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Autore: _Leef    26/04/2017    6 recensioni
Dean Winchester, diciassette anni, è un liceale popolare e ribelle che vive nella piccola Lawrence assieme alla madre e al fratellino Sam.
Castiel Novak, diciassette anni, è un ragazzo semplice, figlio del reverendo e di grande fede, che nel tempo libero fa volontariato ed è appassionato di astronomia.
Pur essendo così diversi, tra i due nascerà qualcosa quasi per caso, ma niente andrà come previsto.
[ Ispirata al romanzo "A walk to remember" :) ]
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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A Walk To Remember





Parte X

 

Ho sperato tanto per un miracolo.

Ma il miracolo non è avvenuto.

Certo, io e Cas abbiamo passato altri momenti bellissimi assieme, nonostante la malattia, mi sono impegnato per farlo stare il meglio possibile. Ma Cas a volte si addormentava in macchina come un sasso, altre volte parlava fino allo sfinimento, quasi senza lasciarmi dire nemmeno una parola. Siamo andati insieme all'orfanotrofio più di un pomeriggio e ogni volta che ci tornavo per me era come sentirmi sempre di più a casa.

Un giorno però siamo stati costretti a tornare presto a casa perché lui aveva la febbre alta, aveva gli occhi lucidi e le guance fin troppo rosse, per non parlare del fatto che tremava come una foglia. Per la prima volta in vita mia, mi sono sentito davvero disperato.

Cas è un adolescente di diciotto anni, sta morendo eppure è ancora molto vivo. Ho paura, più di quanto mi fosse mai capitato, non solo per lui, ma anche per me. Vivo nel terrore di commettere qualche errore, di fare qualcosa che possa ferirlo e farlo andare via da me, perdendolo ancora prima del previsto.

La paura mi ha fatto capire anche un'altra cosa: non lo avevo mai conosciuto davvero quando era sano. Avevo iniziato a frequentarlo da poco, alla fine e lui era malato da due anni. E questi ultimi mesi sono sembrati i migliori e i più lunghi di tutta la mia vita, ma ora quando lo guardo non posso fare a meno di chiedermi quanti me ne sarebbero rimasti e soprattutto se me ne sarebbero rimasti.

Comunque, ho sentito che i miracoli accadono spesso ma, ovviamente, se lo chiede Dean Winchester non se ne parla nemmeno. Hanno appena aumentato a Cas il dosaggio delle pillole, e questo non va affatto bene. Come effetto collaterale, lui ha avuto dei mancamenti e una volta è svenuto mentre andava in bagno, sbattendo la testa contro il lavandino.

Mi sono incazzato così tanto quella volta che persino mio fratello mi ha guardato con gli occhi spalancati, probabilmente non mi aveva mai visto così. Alla fine, i dottori hanno deciso di tornare al dosaggio precedente; in questo modo è riuscito di nuovo a camminare, ma è così debole che a volte non riesce ad alzare nemmeno un braccio.

Sono così preoccupato per lui che spesso la notte non riesco nemmeno a dormire.

Comunque, io e Cas stiamo insieme da circa tre mesi quando lui viene ricoverato: è troppo debole per fare qualsiasi cosa, suo padre lo ha trovato di nuovo svenuto, questa volta nella sua stanza ed è inutile dire che io ho mollato qualsiasi cosa stessi facendo per correre all'ospedale. Mia madre voleva accompagnarmi ma non le ho nemmeno risposto e mi sono fiondato in macchina.

-Devo vederlo!- è quello che urlo una volta in ospedale, strattonando le infermiere che i stanno impedendo di arrivare nel reparto di oncologia.

-Mi dispiace signore, ma solo i parenti possono entrare in questa zona- si giustifica una di loro, appoggiandomi le mani sulle spalle e cercando di spingermi indietro.

Le lancio un'occhiata disperata e mi mordo le labbra, sforzandomi di non far uscire le lacrime. Devo davvero avere un aspetto orribile perché una di loro, la più anziana, mi guarda con uno sguardo carico di pietà ma sono troppo preoccupato per badarci. -La prego, la scongiuro, io... Io ho bisogno di vederlo.-

Mi stupisco della mia voce, che risulta spezzata fino all'inverosimile.

