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Autore: nicosmywife    27/04/2017    0 recensioni
"Poi, però, posai lo sguardo sul corpo giacente ai miei piedi. Guardai il sangue che ricopriva il terreno, alle foglie anch’esse ricoperte di rosso. E pensai che a differenza di tutte le altre persone a cui avevo tolto la vita, lui se lo meritava. Meritava quella fine. Meritava di esser stato derubato del dono più grande, perché aveva rovinato la vita di centinaia, e centinaia di persone, le aveva strappate dal loro mondo, e le aveva scaraventate in un profondo baratro dal quale – e io lo sapevo bene -, non c’è possibilità di scampo.
Aveva fatto lo stesso con me. Con l’entrata in scena di lui nella mia vita, si calò il sipario su tutto ciò che avevo conosciuto fino a quel momento."
Genere: Angst, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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The Silver Blade

Portai la sigaretta alle labbra, e aspirai. Sentii la bruciante sensazione del fumo scendere lungo la mia gola, invadermi il corpo. Mi concentrai sulla mano che teneva stretto quel vano momento di relax al sapore di nicotina, mentre tutt’intorno era solo silenzio. Guardai le dita ricoperte di sangue, e tra me e me pensai come avevo fatto a ridurmi fino a quel punto, e che rimuoverlo da sotto le unghie sarebbe stato
terribile. La luce della luna penetrava a malapena tra le foglie degli alberi, disegnando ombre sul terreno che ricordavano tanto dei centrini ricamati.
Espirai, guardando il fumo salire verso l’alto, e pensai all’ennesima vita che avevo terminato, agli ultimi spasmi della vittima mentre lentamente si abbandonava alla morte, e pensai a me, che mi ero macchiata di un tale crimine per nient’altro che vendetta. Provai pena, per tutti noi. Per il genere umano, per i disgustosi meccanismi che muovono il mondo, per il violento desiderio dell’uomo di prevalere su qualsiasi cosa, su chiunque. Mi vergognai di dover ammettere di far parte di quella specie.
Poi, però, posai lo sguardo sul corpo giacente ai miei piedi. Guardai il sangue che ricopriva il terreno, alle foglie anch’esse ricoperte di rosso. E pensai che a differenza di tutte le altre persone a cui avevo tolto la vita, lui se lo meritava. Meritava quella fine. Meritava di esser stato derubato del dono più grande, perché aveva rovinato la vita di centinaia, e centinaia di persone, le aveva strappate dal loro mondo, e le aveva scaraventate in un profondo baratro dal quale – e io lo sapevo bene -, non c’è possibilità di scampo.
Aveva fatto lo stesso con me. Con l’entrata in scena di lui nella mia vita, si calò il sipario su tutto ciò che avevo conosciuto fino a quel momento.
Lui era stato per me un traumatico incidente stradale, qualcosa che ti segna per sempre. Mi travolse con la stessa violenza di un bolide impazzito, e io fui schiacciata. Non c’era alcun modo di tornare indietro, di riavere la mia vita di prima.
Scossi la testa e gettai la sigaretta a terra, spegnendo completamente il mozzicone con il piede.
“E’ meglio che io pensi a sbarazzarmi di questa zavorra”, pensai tra me e me.
Mi prodigai a coprire le tracce di sangue, e avvolsi il corpo in un telo di plastica, lo caricai sul pick-up e, guidando lentamente, mi allontanai dalla scena del crimine.

Sei anni prima

La luce filtrava attraverso le tende sottili, illuminando uno spicchio del mio letto. Sbattei le palpebre un paio di volte, e quando i miei occhi si furono più o meno abituati alla luce del giorno, fissai lo sguardo sul calendario di fronte al letto.
“E’ il mio compleanno! Oggi compio undici anni”, pensai tra me e me.
Come qualunque ragazzina, ero emozionata e mi sentivo già cresciuta, come se un anno in più cambiasse qualcosa. Avevo la sensazione che sarebbe stata una bellissima giornata, condita di gioia, di attenzioni dei miei genitori, di quei “Tanti auguri!” che avrei ricevuto dai miei compagni, e poi da una fantastica festa di compleanno, i regali, la torta, e tutto il resto che una festa porta con sé. Ma mi sbagliavo.
Avrei dovuto capirlo dalla conversazione che avevo origliato mentre scendevo giù dalle scale, ma non lo feci. Il tono di mio padre mentre diceva che avremmo al più presto dovuto trasferirci suonava carico di preoccupazione e cattivi presagi, ma io non avrei lasciato che ciò rovinasse la mia giornata. Mi fiondai di sotto interrompendoli ed urlando che oggi diventavo più grande e matura.
Non dimenticherò mai il sorriso di mia madre quella mattina. Fu come se già lo sapesse, come se già fosse a conoscenza che poche ore dopo, quando sarei tornata a casa, avrei trovato la porta spalancata e la casa a soqquadro e il suo corpo e quello di mio padre a terra, in una pozza di sangue, con la fronte bucata da un proiettile.
Ma io non ne avevo la più pallida idea. Le sorrisi di rimando, mangiai in fretta la mia colazione, corsi di sopra ad indossare gli abiti che avevo scelto con cura la sera prima e uscii di casa, direzione scuola.
Proprio come avevo previsto, ricevetti i tanto agognati auguri di buon compleanno e le attenzioni di tutti.
Cinque ore passarono, ore in cui io ero ignara dell’accaduto.
Baldanzosa mi diressi verso casa, sicura di trovare il mio piatto preferito ad aspettarmi sul tavolo della cucina, caldo e fumante.
Trovai tutt’altro, però. La porta sfondata a calci, la cucina messa sottosopra, cocci di piatti e bicchieri sul pavimento. E soprattutto, i corpi dei miei genitori sul pavimento, morti, un colpo alla testa. Mi sembravano palloncini bucati ad una festa, quando quei fastidiosi teppisti li colpiscono con un sassolino, e quelli scoppiano e si afflosciano al suolo.
Mi sedetti accanto a loro, e piansi. Non riuscivo a tener ferme le braccia e le gambe, che si muovevano freneticamente come se volessi liberarmi da mani invisibili che mi stringevano forte. Toccai i loro corpi, prosciugati di qualsiasi calore, chiamai i loro nomi nella speranza che rispondessero. Ma non ci fu, ovviamente, alcuna risposta.
Ciò fece scattare l’allarme assoluto dentro di me. Erano morti. Urlai, così forte che tutti lo avrebbero sentito. Lo sentii arrivare dalle mie viscere, ed uscire dalla mia gola come l’acqua che sgorga violentemente da una diga, lo sentii consumarmi le corde vocali.
Poi rumore di passi pesanti che si avvicinano, una voce cupa che urlava qualcosa, un dolore terribile dietro la testa, e tutto fu buio.
   
 
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