#O5 – BALLAST* ;
Routine.
“A
volte è più facile confidarsi con un estraneo.
Chissà perché.
Forse perché un estraneo ci vede come siamo realmente, e non
come
vogliamo far credere di essere.”
—Carlos
Ruiz Zafon
Si
era svegliata da circa mezz'ora e stava riflettendo pigramente cosa
prepararsi per pranzo dato che erano le due passate quando il
campanello suonò.
Ancora
in pigiama e con i capelli scompigliati andò ad aprire,
trovandoselo
davanti, splendido come sempre.
«Non
ti aspettavo così presto.» disse a mo' di saluto
spostandosi dalla
soglia per farlo entrare.
«Hai
una strana concezione della parola “presto" tu.»
non sembrava
irritato con lei per il suo comportamento del giorno prima, anzi, era
fin troppo calmo. «Comunque ero già in giro e ho
pensato di passare
di qua già che c'ero.»
«Okay,
vado a prenderti i soldi.» dandogli le spalle salì
al secondo
piano. Ci aveva pensato su, chiedendosi se non dovesse addirittura
offrirgli dei soldi per il fatto che si era preso cura di lei,
così
da delineare di nuovo i confini che le sembravano terribilmente
labili in quel momento. Oppure non farne parola come se fosse stato
tutto un brutto sogno.
Quando
tornò giù non lo vide nell'atrio, quindi
proseguì per la cucina
seguendo l'istinto: infatti lo trovò che con sguardo critico
studiava la busta della sua spesa della sera prima abbandonata
sull'isola che consisteva in schifezze e cibi precotti.
«Mangi
mai qualcosa di salutare?» si voltò verso di lei
quando sentì i
suoi passi.
«In
frigo ho dell'insalata.» scrollò le spalle
indifferente. Chissà se
criticava le abitudini alimentari di tutte le sue clienti o riservava
quell'onore solo a lei. «Ecco qua, la cifra è
quella che mi hai
inviato per messaggio.»
Lui
osservò la mazzetta per qualche istante poi la mise in tasca
senza
nemmeno prendersi il disturbo di controllare se ci fossero tutti.
«Bene,
l'accendino era lì vicino alle tue sigarette e l'ho
già preso.
Siamo a posto.» storse le labbra come se vi fosse qualcosa
che lo
irritava profondamente.
«Bene.»
rispose telegrafica seguendolo mentre si dirigevano all'entrata.
A
dire il vero era irritata anche lei e non sapeva come far passare
quel prurito fastidioso. Il fatto di essere in debito con lui la
infastidiva enormemente anche se il fatto di dire semplicemente
grazie era fuori questione. Lui di sicuro non si era preso cura di
lei per semplice buon cuore, ma nonostante ne fosse cosciente, quel
fastidioso punto in sospeso non la lasciava in pace.
«Alla
prossima.» lo salutò sulla porta.
Lui
fece un sorriso mesto e la inchiodò con lo sguardo per
qualche
istante prima di voltarsi e procedere sul vialetto.
«Alla
prossima.» rispose in ritardo già di spalle
alzando una mano.
I
giorni passavano tutto uguali, da quando lo vide declinò gli
inviti
ad uscire delle compagne di classe e se ne rimase a casa a guardare
qualche film al caldo e fare i compiti assegnatile per le vacanze di
Natale. Siccome frequentava una scuola privata avevano iniziato prima
le vacanze, quindi aveva molto più tempo da perdere di un
normale
studente delle superiori, nonostante questo Natale incombeva sempre
più vicino e con esso una festa di beneficenza proprio alla
Viglia
con cui sua madre si era presa la rivincita sulla sua scelta di non
raggiungerli per festeggiare. In pratica le aveva intimato di andare
a nome loro dato che, parafrasandola, non aveva nulla di meglio da
fare. Certe volte si atteggiava davvero da snob, cosa ridicola visto
che lei e i suoi figli erano praticamente nuovi di quell'ambiente e
solo grazie al matrimonio con Francesco. Senza contare che quelle
feste le odiava più di lei e approfittava della freddezza
della
figlia per avere un rappresentante come si deve di quella famiglia,
non tanto perché le importava cosa pensassero di lei, ma per
il
marito che facendo il notaio e doveva tenerseli buoni come clienti,
nonostante fosse comunque di buona famiglia.