-Lasciatelo passare.-

Alzo la testa di scatto e mi ritrovo di fronte al reverendo Novak: ha un aspetto orribile, gli occhi rossi e gonfi, la camicia sfilata per metà dai pantaloni eleganti e le labbra distorte in una smorfia di dolore.

Sorpasso le infermiere senza riuscire a trattenere un sospiro sollevato e mi avvicino a lui, deglutendo per il nervosismo. -Reverendo, come sta?-

Lui mi guarda con un sopracciglio inarcato, come a dire “Davvero mi stai facendo questa domanda?”, poi però sospira mentre cammina al mio fianco lungo il corridoio anonimo del reparto dell'ospedale. -Per adesso è sedato, aspettiamo che si risvegli per vedere come si sente. I parametri vitali sembrano essere stabili.-

Annuisco e spingo la porta della camera di Cas.

Quello che vedo mi lascia senza fiato e non in senso positivo. Lui è steso su un anonimo lettino, gli occhi chiusi, le labbra rigide e la sua pelle ha assunto un tristissimo colorito grigiastro. Il mio cuore inevitabilmente inizia letteralmente a sanguinare a questa vista, e il respiro mi si fa più affannoso mentre mi avvicino a lui.

Sfioro con delicatezza la sua mano, alla quale sono attaccate flebo e qualche altro macchinario: è terribilmente fredda, non c'è più traccia di quel calore che da sempre lo ha caratterizzato, e soprattutto è quasi scheletrica. E' dimagrito ancora.

-Cas, sono qui- sussurro a voce bassissima, quasi per paura di dargli fastidio, sistemando la sedia accanto al lettino e intrecciando subito le dita alle sue. Premo un bacio sul dorso della sua mano e poi appoggio il mento contro il materasso, rimango a guardarlo completamente in silenzio, come se fosse un'opera d'arte, come compagnia solamente il bip del macchinario che riproduce il suono del suo cuore.

Non so con certezza in che momento mi ritrovo addormentato, so solo che una mano sulla mia spalla ad un certo punto mi fa sobbalzare, strappandomi dal mio sonno senza sogni. Ho ancora le dita intrecciate a quelle di Cas, ma con quelle libere mi sfrego gli occhi e alzo la testa per guardare il reverendo Novak, che mi sta fissando con un piccolo sorriso.

-Dean, dovresti andare a riposarti adesso- sussurra con voce quasi affettuosa e questa è forse la prima volta che mi chiama per nome, ma sono così assonnato e preoccupato per il mio ragazzo che non ci bado nemmeno.

Istintivamente mi avvicino di più a Cas, stringendo la sua mano, scuotendo la testa. -Non sono così stanco- borbotto, stringendo ancora più forte la sua mano e portandomela contro una guancia, facendo attenzione a non staccare nessun filo. Non voglio andarmene.

Il reverendo sospira, si massaggia gli occhi da dietro alle lenti e poi torna a guardarmi. -So che non vuoi lasciarlo, ma vorrei rimanere solo con lui per un po'.-

Mi trattengo dall'emettere uno sbuffo scocciato perché so benissimo che anche lui ha tutto il diritto di rimanere qui con suo figlio, stargli accanto fin quando gli è ancora concesso, ma egoisticamente parlando vorrei avere Cas tutto per me, vorrei che aprisse gli occhi e che tornasse a sorridere, a camminare, a prendermi in giro e a piegare la testa di lato in quel suo modo adorabile. -Se si sveglia mentre non ci sono?-

Il reverendo mi sorride di nuovo e la sua presa sulla mia spalla si rafforza; non so se sta cercando di convincermi oppure se è un tentativo di farmi stare meglio, di consolarmi. In questo caso lo apprezzerei molto. -Ti verrò a chiamare.-

Trattengo un singhiozzo ed annuisco, alzandomi in piedi. Mi sporgo verso il viso di Cas e premo un bacio sulla sua fronte, prolungando quel contatto un po' troppo. -Torno presto, va bene?-

Ovviamente non ottengo nessun tipo di risposta e quando esco dalla stanza, sono sicuro del fatto che lì dentro ci ho lasciato il cuore..

