tranquilla, forse sarebbero andati più d'accordo, forse avrebbero costruito una relazione più forte e stabile, senza dover sempre battibeccare, andare in giro a riscuotere le taglie delle vittime scelte accuratamente, sottostare agli ordini dei loro superiori.
Kakuzu però era diverso da Hidan, era realista. Ed era consapevole che tutto ciò non sarebbe mai stato possibile, e che fantasticare in quel modo non avrebbe portato né lui, né il compagno da nessuna parte. Anzi, non aveva nemmeno idea di come la sua mente si distaccasse dalla realtà in quella maniera, e si distanziasse così tanto fino a fargli dimenticare lo scopo di quei "viaggi", né del motivo per il quale questo succedesse solo con il grigio.
Grigio che inspiegabilmente non si sentiva osservato neanche quando, durante le brevi pause che si concedevano, il compagno rimaneva a guardarlo, seduto in un angolo o su una roccia, con gli occhi fissi sul suo corpo steso a terra, con la lancia ficcata nel petto nudo situato precisamente al centro del solito simbolo rosso sangue.
Il castano si era più volte chiesto cosa spingesse il ragazzo a farsi del male a tal punto, e non riusciva a trovare una risposta soddisfacente nel “lo faccio per dimostrare la mia devozione a Jashin, Kakuzu!”, frase che si sentiva ripetere spesso dal diretto interessato.
Kakuzu si limitava sempre a sospirare chiudendo gli occhi, sotto lo sguardo confuso del grigio, e a chiedersi quale Dio avrebbe mai avuto il coraggio di chiedere sacrifici simili. Hidan era sì immortale, ma dopotutto sentiva il dolore come se non lo fosse, e spesso il più alto era rimasto ad osservare il sangue fuoriuscire dal suo corpo come se ne fosse in parte affascinato, in parte spaventato.
«Ascolta, Hidan».
«Mmh? Kakuzu, non interrompere proprio adesso il rituale!!».
«Zitto e stammi a sentire».
«Jashin-sama avrà in serbo la punizione giusta per i miscredenti come te, che osano interrompere così i ritual-».
Il castano si era nel frattempo alzato, si era avvicinato al compagno ancora disteso a terra, e aveva impugnato la lancia con forza facendola uscire dal petto trafitto, senza lasciar finire Hidan.
«AHIA!! Kakuzu, cosa cazzo combini?!».
Ma il diretto interessato non disse nulla. Avrebbe voluto chiedergli una volta per tutte in cosa di preciso il grigio credesse. Avrebbe voluto sapere quali ricompense credeva lo avrebbero ripagato di tutti i rituali, di tutti i sacrifici. Avrebbe voluto urlargli un “svegliati, Hidan, sei immortale e non otterrai mai nulla in cambio da un Dio inesistente!” ma le sue labbra, nascoste dal tessuto chiaro che portava sul viso, rimasero serrate. Gli occhi restarono a fissare ancora per secondi interminabili l'espressione imbronciata e arrabbiata del partner, prima che il più alto si allontanasse, buttando la lancia a terra poco lontano da lui, mentre Hidan si sollevava appoggiandosi al gomito con una mano sulla ferita al petto e lo sguardo confuso.




«Cosa?! Non abbiamo niente da fare oggi?».
«No».
«E cosa facciamo tutto il giorno, Kakuzu?!».
Il castano tirò un piccolo sospiro sotto il tessuto, un sospiro che Hidan non parve sentire, intento com'era nel lamentarsi della noia e del fatto che rimanendo alla base non avrebbe potuto fare i suoi "preziosi sacrifici" a Jashin.
All'ennesimo cenno a quello strano dio, Kakuzu scoccò un'occhiata al grigio, afferrandogli il polso e iniziando a camminare, con lo sguardo fisso in avanti.
Hidan non riuscì a capire cosa il compagno stesse architettando, e con un'espressione confusa ma corrucciata prese a chiedere insistentemente dove stessero andando, cosa gli passasse per la testa e di come secondo lui fosse solo un modo per impedirgli di svolgere i suoi rituali sacri.
Dal canto suo, il compagno non sembrò curarsi minimamente di quelle domande, tanto più che la sua mente era riuscita ad elaborarne una più grande e decisamente più importante: perché Hidan non si stava dimenando come al solito? Perché nonostante l'apparente e giustificata confusione non stava nemmeno tentando di liberarsi dalla presa?
Eppure ogniqualvolta l'aveva afferrato per un orecchio durante le missioni per riuscire ad attirare la sua attenzione già di per sé molto bassa e convincerlo a seguirlo e a fare in fretta, il grigio non perdeva occasione di lamentarsi e di ripetere più volte il suo nome per fargli allentare la presa, aggiungendo di tanto in tanto il suffisso 'chan' che più che addolcire il partner non faceva che alterarlo maggiormente.
