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Autore: sofimblack    27/04/2017    0 recensioni
Dal II capitolo:
«Vuoi una caramella?»
Lui la guardò con attenzione ancora maggiore. Non si erano mai presentati, non si conoscevano, eppure lei non si era presentata né gli aveva chiesto il suo nome. No, lei gli aveva sorriso offrendogli una caramella. Una caramella. Anche lei studiava le persone, non si era sbagliato, ma aveva l’impressione che i loro studi si muovessero su due piani diversi.
[...]Quando però lei gliela porse, e lui allungò la mano per prenderla, accaddero due cose contemporaneamente.
Si sfiorarono appena, e una lieve scossa attraversò entrambi... probabilmente pure questo è un cliché, eppure tramite quel tocco leggero presero effettivamente la scossa, era decisamente così, non ci si poteva sbagliare.
La seconda cosa fece invece cadere Rae nello sgomento. L’atmosfera, da tranquilla e rilassata, si era fatta per lei tesissima. Una sensazione terribile, sconvolgente e in qualche modo triste la attraversò, velandole per un momento gli occhi di panico. 5 novembre, 5 novembre, 5 novembre.

Cosa sarebbe potuto accadere se Rae, una ragazza molto "intuitiva" e dal passato difficile, avesse incontrato Elle durante il caso Kira? Forse il finale sarebbe stato diverso...
Beh, spero di avervi sufficientemente incuriositi! Buona lettura ^^
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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XII

Sincerità

 

R

 

Aveva controllato con pazienza e metodo gli impegni di Misa, che fortunatamente si era di recente trasferita proprio a Tokyo. In realtà Rae dubitava fosse un colpo di fortuna: Misa Amane era il secondo Kira, perciò era ovvio che si fosse spostata nella capitale, al centro di tutto. Certo, se avesse avuto a disposizione un computer per tenerla d’occhio dal suo appartamento o - ancora meglio - un hacker che le procurasse la sua agenda lavorativa… beh, a dire il vero sarebbe bastato chiedere a Elle e avrebbe ottenuto qualsiasi informazione possibile; escluderlo da quella ricerca era davvero faticoso, sotto una grande quantità di punti di vista. Ma chi cavolo glielo aveva fatto fare? Rae sospirò. Come ulteriore precauzione cercava di non tornare mai per due volte di fila nello stesso internet point, ma ciò voleva dire che doveva spostarsi ulteriormente, alla ricerca costante di nuovi computer. Un lavoro ingrato, che però finalmente iniziava a dare i suoi frutti. Sul sito del fanclub di Misa era comparsa una notizia: la idol avrebbe girato uno spot pubblicitario, incontrando i propri fan in quell’occasione. Perfetto. Ovviamente non sarebbe andata durante l’incontro coi fan ma avrebbe tentato di intrufolarsi sul set, contando sulla sua fortuna e sul suo speciale sesto senso. Probabilmente non le sarebbe mai ricapitata un’occasione del genere, perciò ne avrebbe approfittato: doveva prendere in mano quel cavolo di quaderno. Quel sogno, che ogni tanto tornava a farle visita, la mattina la lasciava sempre con la stessa consapevolezza: era cruciale che lei riuscisse a toccarlo, perciò così avrebbe fatto. Oltretutto era l’unica pista che aveva.
 

21 Aprile

 

