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Autore: Miss Dumbledore    26/04/2017    0 recensioni
“Più un cuore è vuoto e più pesa."
—Augusta Amiel-Lapeyre

Una ragazza ricca e tradita fin troppe volte, sfiduciata e arrabbiata nel profondo nei confronti degli uomini.
Un gigolò che si destreggia fra le donne più facoltose e sole della città usando il suo charme e il suo corpo come fonte di guadagno.
Lei che si sente un involucro vuoto.
Lui una cosiddetta “puttana di alto bordo”.
Come si incroceranno le loro strade? Cosa c'entrano i loro mondi l'uno con l'altro e cosa li ha portati a incrociarsi quando sono solo i soldi ad accomunarli?
Lei, non la classica bella ragazza, una bellezza discreta dai lineamenti particolari.
Lui affascinante, ferino e decisamente gettonato fra le signore; il classico uomo da ormone impazzito.
Lei con un carattere forte e un cuore che sembra essere stato asportato gli fa una proposta.
Superficialità e un viaggio interiore intrapreso dalla porta di servizio s'incrociano per arrivare alla stessa destinazione.
"Aprì gli occhi di scatto e incontrò i suoi, così blu da affogarvici dentro."
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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#O5 – BALLAST* ;

Routine.

A volte è più facile confidarsi con un estraneo. Chissà perché. Forse perché un estraneo ci vede come siamo realmente, e non come vogliamo far credere di essere.”
Carlos Ruiz Zafon


Si era svegliata da circa mezz'ora e stava riflettendo pigramente cosa prepararsi per pranzo dato che erano le due passate quando il campanello suonò.
Ancora in pigiama e con i capelli scompigliati andò ad aprire, trovandoselo davanti, splendido come sempre.
«Non ti aspettavo così presto.» disse a mo' di saluto spostandosi dalla soglia per farlo entrare.
«Hai una strana concezione della parola “presto" tu.» non sembrava irritato con lei per il suo comportamento del giorno prima, anzi, era fin troppo calmo. «Comunque ero già in giro e ho pensato di passare di qua già che c'ero.»
«Okay, vado a prenderti i soldi.» dandogli le spalle salì al secondo piano. Ci aveva pensato su, chiedendosi se non dovesse addirittura offrirgli dei soldi per il fatto che si era preso cura di lei, così da delineare di nuovo i confini che le sembravano terribilmente labili in quel momento. Oppure non farne parola come se fosse stato tutto un brutto sogno.
Quando tornò giù non lo vide nell'atrio, quindi proseguì per la cucina seguendo l'istinto: infatti lo trovò che con sguardo critico studiava la busta della sua spesa della sera prima abbandonata sull'isola che consisteva in schifezze e cibi precotti.
«Mangi mai qualcosa di salutare?» si voltò verso di lei quando sentì i suoi passi.
«In frigo ho dell'insalata.» scrollò le spalle indifferente. Chissà se criticava le abitudini alimentari di tutte le sue clienti o riservava quell'onore solo a lei. «Ecco qua, la cifra è quella che mi hai inviato per messaggio.»
Lui osservò la mazzetta per qualche istante poi la mise in tasca senza nemmeno prendersi il disturbo di controllare se ci fossero tutti.
«Bene, l'accendino era lì vicino alle tue sigarette e l'ho già preso. Siamo a posto.» storse le labbra come se vi fosse qualcosa che lo irritava profondamente.
«Bene.» rispose telegrafica seguendolo mentre si dirigevano all'entrata.
A dire il vero era irritata anche lei e non sapeva come far passare quel prurito fastidioso. Il fatto di essere in debito con lui la infastidiva enormemente anche se il fatto di dire semplicemente grazie era fuori questione. Lui di sicuro non si era preso cura di lei per semplice buon cuore, ma nonostante ne fosse cosciente, quel fastidioso punto in sospeso non la lasciava in pace.
«Alla prossima.» lo salutò sulla porta.
Lui fece un sorriso mesto e la inchiodò con lo sguardo per qualche istante prima di voltarsi e procedere sul vialetto.
«Alla prossima.» rispose in ritardo già di spalle alzando una mano.