Fu proprio in quel momento che un pensiero strano quanto subdolo si insinuò nella mente del castano, i cui occhi si espansero e si posarono di sfuggita sulla figura ancora imbronciata di Hidan, senza però che l'andatura del suo passo cambiasse o rallentasse. Qual era stata l'ultima volta che il compagno l'aveva chiamato 'Kakuzu-chan'? Era passato parecchio tempo ormai. Come aveva fatto a non accorgersene?
… E come mai se lo stava chiedendo?
Una strana sensazione lo avvolse, come se quel pensiero avesse generato una sorta di reazione fisica nel suo corpo. Rischiò per qualche attimo di fermarsi lì, in mezzo ai corridoi, e di allentare la presa al polso del grigio, ma scosse in fretta la testa, tentando di ritrovare la concentrazione per allontanare quelle domande così insolite.
Finalmente, dopo pochi minuti che però parvero non passare mai, sopratutto al più basso, i due si ritrovarono davanti alla stanza di Kakuzu, che non appena vi fu davanti si fermò. E anche bruscamente, tanto che Hidan, inconsapevole, aveva fatto qualche passo in più ed aveva sbattuto contro il suo braccio, finendo con il viso affondato nella divisa nera a nuvolette rosse.
Ci volle una manciata di secondi affinché si decidesse a separare il viso dal tessuto della tunica. Mai prima di allora gli era parsa così morbida e comoda, anche se in effetti non aveva mai nemmeno avuto un contatto tanto ravvicinato con il castano. Quest'ultimo nemmeno si mosse, si limitò a posare lo sguardo sulla testa del partner, osservandolo finché non si spostò qualche attimo dopo, rosso in viso e agitato.
«K-Kakuzu, avresti potuto avvisarmi!! Come ti è venuto in mente di fermarti così di botto?!», il tutto condito da un evidente imbarazzo che traspariva da ogni millimetro del suo viso.
L'immortale posò gli occhi su quell'espressione imbronciata, rimanendo immobile qualche istante, mentre lo sguardo del più basso riusciva finalmente ad incrociare il suo.
«Cos'hai da guardare, Kakuzu?! Sei strano oggi!».
L'interpellato non disse nulla, distolse l'attenzione dal viso del compagno e pose la mano sulla maniglia aprendo la porta che si stagliava davanti a loro.
Gli occhi viola seguirono il movimento lento e rumoroso della stessa, e traspariva da quelle pupille il desiderio di sapere cosa il castano avesse in mente di fare. Dopotutto, non era mai stato nella sua stanza. Cosa lo avrebbe atteso? Cosa avrebbe potuto scoprire su di lui?
Il primo ad avanzare e ad entrare fu il proprietario della camera, seguito da un Hidan il cui sguardo vagava per i muri e gli angoli più bui, e che non aveva detto nulla un po' - incredibile ma vero - per non rovinare il rispetto del momento, un po' perché effettivamente le parole erano state bloccate dalla curiosità impellente di osservare, scoprire, capire.
Curiosità che tuttavia non ebbe modo di essere soddisfatta. Il castano, in poco tempo, tornò ad afferrare - con più delicatezza - il polso dell'immortale, che dopo qualche secondo in cui non ebbe nemmeno la possibilità di formulare un pensiero di senso compiuto si ritrovò sul letto del compagno.
«Kaku-».
La mano di lui si posò sulla bocca di Hidan, che chiuse istintivamente gli occhi viola, in parte per la paura di cosa il compagno avesse intenzione di fare. Dopotutto, per quanto ne sapeva, avrebbe anche potuto averlo portato nella sua stanza per tener fede a quella frase che diceva spesso, e che aveva tanto l'aspetto di una promessa, “ti ucciderò prima o poi”.
Non appena la mano di Kakuzu si fu completamente posata sulle labbra serrate del grigio, gli occhi viola si riaprirono molto lentamente e uno alla volta, finché non incrociarono le pupille del partner, intente a fissarlo dall'alto, posizionato com'era sopra di lui, con un piede a terra e un ginocchio appoggiato al letto; il braccio libero era completamente teso, e il palmo era ben aperto sulle lenzuola, per sostenere il peso.
Le mani dell'immortale si posarono sul polso poco lontano dal suo viso, ma senza imporre alcuna pressione, più come un gesto “simbolico” che come metodo per farlo allontanare. Probabilmente era solo un pretesto per aumentare i punti di contatto.
I muscoli del grigio si rilassarono man mano che il tempo passava, man mano che si accorgeva che non era per ucciderlo che Kakuzu l'aveva portato lì. E nonostante il leggero terrore misto ad un'affamata curiosità fosse ancora presente, Hidan poteva leggere negli occhi verdi del ragazzo non l'istinto omicida che lo assaliva quando – e ne era ben cosciente – lo faceva innervosire parecchio, quanto piuttosto una volontà di accedere agli angoli più remoti della sua mente, della sua coscienza, di conoscerlo a fondo e di sbarazzarsi con la forza di ciò che li teneva ancora separati e distanti.
