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Autore: Mary P_Stark    26/04/2017    3 recensioni
Inghilterra - 1823
Elizabeth Kathleen Spencer, figlia di Christofer e Kathleen Spencer, si appresta ad affrontare la sua prima Stagione a Londra e se, per lei, questa è un'avventura in piena regola, per il padre appare come un incubo a occhi aperti.
Lizzie - come Elizabeth viene affettuosamente chiamata in famiglia - è ben decisa a divertirsi nella caotica Londra, in compagnia della sua adorata amica Charlotte, e non ha certo in mente di trovarsi subito un marito.
Al pari suo, Alexander Chadwick, secondogenito del duca Maxwell Chadwick, non ha interesse ad accontentare le mire paterne, che lo vorrebbero accasato e con figli, al pari del primogenito.
Per Alexander, le damigelle londinesi non hanno alcuna attrattiva, troppo impegnate a mostrarsi come oggetti di scena, per capire quanto poco, a lui, interessino simili comportamenti.
L'atteggiamento anticonformista di Elizabeth, quindi, lo coglie di sorpresa, attirandolo verso di lei in una spirale sempre più veloce, che li vedrà avvicinarsi fino a sfiorarsi, sotto un cielo di stelle, mentre il Fato sembra cospirare contro di loro. - Seguito di UNA PENNELLATA DI FELICITA'
Genere: Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Serie Legacy'
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15.
 
 
 
 
 
Passeggiando nervosamente per la sua stanza, con Lorelai intenta a scrutarla con espressione turbata, Elizabeth sbatté per l’ennesima volta le braccia contro i fianchi, sconsolata.

“Quando mai imparerò a tapparmi la bocca?” sbottò ancora una volta la giovane, irritata con se stessa per la sua lingua lunga.

“Miss Lizzie, sono più che sicura che lord Chadwick non ce l’ha con voi. Avrà sicuramente compreso che avete parlato con il cuore, per difendere i vostri genitori, non certo per offendere lui” cercò di persuaderla la cameriera, pur non sapendo bene cosa si fossero detti i due giovani.

La sua padrona era stata assai sconclusionata, nella sua confessione mattutina, mentre lei era intenta a pettinarle i capelli.

Anzi, forse non aveva mai visto miss Elizabeth così spaventata e spaesata in vita sua.

Ma l’ho fatto!” esalò la ragazza, crollando sul bordo del letto, coprendosi il viso con le mani per la disperazione.

Subito, Lorelai la raggiunse e, sfiorandole una spalla con il tocco consolatorio di una mano, sussurrò: “Coraggio, miss Lizzie… andate a fare colazione, poi fatevi accompagnare da lord Andrew al parco. Sono sicura che una passeggiata vi farà bene.”

Elizabeth assentì meccanicamente e, nel risollevarsi, prese un gran respiro, sorrise coraggiosamente alla cameriera e borbottò: “Scusatemi, Lorelai. Ho scaricato il mio malumore su di voi.”

“Mi spiace soltanto di non poter essere d’aiuto, miss Lizzie” scosse il capo la giovane, offrendole una pezzuola fresca per tergersi il viso.

La ragazza se la passò sul volto con delicatezza e infine uscì, recandosi nel salottino per la colazione dove, con tutta probabilità, avrebbe trovato solo i fratelli.

Sapeva bene che sua madre e suo padre avevano l’abitudine di alzarsi prestissimo, contrariamente ai figli, cui piaceva dormire un po’ di più.
 
***

Forse, presentarsi dinanzi alla villa degli Spencer di primo mattino, non era la soluzione ideale per risolvere il suo stato di prostrazione ma, d’altra parte, cosa gli rimaneva?

Strisciare? Poteva darsi.

Pregare Elizabeth di perdonarlo per la sua stoltezza? Sicuramente.

Farsi battere da suo fratello a una competizione di boxe? Se fosse stato necessario…

Gli sarebbe bruciato perdere un duello ma, per scongiurare la fine prematura della loro amicizia – e di tutto quello che avrebbe potuto seguire a essa – era disposto a tutto.

D’altronde, aveva ricevuto sufficienti insulti da parte del padre – e della madre, dio onnipotente! – per non tentare l’impossibile.