Non
aveva chiamato nemmeno Ian per far passare il tempo perché
ogni
volta che vedeva il suo nome nella rubrica il fastidioso prurito
tornava a farsi sentire e rifiutava l'idea di doversi sentire in
debito con lui.
In
ogni caso avrebbe passato volentieri tutte le vacanze a casa in
solitudine, non chiedeva altro che silenzio e pace. Di solito usciva
per spezzare la routine e per non far preoccupare sua madre, un conto
era che sospettasse e basta che non aveva relazioni umane degne di
questo nome, un conto era vederlo.
Così
arrivò la Vigilia con la chiamata di sua madre di prima
mattina che
le ricordava che a quella festa “ci doveva proprio andare"
dato che aveva già chiamato per confermare la sua presenza,
il resto
della conversazione passò da Francesco che le chiedeva scusa
per
obbligarla a sobbarcarsi quell'impegno al posto suo e suo fratello
che le augurava scherzosamente buona fortuna.
La
serata, che era dedicata ai senzatetto e i bambini abbandonati, fu
noiosa come previsto, fra chiacchiere vuote in cui le chiedevano dove
fossero o come stessero i suoi genitori e del suo percorso di studi.
Solo quando salì sul taxi che l'avrebbe riportata a casa si
rese
conto con suo grande orrore che aveva passato gran parte della serata
a cercare distrattamente un paio di occhi blu.
Quella
notte dormì un sonno agitato e pieno di figure sfuggenti,
svegliandosi all'alba sudata fradicia con una mano tesa verso il
soffitto come in procinto di afferrare qualcosa.
La
lasciò cadere con un tonfo sul piumone voltando la testa
verso il
comodino dove la radiosveglia segnava la data tanto temuta.
«E
così anche quest'anno è arrivato.»
sospirò atona.
Camminare
nella città vuota e luminosa grazie a tutte le decorazioni
allo
scopo di spegnere quell'inquietudine l'aveva portata in quel posto,
ancora una volta non era riuscita a sfuggire a quella ricorrenza che
la ossessionava da anni.
Era
ferma, nemmeno lei sapeva da quanto, dall'altra parte della strada a
fissare quei cancelli senza il coraggio di attraversarli, con in mano
un mazzo di margherite che aveva comprato lungo la strada da un
fioraio miracolosamente aperto.
Alla
fine finiva sempre lì a fissare con uno sguardo vuoto lo
squarcio di
cimitero che poteva scorgere chiedendosi vagamente quale potesse
essere la sua fra
tutte
quelle lapidi.
Le
poche persone mattiniere in giro a quell'ora, forse per la messa o
per le commissioni dell'ultimo minuto le passavano accanto
silenziose, come se fosse invisibile.
«Cosa
diavolo ci faccio qui?» mormorò a sé
stessa lasciando perdere per
l'ennesima volta e buttando il mazzo di fiori in un cestino mentre a
passo svelto prendeva la via di casa senza notare lo sguardo intenso
che la seguiva dall'interno di un bar.
~*~
Era
lei. Era sicuramente lei, anche se quel comportamento non si addiceva
con la figura rigida che si era creato nella sua testa.
L'aveva
notata voltando lo sguardo verso l'esterno, mentre faceva colazione
con suo fratello e la sua fidanzata. Dovevano aspettare gran parte
della famiglia che era andata a messa come ogni anno, preferendo
quella mattutina a quella di mezzanotte, sua madre non li obbligava
ad entrare in chiesa, anche se aveva fissato la regola che si
svegliassero presto e li portassero in macchina fino alla funzione
come penitenza. Sua madre odiava i lavativi.
Mentre
assonnato rifletteva su quella ingiustizia l'aveva notata, era
assurdo, ma l'aveva riconosciuta subito. Anche se era tutto
sbagliato.