I giorni passavano tutto uguali, da quando lo vide declinò gli inviti ad uscire delle compagne di classe e se ne rimase a casa a guardare qualche film al caldo e fare i compiti assegnatile per le vacanze di Natale. Siccome frequentava una scuola privata avevano iniziato prima le vacanze, quindi aveva molto più tempo da perdere di un normale studente delle superiori, nonostante questo Natale incombeva sempre più vicino e con esso una festa di beneficenza proprio alla Viglia con cui sua madre si era presa la rivincita sulla sua scelta di non raggiungerli per festeggiare. In pratica le aveva intimato di andare a nome loro dato che, parafrasandola, non aveva nulla di meglio da fare. Certe volte si atteggiava davvero da snob, cosa ridicola visto che lei e i suoi figli erano praticamente nuovi di quell'ambiente e solo grazie al matrimonio con Francesco. Senza contare che quelle feste le odiava più di lei e approfittava della freddezza della figlia per avere un rappresentante come si deve di quella famiglia, non tanto perché le importava cosa pensassero di lei, ma per il marito che facendo il notaio e doveva tenerseli buoni come clienti, nonostante fosse comunque di buona famiglia.
Non aveva chiamato nemmeno Ian per far passare il tempo perché ogni volta che vedeva il suo nome nella rubrica il fastidioso prurito tornava a farsi sentire e rifiutava l'idea di doversi sentire in debito con lui.
In ogni caso avrebbe passato volentieri tutte le vacanze a casa in solitudine, non chiedeva altro che silenzio e pace. Di solito usciva per spezzare la routine e per non far preoccupare sua madre, un conto era che sospettasse e basta che non aveva relazioni umane degne di questo nome, un conto era vederlo.
Così arrivò la Vigilia con la chiamata di sua madre di prima mattina che le ricordava che a quella festa “ci doveva proprio andare" dato che aveva già chiamato per confermare la sua presenza, il resto della conversazione passò da Francesco che le chiedeva scusa per obbligarla a sobbarcarsi quell'impegno al posto suo e suo fratello che le augurava scherzosamente buona fortuna.
La serata, che era dedicata ai senzatetto e i bambini abbandonati, fu noiosa come previsto, fra chiacchiere vuote in cui le chiedevano dove fossero o come stessero i suoi genitori e del suo percorso di studi. Solo quando salì sul taxi che l'avrebbe riportata a casa si rese conto con suo grande orrore che aveva passato gran parte della serata a cercare distrattamente un paio di occhi blu.
Quella notte dormì un sonno agitato e pieno di figure sfuggenti, svegliandosi all'alba sudata fradicia con una mano tesa verso il soffitto come in procinto di afferrare qualcosa.
La lasciò cadere con un tonfo sul piumone voltando la testa verso il comodino dove la radiosveglia segnava la data tanto temuta.
«E così anche quest'anno è arrivato.» sospirò atona.
Camminare nella città vuota e luminosa grazie a tutte le decorazioni allo scopo di spegnere quell'inquietudine l'aveva portata in quel posto, ancora una volta non era riuscita a sfuggire a quella ricorrenza che la ossessionava da anni.
Era ferma, nemmeno lei sapeva da quanto, dall'altra parte della strada a fissare quei cancelli senza il coraggio di attraversarli, con in mano un mazzo di margherite che aveva comprato lungo la strada da un fioraio miracolosamente aperto.
Alla fine finiva sempre lì a fissare con uno sguardo vuoto lo squarcio di cimitero che poteva scorgere chiedendosi vagamente quale potesse essere la sua fra tutte quelle lapidi.
Le poche persone mattiniere in giro a quell'ora, forse per la messa o per le commissioni dell'ultimo minuto le passavano accanto silenziose, come se fosse invisibile.
«Cosa diavolo ci faccio qui?» mormorò a sé stessa lasciando perdere per l'ennesima volta e buttando il mazzo di fiori in un cestino mentre a passo svelto prendeva la via di casa senza notare lo sguardo intenso che la seguiva dall'interno di un bar.


