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Autore: Ode To Joy    27/04/2017    4 recensioni
REWRITING in Progress
[Kageyama x Hinata]
[Iwaizumi x Oikawa]
[Daichi x Suga]
"Ti racconto una cosa: quando un corvo riesce a trovare il proprio compagno gli rimane accanto per tutta la vita."
In un mondo la cui storia è scritta da continui giochi di potere tra principi e re, due regni continuano a scontrarsi senza che vi sia mai un vincitore.
"C'è una lezione che non devi mai dimenticare: un Re che decide di combattere da solo, è un Re sconfitto in partenza."
In un mondo in cui si può solo perdere o vincere tutto, alle volte è utile ricordare che anche il più grande avversario può divenire il più forte degli alleati.
"Alla fine, il Re più potente è sempre quello con a fianco più compagni disposti a seguirlo fino alla fine."
[Medieval+Fantasy -AU]
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Koushi Sugawara, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Raven Crown '
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29
Di più e ancor di più
 
 
Kenjirou non era preoccupato.
Si era chiuso negli alloggi del Re dell’Aquila senza chiedere il permesso a nessuno ma chiunque si era guardato bene dal cercare di cacciarlo. Reon si era limitato a chiedergli se stava bene e Kenjirou aveva annuito distrattamente dirigendosi verso le scale dopo aver mangiato a stento.
La camera da letto era in ordine ma buia ed un po’ polverosa.
Spalancò la portafinestra che dava sulla balconata. Cambiò le lenzuola ed accese qualche candela per non restare solo con l’oscurità. Si sarebbe messo a ripulire da capo a piedi anche il salottino privato adiacente se questo fosse servito a calmare i suoi nervi. Non lo fece semplicemente perché allo stato attuale sarebbe finito col distruggere qualsiasi oggetto gli fosse finito tra le mani.
Che cosa era passato per la mente di Satori?
Non c’era nulla di riflessivo nella personalità di Tsutomu e non poteva esserci niente di costruttivo nello spingerlo a dare voce a tutta la voglia di ribellione che si portava dentro.
Ancora una volta, ripensò a quel pomeriggio di primavera in cui Eita gli aveva messo tra le braccia quel bambino di pochi mesi. Ricordava come si era reso conto di quanto fossero pochi gli anni che aveva vissuto su quella terra e che non fossero molti di più quelli sulle spalle di Eita, di Satori e, sì, anche su quelle del loro Re.
Kenjirou non si sentiva molto più adulto nemmeno in quel momento, mentre camminava avanti ed indietro in una camera da letto in cui dormiva solo per impedire ad un’anima solitaria di perdersi in se stessa, aspettando che il padre di un figlio che non era il suo tornasse solo per rassicurarlo sulle sue condizioni.
Sì, era con Satori. No, non gli sarebbe accaduto niente fino a che il braccio destro del Re era con lui.
Tuttavia…
Uno spostamento d’aria lo investì ma non si voltò per controllare di cosa si trattasse. Fissò lo sguardo sulla fiammella di una delle candele che aveva acceso sul davanzale del cammino e lì rimase anche quando avvertì il respiro caldo del suo Re tra i capelli sulla nuca.
“Sei tornato da solo,” non era una domanda quella di Kenjirou.
“Questo ti delude?”
Kenjirou si voltò e guardò il suo Re dritto negli occhi. Sul viso di Wakatoshi non trovò nemmeno la metà della preoccupazione che gli stringeva il cuore. “Gli hai raggiunti, allora.”
“Non mi sono fatto vedere,” replicò il Re dell’Aquila sedendosi in fondo al suo letto e procedendo a togliersi gli stivali. “Stanno andando verso le campagne di Seijou.”
Kenjirou sgranò gli occhi. “E tu non li hai fermati?”
“Tobio è partito per le campagne del suo Regno prima che ce ne andassimo,” disse Wakatoshi alzandosi in piedi per liberarsi della tunica. “Tsutomu non corre alcun rischio.”
“Sei serio, Wakatoshi?” Domandò Kenjirou quasi con rabbia.
Il Re dell’Aquila lo trafisse con lo sguardo. “Stai di nuovo mettendo in discussione una mia decisione, Kenjirou.”
Il viso dell’Arciere si fece teso. “Non ho più il permesso di dire la mia, mio Re?” Domandò quasi con sarcasmo. Quasi… Non poteva permettersi altro.
 Era gelida l’espressione di Wakatoshi. “Una volta, eseguivi i miei ordini come se a parlarti fosse un dio.”
L’espressione di Kenjirou si addolcì. “Perché quando ti guardava credevo seriamente che lo fossi,” replicò. “La prima volta che mi hai toccato, ho creduto davvero che stessi giacendo con un dio.”
“Tale era la tua devozione verso di me?” Domandò Wakatoshi come se non ci credesse.
“Lo è stata fino a che non ho capito che ti serviva un po’ di calore dopo che la distanza tra te ed Eita si era fatta troppo grande troppo presto,” disse Kenjirou riportando le sguardo sulla candela che poco prima aveva attirato la sua attenzione.
“L’assenza di un figlio è una maledizione enorme, Kenjirou,” disse Wakatoshi. “Immagino tu non possa…”
“È l’unico pensiero che mi consola quando mi rendo conto che non sono né Eita né Tooru,” lo interruppe l’Arciere.
“Che cosa vuoi dire?”
Kenjirou ingoiò a vuoto. “Io non sono un Demone,” rispose. “Non sono un Mago. Sono solo un Arciere e se fosse esistita una magia abbastanza grande da permettermi di darti un figlio, molto probabilmente mi avrebbe ucciso.”
Wakatoshi lo guardò in silenzio. “Non ho mai preteso che chi amavo morisse per me.”
Kenjirou gli rivolse un sorriso sarcastico. “Bugiardo…” Sibilò.
“Non l’ho mai preteso,” insistette il Re dell’Aquila.
“Quante volte al giorno te lo ripeti per evitare al senso di colpa di schiacciarti?” Domandò l’Arciere.
Wakatoshi esaurì la distanza tra loro guardandolo dall’alto in basso.
Kenjirou rispose a quello sguardo per alcuni istanti, poi si sentì costretto ad abbassare il viso. Tooru ed Eita non l’avrebbero mai fatto e si odiò per tanto debolezza. “Il sogno di Tsutomu ti ha spaventato, non è vero?” Disse. “Per questo sei andato da Tooru prima di ripartire…”
“Mi ha creduto.”
“Non ne dubito.” Kenjirou provò a guardarlo di nuovo in faccia. “E per quanto riguarda la questione del cuore di drago?” Domandò.
Wakatoshi strinse le labbra per un istante. “Non è un’impresa di Tsutomu,” rispose, infine. “Non possiamo vantare alcun diritto su quel cuore…”
Kenjirou inarcò le sopracciglia. “Lasci andare così l’unica possibilità che hai di risvegliare Eita dal suo sonno?”
“Non lascio andare nulla, Kenjirou,” replicò Wakatoshi. “Però, sì, c’è qualcosa che mi spaventa…”
L’Arciere fu sorpreso da una simile confessione. “Per quale motivo un drago dovrebbe attaccarci?” Domandò cercando di fare appello alla razionalità. “Se è vero che sono creature senzienti e capaci di provare sentimenti come il desiderio di vendetta, non è contro di noi che sarà rivolto. È stato Tobio ad abbattere quel drago, non Tsutomu.”
“Non è quel sogno che mi spaventa,” ammise Wakatoshi. “Sì, mi ha messo in guardia ma la questione che più temo è un’altra…”
Kenjirou fece per chiedere ulteriori spiegazioni, poi ricordò. “Parli del modo in cui Tsutomu e gli altri due Principi si sono salvati da quella caduta?”
Wakatoshi annuì. “Tsutomu non ha il potere di…”
“Lo so,” Kenjirou annuì. “Ha dei poteri, senza ombra di dubbio ma non il tuo. Di chi sospetti?”
“Tutto mi spinge a sospettare di Tobio.”
“Sia tu che Eita avete della magia nel vostro sangue. Tsutomu non poteva non ereditarne una parte. Tobio, però, è umano per metà. È un genio sul campo di battaglia ma, dopotutto, i suoi genitori li conosci… Questo non lo rende un campione degno delle leggende di cui sei figlio tu, però.”
“Umano per metà…” Ripeté Wakatoshi. “Hajime è un comune mortale ma sottovalutarlo per un simile dettaglio è una condanna a morte. Sai che sono state fatte delle profezie sul destino di Tobio…”
“Quelle profezie non significano niente,” replicò Tsutomu. “Tobio non può mettere in ginocchio tutti i Re dei Regni liberi… Non finché tra quei Re ci sei anche tu.”
Il viso di Wakatoshi si addolcì un poco. Sollevò una mano e sfiorò i capelli castani del suo Arciere in un raro gesto di tenerezza. “Mi disprezzi e al contempo la tua devozione per me è ancora intoccata.”
Kenjirou si voltò per sottrarsi all’esame di quegli occhi inespressivi. “È più complicato di così, mio Re.”
Il Re dell’Aquila decise di non insistere oltre. “Satori sa cosa sta facendo portando Tsutomu a Seijou.”
Kenjirou gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla. “Avete un piano che mette Tsutomu in prima linea contro il nemico?”
“No,” rispose Wakatoshi. “Non ho un piano. Satori lo ha.”
Kenjirou sbatté le palpebre un paio di volte. “Se il Principe Demone ed il Principe dei Corvi stanno nascondendo qualcosa, un fanciullo della loro età dovrebbe saperli avvicinare più facilmente di un adulto.”
Wakatoshi annuì. “Esatto…”
“Tobio e Tsutomu non sono mai stati amici, però.”
“Il disprezzo di Tsutomu non è ricambiato da Tobio. Non lo è mai stato…”
“E questo basterà a convincerlo ad accettarlo?”
Wakatoshi sospirò e tornò a sedersi in fondo al letto. “Non ne sono sicuro ma penso che il Principe dei Corvi provi della simpatia per mio figlio.”
Kenjirou fece una smorfia. “Elemento vincente quando un fanciullo sa affrontare l’interazione con i propri coetanei come Tsutomu.”
“Tobio non è migliore in questo,” replicò Wakatoshi. “Eppure, quel fanciullo… Shouyou continua a restare al suo fianco.”
“Dobbiamo credere che l’erede al trono del Regno più piccolo e politicamente inutile tra quelli liberi sia tanto speciale?” Domandò Kenjirou poco convinto.
“Sì,” rispose il Re dell’Aquila. “Dobbiamo perché il Principe Demone che conquisterà tutti i Regni liberi lo farà con un corvo sulla spalla e ho imparato da tempo a non credere alle coincidenze.”
 
 
***
 
 
 