Quando era tornato a casa - la notte precedente - sconsolato e irritato con se stesso, suo padre gli aveva fatto un terzo grado degno della Santa Inquisizione, e sua madre gli aveva dato il colpo di grazia.

Quei due, avrebbero potuto vincere da soli la guerra contro Napoleone, ai tempi.

Un vero peccato che non vi avessero partecipato. Lord Wellington avrebbe avuto vita facile, con loro.

Era stato umiliante ammettere come avesse eccelso nell’arte dell’idiozia, con Elizabeth.

Altrettanto umiliante, era stato notare quanto la cosa avesse fatto ridere a crepapelle il padre.

Prima della reprimenda, ovviamente.

Sua madre era stata più tenera… ma solo i primi dieci minuti.

In seguito, gli aveva fatto una lavata di capo tale da fargli temere di perdere l’uso dell’udito per tutto il resto della sua vita.

Wilford l’aveva guardato con espressione spiacente, avendo già sperimentato in passato il loro fuoco incrociato.

Per questo, non era intervenuto in sua difesa.

Dopotutto, aveva moglie e figli. Era un imperativo, per lui, sopravvivere per prendersene cura.

E Alexander, in fondo, se l’era cavata solo con l’amor proprio calpestato da entrambi i genitori, e l’autostima ridotta al lumicino.

Un giusto prezzo da pagare, per il guaio colossale che aveva combinato.

Dopo una lunga notte insonne, quindi, era disceso nelle cucine simile a un condannato a morte, aveva ingollato un po’ di latte, mangiato un panino dolce ed era infine uscito con Apollo.

Data l’ora antelucana, Alexander non aveva potuto suonare la campanella a lato della porta e, sconsolato, aveva legato il cavallo alla ringhiera e si era seduto sui gradini della villa degli Spencer.

Gradini su cui lo trovò Christofer, aprendo la porta per uscire e recarsi alla Camera dei Lord.

Il suono della porta che si apriva fece sobbalzare Alexander che, levandosi in piedi come una molla, avvampò in viso non appena vide il padrone di casa dinanzi a lui.

Inchinandosi lesto, mormorò un ‘buongiorno’ stentato e infine risollevò il viso, tastando con mano le emozioni dell’uomo.

Il sorriso comprensivo che si ritrovò a fissare lo stupì non poco e, quando Harford lo invitò a entrare, Alexander si chiese fuggevolmente cosa stesse succedendo.

In silenzio, lo seguì in un piccolo salottino dai toni dell’azzurro e lì, dopo averlo pregato di accomodarsi, Christofer chiosò: “A quanto vedo, la notte è stata inclemente anche con voi, Alexander.”

“Non è stata una delle migliori degli ultimi tempi, in effetti” assentì lui, rigirando nervosamente la tesa della tuba tra le mani.

“Siete qui per Elizabeth?” domandò a quel punto Christofer, poggiando il gomito sull’orlo del camino, lo sguardo fisso sul volto piacente del giovane.

Non fosse stato per le profonde borse sotto gli occhi, segno di una nottata difficile e combattuta, Christofer lo avrebbe trovato assai affascinante.

Anche troppo.

Dubitava, comunque, che la figlia si fosse intestardita con quel giovane solo per il suo bel viso, o almeno così sperava.

Le infatuazioni potevano essere belle quanto pericolose, e lui non voleva un matrimonio riparatore, per la figlia, né un’unione senza amore.

Deglutendo a fatica, Alexander mormorò: “Sono qui unicamente per scusarmi con voi, innanzitutto, e con vostra figlia, in seconda istanza.”

“Con me? E perché mai?” replicò sorpreso Christofer. “Per ciò che vi siete detti voi e mia figlia?”

“Ve ne ha parlato, dunque. Bene, così non vi dovrò spiegazioni ulteriori” sospirò il giovane, assentendo. “Non era mia intenzione ferirla, né mettere in dubbio la forza del vostro matrimonio con lady Spencer… davvero non so cosa mi sia preso. E dire che padroneggio più che bene la favella.”

Alexander sospirò pesantemente, scuotendo contrito il capo per il fastidio.