Intrufolarsi sul set era stato fin troppo semplice, molto più di quanto non avesse preventivato. Le era bastato esibire un cartellino falso e mostrarsi sicura di sé per passare i controlli… E pensare che aveva trascorso giorni interi ad elaborare complessi piani di riserva! Certo, Misa non era una star a livello internazionale - altrimenti le sarebbe stato impossibile avvicinarsi a lei - ma le pareva assurdo che i giapponesi fossero così poco intransigenti. Le riprese si giravano nel parco di Suginami Jido Kotsu, nella zona di Naritanishi, fortunatamente non troppo lontano da dove abitava. Si avvicinò noncurante alla zona allestita per trucco e cambio abito, una sorta di camerino a cielo aperto, mentre in lontananza intravide le telecamere, gli addetti, le luci e… lei, Misa. Vederla in carne ed ossa acuì il suo disagio - lei era il secondo Kira! - ma non le provocò la reazione esagerata che aveva avuto con Light Yagami. Forse perché l’aveva già vista nei suoi sogni molte volte e quindi si era abituata a lei o forse, più banalmente, perché lei non aveva ucciso suo padre. La sua borsa se ne stava lì incustodita, nei pressi del set ma abbastanza defilata da permetterle di avvicinarsi senza farsi notare. Sul fatto che fosse proprio la borsa di Misa non c’erano dubbi: era un pezzo vintage molto particolare, di stoffa nera, l’accessorio perfetto per una gothic lolita, e soprattutto era su una sedia contrassegnata da un cartello col suo nome. Quali grandi capacità deduttive…
Rae continuava a tenere d’occhio Misa e tutta quanta la troupe; doveva stare molto attenta. Con circospezione aprì la zip e sbirciò dentro, alla ricerca del quaderno nero che aveva tanto sognato, sapendo già che lo avrebbe trovato lì. Infatti, eccolo. Sentendosi un po’ scema ma col cuore a mille prese in mano quel semplice quadernino, lo strinse al petto per qualche secondo ed infine lo rimise al suo posto, esattamente come si era vista fare nel sogno. Per un attimo ebbe paura che i suoi occhi fossero diventati rossi per davvero ma poi rise di se stessa, dandosi della sciocca… Richiuse la cerniera con cura ed alzò lo sguardo, pronta ad andarsene rapidamente di lì. Quello che vide la lasciò senza fiato dal terrore. Trattenne un urlo a stento, ricordandosi per un pelo che non poteva dare nell’occhio, tappandosi la bocca con una mano.

Accanto a Misa era apparso qualcosa di… mostruoso, non c’erano altre parole per definirlo. Una figura enorme dalle vaghe sembianze umane, alta più di due metri, le ossa bianche sporgenti che la ricoprivano come una seconda pelle. Proprio in quel momento quell’essere agghiacciante si voltò verso di lei e la fissò dritto negli occhi, quasi con curiosità, facendola sentire incredibilmente esposta ed inerme. Lui sapeva che lei lo stava guardando. 
A quel punto Rae non poté trattenersi dal fare l’unica cosa possibile da fare: scappò via, più veloce che poté.


 

L

 

Con la coda dell’occhio vide Rae entrare in casa di corsa. Curioso… perché tanta fretta? Girò la poltrona verso lo schermo che la mostrava, rivolgendo la sua completa attenzione alla ragazza. La vide lanciare distrattamente la borsa sul divano per poi mettersi a camminare per tutto il piccolo appartamento, senza riuscire a stare ferma. Quando tirò fuori il tabacco Elle notò che le tremavano le mani. Era evidentemente molto turbata, ma perché? Era uscita circa un paio di ore prima, apparentemente tranquilla, perciò non poteva essere andata molto lontana. Che avesse di nuovo incontrato Kira? Impossibile. Forse aveva avuto una nuova percezione… eppure non aveva mai reagito così, che lui sapesse. Nei giorni precedenti era stata appena più pensierosa del solito, l’aveva osservata starsene ore intere sul letto a rimuginare, ma non era un comportamento così insolito da parte sua; l'aveva attribuito allo stress crescente per le indagini. Ormai si era abituato a guardarla, aveva catalogato nella sua mente tutte le sue abitudini, le sue stranezze, quando era più facile che si mettesse a fumare, quanto zucchero metteva nel tè, in che posizione preferiva starsene a leggere… quello che era partito come un semplice controllo era finito per diventare un qualcosa di rilassante, come se il vederla compiere determinate azioni sullo schermo volesse dire che andava tutto bene - e in quel preciso istante no che non andava tutto bene. Probabilmente non lo avrebbe mai ammesso, ma iniziava a provare una sorta di familiarità nei confronti di Rae. Il caso Kira stava impegnando tutte le sue energie, più di quanto non fosse mai accaduto con altre indagini, ed aveva scoperto che avere quella piccola valvola di distrazione lo aiutava a concentrarsi meglio. Ok, forse "distrazione" era una parola grossa considerato che pure lei, a modo suo, gli impegnava la mente... ma tant’è. Adesso poteva vederla mentre se ne stava sul balcone a fumare, ritta in piedi come una sentinella, di spalle e, anche se immobile, in evidente stato di agitazione. La curiosità lo divorava, ma non sapeva neppure lui dire con esattezza quanto si trattasse di preoccupazione per le indagini, quanto di curiosità puramente scientifica e quanto invece di vero e proprio interesse personale. Basta, doveva scoprire cosa era successo.