~*~


Era lei. Era sicuramente lei, anche se quel comportamento non si addiceva con la figura rigida che si era creato nella sua testa.
L'aveva notata voltando lo sguardo verso l'esterno, mentre faceva colazione con suo fratello e la sua fidanzata. Dovevano aspettare gran parte della famiglia che era andata a messa come ogni anno, preferendo quella mattutina a quella di mezzanotte, sua madre non li obbligava ad entrare in chiesa, anche se aveva fissato la regola che si svegliassero presto e li portassero in macchina fino alla funzione come penitenza. Sua madre odiava i lavativi.
Mentre assonnato rifletteva su quella ingiustizia l'aveva notata, era assurdo, ma l'aveva riconosciuta subito. Anche se era tutto sbagliato.
Le spalle basse, le braccia abbandonate lungo i fianchi, se ne stava immobile come una bambina spaventata a fissare qualcosa davanti a sé. In mano aveva un mazzo di margherite che prendevano inerti.
Se ne stava semplicemente ferma dandogli le spalle, come se fosse incosciente di tutto. In un primo momento pensò e forse stava aspettando qualcuno, ma escluse quell'ipotesi quasi subito. Semplicemente sembrava che se ne stesse lì a fissare il cimitero davanti a lei, ma non sembrava intenzionata ad entrarci, come se stesse prendendo coraggio.
Non poteva dirlo con certezza, ma le mani parevano tremare, prima di stringere più forte il mazzo di fiori già sgualcito e raddrizzare la schiena di colpo. Con un gesto secco la vide lanciarli nel cestino e allontanarsi di fretta.
«Oi, che fai?» la voce di suo fratello lo riportò alla realtà facendogli realizzare che si era alzato in piedi senza nemmeno accorgersene.
«Cosa? Ah.. scusa.» borbottò riportando lo sguardo su Beth e Mike che lo fissavano straniti.
«Ma che ti preso tutto d'un tratto?» gli domandò aggrottando le sopracciglia mentre Ian si rimetteva a sedere chiedendoselo anche lui.
«Niente, mi sembrava di aver visto una persona che conosco.» borbottò pensieroso.
«Scommetto che era una donna, Casanova dei miei stivali.» gli sorrise furbescamente Beth.
«In un certo senso..»


~*~


«Grazie per gli obbiettivi, ti adoro! Anche se il libro per mamma potevi evitartelo, sembrava una quattordicenne quando ha visto l'autografo, uno spettacolo orrendo!
I regali da te sono già arrivati?»
«Non ancora, il corriere ripassa oggi pomeriggio visto che stamattina non mi ha trovata.»
«Anche quest'anno ci sei stata vero?»
«Sì.»
«Dovresti smetterla Amy. Lo dico per te, essere così legata al passato non ti fa bene...»
«Infatti non lo sono.»
«Amy..!»
«È la verità, ora goditi il Natale e non preoccuparti per me.»
«Come se fosse facile.»
«Sono io la sorella maggiore, quello è un mio compito, fa il bravo e non dirlo a mamma.»
«Come sempre..»
Lasciò il cellulare accanto a sé sul divano mentre fissava con uno sguardo spento il soffitto, certe volte suo fratello era davvero troppo intuitivo per essere dell'altro sesso.
Quando suonarono il campanello era ancora lì immobile in stato catatonico. Si alzò svogliata ed andò ad aprire senza nemmeno controllare chi fosse. Quando aprì la porta rimase congelata sul posto, aldilà del cancelletto due occhi verdi la fissavano.
«Buon Natale piccola.» la sua voce era sempre la stessa, il volto aveva qualche ruga in più e si era stempiato, ma lo avrebbe riconosciuto ovunque. Pensava di averlo dimenticato, ma non era possibile, anche dopo tutti quegli anni. Richiuse velocemente la porta senza dire una parola girando la chiave a doppia mandata. Come diavolo l'aveva trovata?
Si passò una mano fra i capelli quasi strappandoseli dalla foga mentre il campanello ricominciava a suonare.
«Vattene, non ho nulla da dirti.» quasi strappò il filo del citofono nella foga di rispondere prima che attirasse l'attenzione dei vicini.
«Andiamo, è Natale, dovresti essere più educata con tuo padre.» la voce gracchiante dall'altra parte della cornetta la fece rabbrividire dal disgusto.
«Quando lo trovi fammelo sapere e ora vattene prima che chiami la polizia.» gli intimò fermamente, neanche un accenno di debolezza nella voce dura.
«Non c'è bisogno di essere così dura, sono qui per farti gli auguri. »
«Non sono credente, ora vattene.»
«Tanto ci rivedremo.» concluse lui prima che potesse riattaccare, con la telecamera puntata sul cancello controllo che se ne fosse davvero andato rendendosi conto forse era più sconvolta di quanto pensasse quando prese il cellulare e scrisse febbrilmente un messaggio. Aveva bisogno di una distrazione, il più presto possibile.
Un'ora più tardi, quando controllò il cellulare dopo aver appoggiato i pacchi in salotto che il corriere aveva finalmente consegnato, arrivò la risposta.