Lo stava, insomma, analizzando. E l'immortale non sapeva per niente come reagire. Non si erano mai ritrovati in una situazione così intima, per quanto più volte ci avesse sperato, Kakuzu non l'aveva mai guardato – o perlomeno non in quel modo -, non erano mai stati inghiottiti da un silenzio così imbarazzante quanto perfetto, che sembrava volesse spingerli ad agire e al contempo creava un'atmosfera tanto pacifica e calma che li convinceva a rimanere immobili.
Lentamente, quasi a rompere quella quiete magica, il palmo della mano di Kakuzu si separò dalla bocca - che rimase chiusa - di Hidan, seguito dalle dita e dai polpastrelli, che si staccarono svogliatamente.
Solo dopo qualche istante le labbra del grigio si schiusero, senza lasciar però uscire nessun suono e l'immortale sbatté le palpebre un paio di volte, come per assicurarsi che quello non fosse semplicemente uno strano quanto piacevole sogno.
Il braccio si alzò fino a giungere al copricapo del castano e la mano si posò senza troppa delicatezza sul velo che gli copriva la bocca, il quale si abbassò sotto il peso delle dita del grigio. Gli occhi viola seguivano il movimento lento e pigro del tessuto, per poi focalizzarsi sulle labbra del più alto, sulla cucitura ai lati e sulle piccole ciocche di capelli che approfittarono del gesto del più basso per uscire allo scoperto.
Gli occhi del castano si chiusero un poco, il gomito si piegò senza fretta e le labbra si unirono a quelle del compagno in un piccolo e inspiegabilmente tenero bacio. Bacio che terminò tuttavia pochi istanti più tardi, e che venne interrotto proprio da Kakuzu.
«Togli tutto...». Hidan non riuscì subito a capire cosa il castano intendesse dire (anche perché il suo cervello non sembrava funzionare correttamente in quel momento), ma bastò qualche secondo affiché la sua mente riuscisse ad elaborare quella richiesta da parte del compagno.
Salì con le dita sul copricapo, imprimendo una leggera forza con le esili dita e facendo in modo che la testa si liberasse da quello che aveva più l'aria di essere un ingombro inutile in quell'istante.
Dopodiché le mani si posarono sulla divisa nera e rossa, ricercarono con affamata avidità la cerniera che la teneva chiusa, che imprigionava quel corpo che avrebbe tanto voluto vedere e avere. La abbassò, posando gli occhi viola sulle ciocche scure, e Kakuzu poté notare quanto le pupille brillassero più del solito.
In poco tempo, entrambe le divise si ritrovarono a terra, grazie ai movimenti rapidi e quasi inconsapevoli delle dita di entrambi.
Il più alto osservò il petto in quel momento finalmente nudo del grigio, che nonostante fosse continuamente sottoposto ai terribili sacrifici del devoto a Jashin non presentava nemmeno un graffio.
Hidan non si era minimamente accorto dell'attenzione del compagno sul suo corpo, tant'è che anche lui si era ritrovato nella medesima situazione: i lunghi capelli castani del partner erano da poco ricaduti sulle sue spalle e su quella "pelle" scura e coperta di cuciture che non aveva mai pensato di amare a tal punto. O meglio, non lo aveva mai ammesso a se stesso.
E non lo avrebbe fatto nemmeno in quel momento, se le sue stesse pupille non si fossero prepotentemente fissate sul petto nudo del ragazzo come se fosse stata l'unica fonte d'acqua in un deserto immenso.
«Hidan?». La voce bassa di Kakuzu lo risvegliò in parte dai suoi pensieri, ma non ebbe il tempo di reagire nel momento in cui proprio il più alto si abbassò su di lui lasciandogli lievi baci sul collo. Il grigio serrò gli occhi e le labbra, inclinando la testa quasi come un gatto che segue la mano del padrone.
Il ninja lo guardò, allontandosi un poco e gli posò la mano sulla guancia sinistra, appoggiandosi totalmente sul braccio destro e sul ginocchio affondato nel letto. Hidan chiuse un occhio, quello più vicino alle dita, e alzò l'altro per guardare il viso intenerito seppur inflessibile del compagno.
Quest'ultimo si abbassò nuovamente, dopo aver lasciato timide carezze con il pollice sulla pelle, poco sotto alla palpebra abbassata, e allontanò le dita dal viso del partner, posandogliela sul petto nudo ed esercitando una leggera pressione a causa del peso. Hidan si fece sfuggire un lieve broncio contrariato, che però ricevette subito un altro tenero ma più lungo bacio da parte delle labbra del più alto; chiusi gli occhi verdi, poi, Kakuzu aumentò l'intensità e il contatto con quelle del grigio, che inconsciamente le aprì serrando le palpebre.