Le
spalle basse, le braccia abbandonate lungo i fianchi, se ne stava
immobile come una bambina spaventata a fissare qualcosa davanti a
sé.
In mano aveva un mazzo di margherite che prendevano inerti.
Se
ne stava semplicemente ferma dandogli le spalle, come se fosse
incosciente di tutto. In un primo momento pensò e forse
stava
aspettando qualcuno, ma escluse quell'ipotesi quasi subito.
Semplicemente sembrava che se ne stesse lì a fissare il
cimitero
davanti a lei, ma non sembrava intenzionata ad entrarci, come se
stesse prendendo coraggio.
Non
poteva dirlo con certezza, ma le mani parevano tremare, prima di
stringere più forte il mazzo di fiori già
sgualcito e raddrizzare
la schiena di colpo. Con un gesto secco la vide lanciarli nel cestino
e allontanarsi di fretta.
«Oi,
che fai?» la voce di suo fratello lo riportò alla
realtà
facendogli realizzare che si era alzato in piedi senza nemmeno
accorgersene.
«Cosa?
Ah.. scusa.» borbottò riportando lo sguardo su
Beth e Mike che lo
fissavano straniti.
«Ma
che ti preso tutto d'un tratto?» gli domandò
aggrottando le
sopracciglia mentre Ian si rimetteva a sedere chiedendoselo anche
lui.
«Niente,
mi sembrava di aver visto una persona che conosco.»
borbottò
pensieroso.
«Scommetto
che era una donna, Casanova dei miei stivali.» gli sorrise
furbescamente Beth.
«In
un certo senso..»
~*~
«Grazie
per gli obbiettivi, ti adoro! Anche se il libro per mamma potevi
evitartelo, sembrava una quattordicenne quando ha visto l'autografo,
uno spettacolo orrendo!
I
regali da te sono già arrivati?»
«Non
ancora, il corriere ripassa oggi pomeriggio visto che stamattina non
mi ha trovata.»
«Anche
quest'anno ci sei stata vero?»
«Sì.»
«Dovresti
smetterla Amy. Lo dico per te, essere così legata al passato
non ti
fa bene...»
«Infatti
non lo sono.»
«Amy..!»
«È
la verità, ora goditi il Natale e non preoccuparti per me.»
«Come
se fosse facile.»
«Sono
io la sorella maggiore, quello è un mio compito, fa il bravo
e non
dirlo a mamma.»
«Come
sempre..»
Lasciò
il cellulare accanto a sé sul divano mentre fissava con uno
sguardo
spento il soffitto, certe volte suo fratello era davvero troppo
intuitivo per essere dell'altro sesso.
Quando
suonarono il campanello era ancora lì immobile in stato
catatonico.
Si alzò svogliata ed andò ad aprire senza nemmeno
controllare chi
fosse. Quando aprì la porta rimase congelata sul posto,
aldilà del
cancelletto due occhi verdi la fissavano.
«Buon
Natale piccola.» la sua voce era sempre la stessa, il volto
aveva
qualche ruga in più e si era stempiato, ma lo avrebbe
riconosciuto
ovunque. Pensava di averlo dimenticato, ma non era possibile, anche
dopo tutti quegli anni. Richiuse velocemente la porta senza dire una
parola girando la chiave a doppia mandata. Come diavolo l'aveva
trovata?
Si
passò una mano fra i capelli quasi strappandoseli dalla foga
mentre
il campanello ricominciava a suonare.
«Vattene,
non ho nulla da dirti.» quasi strappò il filo del
citofono nella
foga di rispondere prima che attirasse l'attenzione dei vicini.
«Andiamo,
è Natale, dovresti essere più educata con tuo
padre.» la voce
gracchiante dall'altra parte della cornetta la fece rabbrividire dal
disgusto.
«Quando
lo trovi fammelo sapere e ora vattene prima che chiami la
polizia.»
gli intimò fermamente, neanche un accenno di debolezza nella
voce
dura.
«Non
c'è bisogno di essere così dura, sono qui per
farti gli auguri. »
«Non
sono credente, ora vattene.»