“Ragazzi! Bagnate le lenzuola così, state attenti! Shouyou, vieni a darmi una mano!” Esclamò Tadashi cercando di sollevare il cesto del bucato senza cadere all’indietro. Il Principe dei Corvi smise di dare attenzione alla palla di pezza con cui lui e gli altri giovani stavano giocando e corse in aiuto dell’amico.
Tobio osservava la scena dall’alto, seduto sotto le logge del piano superiore con i capelli ancora umidi per il bagno appena fatto e la camicia allacciata solo per metà, le maniche arrotolate. Kanji e Lev avevano letteralmente rubato quella palla ad uno dei figli dei contadini e l’avevano presa a calci fino alla tenuta coinvolgendo tutti gli altri in un gioco insensato che consisteva nel rubare il giocattolo di pezza all’avversario per il puro gusto di farlo irritare. Chi fosse nella squadra di chi era l’antipatia a deciderlo e, a grandi linee, Tobio poteva dire che i ragazzi originari di Seijou stavano giocando contro quelli provenienti da tutti gli altri Regni conquistati.
Tobio non li degnò di ulteriori attenzioni e portò lo sguardo verso l’angolo del cortile interno in cui avevano issato i pali per appendere il bucato. Shouyou aveva i capelli più in disordine del solito ma non era sudato e sporco come un porcello come tutti gli altri fanciulli nel cortile. Dopotutto, a differenza loro, non aveva lavorato nei campi.
“È tornato?” Domandò Kei uscendo sulla terrazza con solo i pantaloni addosso ed i capelli bagnati a sua volta.
“Sì,” rispose Tobio senza guardarlo. “Non è stato fuori per molto, pensò che tornerà a volare dopo che avremo cenato e sarà calato il sole.”
Kei ridacchiò divertito.
Il Principe Demone lo guardò storto. “Che cosa c’è?”
“Parlavo di Tadashi, mio Principe,” disse Kei con sarcasmo sedendosi di fronte all’erede al trono di Seijou. “Tu, però, ovviamente, hai dato per scontato che parlassi di Shouyou.”
Tobio sbuffò. “Se devi dire qualcosa, dilla e basta, stronzo.”
Kei scrollò le spalle. “Non mi mettere mai a parlare per enigmi con te,” replicò. “Non sei abbastanza sveglio e non sarebbe divertente.”
“Ci stai ancora girando intorno.”
“Come va l’addestramento del mio Principe?” Domandò Kei.
“T’interessa?”
“No,” ammise il Cavaliere. “M’interessa sapere cosa fai con l’erede dei miei signori quando nessuno vi guarda, però.”
Tobio inarcò le sopracciglia, poi la sua espressione si fece terribilmente indignata. “Ti sei bevuto il cervello, per caso?”
“Non ho insinuato niente,” gli fece notare Kei con una smorfia un poco disgustata. “È mio dovere sapere cosa succede al mio Principe… Che me ne freghi a livello personale o meno.”
Tobio lo guardò con disprezzo. “A te non importa niente di nessuno, eh?”
“A me importa avere un ruolo solido in questo delirio di Re e Principi,” rispose Kei. “Non m’interessa la gloria. Non m’interessa essere un eroe, il Cavaliere più forte dei Regni liberi e idiozie simili. Sono nato in una famiglia nobile e non voglio offenderne il nome in alcun modo.”
Il Principe Demone lo guardò sospettoso. “Hai i piedi ben piantati per terra per essere il favorito a divenire il Primo Cavaliere di Shouyou.”
“Hai conosciuto il nostro attuale Primo Cavaliere?” Domandò Kei con una mezza smorfia. “Ottimo braccio. Leale al suo Re. Personalità completamente inadatta al ruolo.”
Tobio storse la bocca. “Quindi tu sei uno di quelli…”
Kei lo guardò confuso. “Uno di quelli come?”
“Quelli che hanno la superbia di guardare tutti dall’alto giudicandoli degli idioti a prescindere.”
Il Cavaliere ridacchiò. “Non sei nella posizione di farmi la morale, Principe Demone,” replicò. “Tu guardi il mondo nello stesso modo.”
“Sì…” Ammise Tobio alzandosi in piedi.
Kei lo seguì con lo sguardo ma tenne gli occhi fissi di fronte a sé come il Principe Demone gli afferrò una spalla con un po’ troppa forza. “Io, però, ho un’ambizione, Cavaliere e per gli ambiziosi non esistono le regole a cui fai tanto affidamento.”
Il Cavaliere strinse le labbra. “E Shouyou fa parte di questa ambizione?”
Tobio lo lasciò andare. “Shouyou è un altro ambizioso,” rispose. “Non può essere trascinato nell’ambizione di nessun altro, a meno che non scelga di farne parte.”
Kei si voltò a guardarlo cercando di capire dalla sua espressione qualcosa di più ma il Principe Demone si era già voltato.
 
 
“Ho la netta sensazione che quei due stiano progettando la conquista del mondo o qualche idiozia del genere,” disse Kei quella sera fissando il soffitto della camera da letto che divideva con Tadashi.
L’amico lo guardò confuso coricandosi sotto le lenzuola. “Che cosa hai detto?”
Kei scrollò le spalle incrociando un braccio dietro la testa. “Oggi, il Principe Demone si è messo a parlare di ambizioni con me,” disse. “Penso che mi disprezzi perché io non ne ho una.”
Tadashi si girò su di un fianco studiando il profilo dell’amico. “È una cosa di te che non ho mai capito, invero.”
Il Cavaliere lo guardò. “Non ho mai preteso che qualcuno mi capisse.”
“Esatto!” Tadashi si sollevò su di un gomito. “Tu non pretendi di essere capito! Non pretendi l’amicizia o l’affetto di nessuno!”
“Pretendo rispetto ed un comportamento intelligente da parte di chi mi sta intorno,” replicò Kei annoiato. “Credimi, è già troppo da chiedere al tuo prossimo…”
Tadashi abbassò lo sguardo per un istante umettandosi il labbro inferiore. “E se qualcuno volesse darti di più?”
“Di più?”
Ci volle un po’ perché Tadashi trovasse il coraggio di guardare in faccia il suo più vecchio amico, il suo primo compagno di vita… L’unico che avrebbe voluto al suo fianco fino alla fine. Anche se Kei non lo sapeva. Nessuno lo sapeva.
“Ad esempio, tu dici di voler tornare a casa,” disse Tadashi timidamente. “Ma stando qui puoi avere di più di quello che Karasuno può offrire.”
Kei sospirò stancamente. “Come te lo devo dire che la gloria non m’interessa?”
“Non si tratta della gloria, Kei,” insistette Tadashi. “Pensi che Shouyou sia felice di essere qui per la gloria.”
“Non tentare di entrare nella testa di un idiota, potresti venir contagiato, Tadashi.”
“Avanti…” Tadashi si alzò dal suo letto sedendosi sul bordo di quello dell’amico. “Shouyou ne è l’esempio vivente, Kei. Lui ha sempre desiderato quel di più e Tobio glielo ha donato.”
Kei alzò gli occhi al cielo. “Non ricominciare con le tue teorie sdolcinate completamente fuori luogo,” disse girandosi su di un fianco per dare le spalle all’amico. “Sono due idioti che parlano di ambizioni senza sapere cosa siano.”
Tadashi s’imbronciò tornando al suo letto. “Fino a prova contraria, Tobio è un Principe che si sporca le mani nei campi come il più comune dei contadini e Shouyou… Beh, è Shouyou.”
“E questo cosa vorrebbe dire?” Domandò il Cavaliere guardandolo da sopra la spalla.
“Che sono talmente al di fuori degli schemi a modo loro che hanno tutto il diritto di essere ambiziosi,” rispose Tadashi girandosi sotto le lenzuola in modo da dare le spalle al compagno di stanza. “E comunque non m’invento le cose. So quello che vedo e posso affermare senza ombra di dubbio che anche Tobio ha trovato il suo di più e lo ha trovato in Shouyou.”
Kei si accigliò. “L’idiozia ti ha contagione, ormai è ufficiale.”
Tadashi sospirò. “Forse, dovresti lasciarti contagiare un po’ anche tu… Ti farebbe bene…”
“Ma da che parte stai, Tadashi?”
“Adesso, improvvisamente, pretendi di avere qualcuno dalla tua parte, Kei?”
Il Cavaliere non rispose.
 
 
***

Aprì gli occhi blu ed il cielo d’estate rispose al suo sguardo.
Si sollevò a sedere. Il mare di spighe dorate intorno a lui era mosso dal vento, il cielo infiammato dai colori del tramonto. La tenuta dalle mura bianche era ben visibile in cima alla collina, le persiane spalancate per permettere alla brezza estiva di entrare.
Gli parve di udire una ninna nanna, una melodia che conosceva da sempre.
Si alzò in piedi osservando quelle finestre quasi con sospetto.
Conosceva la voce che stava cantando. Sì, la conosceva ma non l’aveva mai udita cantare.
Fece per chiamare il suo nome a gran voce ma qualcuno lo precedette e chiamò il suo. “Papà?”
Abbassò lo sguardo nel sentirsi tirare una manica e due occhi dello stesso colore dei suoi ma più grandi ricambiarono lo sguardo. Nella manina stringeva tre papaveri rossi, i capelli dal colore impossibile legati all’indietro. Era vestita come un maschietto ma non lo era. “In braccio, papà.”
Sorrise e la sollevò senza sforzo. Non avrebbe mai potuto negarle niente, anche se era una condotta completamente contraria al suo carattere. Lei, però, non aveva bisogno di conoscere il Re, la leggenda vivente. A lei serviva un uomo, un padre… Per tutto il resto ci sarebbe stato tempo.
A lui bastava riuscire ad essere il suo eroe anche al di fuori delle grandi storie.
Fu lei ad allontanare gli occhi da lui per primo: la ninna nanna che usciva dalle finestre della tenuta era stata interrotta dal pianto di un neonato.
“Il fratellino si è svegliato, papà.”
Lui sospirò mettendola a sedere sulle spalle come suo padre soleva fare con lui nelle estati della sua infanzia. “Torniamo a casa, mia Regina.”

 
 
“Tobio?”
Fu un ritmico picchiettare sulla sua fronte a svegliare il Principe Demone. Contrasse il viso in una smorfia e sollevò solo la palpebra destra. Quando riuscì a distinguere due occhi color ambra nella semi-oscurità della camera da letto, emise un verso scocciato e si girò su di un fianco per dargli le spalle.
“Tobio!” Esclamò Shouyou offeso arrampicandosi sul letto. “Devi vedere una cosa, svegliati!”
“Domani…”
“Ma domani mi sarò già cambiato, non potrai più vederla!”
Suo malgrado, Tobio aprì entrambi gli occhi e lanciò uno sguardo di puro astio al piccolo idiota che si era praticamente appollaiato sulla sua spalla. “Che diavolo…” Si bloccò. “Perché hai indossato di nuovo i vestiti che avevi stamattina?”
Il sorriso di Shouyou si fece abbagliante e prese a saltellare sul letto esultante.
“Ehi!” Esclamò Tobio sollevandosi a sedere. “Calmati, idiota! Che ti prende?”
“Guarda!” Esclamò Shouyou indicando le piume nere sul pavimento sotto la finestra lasciata aperta appositamente per lui.
Tobio passò gli occhi blu dalle piume corvine al viso del Principe dei Corvi. “Oh…” Fu l’unico commentò che riuscì a fare.
Shouyou lo guardò arrabbiato. “Oh!” Sbottò. “Riesco a tornare nella mia forma umana con addosso i vestiti e tutto e l’unica cosa che riesci a dire è oh?”
Tobio sbuffò. “Dormivo fino ad un minuto fa!” Esclamò. “Cosa pretendi? Che mi metta a ballare dalla gioia…”
“No, a te sarebbe chiedere troppo anche solo un sorriso!” Shouyou si lasciò ricadere tra i cuscini fissando il soffitto con espressione incantata. “Bastava fare pratica…”
Tobio sospirò stancamente stendendosi di nuovo a sua volta. “Per qualunque cosa basta fare pratica, Shouyou.”
“Chissà quante altre cose riuscirò a fare prima della fine dell’estate,” il Principe dei Corvi ridacchiò emozionato. “Forse, prima dell’arrivo della stagione fredda, riuscirò a farti volare con me.”
Il viso di Tobio si distese nel guardarlo di nuovo. “Tra pochi giorni, nei villaggi cominceranno le feste per la fine dell’estate. Possiamo andare al mercato e trovare un guanto per rapaci come ti avevo detto.”
Shouyou storse la bocca. “Ti ho appena proposto di volare con me.”
“Ti ho sentito.”
“Perché stiamo parlando di un guanto per rapaci, allora?”
“Perché tu riesci a tornare umano con i vestiti e tutto ma io non sono ancora in grado di riconoscerti,” replicò Tobio. “È inutile che tu mi dia completa fiducia quando io per primo non sono certo che non ti colpirei in una situazione caotica.”
Shouyou si fece serio. “Vuoi guardarmi mentre volo?”
“Potrebbe aiutare, sì.”
“E se mi trovassi appollaiato sul ramo di un albero, come…”
“Un problema alla volta, Shouyou,” lo interruppe Tobio alzandosi dal letto.
Shouyou lo fissò confuso. “Dove vai?”
“Aspettavo che tornassi e mi sono addormentato per sbaglio,” spiegò Tobio. “Torno sul divano, come sempre.”
“Ma…” Provò il Principe dei Corvi ma non andò avanti.
Tobio si voltò a guardarlo. “Cosa?”
Shouyou sentì le guance farsi calde ma sperò che grazie alla semi oscurità della stanza, l’altro non se ne accorgesse. “Niente,” disse scuotendo appena la testa. “Buona notte, Tobio.”
“Buona notte…” Replicò il Principe Demone. Fece un passo fuori dalla camera da letto, poi si voltò ancora una volta. “Ottimo lavoro.”
Shouyou sollevò lo sguardo sorpreso ma Tobio si era già richiuso la porta alle spalle.
“Ottimo lavoro…” Ripeté a se stesso, poi ridacchiò lasciandosi ricadere tra le lenzuola. “Ottimo lavoro…”
 