No Miss Ghiacciolo, per me non ci sono festivi. Posso passare per le 23:00, va bene?"
Digitò una riposta telegrafica per poi mettersi a scartare i regali giusto per fare qualcosa e non pensare che, nonostante avesse spento qualunque emozione, quell'unico legame col passato che non riusciva a recidere l'aveva messa in una situazione davvero scomoda.


~*~


Quando arrivò davanti alla casa della ragazza calata la notte da parecchie ore, era un po' in ritardo perché sua madre l'aveva trattenuto più del necessario per sapere chi era quell'amico che doveva andare trovare così a tarda sera. Se n'era uscito con una mezza verità dicendo che era solo a casa dato che i parenti erano lontani e lui andava a fargli compagnia. Ed ora si ritrovava con un vassoio di avanzi poggiato sul posto del passeggero che avrebbe potuto sfamare una famiglia di tre persone per due giorni. Sul sedile posteriore c'era il suo ugualmente grande, quindi era fuori discussione che si portasse a casa tutta quella roba. In fondo l'avrebbe fatta mangiare un po' di cibo vero e basta.
Era una nottata particolarmente gelida, quando finalmente scese dalla macchina venne aggredito dal freddo, facendolo rabbrividire. Si avvicinò al campanello per suonare quando sentì uno scricchiolio sotto la scarpa.
Abbassando lo sguardo rimase perplesso dal notare che era un mazzo di margherite molto simile se non lo stesso che Amelia aveva buttato quella mattina.
Quando lo fece entrare sentì su di sé il suo sguardo indagatore.
«E quello cos'è?» saltò la parte dei saluti come al solito.
«Cibo vero Mylady, sempre che non la offendano gli avanzi di un Cenone Natalizio da popolani.» rispose con un sorriso per nascondere il disagio. Forse avrebbe fatto meglio a lasciarli in macchina e attirarsi le maledizioni di tutti i bambini affamati in giro per il mondo buttandoli piuttosto che darglieli.
«E perché li porti a me?» inarcò un sopracciglio. Con lei non riusciva mai a capire davvero cosa pensasse, anche se avesse dovuto usare l'istinto avrebbe detto che sembrava solo stupita, non infastidita.
«Perchè ne ho troppi e sarebbe uno spreco se andassero buttati, come quel bel mazzo fiori qua fuori.» se c'era una cosa che aveva capito di lei, però, che un ottimo modo per portare la conversazione ad un punto morto era menzionare le sue questioni personali.
«Quale mazzo di fiori?» la vide sbattere le palpebre più veloce del normale mentre il suo corpo si metteva automaticamente sulla difensiva facendo mezzo passo indietro.