 

(Pov Cas).

 

Quando apro gli occhi, per un momento vedo solo bianco.

Per un attimo penso di essere finito in paradiso, di aver trovato finalmente la mia pace, ma poi un odore acre di disinfettante e un bip continuo alla mia destra mi lascia deluso. Il mio paradiso non può di certo essere una stanza d'ospedale.

Mi sento stordito, ogni singolo centimetro del mio corpo è intorpidito, il che è un bene perché il dolore costante che provo sembra come svanito e per un istante ringrazio mentalmente i medici; ma poi mi rendo conto che questo “non sentire” sarebbe come vivere a metà e un senso di sconforto mi assale, lasciando contorcere ogni mio singolo organo interno.

-Figliolo, come ti senti?-

La voce di mio padre assieme ad un fruscio di lenzuola mi costringe ad alzare gli occhi su di lui: è seduto accanto al mio letto, il viso stanco e sbattuto, lo stesso viso di chi ha combattuto una guerra che sapeva già di perdere, gli occhi un po' liquidi. Vederlo in questo stato per colpa mia mi fa stare ancora più male.

-Sto bene, papà- sussurro e per un attimo stento a riconoscere la mia voce. E' troppo roca, quasi meccanica, graffiata, come se dormire per tutto questo tempo me l'avesse modificata, come se fossi invecchiato su questo letto. -Dov'è Dean?-

Pensare a lui, come sempre, mi lascia un senso di calore nel petto: non so se l'ho sognato o se lui era davvero qui, ma sono sicuro di aver sentito la sua voce in un qualche momento, di aver percepito le sue labbra sulla mia pelle, in quel modo che mi fa sempre sentire unico, speciale, davvero importante per qualcuno, finalmente.

Mio padre si massaggia le tempie e mi fa un debole sorriso. -L'ho mandato a riposarsi un po', era davvero esausto.-

Rimango un attimo in silenzio e sorrido, ripensando a Dean e a tutto quello che ha fatto per me.

-Ti ama molto, sai?- dice mio padre quasi con affetto e per qualche strano motivo sento le guance arrossarsi, se è possibile. Ancora non mi capacito di come uno come Dean Winchester si sia potuto interessare proprio a me.

-Lo so e non smetto di ringraziare Dio ogni giorno per avermelo concesso- ribatto, quasi sicuro di me, sentendo il cuore battere un po' più veloce.

Mi rilasso un po' contro il letto, chiudendo gli occhi per un istante, per poi sporgermi leggermente a prendere la mano di mio padre, che continua a fissarmi con uno sguardo vacuo e torbido allo stesso tempo. E' fredda, ma non riesco a stringerla molto perché sento anche le mani intorpidite. -Papà, sei preoccupato?-

Lui sorride solo per un attimo e si sporge di più verso di me, prendendo la mia mano tra le sue e scuotendo la testa un po' troppo energicamente, cosa che mi fa sorridere. -No, Castiel, davvero.-

Continuo a sorridere perché apprezzo il suo tentativo di non farmi sentire in colpa.

-Ti ricordi quando avevi più o meno cinque anni e ti volevi lanciare dal balcone perché pensavi di essere un angelo?-

Istintivamente, sorrido anche a quel ricordo. Mio padre mi aveva appena spiegato che portavo il nome dell'angelo del giovedì e mi ero messo in testa che quindi se mi chiamavo come un angelo, anche io ero un angelo e che quindi avrei potuto volare tranquillamente. -Mi sono molto arrabbiato quando mi hai costretto a scendere.-

-Se ti ho tenuto troppo sotto la mia ala, Castiel, è perché..- la sua voce trema un po', ma poi stringe di più la mia mano e preme la fronte contro il groviglio delle nostre dita. -Volevo tenerti il più a lungo possibile. Dopo la morte di Amelia...-

Sorrido in maniera genuina e prendo un grosso respiro. -Lo so.-

Lui scuote la testa e mi guarda con occhi pieni d'amore. -Quando tua madre è morta... Avevo paura che avrei finito con l'odiarti, figliolo. Avevo paura che non sarei mai più riuscito ad amare di nuovo.-

-Ti voglio bene, papà- è tutto quello che riesco a dire con un debole sorriso, sporgendomi un po' per accarezzare i suoi capelli, ora che ha appoggiato la fronte contro il letto. Lo sento singhiozzare e mi sto odiando con tutto il cuore per quello che gli ho fatto, per quello che gli sto facendo. Vorrei stare bene, non tanto per me, ma per non vedere soffrire le persone che mi amano e che amo e che mi stanno accanto.