 
***
 
 
Tetsuro stava giocherellando con la sua piuma d’oca da una buona mezz’ora.
Koutaro, da parte sua, era collassato contro lo schienale della sedia con una pergamena a coprirgli il volto, come se fosse un soldato caduto al tavolo di lettura della biblioteca reale di Seijou.
Keiji e Kenma si lanciarono un’occhiata, poi sospirarono all’unisono.
“Si batte la fiacca,” commentò quest’ultimo prendendo una piccola pila di libri per portarli nella sezione a cui appartenevano.
Seduta sul pavimento al centro della grande stanza, la piccola Keijiko allontanò l’attenzione dal disegno che stava facendo per cercare lo sguardo del genitore. “Che cosa vuol dire, mamma?” Domandò.
“È quello che stanno facendo papà e lo zio Tetsuro in questo momento,” spiegò Keiji passando una mano tra i capelli neri della sua bambina. “Lamentarsi di non avere nulla da fare quando, in realtà, del lavoro c’è.”
Tetsuro lo guardò storto. “Io non sto dicendo una parola,” replicò, poi lanciò un’occhiata all’amico al suo fianco. “Lui, probabilmente, è morto.”
Per tutta risposta, Koutaro scansò la pergamena sul suo viso in modo da liberare solo un occhio. “Ti piacerebbe…”
“Potevate non farvi avanti quando Kaname ha chiesto aiuto per mettere a posto la biblioteca,” fece notare loro Kenma recuperando un’altra pila di libri e sparendo di nuovo dietro gli alti scaffali.
“Così dopo mi avresti tenuto il muso fino alla fine dei tempi,” replicò Tetsuro con un sorrisetto divertito.
Kenma, nascosto dalla vista di tutti, fece finta di non averlo udito.
“Oh! Oh! Oh!” Esclamò Koutaro tornando magicamente in vita.
Keijiko guardò il padre ridendo. “Mamma, papà è matto!”
Keiji non pareva altrettanto divertito. “Sì, decisamente…” Rispose per evitare di dire quello che davvero pensava: sua figlia aveva tutto il diritto di credere che suo padre fosse un eroe tra gli eroi, dopotutto. Crescendo, avrebbe imparato la dura realtà.
“Senza i marmocchi, questo castello è meno allegro di un cimitero!” Esclamò Koutaro cominciando a fare avanti ed indietro per la stanza.
Tetsuro sospirò malinconicamente. “Nessuno da tormentare…”
“Torturare!” Aggiunse Koutaro con aria tragica.
“Umiliare pubblicamente!”
Keiji afferrò una pila di libri e decise di raggiungere Kenma prima che una mano gli scivolasse ed uno dei volumi più pesanti atterrasse misteriosamente sulla faccia del suo uomo.
“Papà!” Keijiko si alzò in piedi saltellando verso il genitore. “Tu e zio Tetsuro siete tristi perché non avete nessuno con cui giocare, vero?”
Koutaro appoggiò un ginocchio a terra, un sorriso innamorato gli illuminò il volto. “Sei davvero la donna della mia vita, Keijiko.”
“Puoi anche dire l’unica, amico,” disse Tetsuro con un ghignetto.
“Papà e zio Tetsuro vorrebbero tanto andare a giocare con gli altri bambini ma sono partiti tutti e ci sentiamo tanto soli,” spiegò Koutaro con fare esagerato.
Keijiko sbatté le lunghe ciglia un paio di volte. “Allora perché non andiamo anche noi?”
Per la prima volta da quando erano entrati in quella biblioteca, Tetsuro lasciò andare la piuma d’oca e guardò Koutaro. L’amico ricambiò immediatamente l’occhiata.
Un istante e si scambiarono un sorriso complice.
“Hajime si arrabbierà,” disse Koutaro.
Tetsuro ridacchiò. “E questo basta a renderlo divertente…”
 
 
***
 
 
Dal suo arrivo a Seijou, Shouyou si era ritrovato a guardare Tobio in molti modi diversi. La prima impressione era stata tutto meno che buona ma, con l’avanzare dell’estate, si erano aggiunti tanti dettagli al ritratto di quel fanciullo a tratti gelido e a tratti rabbioso. Dettagli che, messi insieme, facevano apparire il Principe Demone come una creatura oscura, complessa ma impossibile da non guardare.
“Niente addestramento per oggi?”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte allontanando lo sguardo dal campo di grano che si estendeva ai piedi della collina. Tadashi lo guardava sorridendo attendendo una risposta.
“No,” rispose il Principe dei Corvi accennando un sorriso. “Tobio dice che ha altri doveri qui.” Disse tornando a guardare il giovane dai capelli corvini con la falce in mano che parlava con espressione scocciata al Cavaliere dai capelli biondi poco lontano da lui. Vide un sorrisetto sarcastico comparire sul viso di Kei e Tobio ringhiargli contro in risposta.
“Stanno litigando da quando hanno cominciato,” disse Tadashi ridacchiando. “Non riescono a smettere di punzecchiarsi…”
Shouyou storse la bocca in una smorfia. “Le due facce dell’antipatia, cosa ti aspetti?”
Erano seduti entrambi all’ombra di un grande albero ad osservare gli altri che lavoravano nei campi insieme alle famiglie di contadini del luogo. Quella mattina, dopo che il Principe Demone gli aveva comunicato che non si sarebbero allenati, Shouyou si era offerto per dare una mano e Tobio prontamente gli aveva risposto che non poteva rischiare di mettergli una falce in mano. “Stupido come sei, decapiterai metà del mio esercito per puro sbaglio,” aveva detto.
Shouyou lo aveva guardato storto ma, col senno di poi, vedendo quanto tutti faticavano sotto il sole cocente d’agosto, pensò che, forse, Tobio lo aveva fatto per permettergli di riposare un po’. Shouyou sospirò sentendosi un po’ in colpa: usare il suo potere a suo piacimento era una libertà in cui non aveva mai sperato ma usare il buon senso per porsi dei limiti non era una virtù che gli apparteneva.
Col passare dei giorni, aveva cominciato a volare fino a notte fonda e, ogni volta, Tobio rimaneva in piedi ad aspettare che rientrasse nonostante sulle sue spalle pesasse la fatica di un’intera giornata di allenamento e lavoro. Quello era uno dei dettagli di Tobio che Shouyou non sapeva bene come interpretare: era duro con lui per qualunque questione ma non lo rimproverava mai quando si trattava del suo potere.
Shouyou non glielo aveva mai detto ma era grato per questo: per la prima volta in vita sua, poteva affermare senza paura che quelle ali corvine erano sue e sue soltanto.
Sì, era una libertà in cui non aveva mai sperato ed era stato Tobio a dargliela.
“Perché sorridi?”
Shouyou sobbalzò ed incrociò lo sguardo di Tadashi. “Cosa?” Domandò.
Il vecchio amico ridacchiò. “Stavi sorridendo…”
“Oh…” Fu l’unico commento del Principe dei Corvi. “Non me ne sono reso conto.”
“Pensieri piacevoli?”
Shouyou scrollò le spalle. “In questo momento, ho più o meno tutto quello che voglio,” disse con un sorriso luminoso. “Alcune volte, riesco anche a non pensare a casa.”
Tadashi studiò il profilo del Principe con attenzione. “Alcune volte o il più delle volte?”
Shouyou lo guardò confuso. “Eh?”
“Non nomini mai casa,” disse Tadashi ma non era un’accusa la sua. “Non parli mai della tua famiglia. Non ti ho mai sentito dire che ti mancano o cose del genere…”
Le labbra di Shouyou si strinsero in una linea netta. “Sono passate solo poche settimane…”
“Per noi che non siamo mai stati lontano da casa è molto tempo.”
Shouyou abbassò lo sguardo. “Io non… Se potessi vedere mamma e papà… E Natsu, io…”
“Non fraintendermi, Shouyou,” lo interruppe Tadashi gentilmente. “Non ti sto giudicando e non pretendo di conoscere quello che provi. Volevo solo dire che sembri felice qui, a Seijou… Tutto qui…”
A quel punto, il Principe dei Corvi guardò l’amico preoccupato. “Tu non ti trovi bene qui?” Domandò. “Preferiresti tornare a casa e… Mi dispiace, Tadashi, non volevo che fossi costretto a…”
Tadashi scosse la testa: se quella era l’unica occasione che avrebbe mai avuto in vita sua per essere al fianco di Kei quasi come suo pari, allora l’avrebbe vissuta fino in fondo. Questo, però, al suo Principe non poteva confidarlo. “Io sto molto bene qui, Shouyou,” disse lanciando un’occhiata veloce al Cavaliere dai capelli biondi che si passava una manica sulla fronte per asciugare il sudore. “Kei è il mio più grande amico ed è un onore prendermi cura di te, così… Non mi manca nulla.”
Shouyou lanciò un’occhiata al Cavaliere in questione con un sorrisetto sarcastico. “Kei non si sente molto onorato… Pazienza!”
Tadashi rise. “Kei non lo dirà mai a me e te ma sa che questa occasione è molto importante per noi come lo è per Karasuno e non potrà non influire sul suo futuro.”
“Come se Kei si sia mai dimostrato interessato per qualsiasi cosa…” Shouyou guardò il ragazzo accanto a lui. “Tranne te.”
Tadashi arrossì violentemente. “Io?”
“Certo!” Shouyou ridacchiò. “Siete cresciuti insieme e, nonostante la tremenda personalità, te lo tieni ancora stretto. Kei ha un legame con te come non lo ha con nessun altro. Dubito che sarebbe rimasto con me, futuro o non futuro, se non fossi rimasto anche tu.”
Tadashi sorrise malinconicamente. “Temo che tu stia esagerando, mio Principe. Kei si finge indifferente ma, in fondo, è superbo. No, non lo vedremo mai inseguire la gloria come il Cavaliere di una bella storia ma penso che farà grandi cose nella sua vita… Cose che aiuteranno Karasuno e crescere…” Si morse la lingua nel rendersi conto di quanto aveva detto. “Mi dispiace, mio Principe, non avrei dovuto…”
“Non devi scusarti,” lo interruppe Shouyou, poi sospirò. “Kei è un Cavaliere ed un politico in una sola persona. Come Re sarebbe perfetto. Meglio di me, sicuramente e non è un segreto.”
“Non dire così, Shouyou…”
“Temo di non essere nato per esserlo,” ammise il Principe dei Corvi senza vergogna. “Un Re, dico. Io e Tobio abbiamo avuto una discussione a proposito,” raccontò. “E lui mi ha convinto che è una mia responsabilità ma che, se non posso cambiare le cose, almeno posso battermi perché prendano la forma che voglio. In altre parole, mi ha detto di essere Re a modo mio, con le mie regole.” Una pausa. “Decidere di restare qui a Seijou è stato il mio primo passo per dimostrarlo.”
Tadashi annuì. “Quindi hai deciso di restare per divenire un Cavaliere, il solo padrone del tuo potere e prendere in mano le redini del tuo futuro come Re?”
Shouyou sollevò lo sguardo sulle foglie del grande grande albero che li riparava dal sole. “Sì,” rispose. “Credo di sì…”
“Niente altro?” Domandò Tadashi sporgendosi un poco verso di lui.
“Per quale altra ragione sarei dovuto restare?” Domandò Shouyou confuso.
“Non lo so,” Tadashi scrollò le spalle. “Perché è stato Tobio a chiedertelo?”
Il Principe dei Corvi non rispose. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte ma non trovando una replica efficace, si limitò a ridacchiare nervosamente. “Non so nemmeno perché Tobio me lo abbia chiesto, a dire il vero!” Esclamò. “Cioè… Me lo ha detto ma non aveva un gran senso!”
“Cioè?”
“Ha detto che gli vengono i nervi al pensiero di un potenziale non sfruttato,” disse Shouyou, “o qualcosa del genere…”
Tadashi inarcò le sopracciglia. “Tutto qui?”
Shouyou lo guardò confuso. “Perché?” Domandò. “Che cosa ti aspettavi?” Non fece in tempo ad udire la risposta che si ritrovò con una tunica umida di sudore in faccia. “Tobio!” Esclamò sebbene non avesse nemmeno avuto il tempo di guardare in faccia il suo aggressore.
Non c’era dubbi su chi potesse essere.
Il Principe Demone lo guardò con sufficienza sedendosi all’ombra dell’albero per trovare un po’ di conforto dall’afa di agosto. “Stasera il bucato tocca a te,” disse con tono perentorio, poi guardò Tadashi. “Ti proibisco di aiutarlo.”
Shouyou emise un verso simile ad un ringhio.
Tadashi annuì e ridacchiò: forse, Kei aveva ragione ed era lui a vedere troppe cose nella loro permanenza a Seijou.
“Oh, il povero Principe Demone ha già raggiunto il suo limite!” Esclamò Kei con sarcasmo dal bordo del campo di grano. “Il sole è troppo alto, mio Principe? Rischiate di divenire polvere?”
Tobio si alzò ringhiando. “Vai al diavolo!” Sbottò tornando al lavoro e calpestando la tunica che Shouyou stava piegando con tanta cura del processo.
“Tobio!” Si lamentò il Principe dei Corvi.
Tadashi sospirò stancamente. Forse, nessuno di loro parlava di Karasuno ma una cosa era certa: se fossero tornati a casa, avrebbero nominato Seijou per molto tempo… Tutti e tre per ragioni differenti.
 