«Quando sono arrivato l'ho visto proprio sotto al tuo campanello.» piegò la testa leggermente di lato, non si aspettava una reazione così esagerata.
«Che fiori erano?» sembrava che la cosa la mettesse davvero a disagio, forse erano davvero i fiori che le aveva visto in mano quella mattina.
«Margherite.» non riuscì ad aggiungere nient'altro mentre la guardava ricomporsi.
«Capisco.» si rimise definitivamente la maschera di imperturbabilità lasciandolo un po' interdetto da quei continui repentini cambiamenti. «Dammelo, lo appoggio in cucina.»
Prese il vassoio e lo lasciò a togliersi la giacca mentre spariva dietro la soglia.
Quando la raggiunse la vide che fissava assente fuori dalla finestra, non poté pensare ad altro che distrarla. Sembrava— come dire? Persa.
La prese per le spalle e la fece voltare gentilmente cominciando a baciarla con delicatezza, facendo scivolare le mani sotto il maglione di lana pesante. Quasi subito la sentì lasciarsi andare e ricambiare. Sembrava che cercasse di evadere dalle preoccupazioni e da fantasmi più grandi di lei, non sapeva come facesse a intuirlo, ma ogni volta che chiudeva gli occhi la rivedeva di spalle, mentre se ne stava immobile in mezzo al marciapiede a fissare delle tombe.
Non capiva cosa fosse tutta quella preoccupazione per lei mentre la circondava il polso sottile e la guidava verso il piano di sopra, fermandosi ogni due gradini per baciarsi e spogliarsi a vicenda.
Era diversa solo per il fatto che era molto più vicina alla sua età delle sue clienti e le loro somiglianze finivano lì.
Lui faceva quel lavoro per guadagnarsi da vivere, sfruttando la paura della solitudine degli esseri umani, mentre lei sembrava quasi cercarla come se fosse l'unica salvezza.
Lui passava le feste con la sua famiglia e lei davanti ad un cimitero.
Lei sembrava un pezzo di ghiaccio, ma una delle nozioni che ti insegnano fin da bambini è che quando qualcosa è troppo freddo si può finire ustionati lo stesso. Mentre si buttavano sul suo letto e lei si ostinava a non spostare lo sguardo si sentiva sommerso da quelle due iridi nocciola che lo divoravano sotto le ciglia scure. Sembrava di cadere in un buco nero, attratto inevitabilmente dalla sua forza di gravità.
Non riusciva a spiegarselo, come non riusciva a darsi una motivazione logica sul perché si fosse preoccupato per lei tanto da presentarsi a casa sua qualche giorno prima.
Forse voleva credere che non fosse solo quella ragazzina viziata che sembrava, forse desiderava che non fosse solo una pozzanghera sporca in cui non riusciva a vedersi riflesso, ma un abisso da esplorare.