Lui alza gli occhi umidi e mi dà un bacio sulla mano, per poi alzarsi dalla sediolina. -Vado a chiamare Dean, starà fremendo qui fuori. Ti voglio bene, Castiel.-

Annuisco ancora e seguo mio padre uscire dalla stanza con lo sguardo, non riuscendo a parlare per l'emozione: sono felice di vedere Dean, anche se odio il fatto che debba assistere a tutto questo. Ho cercato di tenerlo lontano, ma in maniera egoista sono tornato da lui perché ho capito di amarlo più di ogni altra cosa -non della vita perché comunque la mia vita non vale molto- e senza di lui sarebbe stato tutto ancora più difficile.

Per questo trattengo il fiato quando vedo spuntare una testa bionda e un paio di occhi verdissimi da dietro alla porta della stanza.

-Ehi- sussurra lui, con un sorriso capace di far impallidire le stelle, avvicinandosi subito a me e piegandosi per darmi un bacio. Le sue labbra sono morbide, hanno un buon sapore, e vorrei avere la forza di tirarmelo contro per baciarlo ancora, più a lungo, più profondamente, ma mi sento ancora troppo intorpidito.

-Ciao, Dean- lo saluto con dolcezza, guardandolo mentre si siede accanto a me, direttamente sul letto, infischiandosene completamente delle regole dell'ospedale. Perché Dean è così, selvaggio e un po' ribelle, fa sempre quello che gli passa per la testa, ed è disposto a dare un rene per le persone che ama, anche se farebbe di tutto per non ammetterlo. E rientrare in questa cerchia ristretta mi riempie di orgoglio. E' una persona meravigliosa, l'ho capito lentamente, ma alla fine si è dimostrato per quello che è davvero.

-Come ti senti?- mi chiede e non riesco ad ignorare la piega preoccupata che prende la sua voce.

Mi stringo nelle spalle e una fitta di dolore mi costringe a chiudere subito gli occhi, per qualche istante. -Sto bene, credo.-

-Cas, perché fingi così? Sai che con me puoi parlarne- si lamenta lui dopo qualche istante di silenzio, passando per un secondo le dita tra i miei capelli, con il dolore che trasuda da ogni parola che dice. Istintivamente piego la testa verso le sue mani, bisognoso delle sue attenzioni, bisognoso di lui.

-Non fingo affatto.-

Lo vedo aggrottare la fronte, ma non smette di accarezzarmi. -Non hai paura?-

Mi mordicchio le labbra, valutando con attenzione cosa rispondergli. -Sì.-

-E perché non lo dai mai a vedere?-

Sospiro, voltando appena la testa per riuscire a guardarlo meglio. Dean si sistema sul materasso e lascia scorrere un dito lungo una mia guancia, fino alle labbra, su cui appoggia con delicatezza il pollice, sui cui premo un piccolo bacio. -Perché so che anche tu hai paura.-

Lui mi guarda, rabbrividisce, ma non dice niente. Si limita a stringermi di più contro di lui e questa è una risposta più che eloquente.

 

(Pov Dean).

 

Castiel è in ospedale da una settima ormai. I medici hanno detto che è troppo debole per alzarsi, adesso. Lui ha continuato a ripetere “Voglio morire a casa mia” in maniera risoluta ed irremovibile, cosa che mi ha fatto rabbrividire dall'orrore perché sembra che anche lui abbia smesso di combattere. Lo ha detto piangendo una volta ed è stato orribile perché ho capito e visto, finalmente, quanto Cas abbia paura. Questa reazione certamente lo rende più umano.