 
***
 
 
Avevano lasciato un biglietto, gli idioti.
Un biglietto in cui affermavano che i ragazzini sarebbero stati più al sicuro con un paio di adulti maturi e responsabili pronti a prendersi cura di loro. Alla parola adulti, Takahiro aveva già riso sotto i baffi ma lo sguardo raggelante del Primo Cavaliere aveva fatto passare a lui ed Issei qualsiasi attacco d’ilarità provocato da quell’assurda situazione.
Koutaro e Tetsuro erano fuggiti.
Altro modo di spiegarlo non c’era. Senza farne parola con nessuna, aveva preso i loro cavalli ed erano partiti per le campagne di Seijou… Prendendo Keiji e Kenma in ostaggio, probabilmente.
O, almeno, Takahiro ed Issei dubitavano che fossero loro complici in quel colpo di testa.
Hajime non avrebbe sbollito la rabbia in pochi giorni e, di sicuro, non si sarebbe dimenticato di farla pagare ad entrambi quando li avrebbe avuti di nuovo a portata di mano. Già erano fortunati che il Primo Cavaliere non si fosse mobilitato per riportarli al Castello Nero trascinati da un cavallo ma, dopotutto, Hajime era un uomo razionale: perché prendersi un disturbo inutile per consumare una vendetta che gli sarebbe stata comunque servita su di un piatto d’argento?
Koutaro e Tetsuro non potevano certo scappare per sempre e l’estate era, ormai, quasi finita.
Takahiro ed Issei, almeno, ora avevano modo di combattere la noia ipotizzando su quanto epico sarebbe stato il ritorno a corte dei due Re caduti. Sì, in un certo senso, potevano comprendere il motivo che aveva spinto Koutaro e Tetsuro ad andarsene. Da quando erano nati, i bambini non se ne erano mai andati a zonzo senza di loro ed il Castello Nero era terribilmente quieto senza Lev a far danni in giro, Kanji a cercare di far valere il suo onore di uomo di Dateko e Tobio… Beh, il Principe Demone li aveva abituati alle imprese contro i draghi, dopotutto.
Quello che i Cavalieri di Seijou non sapevano, però, era che Tetsuro e Koutaro si sarebbero pentiti amaramente di aver tagliato la corda così presto ma non per le ragioni che credevano.
“Hajime!”
Takahiro ed Issei si risvegliarono dal loro torpore lanciando un’occhiata all’ingresso della sala comune senza reale interesse. Entrambi drizzarono la schiena nel vedere il Re Demone sulla porta vestito con abiti semplici e l’arco alla mano.
Il Primo Cavaliere se ne era stato seduto al centro della stanza a borbottare tra sé e sé per quasi mezza giornata ma non fu meno sorpreso degli altri quando il Re attraversò la stanza per avvicinarsi a lui.
“Sei libero?” Domandò Tooru con un sorriso, come se non ci fosse nulla di strano nella sua presenza negli ambienti di solito frequentati solo dai Cavalieri. Qualche anno prima nessuno ci avrebbe fatto caso, sì, ma dopo che nell’esercito di Seijou erano tornati a far parte anche i soldati dei Regni presi con la forza, le cose erano cambiate.
Il Primo Cavaliere ed il Re Demone erano cambiati.
“S-Sì…” Rispose guardandosi intorno. Avevano gli occhi di tutti puntati addosso e quelli di Dateko, in particolare, sembravano guardarli in modo sospettoso.
“Grandioso!” Esclamò Tooru. “Vieni a caccia con me!” Non era una proposta, non era un ordine. Era il modo in cui Tooru aveva sempre parlato a Hajime prima che quel gioco di potere si mettesse tra loro avvelenando i sentimenti che provavano l’uno per l’altro.
Il Primo Cavaliere lo fissò come se avesse parlato una lingua sconosciuta. “Tooru…”
“Avanti,” Tooru gli afferrò la mano e lo tirò in piedi.
Preso di sorpresa, il Cavaliere non oppose resistenza. “Tooru!”
“Sì, andiamo a tirare qualche freccia nella foresta!” Esclamò il Re Demone trascinandolo fuori. “Solo io e te, come ai vecchi tempi!”
Hajime farfugliò qualcosa in risposta ma non servì a nulla. In un’altra occasione, sarebbe anche riuscito a liberarsi dalla stretta di quelle dita per riprendere il controllo della situazione ma per riuscirci il sorriso di Tooru non avrebbe dovuto essere tanto luminoso d’abbagliarlo.
Issei storse la bocca in una smorfia. “Li seguiamo?” Domandò sporgendosi verso Takahiro.
Questi scrollò le spalle. “Aspettiamo…” disse. “Se ne torna solo uno, almeno dovremo organizzare una squadra di ricerca per trovare il cadavere dell’altro e sapremo come occupato tutto questo tempo dedicato alla noia.”
 
 
***
 
 
Il Corvo volò in alto e Tobio lo seguì con lo sguardo fino a che il sole non lo accecò e fu costretto ad abbassare gli occhi. “Lo hai fatto a posta,” disse a se stesso. Sollevò di nuovo il viso riparandosi dalla luce con una mano. Il Corvo planò, poi prese a volare orizzontalmente ad appena un palmo dalle spighe di grano.
Tobio sorrise ed infilò il guanto di pelle nera nella mano destra. Sollevò il braccio e piegò il gomito. Il Corvo lo raggiunse pochi istanti dopo e sentì distintamente gli artigli che si stringevano sulle sue dita. Non seppe perché ma quella sensazione gli infuse una certa euforia.
“Bene…” Commentò con un sorriso vittorioso accarezzando le piume corvine sul petto del rapace con le dita della mancina. Il Corvo aprì le ali e prese ad agitarsi. “Ehi! Idiota!” Sbottò Tobio distendendo il braccio per evitare di essere colpito in faccia.
Il volatile perse la presa sul guanto e cadde all’indietro tra le spighe di grano.
Tobio restò a fissare il punto in cui era sparito per un istante di allibito silenzio, poi lasciò andare una risatina sarcastica. “Alle volte ti dimentichi di avere le ali, piccolo e stupido Corvo?”
Una testa di capelli ribelli emerse dal mare di spighe e due occhi color ambra lo guardarono arrabbiati. “Quando ci proverai, potrai giudicarmi…” Si tirò in piedi. “Allora? Qualcosa da dire sul mio modo di volare?”
Tobio scrollò le spalle togliendosi il guanto di pelle nera. “Non ho mai visto un rapace volare come te, se vuoi saperlo.”
Shouyou sorrise come se gli avesse fatto un complimento. “Davvero?”
“Perché sei lusingato, ora?”
Il Principe dei Corvi scrollò le spalle. “È una cosa che mi fa sentire speciale…”
Tobio si mise a sedere tra le spighe appoggiando le braccia sulle ginocchia. “Sei un ragazzo capace di tramutarsi in corvo,” gli fece notare. “Questo non ti fa sentire abbastanza speciale?”
Per un istante, l’espressione di Shouyou si fece seria, poi gli angoli della sua bocca si sollevarono di nuovo e si sedette accanto al Principe Demone. “Solo di recente…” Ammise. “A casa, il mio potere non era visto come qualcosa di speciale, lo sai. Per non parlare di quando mi arrabbiavo…”
Tobio lo guardò dubbioso. “Tu ti arrabbi?”
Shouyou ridacchiò. “Non fingere di non saperlo.”
“Credevo che farti arrabbiare fosse un talento solo mio e del Cavaliere stronzo.”
Il Principe dei Corvi e rise. “Tu e Kei avete un tocco speciale, lo devo ammettere!”
“Mi paragoni ad uno stronzo, ora?”
Shouyou gli lanciò un’occhiata eloquente. “Non mi piace usare queste parole, però…”
“Selvaggio ma ben educato, eh?”
“Non sono selvaggio!” Replicò Shouyou, poi ci pensò. “Forse, un pochino…”
Un pochino,” ripeté Tobio con una smorfia sarcastica. “Sei il ritratto del principino elegante e raffinato per eccellenza.”
Shouyou lo fissò intensamente per alcuni istanti. “Mi guarderesti se lo fossi?” Domandò con serietà.
Gli angoli della bocca di Tobio si abbassarono e ricambiò lo sguardo con la stessa intensità. “No,” ammise. “No, non m’interesseresti se lo fossi.”
Shouyou ridacchiò distendendosi tra le spighe, le mani appoggiate in grembo. “Perché sei un po’ selvaggio anche tu.”
Tobio fece lo stesso incrociando le braccia dietro la testa. “Non lo nego,” ammise. “Il semplice fatto che sia nato è uno strappo alla regola, dopotutto.”
“Lo stesso vale per me!” Disse Shouyou allegramente. “Eravamo destinati ad essere ribelli ancor prima di nascere, Tobio.”
Il Principe Demone accennò un sorriso. “Questo non ci ha impedito di essere la vergogna dei nostri genitori.”
“Beh… I nostri genitori sono cresciuti, sono diventati adulti responsabili ed ora è loro compito guidarci lungo una via più sicura.”
“Che prontamente ignoriamo.”
Shouyou ridacchiò, poi inarcò le sopracciglia e studiò il profilo del Principe Demone. “I tuoi genitori si vergognano di te?”
Tobio strinse le labbra ma continuò a fissare il cielo per non mostrare alcun cambiamento nella sua espressione. “Sono uno stronzo, ricordi?”
Shouyou si sollevò su di un gomito e l’altro fu costretto a guardarlo negli occhi. “Io non l’ho mai detto.”
“Mi hai paragonato a quel tuo Cavaliere.”
“L’hai fatto tu per primo,” replicò Shouyou. “Io non ti paragonerei mai a Kei.”
“Per quale motivo?” Domandò Tobio incuriosito.
Shouyou scrollò le spalle. “L’unica cosa che avete in comune è l’antipatia, nulla di più.”
“Gran consolazione…”
“Kei è un tipo… Annoiato.”
“Annoiato?”
“Sì, un annoiato ingiustificato,” continuò Shouyou. “È sempre il migliore in quello che fa senza sforzo e senza passione. Ha sempre avuto al suo fianco qualcuno di cui fidarsi: suo fratello per primo e Tadashi subito dopo. Dovrebbe dimostrargli qualche apprezzamento, ogni tanto. L’amicizia non è una cosa scontata…”
Tobio non replicò.
“Kei è… Sì, lui è annoiato col mondo intero,” Shouyou annuì. “Tu sei arrabbiato.”
Tobio trattenne il fiato per un istante.
“Non so per cosa,” ammise il Principe dei Corvi. “Non so con chi. Però, Tobio, questa è la sensazione che ho quanto sto con te… Non dico che tu non abbia un caratteraccio per natura ma, sì, sei arrabbiato.” Ridacchiò. “Ho sentito alcuni dei ragazzi… Tipo Yuutaro o Akira, dire che sei freddo, glaciale. Non lo sei. Sì, lo fai ma dovresti essere indifferente per essere davvero… Davvero freddo ma non lo sei! Ti ho visto tirare con l’arco! Ti ho visto affrontare quel drago guardandolo dritto negli occhi! Tu sei fuoco, Tobio! Hai una passione dentro che non vuoi mostrare a tutti ma è viva ed è forte! Ma sei arrabbiato… Sì, sei arrabbiato col mondo intero…”
Gli occhi d’ambra si fissarono in quelli blu del Principe Demone.
“…Vorrei capire perché.”
Tobio avrebbe potuto liberarsi da quella situazione senza sforzo: una risposta brusca, uno sbuffo, un insulto gratuito. Qualunque cosa e Shouyou si sarebbe fatto indietro… Per il momento. Tuttavia, cominciò a prendere in considerazione una seconda possibilità, una su cui non si era mai soffermato.
Sollevò l’angolo destro della bocca in un sorrisetto di sfida. “Tu insegnami a volare,” disse alzandosi in piedi e guardando il piccolo Principe dall’alto verso il basso, “e se ne avrò voglia ti aiuterò a capire.”
Shouyou gonfiò le guance. “Ma non è giusto!” Si sollevò con un saltello, si sbilanciò un po’ troppo e si aggrappò alle braccia del Principe Demone. “Non si fanno così gli accordi! Non devi dire se ne avrò voglia, devi assicurarmi che mi darai qualcosa in cambio!”
Tobio fece un passo indietro e prese ad incamminarsi verso casa. “Sono uno stronzo, ricordi?”
“Io non ti ho mai chiamato così!” Esclamò Shouyou spintonandolo per gioco.
Tobio, però, la prese a modo suo. Si voltò di scatto, lo guardò male, poi cercò di afferrarlo.
Shouyou scattò all’indietro ridacchiando.
Il Principe Demone sbuffò. “Fatti prendere…”
“Non ci penso neanche!” Esclamò Shouyou cominciando a correre tra le spighe di grano.
Tobio gli fu immediatamente dietro. “Hai le gambe più corte delle mie, idiota.”
Il Principe dei Corvi si voltò a prese a correre all’indietro. “Ma sono più veloce!”
“Questo lo dici tu!”
“Va bene!” Shouyou rise. “Chi arriva prima a casa?”
“Affare fatto!”