Christofer sorrise maggiormente, pensando tra sé: “Oh, io so bene perché sei andato fuori dal seminato, mio caro…”

“Non avete raccontato nulla che non sia di dominio pubblico, lord Chadwick. Piuttosto, avremmo dovuto essere noi, più chiari con i nostri figli, invece abbiamo tralasciato cose che avrebbero potuto udire da chiunque fosse stato presente il giorno del nostro matrimonio.”

“Ugualmente, avrei dovuto tacere, visto quanto so del suo attaccamento a voi.”

Accigliandosi leggermente, Christofer replicò dicendo: “Ah, sì? E come lo sapete?”

“Semplice. Vostra figlia me ne ha parlato lungamente. Miss Elizabeth non è come le classiche damigelle impostate e, permettetemelo, assai noiose che sono solite varcare la soglia di Almack’s. E’ spontanea e sincera, e questo è un particolare che apprezzo molto, in lei.”

Prima ancora che a Christofer fosse permesso di chiedere altro, la porta del salottino si aprì di botto e, sulla soglia, comparve una trafelata Elizabeth, accaldata in viso e con gli occhi sgranati.

Le onde castano dorate erano sparse confusamente sulle spalle, e qualche ciocca era sfuggita alle spille che Lorelai le aveva applicato sulle tempie.

Al padre non occorse molto per capire che qualcuno aveva fatto la spia, riguardo la presenza di Alexander in casa, e lei si era catapultata al piano terra senza tener conto dei risultati.

Fosse stata un’altra ragazza, sarebbe impazzita di vergogna per il solo fatto di avere i capelli in disordine, ma non la sua Lizzie.

Raddrizzandosi alla svelta e passandosi le mani sulla gonna color rosa pallido per rassettarla, Elizabeth sorrise con grazia, si esibì in una riverenza e mormorò: “Lord Chadwick. Buongiorno.”

Alexander si levò in piedi per un inchino e, sorridendo appena, disse: “Buongiorno a voi, miss Elizabeth. Siete mattiniera.”

“Non come i miei genitori…” replicò lei, ammiccando al padre, che si limitò a sorridere tranquillo, discolpandosi da qualsiasi colpa lei tentasse di imputargli, tipo quella di aver bistrattato il giovane. “…ma sto cercando di migliorarmi.”

“Puntare al miglioramento di se stessi è sempre un’ottima attività” assentì il giovane, con garbo. “Proprio per questo, mi trovo qui. Poiché ieri sera ho dimostrato tutta la mia inettitudine, sono giunto qui per chiedervi umile perdono, sperando di non aver rovinato la nostra neonata amicizia con la mia dabbenaggine.”

Reclinando colpevole il capo, Elizabeth mormorò per contro: “Sono io a dovervi delle scuse, lord Chadwick, poiché ho parlato senza coscienza della verità, e ho finito con il rivolgervi insulti davvero beceri e fuori luogo.”

“Niente affatto, miss Elizabeth. Avrei dovuto essere io, a cogliere quanto fossi in errore. Dopotutto, essendo il più maturo tra noi due, avrei dovuto essere più avveduto, invece mi sono comportato come uno sciocco bambino con il desiderio di prevalere a tutti i costi” le ribatté Alexander, ignaro dell’accorato studio che Christofer stava svolgendo sui due giovani.

Raddrizzando il capo con serio cipiglio, Lizzie replicò: “Affatto, milord. La vostra maggiore età non deve essere una colpa, poiché possiedo assennatezza sufficiente – o dovrei possederne – per capire quando fermarmi, eppure non l’ho utilizzata.”

“Dissento totalmente, Elizabeth. Non avete colpe da rivolgervi, ma potete rivolgerle a me, e a ben d’onde” le ritorse contro il giovane, scuotendo il capo.

“Ma come, Alexander? Cedete così, senza neppure combattere un po’ per la vostra vittoria? Eppure, non mi sembrate un tipo che ama perdere, o lasciar correre” gli rinfacciò Elizabeth, avanzando di un passo.

“Come, prego? Qui non si tratta di vincere o perdere, mia cara Silfide, ma di farvi capire, una volta per tutte, che io ho torto, e voi ragione. Sono un idiota, questo è quanto” sottolineò Alexander, accigliandosi.