Continuo a sfogliare la mia rivista di motori in maniera davvero poco interessata, seduto accanto al letto di Cas: lui sta dormendo, ormai passa un sacco di tempo a dormire perché è troppo debole per fare qualsiasi altra cosa e io cerco di trascorrere tutto il mio tempo libero in ospedale, perché non potrei fare altrimenti, nonostante le proteste di mia madre che Dean, dovresti anche distrarti un po', ogni tanto.

All'improvviso un fruscio di lenzuola mi fa alzare lo sguardo e mi ritrovo addosso gli occhioni blu di Cas, quei due pezzi di oceano che sono brillanti nonostante tutto, e persino le sue labbra sono piegate in un sorrisetto intenerito.

-Ehi, sei sveglio- lo saluto, sedendomi immediatamente sul letto vicino a lui e abbandonando la rivista sul comodino accanto alla sua testa.

-Ciao, Dean- mi risponde sempre sorridente e vederlo così tranquillo mi riempie di sollievo, ed ormai piccole reazioni come questa sono l'unica cosa a cui mi posso davvero aggrappare. -Stai bene?-

Ed il fatto che sia lui a preoccuparsi per me mi fa sorridere, perché cazzo, lo amo da morire e ancora non riesco a capacitarmi del fatto che lui sia qui, in questo ospedale, malato e fragile, quando dovrebbe soltanto essere felice, più di ogni altra persona al mondo. -Sto bene, sì.-

Frugo nella tasca della mia giacca e tiro fuori una lettera accuratamente imbustata. -Ho deciso di mandare una lettera di ammissione alla facoltà di medicina- spiego timidamente, porgendo la busta a Cas che immediatamente mi guarda con gli occhi che brillano più di tutte quelle fottute stelle che lui ama tanto.

-E' magnifico, Dean- sussurra lui pacatamente, aggrottando subito dopo la fronte perché sperava probabilmente che gli uscisse fuori un tono un po' più entusiasta. Poi sospira, scuote la testa e stringe per un attimo una mia mano nelle sue. -Ho sempre saputo che eri intelligente.-

Ridacchio e mi mordicchio un po' le labbra, imbarazzato. -Cas, non sai se mi prenderanno, andiamo, parli come se avessi appena vinto un Nobel.-

Lui sorride divertito, ma poi si sporge per prendere un foglietto che suo padre ha portato qualche ora prima, mentre lui dormiva. Me lo appoggia sulla gamba e poi mi guarda, mentre il sorriso non ne vuole sapere di abbandonare il suo viso, con mio grande sollievo. -E' per te.-

-Che cos'è?- chiedo confuso, mentre apro il biglietto, trovandomi di fronte un paio di righe scritte a meno, in maniera ordinata, forse con una penna stilografica. Non è la calligrafia di Cas, ne sono sicuro perché ormai la conosco a memoria.

-Era la citazione della Bibbia preferita di mia madre- spiega lui con sorriso timido e le guance che si arrossano in maniera adorabile portando una mano sulla mia e stringendola con dolcezza. -Leggila.-

-Va bene, vediamo un po'.- Mi schiarisco la voce, stringo la sua mano per farmi forza e poi inizio a leggere, con la voce che mi trema un po' troppo. -L'amore è sempre paziente e gentile, non è mai geloso. L'amore non è mai presuntuoso o pieno di sé, non è mai scortese o egoista, non si offende e non porta rancore. L'amore non prova soddisfazione per i peccati degli altri ma si delizia della verità. È sempre pronto a scusare, a dare fiducia, a sperare e a resistere a qualsiasi tempesta.-

Trattengo il fiato quando ho finito di leggere e posso notare che Cas ha gli occhi chiusi e un sorriso bellissimo gli sporca le labbra, come se fosse in pace, come se stesse ascoltando la sua canzone preferita. -Da quando ti conosco, sono convinto che sia vero.-

E quindi sorrido anche io, avvicinandomi di più a lui per accarezzargli una guancia. Il cuore mi batte un po' troppo forte contro lo sterno e sento gli occhi pizzicarmi: quando sono diventato così sentimentale, esattamente?

