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Autore: Jackthesmoker7    27/04/2017    2 recensioni
Ho cercato di scrivere una storia il più simile possibile agli episodi della serie TV, che dia alla serie una conclusione (p.s. La quinta stagione non conta qui).
Vedrete uno Slado mai visto ed una Stella che potreste vedere solo nei vostri incubi.
E Robin...
Vedrete
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Robin, Slade, Starfire, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La creatura colpì.
BB venne ricoperto da un vortice di denti e artigli, ed che lo ferirono.
Per il dolore emise un urla inumane.
Prima che riuscisse anche solo a pensare l'assalitore lo fece volare attraverso la stanza, schiantandolo contro la parete.
Normalmente in occasioni simili si sarebbe trasformato in un grosso animale ed avrebbe contrattaccato, ma era troppo stanco ed il nemico non gli lasciava riprendere fiato.
Una mano artigliata lo prese dietro la nuca e lo sbatté a terra, ripetutamente.
SBAM!
Le ossa si ruppero.
SBAM!
Il sangue sgorgò a fiumi.
SBAM!
Il pavimento si tinse di sfumature scarlatte.
E così via, sempre di più, sempre più sangue, sempre più dolore. Il pavimento si incrinò.
Il ragazzo percepì la sua forza vitale lasciare il suo corpo.
Poi accadde.
Fu come un fulmine. L'aria si saturò di elettricità, accompagnata da un rumore come di transistor, ed un colpo di laser centrò in pieno la creatura, sbalzandola via. Essa si accasciò di colpo in un angolo, svenuta.
C'era odore di carne e pelo bruciato misto all'acre aroma del sangue, ormai sparso per il pavimento.
Il colpo proveniva dal cannone sonico di Cyborg, ritto davanti alla porta. Fu l'ultima cosa che il mutaforma vide prima di svenire.
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<< Che vuol dire coma?! >>
Slado era in piedi insieme a Stella davanti al lettino da ospedale su cui giaceva il corpo immobile di BB.
La sua testa era stata bendata ed una flebo iniettava costantemente del liquido endovena. Era collegato a delle macchine che lo monitoravano minuto per minuto, rilevando attività cerebrale, i battiti del cuore ed il respiro.
Slado si voltò per guardare il ragazzo. Le ferite si estendevano per tutto il corpo, alcune delle quali molto profonde che mostravano carne, muscoli e ossa attraverso le bende insanguinate. Una delle orecchie a punta era lacerata e pezzi di pelle morta dondolavano pigramente dallo squarcio.
Puzzava di morte.
Il mercenario teneva in mano una tac che rilevava i danni cerebrali del verdino. Erano gravi.
Cyborg si era posizionato davanti a lui, un po' meno rigido di prima. Nonostante la nuova programmazione la sua ansia si notava già: << Purtroppo la prigioniera gli ha causato danni ingenti. Ha numerose fratture al cranio ed ha perso parecchio sangue.
È stato fortunato, avevo appena finito di ricaricare il cannone che ho notato dei rumori provenire dalla sua stanza. >>
Stella era china su di lui, e piangeva. Era vestita con un lungo pigiama troppo grande per lei, che sembrava quasi comico nonostante la situazione.
Slado spostò lo sguardo un attimo per guardarla affranto.
Si chiese se non sarebbe stato meglio modificarle un po' di più la memoria per evitarle così tanto dolore, ma ormai non poteva farci più niente. Non poteva usare la macchina due volte sulla stessa persona.
<< Va bene. >> ritornò su Cyborg: << Dove l’hai messa? >>
<< La prigioniera è al sicuro nei sotterranei. La prima gabbia aveva il difetto di avere delle sbarre troppo sottili. Questa è migliore. >>
Slado si mise a guardare il mezzorobot di traverso: << Cioè il mio esperimento è scappato dalla gabbia rompendo le sbarre? >>
<< Sì, signore. >>
A Slado parve venire in mente un’idea.
Guardò un’altra volta verso Stella. Stava ancora piangendo.
Le si avvicinò, e le posò una mano sulla spalla: << So che è dura per te, ma dobbiamo continuare la nostra opera. Lui vorrebbe così. E non vorrebbe che noi perdessimo tempo a rimpiangerlo. È un grande soldato, si riprenderà. >>
Stella si girò a guardarlo. Aveva gli occhi arrossati per via delle lacrime e le tremava la voce: << Ti prego, lasciami stare qui ancora un poco. >>
<< Va bene tesoro >> le rispose lui condiscendente: << Tornerò tra dieci minuti. >>
La lasciò lì ed obbligò Cyborg a venirgli dietro: << Vieni! >>
<< Ma... >>
Il criminale si voltò a guardarlo dritto negli occhi furioso: << Vieni! Ora! >>
Appena varcarono la porta cominciò a dettargli istruzioni: << Da adesso ti occuperai delle mansioni di BB fino a quando non si sveglierà.