Poggiando le mani sui fianchi, Lizzie allora sbottò dicendo: “Oh, ma guarda! Ora mi tocca anche alzare la voce con voi, per avere per me la parte della sciocca, mentre vi sto dando il ruolo del saggio e dell’accorto favellatore. Siete davvero impossibile!”

Schiacciando indice e pollice sull’attaccatura del naso, Alexander replicò vagamente piccato: “Con tutto il dovuto rispetto, piccola Valchiria dall’animo battagliero, non mi pare che tacciarmi di essere saggio e accorto, sia quello che voi avete detto ieri sera. E avevate ragione, naturalmente… ieri sera, intendo. Perciò non capisco perché, stamani, avete deciso di sparigliare le carte a questo modo.”

“Non spariglio niente! Siete voi che lo fate, come vostro solito!” sibilò Elizabeth, puntando un dito contro il suo petto.

Fu solo a questo punto che i due si accorsero di essersi avvicinati l’un l’altra, e di molto, durante quello scontro verbale sempre più sferzante.

Christofer scelse quel momento per scoppiare in una gaia risata, esalando: “Davvero, davvero esilarante.”

“Prego?” gracchiarono entrambi loro, sconcertati.

“Perché non invitate mia figlia per una passeggiata a cavallo nel parco, lord Chadwick? Sarò lieto di darvi il benestare per un invito ufficiale, senza chaperon al seguito” disse a quel punto l’uomo, sorridendo per un istante alla figlia.

Affrettandosi a inchinarsi, Alexander mormorò: “L’onore che mi concedete è grande, milord, e vi prometto che mi prenderò cura di lei nel migliore dei modi.”

“Non mi aspetto niente di meno” assentì Harford. “Coraggio, cara. Vai a cambiarti. O vuoi che lord Chadwick attenda qui un’eternità?”

Elizabeth fece per rimbeccarlo, ma preferì astenersi e, con un’aggraziata riverenza, si involò fuori dal salottino per raggiungere le sue stanze.

Rimasto solo con Christofer, Alexander asserì con maggiore serietà: “La terza cosa che volevo chiedervi era, per l’appunto, quella che mi avete appena concesso. Desidero frequentare vostra figlia, perché credo che potrebbe essere la persona giusta, per me.”

“Sarà Elizabeth a dirmi quello che vorrà per sé, ma avete il mio consenso a frequentarla” assentì Christofer, con altrettanta serietà. “E ora, se volete scusarmi, devo raggiungere in fretta il Parlamento. Posso dire a vostro padre di questo cambio di rotta, o preferite farlo voi?”

“Fatelo pure voi. Si è già divertito stanotte, a darmi dell’idiota per aver irritato miss Elizabeth” sospirò Alexander, sorridendo contrito all’uomo, che sorrise divertito nell’uscire. “Una soddisfazione basta e avanza.”
 
***

Ritta in sella a Pilgrim, lo sguardo perso dinanzi a lei e il cuore che batteva a profusione nel petto, Elizabeth trovò difficile persino respirare correttamente.

Figurarsi parlare.

E dire che era sempre stata un’inguaribile chiacchierona!

Certo, andava pur detto che non si era mai trovata in una situazione simile, con un gentiluomo al suo fianco… su consenso ufficiale di suo padre.

Trattandosi di un appuntamento all’aperto, sua zia non era stata interpellata.

Se si fosse trattato di una semplice uscita, come quelle che aveva avuto con Raymond, sarebbe stata presente, ma così…

Molto semplicemente, Alexander le stava facendo la corte, perciò aveva diritto a passeggiare da solo con lei, pur mantenendo il decoro, ovviamente.

Il viso le andò in fiamme, a quel pensiero e il giovane al suo fianco, avvedendosene, sorrise indulgente e mormorò: “Se fossi avvezzo ai rossori, a quest’ora sarei nella vostra stessa situazione.”

“Come, scusate?” esalò lei, volgendosi per guardarlo.

I suoi occhi blu notte apparivano spauriti, in effetti, e del tutto confusi. Niente affatto sicuri e vagamente ironici come erano solitamente.

Era mai possibile che fosse realmente in imbarazzo anche lui?

Grattandosi una guancia, su cui iniziavano a comparire i segni della barba di un giorno, Alexander ammise: “Se conoscete abbastanza il mio passato – e penso che lord Phillips ve l’abbia riferito…”

“Ho origliato, ricordate?” gli rammentò lei, sorridendo appena.