«Tanto
ci rivedremo.» concluse lui prima che potesse riattaccare,
con la
telecamera puntata sul cancello controllo che se ne fosse davvero
andato rendendosi conto forse era più sconvolta di quanto
pensasse
quando prese il cellulare e scrisse febbrilmente un messaggio. Aveva
bisogno di una distrazione, il più presto possibile.
Un'ora
più tardi, quando controllò il cellulare dopo
aver appoggiato i
pacchi in salotto che il corriere aveva finalmente consegnato,
arrivò
la risposta.
“No
Miss Ghiacciolo, per me non ci sono festivi. Posso passare per le
23:00, va bene?"
Digitò
una riposta telegrafica per poi mettersi a scartare i regali giusto
per fare qualcosa e non pensare che, nonostante avesse spento
qualunque emozione, quell'unico legame col passato che non riusciva a
recidere l'aveva messa in una situazione davvero scomoda.
~*~
Quando
arrivò davanti alla casa della ragazza calata la notte da
parecchie
ore, era un po' in ritardo perché sua madre l'aveva
trattenuto più
del necessario per sapere chi era quell'amico che doveva andare
trovare così a tarda sera. Se n'era uscito con una mezza
verità
dicendo che era solo a casa dato che i parenti erano lontani e lui
andava a fargli compagnia. Ed ora si ritrovava con un vassoio di
avanzi poggiato sul posto del passeggero che avrebbe potuto sfamare
una famiglia di tre persone per due giorni. Sul sedile posteriore
c'era il suo ugualmente grande, quindi era fuori discussione che si
portasse a casa tutta quella roba. In fondo l'avrebbe fatta mangiare
un po' di cibo vero e basta.
Era
una nottata particolarmente gelida, quando finalmente scese dalla
macchina venne aggredito dal freddo, facendolo rabbrividire. Si
avvicinò al campanello per suonare quando sentì
uno scricchiolio
sotto la scarpa.
Abbassando
lo sguardo rimase perplesso dal notare che era un mazzo di margherite
molto simile se non lo stesso che Amelia aveva buttato quella
mattina.
Quando
lo fece entrare sentì su di sé il suo sguardo
indagatore.
«E
quello cos'è?» saltò la parte dei
saluti come al solito.
«Cibo
vero Mylady, sempre che non la offendano gli avanzi di un Cenone
Natalizio da popolani.» rispose con un sorriso per nascondere
il
disagio. Forse avrebbe fatto meglio a lasciarli in macchina e
attirarsi le maledizioni di tutti i bambini affamati in giro per il
mondo buttandoli piuttosto che darglieli.
«E
perché li porti a me?» inarcò un
sopracciglio. Con lei non
riusciva mai a capire davvero cosa pensasse, anche se avesse dovuto
usare l'istinto avrebbe detto che sembrava solo stupita, non
infastidita.
«Perchè
ne ho troppi e sarebbe uno spreco se andassero buttati, come quel bel
mazzo fiori qua fuori.» se c'era una cosa che aveva capito di
lei,
però, che un ottimo modo per portare la conversazione ad un
punto
morto era menzionare le sue questioni personali.
«Quale
mazzo di fiori?» la vide sbattere le palpebre più
veloce del
normale mentre il suo corpo si metteva automaticamente sulla
difensiva facendo mezzo passo indietro.
«Quando
sono arrivato l'ho visto proprio sotto al tuo campanello.»
piegò la
testa leggermente di lato, non si aspettava una reazione
così
esagerata.
«Che
fiori erano?» sembrava che la cosa la mettesse davvero a
disagio,
forse erano davvero i fiori che le aveva visto in mano quella
mattina.
«Margherite.»
non riuscì ad aggiungere nient'altro mentre la guardava
ricomporsi.
«Capisco.»
si rimise definitivamente la maschera di imperturbabilità
lasciandolo un po' interdetto da quei continui repentini cambiamenti.
«Dammelo, lo appoggio in cucina.»
Prese
il vassoio e lo lasciò a togliersi la giacca mentre spariva
dietro
la soglia.