 

 

 

R

 

«Ciao Elle» disse lei poco dopo, la voce più ferma di quanto non si aspettasse, senza neppure voltarsi a guardarlo. Aveva lasciato la porta d’ingresso accostata, in modo da restarsene sul divano mentre lui entrava, come aveva previsto. No, in questo caso non c’entravano le sue intuizioni: si aspettava una sua visita perché era consapevole del fatto che lui la controllasse, e che lei non si era minimamente curata di nascondere il proprio turbamento come invece faceva di solito. Era ovvio che sarebbe venuto ad indagare; sarebbe rimasta quasi delusa da lui se non l’avesse fatto. Lui come sempre si sfilò le scarpe ed andò ad accucciarsi accanto a lei; sul tavolino c’era una confezione di muffin, messi lì appositamente per lui. Erano al cioccolato.

«Deduco che tu mi stessi aspettando, visto che mi hai lasciato tutti questi “indizi”» disse infine, addentandone uno.

«Beh, stai diventando quasi prevedibile» ribatté lei, beffarda e provocatoria. Era pronta alla battaglia.

«Allora visto che sai perché sono qui possiamo evitare i convenevoli, non trovi?»

Lei gli lanciò un’occhiata scettica: quando mai loro due si erano persi in convenevoli!?

«Non ti dirò nulla. Diciamo che potrei aver visto qualcosa che mi ha turbata… ma non è niente che riguardi il caso Kira, tranquillo.»

Bum. Aveva lanciato la bomba, guardandolo negli occhi ma senza sembrare troppo spavalda, controllando ogni singolo muscolo del corpo, ogni respiro. Calibrando la voce al punto giusto, quasi credendoci lei per prima.

«Uhm… Stai migliorando sai? Adesso riesci a mentire in modo piuttosto convincente» commentò Elle, il tono di voce morbido e divertito. Ecco, appunto. «Comunque non ho intenzione di costringerti a dire nulla se non vuoi, ne abbiamo già parlato.»

«Bene.»

Anche perché non sapeva neppure lei cosa pensare. Stava ancora elaborando ciò che aveva visto poco prima. Elle scartò un secondo muffin, andando ad appoggiarne la carta sopra a quella del primo, con grande criterio. Prima di addentarlo, spostò nuovamente la sua attenzione su di lei, anche se probabilmente non l’aveva mai distolta veramente.

«Come stai?»

Rae strabuzzò gli occhi, in una buffa espressione a metà tra l’incredulo ed il divertito.

«Ti stai preoccupando per me!?»

Lui mangiò con calma il secondo dolcetto, si pulì la bocca con un tovagliolo e solo a quel punto si decise a risponderle.

«Ho notato dei comportamenti insoliti recentemente. Sei sempre più stanca, sempre più tesa. Hai aumentato il numero delle sigarette giornaliere, da quattro a nove, senza contare quelle che sicuramente fumi mentre sei fuori casa. A volte ti sanguinano le dita da quanto spesso ti mangi le unghie e la notte ti agiti di più.»

Accidenti, non gli sfuggiva proprio niente eh?

«Non mi stai rispondendo.»

«Neanche tu.»

Rae sospirò, arrendendosi.

«Sai, a volte credo di essere andata ad in infilarmi in un qualcosa di davvero troppo grande per me.» 

Le parole iniziarono a sgorgare come un fiume in piena, senza alcun filtro tra bocca e cervello. 

«Ormai sono sola, davvero sola… è morto anche mio padre ed io a quanto pare non ero pronta, a quanto pare sono rimasta colpita più di quanto pensassi. Sicuramente non si è mai pronti ma… mi sembra di aver lasciato qualcosa a metà. Non credevo che la sua morte mi avrebbe turbata così, non dopo quello che ha fatto… non dopo mia mamma. Sono sempre stata combattuta, è… era pur sempre mio padre, gli ho voluto bene, e lo so che è stata quella malattia del cazzo a spingerlo a fare certe cose, però… io l’ho vista, capisci? L’ho vista dopo che lui…» 

Si interruppe un attimo. Perché mai aveva iniziato a parlargli di tutte quelle cose? Era così strano e così liberatorio dirle ad alta voce a qualcuno di cui - si accorse - poteva inspiegabilmente fidarsi.

«Comunque ancora una volta, invece di soffermarmi e riflettere mettendo a posto il caos perenne che ho dentro, sono scappata dall’altra parte del mondo, in un luogo totalmente estraneo dove non conosco nessuno, non capisco la lingua e tutto il resto. Mi sono intestardita nel voler entrare in questo caso per vendetta, per curiosità, per istinto… ma non so che fare. A volte mi sento davvero impotente ed inutile…»

Si prese la testa tra le mani, svuotata. Elle l’aveva osservata intensamente mentre parlava, ascoltandola con le mani che tormentavano il bordo della maglietta bianca. Si prese qualche momento prima di risponderle.