“Oh, giusto. Sono notizie rubate” sorrise a sua volta il giovane, annuendo. “Comunque, avrete sentito che non sono solito intrattenermi con il gentil sesso per… beh, per intraprendere una relazione di alcun genere.”

“Sì, Anthony ha detto che non siete un perdigiorno e un… un farfallone? Non ho esattamente ben capito cosa intendesse dire, con questo” asserì Elizabeth, poggiandosi il dito indice sul mento.

“Letteralmente, vorrebbe dire indefesso corteggiatore di donne.”

“Oh. Ecco perché è una parola che non ho mai sentito usare, in casa. Mio padre si rivolterebbe, al solo pronunciarla. Teme che io possa caderne vittima a ogni angolo di strada così, se non li nomina, pensa di salvarmi da un tale destino” ammiccò lei, facendolo ridere sommessamente.

“Meno male, Elizabeth… temevo di avervi sconvolto a morte, con questo appuntamento raffazzonato tra capo e collo” sospirò di sollievo il giovane.

“Beh, ecco… sconvolta proprio no, ma… sono curiosa, e molto…” ammise lei, reclinando il viso per curiosare le proprie mani che, con attenzione, trattenevano le briglie.

“Riguardo a cosa, se posso chiedere?”

“Al motivo dell’appuntamento, mi sembra ovvio” replicò la ragazza, tornando a scrutarlo in viso.

Alexander sembrava interdetto, come se la risposta alla sua domanda fosse ovvia.

Accigliandosi leggermente, Elizabeth aggiunse: “Non guardatemi come se fossi sciocca. Vorrei davvero saperlo.”

“Sul serio non avete idea del perché vi abbia invitata?”

“Affatto. Anzi, pensavo che, dopo la mia sfuriata del tutto fuori luogo, non voleste più aver a che fare con me” sottolineò lei, scrollando le spalle.

Il giovane, allora, rise bonario e, nel sorriderle indulgente, asserì: “Ammiro il fatto che non abbiate peli sulla lingua, nel parlare, e non abbiate paura di rinfacciarmi le cose, quando dico sciocchezze.”

“Ma non le avete dette. Io, piuttosto, ho azzardato ipotesi su un argomento che, in realtà, non conoscevo come credevo” borbottò la ragazza, scuotendo il capo.

“Non è questo il punto, mia cara Valchiria. Eravate convinta di ciò che dicevate, e non avete avuto il timore di scontentarmi, asserendo il vostro punto di vista.”

“Le persone vi mentono spesso, Alexander?” gli domandò allora Elizabeth, vagamente turbata.

“Per tentare di entrare nelle mie grazie? Spesso e volentieri” annuì sarcastico lui. “Le matrone del Ton amano avermi nei loro salotti, desiderose di mostrarmi ai loro ospiti. Chi non vorrebbe avere il ragazzo che ha messo a tacere niente meno che lord Wellesley?”

Elizabeth sospirò spiacente nel notare il dolore cocente nei suoi occhi e, dentro di sé, desiderò scagliarsi contro quelle donne che l’avevano trattato al pari di un oggetto.

“Mi fanno offerte che farebbero inorridire anche il più affermato farfallone, per tornare in argomento… i loro mariti, per contro, mi vogliono per motivi molto più spiacevoli, e cioè per dimostrare che non valgo quello che i più dicono di me” aggiunse infine il giovane, sorridendole mestamente.

“Orribile” sentenziò Elizabeth, scuotendo il capo. “Dovreste mandarli bellamente al diavolo, e infischiarvene di tutti. La vostra intelligenza e sagacia dovrebbero essere un vanto, non uno strumento per farsi belli agli occhi degli altri, o un tentativo per dimostrare cose che non esistono.”

Sorridendo con calore, lui mormorò: “Lo dice anche mio padre.”

“Non ho mai avuto il piacere di conoscerlo, ma mi piace già come ragiona” ammiccò Elizabeth prima bloccarsi, mordersi il labbro inferiore e domandare: “E se saltasse fuori che uno dei due non è… interessato all’altro?”