Le mani scure del castano iniziarono a passare in rassegna ogni centimetro della pelle del compagno, accarezzando prima la spalla sinistra, posandosi poi per qualche breve istante sul collo e proseguendo infine verso il basso. Le dita fredde del più scuro si scontrarono con le clavicole del grigio e ne analizzarono la struttura, quasi curiose e sorprese di ritrovarle in un corpo immortale.
Ma non appena i polpastrelli e il palmo della mano giunsero sul petto e presero delicatamente a sfiorarlo e ad accarezzare con gentilezza la parte più spesso colpita e trafitta dalla lancia dello stesso Hidan, il più basso scoppiò in una fragorosa risata che interruppe improvvisamente il contatto con le labbra ancora non completamente soddisfatte del più alto. Gli occhi viola erano chiusi, i muscoli si irrigidirono e la schiena si inarcò lievemente al tocco cauto di Kakuzu, il quale inclinò di pochissimo la testa senza separare le punte delle dita dalla pelle chiara del ragazzo, limitandosi ad osservare curioso la sua espressione, i suoi movimenti, e ad analizzare quella reazione alquanto strana e inaspettata.
«Kakuzu, smettila, mi fai il solletico così!!». La voce del grigio parve così limpida e la sua risata così spontanea e sincera che il castano non riuscì a distogliere l'attenzione da lui, dal suo viso, dalle sue labbra.
Sentì un calore mai provato prima farsi spazio nel suo petto, mentre l'espressione solitamente impassibile mutava lentamente aspetto. Un timido e lieve, quasi impercettibile sorriso prese prede sul suo volto, le dita scorrevano ancora senza sosta sulla pelle sensibile dell'immortale che non riusciva a trattenere le grosse risate provocate dal minimo quanto intenso contatto, gli occhi violacei rimasero serrati finché la mano non fu totalmente staccata dal suo corpo, gli arti si dimenavano ma non troppo, bloccato com'era dal braccio teso di Kakuzu.
Lentamente, i polpastrelli abbandonarono il piccolo paradiso che avevano appena scoperto, lasciando ad Hidan un minimo di respiro e di tranquillità che lo aiutarono quantomeno a riprendere fiato.
Il petto si alzava e abbassava a ritmo veloce ma sempre più regolare, sotto lo sguardo attento e ancora illuminato da un quasi invisibile sorriso compiaciuto del castano.
Mille pensieri gli erano passati per la testa, ma non aveva dato ascolto a nemmeno uno di essi, finché la calma non ritrovò posto tra i due e il respiro dell'immortale non si fece più pacato e silenzioso. Fu solo allora che le domande più disparate affollarono la mente del più alto. Quanto aveva aspettato per sentire una risata simile? O meglio ancora, da quanto tempo aveva desiderato di sentirla? E quel sorriso, da dove spuntava? Aveva per caso perso il controllo sui muscoli facciali? Le cuciture erano fatte male?
Un ghigno soddisfatto e colmo di malizia si impossessò del viso finalmente tranquillo del grigio.
«Kaaaakuuuzu~? Cos'è quella faccia? Sembra che tu abbia appena visto Jashin-sama in persona!».
Un lieve sospiro più di sollievo che di stanchezza fuoriuscì dalle labbra del ninja.
«Zitto, Hidan...».
«Perché non mi fai stare zitto tu, eh, Kaaaaakuzu-chan~?».
«Non farmi pentire di ciò che ho fatto dopo nemmeno dieci minuti...».
«Haaaaah?! Io non ho fatto assolutamente niente, lo giuro su Jashin-sam-».
Hidan non riuscì a finire la frase in tempo. Non appena Kakuzu lo sentì pronunciare il nome di quel dio in cui non avrebbe mai creduto pienamente, il suo corpo agì quasi d'istinto, spostandosi lievemente in avanti e posando ancora una volta, due, tre, le labbra sulle sue, chiudendo gli occhi verdi e lasciandosi trasportare dal silenzio di quei momenti.
Quel giorno non aveva potuto conoscere a fondo Hidan, ma quantomeno aveva trovato un modo efficace, semplice, rapido e soprattutto piacevole per zittirlo.
Mai come in quel momento Kakuzu era stato grato a non avrebbe nemmeno saputo definire lui esattamente chi per la lingua irrefrenabile e del compagno e la sua difficoltà nel tenere la bocca chiusa.





Piccola nota dell'autrice
Per una parte della fic ho preso spunto da una bellissima doujinshi KakuHida, Akai Ame, che trovate cliccando qui. Vi consiglio vivamente di darci un'occhiata, perché merita!
Alla prossima, e grazie di aver letto!
   
 
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