Quando
la raggiunse la vide che fissava assente fuori dalla finestra, non
poté pensare ad altro che distrarla. Sembrava—
come dire? Persa.
La
prese per le spalle e la fece voltare gentilmente cominciando a
baciarla con delicatezza, facendo scivolare le mani sotto il maglione
di lana pesante. Quasi subito la sentì lasciarsi andare e
ricambiare. Sembrava che cercasse di evadere dalle preoccupazioni e
da fantasmi più grandi di lei, non sapeva come facesse a
intuirlo,
ma ogni volta che chiudeva gli occhi la rivedeva di spalle, mentre se
ne stava immobile in mezzo al marciapiede a fissare delle tombe.
Non
capiva cosa fosse tutta quella preoccupazione per lei mentre la
circondava il polso sottile e la guidava verso il piano di sopra,
fermandosi ogni due gradini per baciarsi e spogliarsi a vicenda.
Era
diversa solo per il fatto che era molto più vicina alla sua
età
delle sue clienti e le loro somiglianze finivano lì.
Lui
faceva quel lavoro per guadagnarsi da vivere, sfruttando la paura
della solitudine degli esseri umani, mentre lei sembrava quasi
cercarla come se fosse l'unica salvezza.
Lui
passava le feste con la sua famiglia e lei davanti ad un cimitero.
Lei
sembrava un pezzo di ghiaccio, ma una delle nozioni che ti insegnano
fin da bambini è che quando qualcosa è troppo
freddo si può finire
ustionati lo stesso. Mentre si buttavano sul suo letto e lei si
ostinava a non spostare lo sguardo si sentiva sommerso da quelle due
iridi nocciola che lo divoravano sotto le ciglia scure. Sembrava di
cadere in un buco nero, attratto inevitabilmente dalla sua forza di
gravità.
Non
riusciva a spiegarselo, come non riusciva a darsi una motivazione
logica sul perché si fosse preoccupato per lei tanto da
presentarsi
a casa sua qualche giorno prima.
Forse
voleva credere che non fosse solo quella ragazzina viziata che
sembrava, forse desiderava che non fosse solo una pozzanghera sporca
in cui non riusciva a vedersi riflesso, ma un abisso da esplorare.
~*~
«Tu
hai mai amato?» le chiese all'improvviso, steso accanto a
lei,
probabilmente sfruttava la stanchezza per scucirle informazioni.
Nonostante la prima regola che aveva imposto era che lui sarebbe
dovuto rimanere fuori dalla sua vita privata, inspiegabilmente,
rispose.
«Forse.»
disse seccamente mentre buttava fuori il fumo.
«Mhm.»
mugugnò assorto mettendole addosso una strana sensazione.
Fastidio,
disagio.. angoscia?
Rimase
silenziosa con lo sguardo fisso davanti a sé, fin troppo
cosciente
della sua presenza accanto a lei, desiderosa di non approfondire
l'argomento più del necessario. Che se ne stesse zitto, lo
pagava
per fare sesso, non per psicoanalizzarla.
«E
perché ora non lo fai più?»
domandò infine lui voltandosi verso
di lei e rubandole la sigaretta dalle mani, per attirarne
l'attenzione. Lei si voltò verso di lui con un espressione a
cavallo
fra sorpresa e l’infastidita, incontrandone così
lo sguardo
curioso.
«Che
vuoi dire?» domandò.
«Lo
sai benissimo.» sorrise piegando leggermente le labbra
furbescamente.
«No,
non lo so.» lo guardò storto mentre lui si fumava
quello che
rimaneva della sua sigaretta.
«Perché
ti rifiuti di amare ancora?» sembrava non avesse paura di
parlare
d'amore, proprio lui che faceva quel lavoro. Lui che fingeva l'amore
per donne tristi e sole.
Lei
ci rifletté qualche istante, pensosa.
«Ho
smesso di farlo tanto tempo fa, non lo trovo necessario.. o forse
semplicemente non ne sono più capace.» rispose fin
troppo sincera.