Alexander rise sommessamente, e disse: “Vostro padre è stato chiaro, con me. Sarete voi, e solo voi, ad avere l’ultima parola. E, in cuor mio, non vorrei mai una donna che non mi vuole. Sarebbe un’unione davvero miserevole. Non è un caso se, fino a ora, sono fuggito dalla gabbia del matrimonio a gran velocità. Nessuna donna sembrava desiderare ciò che io volevo per entrambi. Una libera scelta.”

“Oh, giusto… il liberale convinto” ironizzò Elizabeth, pur sentendosi scaldare dentro.

Il padre voleva questo, per lei? La più totale libertà di scelta?

Anche solo per questo, lo avrebbe amato a dispetto di tutto.

Tornando serio, Alexander si volse per osservare la passeggiata deserta che si estendeva dinanzi a loro – il parco di Grosvenor non era molto gettonato, per le promenade – e mormorò: “Sono cresciuto con donne fiere, Elizabeth, e ne ho sempre apprezzato la forza sottile e la sagacia. Non mi permetterei mai di pensare che mia madre è inferiore in qualcosa a mio padre, pur se la cultura dei nostri tempi vi relega in una posizione di ben infimo rilievo.”

“E’ un pensiero molto carino… ma non penso che troverete molti sostenitori, in questo” gli fece notare lei.

“Non mi interessano i sostenitori quanto, piuttosto, mantenere saldi i miei principi” sottolineò il giovane, volgendo lo sguardo verso di lei. “Raymond la pensa come me ma, avendo il padre che ha, spesso e volentieri entra in conflitto con lui.”

“Raymond è davvero troppo gentile, per avere un padre simile” sospirò Elizabeth, spiacente.

“Concordo pienamente ma, a discapito della sua gentilezza, sa essere forte e determinato, quando l’esigenza lo richiede” replicò Alexander, con un mezzo sorriso.

“E’ sicuramente determinato a conquistare Charlotte” sorrise Elizabeth.

“Oh, più che sicuro. Credo di conoscere tutto, di miss Ranking, pur avendola vista ben poche volte, in queste settimane” sorrise divertito Alexander, facendola ridere.

“Beh… entrambi loro sono molto ciarlieri, riguardo l’un l’altra” ammise la giovane. “Hanno molte cose in comune, anche se Charlotte ha sicuramente la lingua più pungente, rispetto a Raymond.”

“Giovani pestifere e dalla mente arguta… qualità che apprezzo molto, tra l’altro” sottolineò Alexander, ammiccando.

Elizabeth sorrise a mezzo prima di bloccare la cavalcatura, fissare con aria di sfida il cavaliere al suo fianco e infine dire: “Voglio mettervi alla prova. Vi lascerete sfidare, milord?”

“Mi tentate,… perciò sì. Ammesso e non concesso che questo non voglia dire mettervi in pericolo” sottolineò Alexander, giusto per prevenire qualsiasi guaio.

“Oh, per difendermi bastate voi, visto il luogo in cui andremo” rise la ragazza, lanciando al galoppo il cavallo e costringendo il giovane a seguirla.

Sperava soltanto non si mettessero nei guai, o Christofer Spencer avrebbe potuto mostrargli il suo lato più oscuro. Poco ma sicuro.
 
***

Quando Elizabeth bloccò la sua cavalcatura dinanzi all’orfanotrofio ‘Andrew Campbell’, nel quartiere di Whitechapel, si volse a mezzo e sorrise ad Alexander.

Non era esattamente il luogo più adatto, per un appuntamento, visto che era uno dei quartieri più degradati di Londra, ma Alexander contava che, in pieno giorno, non succedesse nulla.

Inoltre, quando vide Elizabeth puntare con sicurezza verso la porta d’ingresso, immaginò che quello fosse uno degli orfanotrofi gestiti dalla famiglia.

Seguendola perciò con sicurezza, le porse il braccio e attese con lei che qualcuno venisse loro ad aprire e, nel frattempo, si chiese il perché di quella fermata.

Voleva forse metterlo alla prova, di fronte alle condizioni miserevoli di quei pargoli?

Era possibile.

La maggioranza della nobiltà se ne infischiava del popolino, e forse lei voleva sapere realmente con chi aveva a che fare, e non solo udire la sua favella.

Cosa in cui, per altro, eccelleva.