Dovrai inoltre tenerlo d'occhio ed alla minima variazione della sua situazione dovrai avvertirmi immediatamente. >>
Raggiunsero un ascensore: << Ora portami dal mio esperimento. >>
Cyborg premette un tasto e le porte si chiusero, poi l'ascensore cominciò a scendere.
<< Un'ultima cosa >> disse il mercenario a metà del tragitto. Con la rapidità di un fulmine tirò fuori un taser tascabile dalla cintura e lo puntò in faccia al ragazzone: << Se mai ricapiterà un avvenimento del genere, ti considererò completamente responsabile. >> fece una pausa per gustarsi le gocce di sudore freddo del ragazzo: << Ci siamo capiti? >>
Cyborg rispose, ma sembrò che parlasse con una palla da tennis in bocca: << C-ca-capito capo! Ho capito! >>
<< Bene >> rimise l'arma nella cintura.
<< È bello sapere che andiamo d'accordo. >>
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Non riusciva a smettere di piangere.
BB, il suo migliore amico, ridotto in quel modo. E lei che lo aveva sempre trattato con sufficienza.
Come poteva perdonarselo?
Lui c'era sempre stato per lei, non le aveva mai voltato le spalle e le aveva salvato la vita in più occasioni.
Perché proprio lui?
Avrebbe fatto volentieri uno scambio.
Starsene lì, a guardarlo respirare artificialmente, era tremendo. Devastante.
Era un'aliena che sparava laser dagli occhi, volava, sollevava tonnellate con una mano sola, eppure non poteva aiutare una delle persone a cui teneva di più al mondo.
Scesero molte altre lacrime, che lei non poté fermare.
Poi si rese conto di una cosa: << Ma io... Da quanto ti voglio così bene? >>
Da quando ne ha memoria non provava quel tipo di emozioni verso il mutaforma.
Anzi tutt'altro.
Quando sembrò che stesse per capire, cominciò.
Fu come se le avessero aperto il cranio con un piccone. Si raggomitolò a terra e cominciò a dimenarsi, piangendo stavolta per il dolore.
Le si appannò la vista, e davanti agli occhi le comparvero delle macchie nere. 
Quando il dolore raggiunse il culmine, iniziarono le visioni.
Vide se stessa, in un parco, su una coperta da picnic. Accanto a lei c'erano BB, Cyborg e Corvina, e mangiavano insieme a lei. Non sembravano i soliti: BB indossava una tuta viola e nera, Cyborg non aveva spuntoni ne altri accessori aggressivi, inoltre aveva cambiato i colori optando per il blu ed il grigio. C'era anche Corvina che se ne stava in disparte, ed indossava un mantello blu con un top nero-bluastro. Ma la cosa più strana era che lei non avesse un aspetto demoniaco! Sembrava una vera e propria ragazza terrestre!
Erano così diversi, eppure avevano un non so che di... naturale.
Sorridevano, mangiavano, BB si metteva dei ramoscelli nel naso, e scatenava l'ilarità di Cyborg trasformandosi in animaletti buffi, mentre Corvina si concentrava sul libro che aveva in mano, ignorandoli.
Però aveva l'impressione che mancasse qualcuno, ed infatti nella visione l'aliena continuava a guardarsi intorno ansiosa, come a cercare qualcuno.
Quindi spuntò fuori lui.
Bassino, capelli neri, maschera bianca, costume variopinto: Robin. Quello che doveva essere il suo nemico mortale.
Eppure quando lo vide il suo sorriso si allargò ancora di più, tanto che si capiva che provava sentimenti di molto profondi per lui.
Le si sedette accanto, e cominciò a mangiare.
Sembravano così felici.
La visione si concentrò su Robin, sull'immagine del suo viso.
Si stava avvicinando, sicuramente per baciarla. Ma ad un centimetro dalle sue labbra, il volto del ragazzo cominciò a trasformarsi.
Metallo liquido sgorgò da occhi, bocca, narici, dai pori della pelle, e cominciò a vorticare, a mutare e a gorgogliare. In pochi secondi ogni centimetro del suo viso si coprì di metallo, che lentamente si solidificò e si modellò.
Il metallo prese la forma di una maschera, che si colorò di arancione e nero. Un solo buco per un unico occhio.