Cas non riesce a staccarmi gli occhi di dosso. -Sai cosa ho capito oggi?-

Scuoto la testa, fissandolo incuriosito. -Cosa?-

Lui mi guarda sorridendo e i suoi occhi blu brillano leggermente, mentre prende un grosso respiro. -Che forse Dio ha un progetto diverso per me. Come se tu mi fossi stato mandato perché sono malato, per starmi accanto durante tutto il viaggio, e proteggermi.-

Alzo un angolo della bocca in un sorriso sghembo, con il cuore che prende a battermi ancora più veloce di prima, e mi sporgo appena verso di lui, lasciando scorrere un pollice prima sulle sue labbra e poi sulla sua guancia. Non riesco a dire niente, soltanto a guardarlo negli occhi, che sono magnetici come sempre, nonostante il suo viso sia impallidito notevolmente.

-Tu sei il mio angelo- aggiunge Cas subito dopo, guardandomi pieno di adorazione.

Mi mordo le labbra per un attimo perché il mio cuore adesso sta letteralmente scoppiando e non credo di essere pronto ad una sensazione tanto intensa. Ma mi sporgo ugualmente verso di lui e premo le mie labbra sulle sue, sforzandomi con tutto me stesso di non piangere, anche se mi risulta davvero difficile.

Cas è bellissimo. E' meraviglioso e non merita di stare così, steso in questo letto in una fottuta stanza di ospedale. Darei qualsiasi cosa per rivederlo sano ed in piedi, sarei anche disposto a prendere il suo posto. Sfrego i nostri nasi l'uno contro l'altro e respiro il suo profumo, cercando di tranquillizzarmi, ma sono così nervoso che nemmeno questo basta.

-Ti amo- sussurro senza fiato, con la fronte appoggiata contro la sua e gli occhi chiusi perché da questa distanza ravvicinata non riuscirei a sostenere l'intensità del suo sguardo.

Cas lascia scorrere le dita magrissime sul mio bicipite scoperto e sorride, non lo vedo, ma riesco a sentire il suo sorriso contro le mie labbra. Ed è ancora bellissimo, nonostante tutto. -Ti amo anche io.-

E per ora mi basta.

Deve bastarmi.

 

E' lunedì quando arrivo di fronte alla stanza d'ospedale di Cas dopo la scuola e lo ritrovo seduto su una sedia a rotelle, con suo padre che gli accarezza amorevolmente i capelli.

Mi avvicino a loro con la fronte aggrottata, infilandomi timidamente le mani in tasca. -Ehi, che sta succedendo qui?-

Castiel appena mi vede si illumina tutto, il suo viso un po' pallido sembra riacquistare colore ed è bello essere fissati così da qualcuno, come se tu fossi l'unico sole in grado di illuminare la vita. -Ringrazia tanto tuo padre da parte mia, Dean.-

Aggrotto la fronte e alzo immediatamente lo sguardo sul reverendo Novak, dopo aver fissato per un secondo le infermiere che stavano sistemando la stanza, forse per il prossimo paziente. -Mio padre?-

Ammetto che per un attimo il mio cuore si è riempito di speranza: so benissimo che una guarigione improvvisa da una malattia debilitante ed invasiva come la leucemia è impossibile, ma di certo questo non mi ha impedito di continuare a sperare, a sperare per un futuro soltanto per noi, per Cas. Anche solo per un misero secondo.

Il reverendo mi appoggia una mano sul braccio e con l'altra stringe una maniglia della sedia a rotelle di Cas. -E' venuto questa mattina, ha detto che pagherà lui l'assistenza a casa.-

A quel punto sento il respiro mozzarsi in gola, come se i polmoni fossero pieni d'aria ma non riuscissero più a funzionare correttamente. La presa del reverendo si fa più salda, mentre prende a spingere la carrozzina di Cas verso la fine del corridoio, fuori da questo triste reparto di oncologia.

Rimango per un attimo impalato come uno stupido a fissare la stanza di Cas adesso di nuovo vuota, a tracciare con gli occhi il contorno di quel letto che lo ha accolto per quasi un mese e qualcosa dentro di me si spezza definitivamente. Mi mordo le labbra per non ricominciare a piangere ed è meglio che io esca di qui il prima possibile, prima che mi metta ad urlare, finendo con il disturbare anche gli altri pazienti.