 
***
 
 
Kenma sapeva che la fine di quell’estate sarebbe stata molto lunga non appena il carro che avevano rubato al Castello Nero entrò nel cortile interno della tenuta di campagna dalle pareti bianche. Il primo dettaglio che lo mise in allerta fu l’assenza del Principe Demone e del Principe dei Corvi e non lo rincuorò rendersi conto che era completamente inutile chiedere agli altri fanciulli.
Nessuno di loro sembrava felice della loro fuga, oltretutto.
Tranne Lev, certo ma Lev era sempre stato poco bravo a leggere le situazioni.
Ora che avevano degli adulti in giro, sebbene due non fossero esattamente maturi e responsabili, quei ragazzi si sentivano deprivati di una libertà che avevano inseguito appositamente allontanandosi da casa. Questo, ovviamente, non frenava in alcun modo l’entusiasmo di Koutaro e Tetsuro: avevano recuperato la scorta segreta di vino dalle cantine della tenuta ed avevano preso a torturare tutti i fanciulli, uno per uno, recuperando il tempo perduto nei giorni di noia che si erano lasciati alle spalle.
“Metto Keijiko a letto,” disse Keiji accarezzando la schiena della bimba addormentata tra le sue braccia. “Per ora la sistema nella vecchia camera di Tobio e mi riposo un po’ insieme a lei. Stasera ci accorderemo con i ragazzi per la sistemazione.”
Kenma allontanò la sua attenzione dallo spettacolo all’esterno ed annuì. “Tranquillo, faccio la guardia io,” disse tornando a guardare il cortile sottostante.
Keiji sospirò. “Se qualcosa prende fuoco o qualcuno muore o succede qualche altra tragedia di questo tipo…”
“Ti chiamo,” concluse Kenma incrociando le braccia contro il petto.
“A meno che non sia uno dei nostri uomini. Per quelli non mi scomodo.”
“Uhm… Uhm…” Il Mago annuì ed istante dopo il rumore di una porta che si apriva e richiudeva lo informò che era rimasto da solo.
Sotto di lui: la fiera dei Re senza vergogna.
“Yuutaro! Bevi! Ragazzo, bevi!” Esclamò Koutaro prendendo assestando delle violente pacche sulla schiena del povero e timido Cavaliere. “Bevi! Sei un gigante! Ci supererai tutti in altezza e ancora non sei mai stato con una donna! Almeno bevi!”
Kenma alzò gli occhi al cielo. “Come se questo bastasse a fare di un uomo quello che è…”
“Nessuno qui è mai stato con una donna!” Esclamò Yuutaro paonazzo in volto per l’imbarazzo.
“Parla per te!” Replicò Kanji a gran voce come se ne andasse del suo onore.
Tetsuro rise. “Mocciosi, donna è un concetto relativo in un mondo come il nostro. Ampliate le vostre possibilità!”
Kenma inarcò un sopracciglio: se avesse avuto qualcosa di pesante ma maneggevole a portata di mano, glielo avrebbe tirato dritto in testa e poi sarebbe anche riuscito a farlo passare per un incidente.
Quelle parole bastarono a scatenare la folla di ragazzini. Qualcuno rise, altri negare con un po’ troppa emotività di aver mai preso in considerazione un altro ragazzo come amante. Yuutaro divenne ancor più rosso, se possibile. Kanji si allontanò da quella discussione con un gesto seccato della mano. Lev si guardò intorno con un sorriso confuso senza intervenire in alcun modo.
Kenma sospirò e pensò che qualcosa di pesante avrebbe dovuto tirarlo in testa a lui: non poteva che migliorare a quel punto, no?
“Tobio! Ah! Tobio aspetta!”
Il suono delle risate di due fanciulli fu il suono che fece tacere tutti gli altri.
 
 
Shouyou perse quella gara solo per un paio di metri.
Si sentì afferrare per la vita ad appena tre o quattro passi dal cancello che conduceva al cortile interno della tenuta. Continuò a ridere quando la terra gli mancò sotto i piedi e si ritrovò a testa in giù.
“Tobio!” Esclamò rendendosi conto che il Principe Demone se lo era caricato in spalla come un sacco di patate.
“Hai perso!” Esclamò Tobio con un sorrisetto divertito avanzando come se il fanciullo sulla sua spalla non pesasse niente.
Shouyou rideva ancora. “Non hai vinto! Hai barato! Dovevi superarmi, non acchiapparmi!”
“Non ti agitare o ti faccio cadere!”
“Ma se stai ridendo!”
Appena un passo dopo il cancello, Tobio si fermò e smise di ridere nel vedere decine di paia di occhi puntati su di lui. No, non era verosimile aspettarsi che il cortile fosse vuoto a quell’ora ma non ci aveva pensato. Gli capitava spesso di smettere di pensare quando era con Shouyou.
In realtà, se si fosse trattato dei suoi allegri idioti o dei due di Karasuno non gliene sarebbe importato. Per quanto riguardava i giovani nobili del Castello Nero, non li avrebbe nemmeno degnati di uno sguardo. C’erano due visi familiari, però, tra quella piccola folla di giovani Cavalieri.
Due visi che non gli fece particolarmente piacere trovare anche lì.
Lasciò andare il fanciullo appeso alla sua spalla e Shouyou cadde a terra con un’esclamazione stridula ed un tonfo.
“Che cazzo sta succedendo qui?”
 
 
***
 
 
“Come sarebbe a dire che non è successo niente?!” Takahiro sgranò gli occhi sconvolto ed Issei ricambiò l’occhiata con una smorfia delusa.
La sala comune dei Cavalieri era quasi deserta e la partenza di Tetsuro e Koutaro l’aveva resa decisamente silenziosa. Hajime, però, non sembrava sorpreso da quella novità più che dalla reazione dei suoi più vecchi amici al suo breve rapporto di fine giornata. “Che cosa vi aspettavate?” Domandò inarcando le sopracciglia.
“Non lo so,” disse Takahiro con voce sarcastica. “Tu e Tooru…”
“Da soli nella Foresta…” Aggiunse Issei.
“Entrambi armati di arco.”
Hajime passò gli occhi verdi dal viso del primo a quello del secondo. “Non riesco a capire se siete delusi che nessuno sia morto o se vi aspettavate una storia volgare.”
Issei scrollò le spalle. “Uno dei due, probabilmente.”
“Ma tutti e due sarebbe stato meglio,” ammise Takahiro.
Hajime li squadrò ancora per un istante, poi vuotò il suo calice con un solo sorso e si alzò dalla panca senza dire una parola.
“No!” Esclamò Takahiro.
Issei lo afferrò per le spalle e lo costrinse a mettersi di nuovo seduto. “Senza fretta…”
“Ma che volete, idioti?”
“Oh, sono in momenti di tenerezza come questo che ci ricordiamo di quanto il piccolo Tobio ti assomigli!” Esclamò Takahiro con un sorriso amichevole. “Allora, ricapitolando… Siete andati nella foresta per tirare qualche freccia e…?”
“Abbiamo parlato di tutto e niente!” Esclamò Hajime esasperato. “Abbiamo parlato per lo più di Tobio e dopo di Seijou… Nel caso ve ne foste dimenticati, abbiamo un figlio ed un Regno in comune e, sì, capita che ne parliamo!” Sbatté entrambe le mani sul tavolo alzandosi in piedi di forza.
Issei e Takahiro alzarono le mani in segno di resa e lo lasciarono andare.
 
 
Se fosse stato completamente onesto con se stesso, Hajime avrebbe ammesso che il primo motivo per cui aveva accettato la compagnia di Tooru e lui aveva cercato la sua era lo stesso che aveva spinto Koutaro e Tetsuro ad andarsene e che aveva reso Issei e Takahiro isterici per un pomeriggio di caccia nella Foresta: la noia.
Da quando era nato, quella era prima volta che Tobio se ne andava in giro di sua iniziativa e non per seguire uno dei due genitori verso il compimento di un’altra leggendaria impresa. Sì, era capitato che Hajime si allontanasse dalla sua famiglia per qualche giorno e Tooru era scomparso per ben sei mesi quando Tobio era ancora bambino. Di fatto, però, erano quasi quindici anni che Hajime e Tooru non si ritrovavano da soli l’uno con l’altro, senza un figlio che ricordasse loro perché erano ancora insieme.
Il Re Demone, tuttavia, non parve in alcun modo sorpreso quando aprì la porta delle sue stanze private e se lo ritrovò davanti. Hajime non poté evitare di notare che aveva l’aria assonnata ma Tooru gli sorrise come se gli avesse fatto una bella sorpresa. “Hajime!”
Il Primo Cavaliere sbatté le palpebre un paio di volte cercando qualcosa d’intelligente da dire. “Io… Ecco… Posso entrare?”
“Certamente!” Esclamò il Re facendosi da parte per permettere al Cavaliere di entrare.
Hajime lo fece stringendo le spalle, come se fosse un intruso in un ambiente sconosciuto e non fosse uscito ed entrato da quelle stanze per tutta la vita.
“Ho fatto lasciare del vino,” disse Tooru precedendolo al centro del salottino privato. “Ne vuoi un po’?”
“Sì, grazie…” Disse Hajime guardandosi intorno come se vedesse quel salotto privato per la prima volta. Il rumore del vino che veniva versato in un calice lo fece voltare. “Non era necessario, Tooru.”
Il Re lo guardò confuso riappoggiando la caraffa sul tavolo e prendendo i due calici lucenti con un sorrisetto. “Che cosa c’è, Hajime?”
Il Cavaliere si morsicò il labbro inferiore. “Avrei dovuto farlo io…”
Tooru reclinò la testa da un lato ridacchiando. “Che cosa stai dicendo, Hajime?” Domandò porgendo al Cavaliere il proprio calice.
Hajime accettò l’offerta. “Bhe… Tu sei… Io sono…”
Il Re gli premette l’indice contro le labbra. Un gesto intimo, naturale, a cui Hajime si era abituato in un’altra vita. O, forse, quei giorni erano distanti da loro solo di pochi anni.
“Non so cosa vuoi dire ma sono certo che è una sciocchezza,” disse Tooru con quel suo fare un po’ infantile ed un po’ stupido.
Hajime fece una smorfia annoiata. “Finiscila…”
Tooru ridacchiò. “Così va meglio,” si sedette su una delle poltrone davanti al caminetto spento e invitò il Cavaliere ad accomodarsi su quella che aveva di fronte con un gesto della mano. “Avanti, fammi compagnia…”
“Avevi l’aria assonnata quando ho aperto,” commentò Hajime facendo come gli veniva detto.
“Sì, mi sono assopito sulla poltrona,” ammise Tooru. “Ho fatto uno strano sogno…”
Hajime sospirò. “Non credo di voler sentire altre storie su sogni strani.”
Tooru ridacchiò. “Tranquillo, questo era bello. C’eri anche tu: avevi una bellissima bambina con grandi occhi blu tra le braccia, la guardavi completamente innamorato ed io ti prendevo in giro perché eri dovuto diventare vecchio per trovare la Principessa del tuo cuore come ogni buon Cavaliere degno di tale nome.”
Hajime lo guardò offeso. “Ho un figlio di quasi quindici anni e potrei essere suo fratello!”
Il Re rise ed anche in modo abbastanza insopportabile. “Sì, un fratello molto maggiore!” Esclamò divertito. “Avevamo diciassette anni, Hajime, non dodici.”
“Eravamo comunque troppo giovani…”
“Non lo pensavi allora,” replicò Tooru. “Non lo pensavi nemmeno quando ne avevamo quindici e ci siamo giurati amore eterno.”
“Forse ma sono felice che Tobio sia arrivato solo due anni dopo,” ammise il Cavaliere.
“Hai ragione,” Tooru annuì. “Era giusto che avessimo del tempo per stare insieme, prima di essere genitori.”
Hajime annuì a sua volta. “Tuttavia, spero che Tobio non segua le nostre orme e si prenda il suo tempo.”
Il Re rise di nuovo. “Mio caro Cavaliere, all’età del nostro unico erede eravamo già vittime delle pene d’amore, mentre Tobio sembra essere la creatura più distante da simili questioni.”
“Questo un po’ mi consola,” ammise Hajime. “Ed un po’ mi preoccupa.”
Tooru gli lanciò un’occhiata maliziosa. “S’infilerà tra le cosce di qualche creatura affamata di desiderio, prima o poi, vedrai…”
Hajime sbuffò. “Non intendevo questo!”
“No, i padri dei figli maschi non ci pensano mai!”
“Tu volevi che si sposasse!”
“Io lo voglio ancora!” Ammise Tooru senza problemi. “Non ho più alcun potere su di lui, sempre ammesso che l’abbia mai avuto…”
“Alla fine, te ne sei accorto.”
“Tuttavia, se lui e Shouyou…” Il Re non andò avanti e prese un altro sorso di vino portando lo sguardo alle grandi finestre della stanza. “Quest’estate non finirà mai troppo presto.”
Hajime comprese che stava pensando alla verità che avrebbero dovuto svelare a Tobio e Shouyou non appena fossero tornati. “E quando accadrà sarà finita troppo presto,” replicò, poi alzò il calice accennando un sorriso. “Ai segreti svelati.”
Tooru sorrise a sua volta e ricambiò il gesto. “E a chi resta anche dopo che la verità viene alla luce.”
 