I dettagli della visione cambiarono. Sotto di lei l'erba del prato prese fuoco e bruciò diventando cenere, che ad ogni suo movimento scricchiolava; il cielo cambiò colore, scurendosi e arrossandosi, mentre l'aria si riempì dell'odore del fumo e di polvere in un mix pungente.
Lui le porgeva la mano, in piedi sulle macerie, e la invitava a salire. Lei era indecisa.
Prima che accadesse qualcosa però, gli occhi le si riempirono di colori accecanti. Vide il mondo crollare.
Poi tutto divenne nero, e svenne.
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Lentamente e con fatica, Robin aprì gli occhi.
Era disteso scomposto su un pavimento, ma dove? Cos'era successo?
Riuscì a mettersi seduto, e provò a guardarsi intorno. Era davanti ad una specie di cella, solo che non si ricordava del perché si trovava lì.
Cercò con lo sguardo una finestra, o un orologio, o qualsiasi cosa che gli potesse rinfrescare la memoria e fargli dimenticare il male di testa che lo assaliva da quando si era svegliato. Non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando aveva perso i sensi, ma secondo il dolore delle articolazioni dovevano essere passate alcune ore.
Non trovando niente lasciò perdere e tentò di fare mente locale.
Lentamente cominciarono a riemergere alcuni dettagli: Cassie, la cupola, Slado, la Hellbat...
"Cazzo! La Hellbat" pensò, proprio quando cominciò a ricordare ciò che gli aveva detto il suo mentore a proposito dell'armatura: "Robin, questa armatura è stata costruita da me con l'aiuto di tutti i membri della Justice League. È in grado di tenere testa ad un dio in quanto a potere, ma ricordati che se nel caso qualcuno la usasse essa gli assorbirebbe energia vitale drenandogliela dal suo metabolismo. È una bara di ferro mobile.
Usala solo nelle situazioni di estrema emergenza."
Era stata quella cosa a ridurlo in quello stato. Per quel poco tempo che l'aveva indossata ne era stato quasi completamente prosciugato. Aveva un gran bisogno di cibo, tanto cibo: "Chissà se Cassie sa cucinare." si chiese.
Distratto dai suoi pensieri non vide la prigioniera davanti a sé interrompere la meditazione, alzarsi ed osservarlo riprendersi.
Stanca ed alquanto seccata, decise di intromettersi e di ricordargli la sua presenza: << Cavolo, speravo proprio non ti rialzassi. >>
Robin scattò ed assunse la posizione di combattimento, pronto a menare le mani. Quando si accorse che non c'erano avversari a portata di sguardo, tentò di girarsi.
Immediatamente crollò a terra.
Mentre cercava di rialzarsi, la sentì ridere.
<< Sei proprio penoso sai? Devi essere caduto proprio in basso per mostrarti così, Robin. Ma che peccato >>
Lui da terra alzò lo sguardo verso la prigioniera. I glifi sulle pareti le impedivano di usare i suoi poteri, e le avevano fatto tornare l'aspetto umano.
Ma Robin ci aveva inserito anche un piccolo scherzetto tra i glifi. Dopo settimane di ricerche aveva trovato un glifo particolare, che non solo aumentava la potenza degli altri, ma costringeva la ragazza nel suo aspetto infantile.
Era poco più di una bambina in punizione segregata nella sua camera: << È così che pensi di sconfiggerci? Svenendo ogni volta che cerco di parlarti?
Sei patetico. >>
Robin riuscì a strisciare fino ad una parete, su cui si appoggiò di peso. Non riusciva a rialzarsi.
Dalla bocca gli uscì una risatina isterica, quasi nevrotica: << Sarei io quello patetico? Tu piuttosto, non è ora del riposino? Se no poi sei nervosa. >>
La bambina arrossì di rabbia e prese a urlare contro il vetro, ma Robin premette un pulsante sul pavimento e la cella si insonorizzò. Quando lei smise di urlare per riprendere fiato Robin riattivò il sonoro: << Corvina, devo dirti una cosa importante, e voglio che mi ascolti. Poi sarai tu a parlare mentre io ascolterò le tue risposte a certe mie domande, e mi aspetto che tu parli sinceramente. >>
<< Non parlarmi come se fossi davvero una bambina stronzetto! Uff... E va bene, sentiamo. >> disse lei, un po' adirata.
Robin sembrò scegliere con cura le parole, poi cominciò: << Sai, voglio iniziare dicendoti che saremmo stati benissimo insieme. Probabilmente se non avessi provato quello che provavo per Stella mi sarei innamorato di te, e forse tu avresti ricambiato e saremmo stati felici in qualche modo.
Forse le cose sarebbero cambiate, in meglio o in peggio.