-Dean.-

La voce di mio padre mi arriva dritta e chiara e questa volta non ho bisogno di pensare nemmeno un attimo per riconoscerla, né mi stupisce più di tanto sentirla. Istintivamente, tiro su con il naso quando lui mi appoggia una mano sulla spalla, in un tocco che vuole essere rassicurante, che ancora una volta mi aiuta a non cadere definitivamente a pezzi. Sicuramente questo è quanto di più grande ed importante lui abbia mai fatto per me negli ultimi anni.

Mi infilo le mani nella tasca della giacca e irrigidisco la mascella, guardandolo con la coda dell'occhio. -Grazie- riesco solo a sussurrare, con la gola bloccata dal solito nodo e gli occhi pieni di lacrime.

Mio padre appoggia anche l'altra mano su di me e mi volta con delicatezza, come se avesse paura che possa scappare di nuovo da lui: mi ritrovo davanti al suo viso che mi fissa con affetto, quasi con dolcezza, anche se non sono mai state due delle sue caratteristiche peculiari. Il camice che indossa lo fanno sembrare un po' più vecchio, ma quando lui mi strattona contro di sé per abbracciarmi, mi sembra di non averlo lasciato mai andare.

-Scusami, scusami- è quello che singhiozzo contro la sua spalla, dentro il suo abbraccio, aggrappandomi al suo camice come se fosse il mio unico appiglio con la realtà. E lui mi stringe più forte, in maniera salda, non mi lascia cadere nonostante le mie ginocchia stiano per cedere, nonostante il dolore per la situazione si stia mischiando a quello per l'abbandono dell'uomo che da piccolo ho sempre ammirato.

-Andrà tutto bene figliolo, te lo prometto- mi sussurra contro l'orecchio, a voce talmente bassa che tra i miei singhiozzi faccio davvero moltissima fatica a sentirlo.

Chiudo gli occhi, perché tanto sono inutilizzabili in questo momento, mi lascio cullare per un attimo dall'abbraccio di mio padre e mi convinco che sì, forse andrà tutto bene.

Anche se ormai nessun briciolo del mio corpo ci crede più.

 

Il reverendo Novak mi ha chiesto di accompagnarlo a parlare con l'oncologo di Castiel, un martedì pomeriggio, mentre il figlio è a casa con l'infermiera privata che gli hanno assegnato; anche se a malincuore ho accettato, ma l'idea di lasciare da solo Cas e di perdermi un po' di tempo con lui non mi piace, nonostante mi abbia salutato con un bacio più intenso del solito e un “Va' e conquistali tutti, tigre” del tutto fuori luogo, facendomi ridere.

Quindi adesso sono seduto su una sedia girevole, di quelle davvero impegnative, davanti ad un dottore piuttosto giovane, sicuramente più giovane del reverendo Novak, che continua a sfogliare il fascicolo di Castiel e scuotere la testa.

Sono costretto a stringere i pugni perché insomma, i medici dovrebbero essere in grado di dare qualche consolazione, e non solamente di sganciare certe bombe di notizie che ti cambieranno la vita per sempre.

-Ancora non siamo riusciti a trovare nessun donatore, signor Novak- dice subito dopo in tono piatto, chiudendo la cartella con tono disinteressato e lasciandola da parte, accatastandola assieme ad altre mille cartelle uguali. Osservo per un attimo un punto indefinito della scrivania, cercando di mantenere la calma, ma poi la mia attenzione viene attratta dal gesto disperato del reverendo: come aveva fatto il giorno che gli ho chiesto di portare Cas fuori, affonda il viso nelle mani e il suo petto viene impercettibilmente sconvolto da una sorta di singhiozzo.

Deglutisco, cercando di non reagire esattamente nello stesso modo. Il dolore che sento all'altezza del petto è qualcosa di destabilizzante, che non può essere cacciato via in nessuna maniera, né con dei farmaci, né con una bella chiacchierata. Mi mordo le labbra e faccio per aprire bocca e non sono mai stato così sincero e sicuro di una decisione presa in vita mia.