~*~

«Tu hai mai amato?» le chiese all'improvviso, steso accanto a lei, probabilmente sfruttava la stanchezza per scucirle informazioni. Nonostante la prima regola che aveva imposto era che lui sarebbe dovuto rimanere fuori dalla sua vita privata, inspiegabilmente, rispose.
«Forse.» disse seccamente mentre buttava fuori il fumo.
«Mhm.» mugugnò assorto mettendole addosso una strana sensazione. Fastidio, disagio.. angoscia?
Rimase silenziosa con lo sguardo fisso davanti a sé, fin troppo cosciente della sua presenza accanto a lei, desiderosa di non approfondire l'argomento più del necessario. Che se ne stesse zitto, lo pagava per fare sesso, non per psicoanalizzarla.
«E perché ora non lo fai più?» domandò infine lui voltandosi verso di lei e rubandole la sigaretta dalle mani, per attirarne l'attenzione. Lei si voltò verso di lui con un espressione a cavallo fra sorpresa e l’infastidita, incontrandone così lo sguardo curioso.
«Che vuoi dire?» domandò.
«Lo sai benissimo.» sorrise piegando leggermente le labbra furbescamente.
«No, non lo so.» lo guardò storto mentre lui si fumava quello che rimaneva della sua sigaretta.
«Perché ti rifiuti di amare ancora?» sembrava non avesse paura di parlare d'amore, proprio lui che faceva quel lavoro. Lui che fingeva l'amore per donne tristi e sole.
Lei ci rifletté qualche istante, pensosa.
«Ho smesso di farlo tanto tempo fa, non lo trovo necessario.. o forse semplicemente non ne sono più capace.» rispose fin troppo sincera. Forse lo era stata perché la giornata l'aveva provata più di quanto pensasse. Forse si era illusa di poter chiudere col passato –con la vecchia sé stessa– ma quando il passato si era letteralmente presentato alla sua porta non aveva potuto fare a meno di sentir scricchiolare pericolosamente l'armatura che si era creata per rimanere intoccata dal mondo esterno e dai suoi stessi ricordi.
Rimasero in silenzio, poi la sigaretta finì, lei lo pagò e lui se ne andò, il suo dovere l'aveva fatto, l'aveva distratta. E anche se era cosciente che usava il sesso –usava lui– per non pensare non poté fare a meno di chiedersi che male ci fosse. Anche solo il suo profumo che rimaneva leggero intriso nelle lenzuola la rilassava
Mentre mangiava gli avanzi che gli aveva portato si disse che in fondo era il modo migliore, non faceva del male a nessuno ed entrambi ci guadagnavano.
Se per qualche istante poteva sentirsi viva anche lei era forse sbagliato usarlo quanto più poteva? Alla fine era un'abitudine –non avrebbe mai parlato di “dipendenza" come un ubriaco con l'ennesima bottiglia in mano– molto meno lesiva di molte altre.


Nei giorni seguenti lo chiamò quasi tutti i giorni, a volte si ritrovava a chiedersi dove trovasse tutto quel tempo libero. Certo, si presentava da lei sempre a tarda notte e se ne andava dopo nemmeno due ore, ma non aveva altre clienti? Ogni volta che lo chiamava lui arrivava. Era uscita una sola volta per andare a ballare con le sue campagne di classe, ma a parte quell'episodio si ritrovava a rifiutare qualunque proposta. Usciva lo stretto necessario per comprare le sigarette o buttare la spazzatura. Viveva in un mondo surreale in cui i suoi contatti con l'esterno si riducevano a Ian. E dopo aver fatto sesso c'erano sempre quei dieci minuti in cui lei fumava e lui provava ad estorcerle qualche informazione.


«Come mai non sei con la tua famiglia?»
«Non mi piace la montagna.»


«Ma tu hai degli amici, Miss Ghiacciolo?»
«Conoscenti perlopiù.»
«Perchè?»
«Non mi piacciono le persone.»
«Questa sì che è buona!» una risata sommessa.
«Mhm..»


«Amelia.»
«...»
«Amelia..?»
«...»
«..Mel?»
«Mel?»
«Pensavo ti fossi addormentata.»
«No, ma— ”Mel"?»
«Chiamarti per nome è troppo lungo quando devi ripeterlo trenta volte per farti considerare. »
«Come ti pare. Comunque che volevi?»


«Come mai odi le persone?»
«Non ho mai detto che le odio, solo non mi piacciono.»
«E non è la stessa cosa in sostanza?»
«No, per odiare qualcuno prima devi averlo amato.»
«Ne sei sicura?»
«Sì, lo sono.»
«...»
«...»
«..forse hai ragione.»

Capodanno era arrivato e passato. Lei era stata ad una festa in una villa dei tanti ragazzi ricchi che l'avevano organizzata, si era ubriacata ed era finita in una stanza con un tizio di cui ricordava a malapena il nome. Anche quella volta era stato insoddisfacente, non capiva perché, ma nessuno sapeva trasmetterle quel calore che Ian riusciva a infonderle anche solo sfiorandola facendo sparire qualunque cosa anche solo per poco. Se n'era andata all'alba con un taxi e la sera lo aveva chiamato.
Non sopportava l'idea di esserne così dipendente, ma allo stesso tempo non riusciva a farne a meno.
Lui si era presentato sorridente come al solito a mezzanotte passata ed era rimasto quasi fino al sorgere del sole.