 
***
 
 
“E questo è quanto,” concluse Kenma con un sospiro stanco.
Tobio se ne rimase con la schiena appoggiata al davanzale del caminetto spento, le braccia incrociate contro il petto. Puntò gli occhi blu sui due Re che sedevano scompostamente sul divano di fronte a lui. Sia Tetsuro che Koutaro sorridevano. Il primo assomigliava ad un bandito con male intenzioni, il secondo ad un completo idiota. Tornò a guardare Kenma, in piedi accanto ai due folli. Gli aveva raccontato tutto: della calma piatta al Castello Nero, della noia generale che era seguito e di come quei due Re caduti avessero deciso di porre rimedio alla questione a modo loro.
Solo alla fine, Tobio guardò Keiji e, soprattutto, guardò la bambina semi-addormentata tra le sue braccia. Strinse le labbra e sospirò: se non fosse stato per Keijiko avrebbe buttato quei due fuori a calci ignorando il fatto che il sole fosse tramontato. Quella Principessa, però, aveva ancora bisogno di credere che suo padre fosse un eroe.
“Accomodatevi nella dependance,” ordinò. “Qui dentro siamo già uno sopra l’altro per colpa di quegli idioti di nobili Demoni.”
Gli occhi di Tetsuro e Koutaro s’illuminarono.
“Grazie, mio Principe,” rispose Keiji a nome di tutti alzandosi stringendo sua figlia tra le braccia. “Tornati a casa, questi due affronteranno le conseguenze delle loro azioni con vostro padre.”
I due Re guardarono l’Arciere come se fossero dei bambini traditi da uno dei loro genitori.
“La questione non mi riguarda,” ammise Tobio. “Spetterà a mio padre agire come meglio crede. Sono i suoi uomini.”
Keiji annuì ed il Principe non si lasciò sfuggire la luce soddisfatta che gli illuminò il viso per un istante. “Col vostro permesso, ci ritiriamo,” disse. “Mia figlia è stanca e…”
“Prego,” concesse loro Tobio. “Fatevi aiutare da Lev e Kanji per rendere la dependance confortevole,” puntò l’indice contro i due Re seduti sul divano. “Domani li seguirete nei campi senza fare storie.”
Koutaro e Tetsuro provarono ad obbiettare ma un’occhiata di traverso da parte di Keiji e Kenma su sufficiente e farli tacere.
“Sarà fatto, mio Principe,” disse l’Arciere, poi indicò le scale ai due accusati con un cenno del capo.
Sia Koutaro che Tetsuro si alzarono in piedi imbronciati come due bambini delusi e seguirono Keiji senza dire una parola di più.
Una volta che furono spariti dalla sua vista, Tobio storse la bocca in una smorfia. “Che idioti…”
“Mi trovate completamente d’accordo.”
Il Principe Demone quasi sobbalzò e dovette voltare lo sguardo per ricordarsi della quarta persona che era stata nella stanza per tutto il tempo. Kenma era stato l’unico a parlare ma era stato il primo di cui Tobio si era dimenticato. Dischiuse le labbra per dire qualcosa, scusarsi, forse…
“Non c’è problema, mio Principe,” lo precedette il Mago sedendosi al centro del divano lasciato libero dai due Re. “Essere invisibile è uno dei miei poteri,” ammise accennando un sorriso. “Può non essere efficace come quello del vostro Principe Corvo ma…”
dei Corvi,” lo corresse Tobio. “Shouyou è il Principe dei Corvi.”
Kenma sospirò. “Sapete cosa intendo…”
“Passi dal voi al tu continuamente… Lo fate tutti con me. È come se non sapeste quanta distanza di sicurezza tenere.”
“Voi cosa preferite?” Domandò Kenma con tono diretto.
“Fa come preferisci, Kenma,” ammise Tobio. “Non sei tu o quegli idioti che dovete piegare la testa al mio cospetto.”
“Secondo le regole, tutti noi dovremmo.”
“Di che cosa vuoi parlarmi, Kenma?” Tagliò corto il Principe Demone. “Perché sei rimasto per dirmi qualcosa, no? Dopotutto, sei l’unico membro delle famiglie reali messe in ginocchio dal Re Demone che prova ancora un qualche rispetto per lui.”
“Quello che provo per vostra madre è un po’ più complicato di così.”
“Non m’interessa,” ammise Tobio. “Non sono affari miei. So che parlate, però e so anche di cosa.”
Kenma sbatté le palpebre un paio di volte. “Il Re Demone…”
“Il Re Demone non mi dice niente,” lo interruppe Tobio. “Qualunque trama abbia preso forma nella sua testa, non ne conosco i dettagli. So solo due cose: che ne faccio parte e che non ho alcuna intenzione di assecondarlo.”
“Oh, mio Principe…” Il Mago sospirò ancora una volta. “Credetemi, Tooru ne è perfettamente consapevole ora.”
“Allora è tempo che sia perfettamente consapevole anche io.”
“Che cosa volete dire?”
Tobio fece un paio di passi verso il divano. “Quale è la vera ragione per cui Tooru hai tanta paura di me?” Domandò. “Perché vuole che scelga Shouyou con tanto entusiasmo? Perché…”
“Mi ponete domande di cui conosco la risposta, mio giovane signore,” lo interruppe il Mago. “Ma non ho il diritto né la volontà di concedervele.”
Tobio sbuffò. “Ordine di Tooru.”
“In realtà, è volontà di entrambi i vostri genitori parlarvene di persone al momento giusto.”
“E sarebbe?”
Kenma strinse le labbra per un istante. “Quando tornerete… Alla fine dell’estate…” Questo poteva dirglielo se poteva aiutarlo in qualche modo a prepararsi al cataclisma a cui stava andando incontro.
Tobio annuì due volte. “E tu che cosa vorresti dirmi, intanto?”
“Voglio parlare del vostro Principe.”
“Shouyou non è mio.”
“Quante volte al giorno lo ripetete a voi stesso?”
Tobio sbatté le palpebre un paio di volte. “Prego?”
“Avete voluto che restasse con voi,” gli ricordò Kenma. “E l’avete fatto sapendo che sarebbe stata una vostra responsabilità e di nessun altro.”
“E con questo?”
“È vostro,” concluse il Mago con una scrollata di spalle. “Non in quanto proprietà, ben inteso. Tuttavia, siete stato voi a dargli qualcosa che nessuno prima gli ha mai concesso e, immagino, che Shouyou abbia ricambiato il favore a modo suo.”
Tobio alzò gli occhi al cielo. “Kenma, tieni per te i tuoi complicati discorsi insensati,” disse. “Ho voluto che Shouyou restasse. Ho voluto dargli la possibilità di essere padrone del suo potere, di essere quello che è necessario che sia ma alle sue condizioni.”
“Perché?” Era una domanda semplice quella di Kenma. Una domanda che, in un certo senso, Tooru gli aveva già rivolto e a cui Tobio non aveva mai risposto realmente.
Il Principe Demone strinse le labbra e si voltò verso il caminetto spento. “Sei venuto fino a qui per Shouyou, vero?” Ancora una volta, evitò la vera risposta a quella semplice domanda.
Kenma, però, a differenza di Tooru, ebbe pietà di lui. “Sono qui per entrambi, mio giovane signore,” ammise. “Non dubito delle vostre capacità come Cavaliere o Principe. Siete il degno figlio dei vostri genitori ma la Magia è un’arte… Complicata.”
Tobio lo guardò da sopra la spalla. “Vuoi aiutare Shouyou con i suoi poteri?”
“Non voglio essere di troppo tra voi due,” ammise Kenma. “Ma voglio essere una guida, se mi è possibile…”
Il Principe Demone si voltò nuovamente. “Diventa più forte,” gli confidò incrociando le braccia contro il petto. “Più prende confidenza con il suo potere, meno lo teme e… Sì, diventa ogni giorno più forte. È anche più bravo con la spada. No, è ancora un mezzo disastro ma il modo in cui si muove, il modo in cui reagisce…”
“Non ha più paura di se stesso, mio Principe,” disse Kenma. “Questo è un potere enorme, Tobio. Più potente di qualsiasi magia.”
Il Principe Demone annuì. “C’è qualcosa che non sono più riuscito a tirare fuori, però.”
Kenma inarcò le sopracciglia. “Di che parlate?”
“C’è qualcosa del potere di Shouyou che lo spaventa ancora,” Tobio fece una smorfia. “Credo che il suo primo problema sia con la rabbia, piuttosto che col suo potere, in realtà…”
“Shouyou cambia quando è arrabbiato?”
“Diciamo che tira fuori una forza completamente inspiegabile,” raccontò Tobio a modo suo. “Ha spezzato due spade con un colpo la prima volta che gliel’ho visto fare. È impulsivo per natura e il suo potere reagisce alla sua rabbia nello stesso modo.”
“Ci sono cambiamenti fisici?”
“Il colore degli occhi,” ammise Tobio. “Divengono come quelli di un rapace e, credimi, non è un bello spettacolo su quel faccino da bambino del cazzo che si ritrova. È inquietante.”
Kenma annuì. “Shouyou che ne pensa?”
“Ne è terrorizzato ed io gli ho giurato che non lo spingerò ad usarlo se c’è il rischio che questo divenga una lama a doppio taglio ma…”
“Ma per essere davvero padrone del suo potere, deve saperlo conoscere fino in fondo,” concluse Kenma. “Vuoi che vi aiuti in questo?”
“Non ora,” rispose Tobio. “Ma se il momento verrà…”
“Sarò preparato.” Kenma si alzò in piedi. “Ho il permesso di ritirarmi, mio giovane signore? Sono molto stanco per il viaggio e…”
“Sì, vai pure,” gli concesse Tobio.
Kenma annuì: la loro conversazione non era realmente terminata ma quelle non era questioni che si potessero affrontare in una sera, sperando che non vi fossero conseguenze.
“Ed io sarò preparato?”
Kenma si fermò dopo solo un gradino. “Come, mio signore?”
C’era malinconia negli occhi blu di Tobio quando incrociarono i suoi. “Io sarò preparato quando il momento arriverà?” Domandò.
Di colpo, Kenma si ricordò che quello che aveva davanti era un fanciullo che non aveva ancora compiuto quindici anni. Il Principe Demone era un bambino. Da quando era nato, lo avevano sempre guardato immaginandosi come sarebbe cresciuto il Principe destinato a regnare su tutti i Regni liberi ed il fatto che stessero gettando quel destino sulle spalle di un ragazzino non li aveva mai nemmeno sfiorati.
“Sei forte, Tobio,” disse Kenma mettendo da parte qualsiasi fredda formalità.
“Lo so,” replicò il Principe Demone.
“No,” Kenma accennò un sorriso. “Sei molto più forte di quel che credi. Solo che anche tu devi ancora imparare a conoscere fino in fondo il tuo potere.”
Tobio inarcò un sopracciglio. “Sono un essere umano…”
“Te l’ho già detto,” disse Kenma con pazienza. “Esistono poteri più potenti di qualsiasi magia.”
 