-Mi dispiace- ammette il medico ma non c'è nessuna traccia di sentimento nella sua voce, è qualcosa di irritante e il pugno che vorrei schiantare sulla sua faccia, lo faccio sbattere sulla scrivania, scattando in piedi: sento gli occhi dei due uomini puntati su di me, entrambi sconcertati, ma questo è troppo.

-Voglio provare a fare l'operazione- dichiaro deciso, di punto in bianco, passandomi una mano sugli occhi per asciugare le lacrime che non mi ero nemmeno accorto di aver iniziato a versare. -Voglio donare il midollo.-

Cala il silenzio.

Il medico mi guarda allibito, con un sopracciglio inarcato e Michael mi appoggia una mano su un braccio e non capisco se il suo è un modo per farmi sedere di nuovo in maniera composta o se sta cercando di confortarmi. -Ragazzo, ci sono pochissime possibilità che sia compatibile, non devi..-

-Voglio farlo, okay?- sbotto irritato, voltandomi a guardarlo e rendendomi contro troppo presto di aver appena risposto male al reverendo Novak, proprio lui. Deglutisco immediatamente, tiro su con il naso e mi volto verso Michael, perché adesso ci sono cose molto più importanti a cui pensare. -Posso farcela, sul serio. Se questo servirà ad aiutarlo, lo farò.-

Il medico si sfila gli occhiali e li appoggia sulla scrivania di fronte a lui, continuando a fissarmi in maniera scettica, come se avessi appena sparato la cazzata del secolo. E io mi devo trattenere sul serio dal tirargli un calcio nelle palle. -Sei giovane, Dean. E sarà un'operazione dolorosa. Sei sicuro?-

Punto gli occhi in quel del dottore, sicuro, senza nemmeno irrigidirmi. Non so nulla di questa operazione ma è l'ultimo tentativo che posso fare per provare a salvare Castiel, e sarebbe comunque la metà di quanto lui è riuscito a fare per me. -C'è una minima possibilità che questo possa salvarlo?-

Il dottore sospira, sembra pensarci su per un attimo e poi annuisce lentamente. -La possibilità che tu possa essere compatibile è molto remota. Ma non inesistente.-

Il cuore mi si riempie di gioia per qualche secondo. -Allora facciamolo.-


ECCOMI QUI!
Parto con lo scusarmi se non ho aggiornato ieri, -mi sento in colpa, di solito rispetto le scadenze- ma appunto tra il cane e lo studio non sono riuscita a trovare nemmeno un momento (adesso corro subito a rispondere alle vostre recensioni) per pubblicare!
Comunque, passiamo a parlare del capitolo... AWWW *-*
A parte che questi due sono dei dolcetti adorabili in qualsiasi situazione, universo o qualsiasi altra cosa possiamo immaginare ma... QUI. Qualcuno mi salvi vi prego perché sto annegando nei troppi feels, nonostante io abbia letto e riletto questa mia "cosa" più di cento volte ormai... 
E poi come promesso, la svolta: so che voi pensate che io sia una cattivona, ma in realtà la svolta c'è stata davvero! Dean ha deciso di donare il midollo. Come mai questa scelta? Ovviamente ama Cas più di se stesso e questo dimostra che è disposto a fare qualsiasi cosa per lui ma ehi, bisogna vedere se saranno compatibili.
Chissà, chissà (io so, ehehehe xD)
E poi Dean che manda la richiesta per l'università? E che fa pace con suo padre e piange tra le sue braccia? Troppi feels.
Ed inoltre, spero che la sorpresa del Pov Cas vi abbia fatto piacere: non era prevista quando ho iniziato a scrivere la storia ma poi ho pensato che inserire un po' dei suoi pensieri sarebbe stato carino. Forse (eheheh) più avanti ce ne saranno altri, ma non vi prometto niente :P
Continuate a crogiolarvi nel dubbio sul finale, io intanto me la rido (voi mi odiate ma io vi amo :P)
Quindi beh grazie a tutte, ci vediamo al prossimo capitolo (spero di aver detto tutto ahahah)

Un abbraccio!

   
 
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