Forse lo era stata perché la giornata l'aveva provata
più di quanto
pensasse. Forse si era illusa di poter chiudere col passato
–con la
vecchia sé stessa– ma quando il passato si era
letteralmente
presentato alla sua porta non aveva potuto fare a meno di sentir
scricchiolare pericolosamente l'armatura che si era creata per
rimanere intoccata dal mondo esterno e dai suoi stessi ricordi.
Rimasero
in silenzio, poi la sigaretta finì, lei lo pagò e
lui se ne andò,
il suo dovere l'aveva fatto, l'aveva distratta. E anche se era
cosciente che usava il sesso –usava lui– per non
pensare non poté
fare a meno di chiedersi che male ci fosse. Anche solo il suo profumo
che rimaneva leggero intriso nelle lenzuola la rilassava
Mentre
mangiava gli avanzi che gli aveva portato si disse che in fondo era
il modo migliore, non faceva del male a nessuno ed entrambi ci
guadagnavano.
Se
per qualche istante poteva sentirsi viva anche lei era forse
sbagliato usarlo quanto più poteva? Alla fine era
un'abitudine –non
avrebbe mai parlato di “dipendenza" come un ubriaco con
l'ennesima bottiglia in mano– molto meno lesiva di molte
altre.
Nei
giorni seguenti lo chiamò quasi tutti i giorni, a volte si
ritrovava
a chiedersi dove trovasse tutto quel tempo libero. Certo, si
presentava da lei sempre a tarda notte e se ne andava dopo nemmeno
due ore, ma non aveva altre clienti? Ogni volta che lo chiamava lui
arrivava. Era uscita una sola volta per andare a ballare con le sue
campagne di classe, ma a parte quell'episodio si ritrovava a
rifiutare qualunque proposta. Usciva lo stretto necessario per
comprare le sigarette o buttare la spazzatura. Viveva in un mondo
surreale in cui i suoi contatti con l'esterno si riducevano a Ian. E
dopo aver fatto sesso c'erano sempre quei dieci minuti in cui lei
fumava e lui provava ad estorcerle qualche informazione.
«Come
mai non sei con la tua famiglia?»
«Non
mi piace la montagna.»
«Ma
tu hai degli amici, Miss Ghiacciolo?»
«Conoscenti
perlopiù.»
«Perchè?»
«Non
mi piacciono le persone.»
«Questa
sì che è buona!» una risata sommessa.
«Mhm..»
«Amelia.»
«...»
«Amelia..?»
«...»
«..Mel?»
«Mel?»
«Pensavo
ti fossi addormentata.»
«No,
ma— ”Mel"?»
«Chiamarti
per nome è troppo lungo quando devi ripeterlo trenta volte
per farti
considerare. »
«Come
ti pare. Comunque che volevi?»
«Come
mai odi le persone?»
«Non
ho mai detto che le odio, solo non mi piacciono.»
«E
non è la stessa cosa in sostanza?»
«No,
per odiare qualcuno prima devi averlo amato.»
«Ne
sei sicura?»
«Sì,
lo sono.»
«...»
«...»
«..forse
hai ragione.»
Capodanno
era arrivato e passato. Lei era stata ad una festa in una villa dei
tanti ragazzi ricchi che l'avevano organizzata, si era ubriacata ed
era finita in una stanza con un tizio di cui ricordava a malapena il
nome. Anche quella volta era stato insoddisfacente, non capiva
perché, ma nessuno sapeva trasmetterle quel calore che Ian
riusciva
a infonderle anche solo sfiorandola facendo sparire qualunque cosa
anche solo per poco. Se n'era andata all'alba con un taxi e la sera
lo aveva chiamato.
Non
sopportava l'idea di esserne così dipendente,
ma allo stesso tempo non riusciva a farne a meno.
Lui
si era presentato sorridente come al solito a mezzanotte passata ed
era rimasto quasi fino al sorgere del sole.
Due
giorni dopo l'aveva richiamato e mentre lo aspettava aveva deciso di
andare a prendersi le sigarette al distributore dietro l'angolo visto
che le stava finendo, quando tornò lo trovò
già davanti al
cancelletto, appoggiato alla macchina parcheggiata proprio
lì
davanti.