 
***
 
 
“Ti fa ancora male la testa?”
Shouyou allontanò lo sguardo dalla finestra appoggiando la nuca al bordo della vasca. “Eh?”
Tadashi sorrise raccogliendo gli abiti sporchi del suo Principe da terra. “La testa,” disse tamburellando l’indice sul proprio capo. “L’hai battuta abbastanza forte quando Tobio ti ha fatto cadere.”
“Oh…” Shouyou si massaggiò la nuca distrattamente. “Me ne ero dimenticato.”
“Meglio così!” Esclamò Tadashi inginocchiandosi accanto alla vasca. “Oh, scusa… Vuoi che ti lasci da solo?”
“No,” Shouyou accennò un sorriso stringendosi le ginocchia al petto. “Mi fa piacere avere un po’ di compagnia… La compagnia di qualcuno che non è perennemente imbronciato, almeno.”
Tadashi rise. “So cosa significa.”
“Oh, giusto!” Anche Shouyou ridacchiò. “Tu non sei molto più fortunato di me in questo!”
“Kei non riesce ad adattarsi,” ammise Tadashi con un sospiro stanco. “Troppi ragazzi, troppo rumore…”
“Pensavo avesse rinunciato a cercare di fuggire dal caos stando con me!”
“Diciamo che a Karasuno sapeva come muoversi. Qui è diverso…”
“Già…” Shouyou si umettò le labbra. “È diverso…” Tornò a guardare il cielo ormai scuro fuori dalla finestra.
Tadashi sorrise con se stesso. “Immagino che per ognuno di noi sia diverso a modo suo.”
Shouyou tornò a guardarlo e le guance si fecero un po’ rosse. “Hai detto a Kei come mi sento io qui, a Seijou?”
Tadashi sgranò gli occhi, poi scosse la testa. “Non mi permetterei mai, Shouyou.”
“Non ci sarebbe nulla di male,” ammise il Principe dei Corvi. “Però, immagino la faccia che farebbe Kei se sapesse che sono l’unico ad essere felice qui.”
“Non sei l’unico,” ammise Tadashi alzandosi in piedi per recuperare la spugna e i sali dal tavolo da bagno. “Anche io sto bene qui a Seijou.”
Shouyou lo guardò sorpreso. “Davvero?”
“Sì,” Tadashi gli porse la spugna ed una delle boccette. “Preferisci fare da solo?”
“Sì, grazie,” Shouyou prese a strofinarsi la pelle con cura. “Pensavo che non ti facesse piacere vedere Kei così.”
“Non mi fa piacere, infatti,” ammise Tadashi. “Tuttavia, sono passati anni dall’ultima volta che io e lui abbiamo passato così tanto tempo insieme e…”
Shouyou lo guardò con gli occhi sgranati. “Oh, alla corte eravamo un po’ troppo…”
“Non è colpa tua o degli altri, Shouyou,” lo interruppe Tadashi con gentilezza. “Il castello degli Tsukishima è piuttosto isolato rispetto alle grandi città di Karasuno. Sempre ammesso che si possano definire grandi rispetto alla capitale di Seijou.”
“Già…” Shouyou annuì. “Il mondo che abbiamo definito nostro si è fatto improvvisamente piccolo e stretto da quando siamo arrivati al Castello Nero.”
“Per te lo è sempre stato,” gli ricordò Tadashi.
Il Principe dei Corvi scrollò le spalle con un sorrisetto. “È vero…”
“Per me è sempre stato il contrario,” raccontò l’altro. “Il castello degli Tsukishima era il piccolo mondo che dividevo con Kei e mi bastava… Eravamo solo bambini ed avevamo esigenza diverse ma credo che mi basterebbe ancora.”
Shouyou lo guardò sinceramente dispiaciuto. “Tadashi, io non volevo…”
“No,” Tadashi scosse la testa. “Qui mi sembra di aver ritrovato quello che avevamo,” ammise. “Alla corte di Karasuno, Kei aveva gli occhi di tutti puntati su di sé e, di contro, non faceva che allontanarsi da tutto e tutti… Anche da me. Ora, qui, non abbiamo altro che l’un l’altro e mi piace. È egoista ma mi piace.”
Shouyou reclinò la testa da un lato. “Tu vuoi bene a Kei…” Non era una domanda ma c’era comunque della confusione nella sua voce.
Tadashi ridacchiò nervosamente. “Siamo cresciuti insieme…”
“Sì, ma…” Shouyou non sapeva come chiederlo. “Tu gli vuoi bene davvero…”
Tadashi sentì le guance farsi calde ma si sforzò di non abbassare lo sguardo: sarebbe stato come confessare un segreto troppo intimo per essere condiviso. “E tu vuoi bene a Tobio?” Lo chiese gentilmente ma fu un colpo basso, codardo.
Per sua fortuna, Shouyou era abbastanza ingenuo da non accorgersene. “Tadashi…” Disse con tono vagamente esasperato.
L’altro rise. “Sai, Shouyou? Io e te siamo opposti da questo punto di vista,” disse. “A me Kei è sempre bastato. Tu, invece, sei sempre stato circondato da tante persone. È strano vederti passare il tuo tempo solo con Tobio.”
Shouyou scrollò le spalle. “Lui sa del mio potere ma questo non significa che sia pronto a dirlo a chiunque.”
“Non mi riferivo solo a quello,” disse Tadashi. “Il tempo che passi a volare, Tobio è con noi e fa il Principe. Negli altri momenti, però… La maggior parte del giorno, a dire il vero…”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Vuoi chiedermi qualcosa ma non riesco a capire cosa.”
“Te l’ho già chiesto,” disse Tadashi. “Vuoi bene a Tobio? Gli vuoi bene del tipo che ti basta?”
Il Principe dei Corvi dischiuse le labbra ma non pronunciò una singola parola.
“Ehi…” Kei entrò nella sala da bagno senza annunciarsi in alcun modo.
Tadashi sobbalzò e Shouyou si strinse le ginocchia contro il petto. “Ma non si bussa?”
Il Cavaliere lo guardò con fare annoiato. “Figurarsi…” Disse. “Il Principe dei tiranni ha sistemato gli idioti fuggiaschi nella dependance. Così a noi restano le nostre stanze e non dobbiamo stringerci ancor di più.”
Tadashi annuì. “Bene…” Si alzò in piedi per recuperare un asciugamano pulito per il suo Principe.
“Tobio?” Domandò Shouyou.
“Ti aspetta nella vostra stanza,” replicò Kei.
Shouyou arrossì. “Non è la nostra…” Scosse la testa. “Dormo da solo in quella camera da letto!”
Kei inarcò le sopracciglia. “E perché credi che m’interessi?”
“Kei…” Tadashi si portò davanti a lui. “Devo aiutare Shouyou, puoi uscire per cortesia?”
Il Cavaliere passò gli occhi dal Principe nella vasca da bagno al giovane con cui era cresciuto. “Come se ci fosse qualcosa d’interessante da vedere,” disse prima di uscire dalla porta.
Tadashi strinse le labbra. “Non dovresti guardarlo, se lo pensassi davvero…”
“Come?”
Il giovane si voltò ed il Principe ricambiò lo sguardo confuso. “Niente, Shouyou,” disse forzando un sorriso. “Avanti, ti aiuto ad asciugarti.”
 
 
***
 
 
Hajime non ricordava come erano finiti stesi sul tappeto come due ragazzini senza maniere ma qualcosa gli diceva che la brocca di vino vuota lasciata sul tavolo doveva avere avuto la sua parte.
“E ti ricordi quella volta che Kentaro si è messo in piedi sul tavolo al centro della sala comune urlando come un orco quanto amava Shigeru!” Esclamò Tooru.
Il Cavaliere rise. “Issei e Takahiro non facevano che correre di qua e di là con le braccia sollevate gridando al miracolo!”
“Ed il povero Shigeru voleva solo che qualcuno gli scavasse una fossa per potercisi buttare… Di testa, probabilmente…”
Hajime rise ancor di più. “Merda, che caldo…” Si liberò della tunica senza troppe cerimonie e si slacciò la cintura per stare più comodo.
C’era mezzo metro a separarli. I calici ormai vuoti dimenticati sul pavimento.
Tooru lo guardò, poi riprese a ridere completamente da solo.
Il Cavaliere si voltò e ne studiò il profilo perfetto. “Che cosa c’è di così divertente?”
“Devo farti una domanda,” rispose il Re. “Ed avrò il coraggio di farla solo perché penso di essere abbastanza ubriaco?”
Hajime piegò un braccio e se lo appoggiò sulla fronte. “Abbastanza?” Domandò divertito. “Che cosa vuoi domandarmi?”
Tooru si stiracchiò. “Mi chiedevo da quanto tempo non ti scaldi con qualcuno?”
Se fosse stato lucido, probabilmente, il Cavaliere lo avrebbe guardato freddamente e gli avrebbe risposto nel peggiore dei modi. Il vino, però, contribuì enormemente a rendere le cose meno tragiche.
Hajime rise di nuovo. “Il vino riaccende vecchi desideri, Tooru?” Domandò. Era abbastanza brillo per non preoccuparsi della sua dignità calpestata.
Tooru ridacchiò mordicchiandosi il labbro inferiore. “Potrebbe esserci tutto il rancore di questo mondo tra di noi, Hajime ma mi concederei a te senza pensarci due volte se solo tu fossi meno orgoglioso.”
Hajime scosse la testa con una smorfia. “Lo abbiamo fatto per due anni e ci siamo solo fatti male…”
“Sì, molto male,” ammise Tooru con quel sorrisetto insopportabile. “Tra un orgasmo da spezzare il fiato e l’altro.”
Hajime chiuse gli occhi sentendo la stanchezza della giornata avere la meglio. “Il sesso ci è sempre venuto bene…”
“Abbiamo imparato il significato di desiderio l’uno sul corpo dell’altro,” gli ricordò Tooru. “Non sarebbe potuto essere altrimenti.”
“Ci siamo amanti, Tooru,” replicò Hajime fissando il soffitto un po’ troppo intensamente. “Ci siamo amati davvero, tutto il resto era naturale…”
Tooru si voltò e studiò il profilo del suo Cavaliere per qualche istante. “Non hai risposto alla mia domanda, però…”
Gli occhi verdi del Cavaliere si persero in quelli grandi e scuri del Re. “Lo farò se risponderai alla mia per primo.”
Tooru sorrise. “È una di quelle in cui il vino potrebbe aiutare?”
“Probabilmente…”
“Ti ascolto…”
Hajime sarebbe voluto tornare a guardare il soffitto ma era già abbastanza codardo affrontare quella conversazione da mezzo ubriaco per provare anche a nascondersi. “Sei il suo amante?”
La linea della bocca di Tooru si fece dura, quasi astiosa, poi scoppiò a ridere: un modo per dissimulare le emozioni negative. “No, ci vorrebbe molto più vino per questo…”
“Più vino e non riusciremo più nemmeno a dire una parola di senso compiuto.”
Tooru ridacchiò ma non era più allegro. “Mio malgrado, hai ragione…”
“Allora?” Insistette il Cavaliere. “Mi hai rivelato i segreti di quei sogni, Tooru. È troppo tardi per avere paura della verità…”
Tooru annuì. “Per un po’ lo siamo stati…” Ammise e non senza sforzo. “Ma non è andata come pensi tu o molti altri. Wakatoshi non è… Ci sono stati tre amanti nella sua vita ed io non so nemmeno che ruolo avere in questo terzetto. Eravamo qualcosa ma non eravamo abbastanza... Non era destino, Hajime. Non lo è mai stato.”
Il Cavaliere tornò a guardare il soffitto e si prese il labbro inferiore tra i denti. “Lo hai mai amato?”
Tooru si strozzò con una risata. “Hajime…”
“Cosa?”
Gli occhi verdi del Cavaliere incontrarono di nuovo quelli scuri del suo Re.
“Stai per dirmi che non potresti mai amare nessuno come hai amato me o qualche altra sciocchezza simile?” Domandò Hajime quasi divertito.
Tooru, però, non rideva più. “Sì…” Mormorò. “Sì, non potrò mai amare nessuno come ho amato te. Non potrò mai vivere un amore simile neanche volendo e lo sai. Non potrò più crescere con nessun altro. Non ci sarà più nessuno a rubarmi il mio primo bacio o ad amarmi per la prima volta. Non ci sarà più nessuno per cui combatterò una guerra o a cui darò un figlio.”
Hajime dovette allontanare lo sguardo. “Perché continuiamo a raccontarci sempre la stessa storia, Tooru?”
Il Re si distese prono sollevandosi sui gomiti per poter guardare il suo Cavaliere. “Forse, perché è la storia più bella che conosciamo,” disse prendendo a giocherellare con i capelli corvini dell’altro. “O, forse, perché non è ancora finita.”
Hajime lo guardò quasi con fare accusatorio. “Non puoi farmi questo, Tooru.”
Il Re strinse le labbra offeso. “Non sto facendo niente.”
Il Cavaliere gli afferrò il polso con un po’ troppa forza spingendolo con rabbia contro il tappeto. “Ti ho detto di smetterla.”
Tooru non era intimorito neanche lontanamente. “Io la smetto se cominci tu…” Mormorò sollevandosi.
Fu Hajime ad aver paura di quegli occhi scuri, a quel punto. Paura di perdervisi come gli succedeva da quando era solo un fanciullo. Strinse le labbra e si costrinse a mantenere il controllo. “Non credo che potrei gestire una storia con un amante, Tooru.”
Il Re ridacchiò. “Un uomo non può vivere solo di armi, lo sai?” Disse passandogli una mano tra i capelli. “Sei un eroe, Hajime. Potresti avere chi vuoi…”
Il Cavaliere scosse la testa. “Non credo sarei capace di andare a letto con qualcuno senza affezionarmici, alla fine.”
“L’affetto non è tassativo come l’amore, dopotutto.”
“Questo vale per me ma ci sarebbe il cuore di un’altra persone di mezzo.”
“Il cuore è una faccenda complicata, vero? Io e te lo sappiamo bene…”
Hajime annuì e fece per alzarsi ma un giramento di testa non lo fece andare molto lontano. Gli venne da ridere e sentì che Tooru faceva lo stesso. “Vieni,” disse il Re afferrandogli la mano ed aiutandolo ad alzarsi. “Andiamo a letto, su.”
Il Cavaliere scoppiò di nuovo a ridere. “Sono ubriaco ma non abbastanza per questo…”
“No, penso che tu sia sufficientemente ubriaco per dormire in un letto non tuo,” disse Tooru tirandolo verso la camera da letto. “Ci manca solo che lasci che il mio Primo Cavaliere scenda tutte quelle scale di pietra con il rischio che ci rimetta la testa.”
“Non sono messo così male,” disse Hajime con un broncio. Completamente dimentico della cintura slacciata, non fece nulla per impedire ai pantaloni di scendergli fino alle caviglie. Inciampò e cadde rovinosamente sopra il suo Re.
Tooru scoppiò a ridere. “Prova a ripeterlo adesso, mio Cavaliere.”
 