Quando finalmente il battente si aprì, Alexander fece per inchinarsi alla matrona che si parò loro innanzi ma, quando scorse l’ansia sul volto dell’anziana signora, esalò: “Cos’è successo?”

Elizabeth, però, precedette qualsiasi risposta della donna, penetrò quasi di corsa nello stabile e, nel vedere i bambini in lacrime nel corridoio, esclamò: “Mrs Kenwood, dov’è Roy?! Perché non è qui con i ragazzi?!”

Ai limiti del pianto, Mrs Kenwood scosse il capo, come se non fosse in grado di parlare e uno dei ragazzi più grandi, prendendo in mano le redini della situazione, disse: “E’ sparito, miss Elizabeth. L’abbiamo scoperto stamattina presto, per colazione. Ci siamo messi a cercarlo in lungo e in largo e, caspita, mica si può nascondere, no? Non ci sono buchi o che, qui!”

Elizabeth assentì, cercando di sorridere, e il ragazzino, Jason, proseguì.

“Insomma, quando non ci abbiamo cavato un ragno dal buco, abbiamo chiamato Mrs Kenwood e miss Keegan, che è andata a chiamare i poliziotti… ma io mica sono convinto che vengano. Siamo orfani. Che vuole che gliene importi, a loro?”

Gonfiandosi come un pavone, Elizabeth poggiò una mano sulla spalla del ragazzino, lo fissò con sguardo adamantino e dichiarò: “Importa a me, Jason. Lo dirò a mio padre e, di sicuro, la sua parola peserà a sufficienza perché i poliziotti si impegnino per trovarlo. Va bene?”

“Voi siete buoni con noi, per cui penso che va bene” assentì il ragazzo, prima di notare la presenza di un estraneo. “Vi siete fatta il fidanzato, miss?”

Elizabeth avvampò come uno stoppino, di fronte all’affermazione angelica del ragazzo e, mentre Mrs Kenwood lo richiamava per la sua sfacciataggine, Alexander rise e asserì: “Sono un amico della vostra miss Elizabeth e, se me lo permetterete, aiuterò anche io.”

A quelle parole, la ragazza lo fissò con curiosità e, nell’avvicinarsi a lui, sussurrò: “Cosa avete in mente?”

“Sono abbastanza bravo a ficcare il naso qua e là, sennò non sarei sempre così informato su tutto. Non sarò all’altezza del vostro lord Phillips, ma me la cavo abbastanza, coi segreti” le sorrise malizioso lui, già pregustando l’adrenalina scatenata da quella ricerca.

“Non vi caccerete nei guai, spero!” sussurrò preoccupata Elizabeth.

“Non commetterò errori… nei limiti del possibile.”

E mi riferirete ciò che scoprirete” aggiunse lei, fissandolo con intenzione.

“Sarebbe rischioso.”

“Si sta parlando dei miei protetti, Alexander” sottolineò Elizabeth, perentoria.

Sospirando, il giovane assentì, ma aggiunse: “Il fatto che io vi parli di ciò che scoprirò, non significa che farete qualcosa oltre l’ascoltare.”

“Non vi prometto nulla” si limitò a dire la ragazza, prima di guardare Mrs Kenwood e dire: “Vado a parlare subito con mio padre. Non temete. Ritroveremo Roy.”

“Lo spero tanto, miss Elizabeth. Sarebbe un disastro se sua madre lo avesse portato via da qui, dopo averlo abbandonato” sospirò la donna.

Preferendo non esprimere i propri dubbi, Elizabeth le batté una mano sulla spalla prima di uscire di gran carriera dall’orfanotrofio assieme ad Alexander.

Il loro appuntamento non si stava svolgendo esattamente come aveva immaginato la sua prima uscita con un gentiluomo, ma in quel momento non aveva importanza.

Doveva trovare suo padre, e riferirgli quanto era successo.
 
***

L’agente di Bow Street ascoltò con attenzione la deposizione dei ragazzini più grandi dell’orfanotrofio, oltre che delle due donne che si prendevano cura di loro.

Christofer, nel frattempo, era ritto accanto a Mrs Kenwood per darle conforto, mentre Elizabeth e Alexander erano leggermente defilati, fermi accanto alla stanza dei giochi.