«Eccoti
finalmente.» l'accolse mettendosi dritto.
«Ero
andata a prendere le sigarette.» scrollò le spalle
oltrepassandolo
per aprire il cancelletto. Aveva già infilato le chiavi
nella toppa
quando una busta nella cassetta delle lettere la distrasse dal
blaterare di lui sul fatto che fumava troppo.
La
tirò fuori rigirandosela fra le mani mentre attraversava il
vialetto: non aveva francobollo ed era completamente bianca, qualcuno
doveva averla consegnata a mano poco prima, dato che era infilata
nella cassetta solo per metà e quando era uscita non l'aveva
notata.
«Hai
visto chi l'ha lasciata?» chiese al suo accompagnatore alle
sue
spalle mentre infilava le chiavi nella porta d'ingresso.
«Cosa?»
«Questa
busta.» gliela mostrò una volta entrati.
«No,
era già lì quando sono arrivato.»
«Okay,
fai quello che vuoi, io arrivo subito.» dopodiché
senza nemmeno
togliersi la giacca andò in cucina per aprirla. Aveva un
brutto
presentimento.
Strappò
la carta senza troppa delicatezza: dentro c'era un foglio bianco
ripiegato in quattro con sopra il suo nome scritto in biro blu.
Lo
aprì rimanendo impassibile mentre leggeva le poche righe
scritte con
una grafia spigolosa e quasi illeggibile.
«Brutte
notizie?» Ian apparve sulla soglia con uno sguardo
corrucciato. Lei
scosse la testa cominciando a fare a pezzi il foglio.
«No,
solo pubblicità.» buttò i pezzetti nel
cestino assieme alla busta
e poi lo superò svelta andando verso le scale.
«Allora?
Non vieni?» gli chiese con un piede già sul primo
gradino.
«Spero
proprio di sì.» sorrise da solo a quella battutina
da tredicenne
demente facendole alzare gli occhi al cielo.
Nel
letto si aggrappò a lui graffiandolo, mordendolo, tenendo
gli occhi
serrati perché era sicura che se l'avesse guardata
attentamente
avrebbe notato che c'era qualcosa che davvero non andava. Per niente.
Lui
rispondeva al suo corpo, ai suoi bisogni, avvolgendola in quel calore
in cui si crogiolava per quei pochi istanti di distrazione senza
conseguenze.
Dopo
rimasero ancora qualche istante stretti, come se avesse capito che ne
aveva bisogno, che aveva bisogno di qualcosa che la facesse sentire
viva e non solamente vuota e stanca, soprattutto quella sera. Quando
si spostò senti un gran freddo raggiungerle le ossa.
Riaprì gli
occhi lentamente vedendolo mentre frugava fra i vestiti ammucchiati
ai piedi del letto per poi tornare al suo fianco.
Aveva
preso l'abitudine di aprirle tutti i pacchetti per capovolgerne una.
Lei lo lasciava fare.
«Bagno.»
gli comunicò quando le rivolse uno sguardo interrogativo
vedendola
alzarsi.
«Io
intanto l'accendo.»
«Puoi
prenderne una per te se vuoi, eh.»
Non
sentì la risposta perché passando davanti alla
finestra le era
parso di vedere un'ombra sotto il lampione, lasciandola impietrita a
fissare la strada vuota. Probabilmente era stata la stanchezza,
però—
«Mel?»
la sua voce la riscosse e senza guardarlo girò intorno al
letto e si
chiuse in bagno.
Quando
tornò a letto lui la osservò attentamente
passandole la sigaretta
già accesa. Quella fu la prima sera in cui non disse nulla,
ma si
sentiva il suo sguardo trapanarle il cranio.
Quando
spense il mozzicone nel posacenere si alzò come al solito,
ma invece
che rivestirsi subito, sparì in bagno anche lui.
Si
accoccolò sotto le coperte calde rivolta verso la porta
chiusa
aspettando che uscisse dargli i soldi e vederlo andar via.
*equilibrio / zavorra / zavorrare