Ma non è andata così, anche se in ogni caso io e te siamo molto in sintonia, e ti voglio bene come a poche altre persone al mondo. >>
Fin qui aveva avuto la sua attenzione, sebbene lei lo guardasse come se fosse pazzo.
Ma del resto, come poteva aspettarsi di sentirsi dire quello dal suo nemico giurato? Come mai le stava dicendo che ci teneva a lei? 
"Che sia completamente pazzo?" pensò lei.
<< È vero che non è colpa tua e che Slado ti ha modificato dei ricordi, ma sarò chiaro. >>
Si alzò a fatica e si avvicinò al vetro, e si mise così vicino da appannare il vetro con il suo respiro. Poi, con voce fredda e sinistra le disse: << Farò qualsiasi cosa pur di riportarla da me. Qualsiasi. >>
C'era qualcosa, nel suo sguardo, che riusciva a bucare il tessuto.
Per farglielo vedere bene si tolse la maschera.
Sorrise.
<< Se non rispondi dovrò fare cose molto spiacevoli, ho paura che potrei divertirmi. Sai, c'era un clown a Gotham che si divertiva molto a fare del male alla gente, ed io ho imparato un paio di cosette dai suoi ultimi lavori. 
Allora, sei disposta a parlarmi? >>
Le perle di sudore freddo di Corvina furono una risposta chiara, ma lei rispose lo stesso: << S-sì, cosa vuoi sapere? >>
Il sorriso del ragazzo si allargò un po' di più: << Ottimo, cominciamo... >>
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Robin uscì barcollando dal piano prigione. Aveva ottenuto le sue risposte, senza che dovesse fare del male alla ragazzina.
"Le cose piano piano migliorano" pensò mentre saliva le scale gradino per gradino, aggrappato al poggiamano per non cadere. Quando arrivò in cima riusciva già a camminare senza aiuti, seppur zoppicando.
Quando arrivò agli alloggi pensò subito di attivare le misure di sicurezza e poi buttarsi sul letto, ma aveva un'ultima cosa da fare.
Si ritrovò davanti alla porta della stanza dove dormiva Cassie.
Ci sbirciò dentro. Lei era sdraiata scomposta sul letto, profondamente addormentata.
"Bene, campo libero."
Raggiunse la Main Ops Room della torre e cercò di attivare il tavolo. Non si accese.
Riprovò. Niente da fare.
Per la frustrazione Robin tirò un pugno sul vetro, su cui si formò una ragnatela di crepe. Era rotto.
<< Fantastico. Non ho qui gli strumenti per ripararlo. Devo trovare un altro modo per contattare l'esterno. >>
Il suo sguardo vagò per la stanza fino a posarsi sulla piattaforma che aveva usato per teletrasportarsi, ma scartò subito l'idea. Troppo rischioso, non poteva né sprecare corrente né lasciare la torre sguarnita, anche se per poco.
Però doveva trovare un modo per contattare l'esterno. Doveva trovare un modo per comunicare con i militari ed i supereroi che si erano ammassati fuori, ed escogitare un piano.
Gli venne in mente un'idea. Tirò fuori da una tasca il suo comunicatore portatile ormai mezzo rotto, e tentò di usarlo come una radio.
<< Devo solo trovare la sequenza giusta... >>
Provò e riprovò, finché non riuscì ad intercettare un segnale proveniente dall'esterno della cupola.
Quindi collegò il suo comunicatore ad un piccolo schermo ancora integro sulla parete e si inserì: << Qui Robin dei Teen Titans. A chiunque ci sia lì fuori, mi ricevete? Mi ricevete? >>
Passarono diversi minuti, ma dallo schermo provennero solo dei rumori statici.
Ritentò un'altra volta. Niente.
Non mollò, e fece molti altri tentativi, ma niente. Non c'era nessuno ad ascoltare.
Robin in preda alla rabbia scattò in piedi e cominciò ad urlare: << No. No! Perché cazzo non risponde nessuno? >> prese da terra un coccio di vetro frastagliato: << Rispondete cavolo. Rispondete! >>
Lanciò il frammento sullo schermo, su cui rimbalzò e ricadde a terra, senza sortire effetto.
Robin stava per abbandonare tutte le sue speranze, quando sentì una voce bucare il silenzio.
Proveniva dal comunicatore.
<< Robin...bzzz...i se...bzzz... Robin >>
Tentennò per un secondo, ma superò presto lo stupore. Conosceva quella voce.
C'era cresciuto con quella voce.
Non credeva che tra tutti avrebbe risposto proprio lui.
Comunque non si lasciò prendere dall'emozione, ed assunse un tono di voce piatto.
<< Ah... sei tu.
Ciao papà. >>
   
 
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