Ormai, il pomeriggio stava volgendo al termine e, per quel giorno, non sarebbe stato fatto nulla per trovare il piccolo Roy, di cui erano spariti anche i pochi averi.

Quando, infine, l’agente se ne andò con un saluto a lord Spencer, Christofer sospirò, diede una pacca sulla spalla a Mrs Kenwood e asserì: “Metterò sulla pista anche un mio fidato amico, Mrs Kenwood, non temete. Ritroveremo Roy in men che non si dica.”

“Mi scuso immensamente per avervi disturbato, lord Spencer…” sospirò la donna, stringendo le mani intorno a quella forte del conte.

L’uomo le sorrise, scosse il capo e, nell’osservare orgoglioso la figlia, replicò: “Elizabeth ha fatto bene a chiamarmi. Ciò che succede qui mi interessa molto, perciò non c’è nulla da perdonare.”

“Spero solo non gli sia successo nulla di grave, altrimenti…” singhiozzò l’anziana, subito soccorsa da miss Keegan.

Mentre Christofer era impegnato a confortare la donna, Alexander si piegò verso Elizabeth e sussurrò: “Non mi fido molto di quell’agente, perciò comincerò subito le mie ricerche.”

“Non è meglio che agiate in concomitanza con Anthony?”

“E perdere l’occasione di dimostrarvi quanto sono bravo? Giammai” ironizzò lui, vedendola scuotere il capo pur sorridendo.

Tornando serio, il giovane poi aggiunse: “Scherzi a parte, lord Phillips ha agganci che io non ho di sicuro, ma penso di avere qualche freccia al mio arco a mia volta. Più notizie raccoglieremo, meglio sarà per quel ragazzo.”

“Non vi fate male, però, e ricordatevi, dovete raccontarmi tutto” sottolineò lei, prima di lasciarlo andare.

Alexander assentì, salutò brevemente i presenti e infine corse via, tenendo una mano sulla tuba perché non gli sfuggisse.

Vagamente sorpreso da quella frettolosa dipartita, suo padre infine la raggiunse e, nell’accompagnarla all’esterno e al suo Pilgrim, le domandò: “Dov’è corso così di fretta, il nostro baldo corteggiatore?”

Arrossendo un po’ di fronte a quella parola del tutto nuova, per lei, Elizabeth riuscì comunque a dire: “Aveva alcune indagini da portare avanti.”

“Indagini?” assottigliò le palpebre Christofer, fissandola dubbioso.

“A quanto pare, non solo Anthony è capace di ficcare il naso in giro” sottolineò la ragazza, fissando con intenzione il padre che, subito, reclinò colpevole il capo.

“Ce l’hai ancora molto con me, per questo?” le domandò lui, aiutandola a salire sul cavallo.

“Non più di tanto. E poi, mi offre un po’ di margine per essere pestifera” gli rinfacciò lei, birichina.

Balzando in sella, Christofer le diede un buffetto sulla guancia e, nel rientrare verso casa con lei, mormorò: “L’importante, è che tu non abbia scheletri nell’armadio, quando si tratta di me.”

“No, papà. Ho capito perché non ci avete parlato di ciò che successe ma, anche se ora so che, in gioventù, hai commesso qualche errore, posso solo dire che ti apprezzo ancora di più, perché ci hai messo l’anima per redimerti.”

“E ho ricevuto in dono quattro gioielli di inestimabile valore” aggiunse lui, carezzandole la guancia prima di ritirare la mano. “Quel giovane ti piace molto, vero?”

“E’… piacevole” asserì lei, lappandosi nervosamente le labbra.

Christofer allora le sorrise, accelerò appena l’andatura e disse: “Ricorda solo una cosa. A dispetto di tutto quello che è successo, io mi fido del tuo giudizio.”

“Lo so.”







Note: Spero di avervi accontentate - e tranquillizzate - con questo capitolo, e di avermi almeno fatto sorridere (io mi sono divertita molto a scriverlo).
Di sicuro, c'è un piccolo problema a fine capitolo che non può che lasciare un attimo in sospeso la situazione, ma tutto si risolverà... come, sarà compito di Elizabeth e Alexander farvelo capire. E penso sfuggirà qualche altra risata.
Alla prossima, e grazie a tutti/e per il vostro appoggio!
  
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