Due giorni dopo l'aveva richiamato e mentre lo aspettava aveva deciso di andare a prendersi le sigarette al distributore dietro l'angolo visto che le stava finendo, quando tornò lo trovò già davanti al cancelletto, appoggiato alla macchina parcheggiata proprio lì davanti.
«Eccoti finalmente.» l'accolse mettendosi dritto.
«Ero andata a prendere le sigarette.» scrollò le spalle oltrepassandolo per aprire il cancelletto. Aveva già infilato le chiavi nella toppa quando una busta nella cassetta delle lettere la distrasse dal blaterare di lui sul fatto che fumava troppo.
La tirò fuori rigirandosela fra le mani mentre attraversava il vialetto: non aveva francobollo ed era completamente bianca, qualcuno doveva averla consegnata a mano poco prima, dato che era infilata nella cassetta solo per metà e quando era uscita non l'aveva notata.
«Hai visto chi l'ha lasciata?» chiese al suo accompagnatore alle sue spalle mentre infilava le chiavi nella porta d'ingresso.
«Cosa?»
«Questa busta.» gliela mostrò una volta entrati.
«No, era già lì quando sono arrivato.»
«Okay, fai quello che vuoi, io arrivo subito.» dopodiché senza nemmeno togliersi la giacca andò in cucina per aprirla. Aveva un brutto presentimento.
Strappò la carta senza troppa delicatezza: dentro c'era un foglio bianco ripiegato in quattro con sopra il suo nome scritto in biro blu.
Lo aprì rimanendo impassibile mentre leggeva le poche righe scritte con una grafia spigolosa e quasi illeggibile.
«Brutte notizie?» Ian apparve sulla soglia con uno sguardo corrucciato. Lei scosse la testa cominciando a fare a pezzi il foglio.
«No, solo pubblicità.» buttò i pezzetti nel cestino assieme alla busta e poi lo superò svelta andando verso le scale.
«Allora? Non vieni?» gli chiese con un piede già sul primo gradino.
«Spero proprio di sì.» sorrise da solo a quella battutina da tredicenne demente facendole alzare gli occhi al cielo.
Nel letto si aggrappò a lui graffiandolo, mordendolo, tenendo gli occhi serrati perché era sicura che se l'avesse guardata attentamente avrebbe notato che c'era qualcosa che davvero non andava. Per niente.
Lui rispondeva al suo corpo, ai suoi bisogni, avvolgendola in quel calore in cui si crogiolava per quei pochi istanti di distrazione senza conseguenze.
Dopo rimasero ancora qualche istante stretti, come se avesse capito che ne aveva bisogno, che aveva bisogno di qualcosa che la facesse sentire viva e non solamente vuota e stanca, soprattutto quella sera. Quando si spostò senti un gran freddo raggiungerle le ossa. Riaprì gli occhi lentamente vedendolo mentre frugava fra i vestiti ammucchiati ai piedi del letto per poi tornare al suo fianco.
Aveva preso l'abitudine di aprirle tutti i pacchetti per capovolgerne una. Lei lo lasciava fare.
«Bagno.» gli comunicò quando le rivolse uno sguardo interrogativo vedendola alzarsi.
«Io intanto l'accendo.»
«Puoi prenderne una per te se vuoi, eh.»
Non sentì la risposta perché passando davanti alla finestra le era parso di vedere un'ombra sotto il lampione, lasciandola impietrita a fissare la strada vuota. Probabilmente era stata la stanchezza, però—
«Mel?» la sua voce la riscosse e senza guardarlo girò intorno al letto e si chiuse in bagno.
Quando tornò a letto lui la osservò attentamente passandole la sigaretta già accesa. Quella fu la prima sera in cui non disse nulla, ma si sentiva il suo sguardo trapanarle il cranio.
Quando spense il mozzicone nel posacenere si alzò come al solito, ma invece che rivestirsi subito, sparì in bagno anche lui.
Si accoccolò sotto le coperte calde rivolta verso la porta chiusa aspettando che uscisse dargli i soldi e vederlo andar via.



*equilibrio / zavorra / zavorrare

   
 
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