«Io ritengo che tu abbia le capacità per affrontare tutto questo. Nonostante tu mi ometta molte cose e quindi io possa essere sicuro di questo solamente, diciamo, al 90%, e non al 100% come vorrei, credo che tu non abbia motivo di non riuscire ad ottenere ciò che vuoi. Inoltre sei sufficientemente sveglia per muoverti in questo ambiente, lo hai già dimostrato. Mi stai dando un grande aiuto nelle indagini. Non con delle prove, certo, ma facendomi orientare, spingendomi a seguire determinate piste, sicuramente permettendomi di risparmiare tempo prezioso… e poi…» le parole gli morirono sulle labbra e per la prima volta Rae, che soltanto adesso aveva alzato la testa per guardarlo, lo vide in difficoltà. Scioccamente lo aveva sempre identificato come una sorta di essere intoccabile, geniale e totalmente impermeabile ai sentimenti, che dall'alto della sua razionalità non pensava ad altro se non ai casi che doveva risolvere. Mai si sarebbe immaginata che potesse mostrarsi così... umano. Si vergognò un po' per questa cosa. Certo che era un essere umano, certo che era una persona che provava emozioni! Notando come le sue mani stringessero ancora convulsamente il bordo della maglietta, Rae delicatamente gliene sollevò una avvicinandola a sé, senza fare più di tanto caso alla solita scossa. Sotto il suo sguardo incuriosito se la mise in grembo e con tocco leggero iniziò a passarci sopra la punta del proprio indice, prima sul dorso e poi sul palmo, in un movimento gentile e al contempo rilassante. Dopo un po’ Elle riprese a parlare, senza guardarla - come se quella non fosse stata effettivamente la sua mano - eppure un po’ meno teso. 

«Posso capire la sensazione di solitudine. I miei genitori sono morti quando ero bambino ed io sono cresciuto alla Wammy’s House.» Rae aveva ben presente l’elegante edificio in mattoni rossi, col suo bel giardino e la serra, raffinata struttura in ferro battuto bianco e vetro. «Certo, non posso sapere nulla di cosa tu possa avere provato e provi tutt’ora nei confronti di tuo padre ma… io alla fine sono riuscito ad accettare la morte dei miei genitori, in gran parte grazie a Watari, e credo che pure tu riuscirai ad andare avanti. L’uomo è una creatura terribilmente complessa, difficilmente dimentica il dolore, ma impara a conviverci. Inoltre, per rispondere infine alla tua domanda di prima, diciamo che è stato un misto di curiosità, di dovere verso le indagini e sì, anche di preoccupazione nei tuoi confronti a farmi venire qua.»

Il cuore di Rae le rimbombava in testa, mentre continuava a passare la punta del dito sul profilo della mano di Elle ed il silenzio cadeva sopra di loro. Era un silenzio rilassato, non avevano bisogno di riempirlo di futilità… in fondo non lo avevano mai fatto. Lui non le aveva rivolto vuote parole di conforto, non era stato gentile o educato, né l’aveva compatita o aveva mostrato imbarazzo, come invece di solito accadeva quando la gente veniva a sapere della sua storia. Semplicemente, le aveva detto quello che pensava, come faceva sempre, e soprattutto, per la prima volta, aveva parlato di se stesso… a lei. Rae aveva visto quanto sforzo gli ci era voluto e poteva soltanto immaginare quanti muri avesse eretto attorno a sé, col tempo. Probabilmente erano molto più alti e spessi dei suoi. Lui era un detective, conduceva una vita nella quale sicuramente non gli era permesso stringere legami, farsi degli amici… oltre a Watari non aveva nessuno. La sua mente rapida doveva essere stata motivo di invidia, di esclusione… sicuramente la gente doveva sentirsi in soggezione nel parlare con lui, coi suoi modi di fare strani e quell’aspetto bizzarro. Certo, lui sapeva essere spesso irritante e dispotico, inoltre sentirsi continuamente analizzati era sfiancante… ma com’è che a lei non importava? Com’è che lei riusciva ad andare oltre a quello che faceva allontanare qualsiasi persona ragionevole, com’è che voleva riuscire a capirlo ed a conoscerlo, invece di essere intimorita da lui? Tutte le cose che le aveva detto quel giorno le erano scese dentro, dove pensò che le avrebbe conservate per sempre, come un inestimabile tesoro. Doveva assolutamente impedire ciò che sarebbe dovuto accadere il 5 novembre.

  
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