 
***
 
 
Shouyou prese a torturarsi il labbro inferiore con nervosismo sporgendosi quanto poteva per rendersi conto della portata del salto nel vuoto che avrebbero fatto se fosse finita male.
Alla fine scosse la testa e si voltò verso il genio che era l’unico responsabile di quella folle idea.
“Non credo sia una buona idea,” concluse.
“Non deve esserlo per te,” replicò Tobio. “Se va male, tu puoi sempre volare via. Quello folle devo essere io.”
Shouyou non si sentì rassicurato neanche un po’. Si sporse di nuovo oltre il bordo dell’altura: la cascata non era poi così alta e, nella peggiore delle ipotesi, avrebbe fatto un brutto tuffo in acqua ma nessuno si sarebbe fatto male in modo grave.
Shouyou, però, proprio non riusciva a sentirsi tranquillo. “Tobio, ascolta, non…” Non ebbe il tempo di finire di parlare. Qualcosa lo spinse oltre il bordo dell’altura e la terra gli mancò sotto i piedi. Venne preso tanto di sorpresa che non ebbe neanche il tempo di trasformarsi.
L’impatto con l’acqua non fu dei migliori.
Shouyou riemerse quasi immediatamente, i vestiti appiccicati addosso, i capelli davanti agli occhi, la bocca spalancata per ingoiare aria.
“Maledizione…” Imprecò Tobio alle sue spalle. “Dai, riproviamo…”
Shouyou si voltò, gli occhi d’ambra sgranati per la rabbia. “Tobio! Che diavolo credevi di fare?!”
Il Principe Demone sospirò annoiato. “La prima volta che lo hai fatto è stato in un momento di panico, no?”
“Panico? Mi si è fermato il cuore, maledizione!” Shouyou uscì dall’acqua a fatica, la testa bassa.
Tobio lo guardò fisso. “Ehi…” Lo richiamò, sebbene con poca gentilezza. “Ehi, stupido…”
Shouyou si voltò di scatto, i grandi occhi pieni di lacrime. “Non ho voglia di parlarti, adesso!” Si sedette sotto l’albero più vicino alla sponda del laghetto tirando su con il naso.
Tobio se ne rimase in acqua a fissarlo attonito per alcuni istante. “Shouyou…” Chiamò uscendo dall’acqua. Si passò una mano tra i capelli neri tirandoli all’indietro.
Il Principe dei Corvi fece finta di non averlo sentito. Si liberò degli stivali, poi dei pantaloni. Si spettinò i capelli già ribelli.
“Shouyou!” Tobio s’inginocchiò davanti a lui e lo afferrò per le spalle. “Non m’ignorare!”
Il Principe dei Corvi si fece indietro facendo aderire la schiena al trono dell’albero.
“Ti ho spaventato?” Domandò Tobio. “È per questo che stai per scoppiare a piangere come un bambino?”
Shouyou lo guardò freddamente ed il Principe Demone si sentì come se qualcuno lo avesse preso a calci nello stomaco. Non c’era niente di giusto in quell’espressione sul viso del Principe dei Corvi. Assolutamente niente.
“Scusami…” Tobio lo disse senza rendersene conto. “Scusami, non volevo spaventarti.”
Il viso di Shouyou si addolcì immediatamente. “Non sei abituato a chiedere scusa, vero?”
Tobio si mise a sedere sull’erba e si tolse la tunica bagnata solo per avere qualcosa da fare e non dover guardare l’altro Principe negli occhi.
Shouyou si fece più vicino appoggiando il mento sulla sua spalla con un sorrisetto.
“Non sei più arrabbiato con me, adesso?” Domandò Tobio.
“Ma guardati!” Shouyou ridacchiò. “Sei imbronciato come un bambino.”
“Smettila…”
“Hai tanta fretta di volare?” Domandò il Principe dei Corvi.
Tobio gli rivolse una smorfia. “Senti chi parla.”
Shouyou gli pizzicò un fianco e lo fece saltare.
Gli occhi blu si persero in quelli d’ambra.
“Che diavolo fai?” Domandò Tobio.
Shouyou sorrise ancor di più. “Soffri il solletico?”
“No.”
Un altro pizzicotto e Tobio dovette mordersi il labbro inferiore per non scoppiare a ridere.
“Ah! Soffri il solletico!” Esclamò Shouyou esultato torturandolo con più determinazione.
“Shouyou! Smettila! Ti avverto che… Smettila!”
Per difendersi efficacemente, Tobio dovette afferrarlo per le braccia e costringerlo contro l’erba. Shouyou continuò a ridere.
“Basta,” ordinò il Principe Demone, i capelli in disordine e le guance rosse. Sotto di lui, Shouyou continuò a ridere e non smise fino a che un ghignetto diabolico comparse sul viso dell’altro.
“Tobio, che… Ah! No! Smettila!” Il Principe dei Corvi riprese a ridere ma per una ragione ben diversa, le mani dell’altro sui fianchi.
“Chi soffre il solletico, ora?” Domandò Tobio provocatorio.
Per tutta risposta, gli arrivò un calcio nello stomaco. Gli mancò il fiato e si accasciò sul piccolo Principe sotto di lui.
“Scusa! Scusa! Scusa!” Esclamò Shouyou.
Tobio strinse gli occhi ed imprecò tra i denti. “Sto bene…”
“Sicuro? Ce la fai a stare seduto? Aspetta, ti aiuto…” Shouyou fece pressione sul petto dell’altro con entrambe le mani.
Tobio lasciò andare un paio di colpi di tosse passandosi una mano sullo stomaco.
“Ehi,” Shouyou gli prese gentilmente il viso tra le mani. “Guardami. Tobio, guardami.”
Gli occhi blu si sollevarono su quelli d’ambra. Tutta la preoccupazione di Shouyou svanì in un brivido caldo del tutto inaspettato. Arrossì e si fece indietro.
Tobio sbatté le palpebre un paio di volte. “Che ti prende?”
Shouyou rise nervosamente. “Niente,” appoggiò di nuovo la schiena al tronco dell’albero. “Hai degli occhi molto belli, tutto qui.”
Tobio inarcò un sopracciglio. “Se è niente puoi dirmelo anche guardandomi in faccia,” disse reclinando la testa da un lato.
Shouyou gonfiò le guance. “Quanto sei stupido…”
“Ah, io sarei stupido!” Tobio riprese a ghignare e tornò a torturare il Principe dei Corvi facendogli il solletico.
“No! Tobio, basta!” Shouyou si dimenava e rideva e l’altro non sembrava dar cenno di voler smettere a breve. “Dai! Non riesco a respirare! Basta!”
Il Principe Demone si fermò per pura pietà. Shouyou si rilassò contro l’erba cercando di riprendere fiato, gli angoli della bocca ancora rivolti verso l’alto. Qualcosa era cambiato sul viso di Tobio ma Shouyou non sapeva dire cosa con esattezza. Di una cosa era certo, però: la curva della sua bocca si era fatta più gentile, quasi dolce…
Senza pensarci, Shouyou sollevò una mano ed aggiustò una ciocca di capelli corvini ancora umidi dietro l’orecchio del Principe Demone.
Tobio smise di sorridere immediatamente. “Che cosa fai?”
Shouyou lasciò ricadere la mano sull’erba, accanto alla sua testa. “Niente…” Rispose quasi timoroso. Tobio, però, non sembrava arrabbiato. Irrigidito, forse ma non poteva biasimarlo per quello: si sentiva allo stesso modo. Si umettò le labbra nervosamente.
“Smettila,” disse Tobio.
“Di fare cosa?”
“Quello che stai facendo?”
“Non sto facendo niente,” insistette Shouyou confuso. Artigliò l’orlo della tunica tirandolo verso il basso. Sentì il bisogno di stringere le gambe ma questo non lo liberò in alcun modo dal peso che gli era caduto dal nulla sullo stomaco rendendogli difficile il solo respirare.
Tobio si chinò su di lui e Shouyou trattenne il fiato fissando il cielo limpido sopra di loro mentre il respiro caldo dell’altro gli sfiorava il collo. “Tobio…” Chiamò un po’ spaventato.
“Che stai facendo?” Domandò il Principe Demone ancora una volta.
Shouyou ingoiò a vuoto. “Non sto facendo niente, davvero.”
Tobio si sollevò per poterlo guardare negli occhi. “Allora perché sento il tuo odore così?”
Il Principe dei Corvi sentì il respiro venire meno per un lungo istante, poi la paura ebbe il sopravvento. Tobio dovette accorgersene perché anche la luce nei suoi occhi cambiò. “Shouyou?” Domandò afferrandogli una spalla.
Il Principe dei Corvi scosse la testa e si fece indietro. “Scusami…” Mormorò alzandosi in piedi imbarazzato. “Scusami, io…”
Il nitrito di un cavallo lo fece sobbalzare come se fosse esploso un colpo di cannone. Tobio fu subito in piedi e lo spinse dietro di sé. Istintivamente, la sua mano cecò la spada appesa alla cintura ma non la trovò.
Per sua fortuna, quella dimenticanza non gli sarebbe costata cara quel giorno.
Tsutomu li fissava dall’alto del suo cavallo con fare confuso. “Che state facendo?” Domandò.
Tobio inspirò aria dal naso e si costrinse a mantenere la calma. “Non sono affari tuoi,” disse e sentì Shouyou strinse contro la sua schiena. “Tu che diavolo ci fai qui?”
Shouyou si sporse oltre la spalla del Principe Demone accennando un sorriso e muovendo una mano in segno di saluto.
“I nostri Regni sono alleati, non ho bisogno del tuo permesso per varcare i confini che li dividono,” replicò Tsutomu con orgoglio.
“Ciò non mi priva del diritto di mandarti via a calci,” replicò Tobio con un ghigno.
“Come osi! Io sono il Principe dell’Aquila! Sono…”
“Sì! Sì, mio Principe! Nessuno sa essere amichevole quanto te!”
Un secondo cavallo uscì dagli alberi e Tobio riconobbe immediatamente il Cavaliere che portava in sella. “Satori…” Salutò in modo educato ma decisamente freddo.
“Principe Demone,” rispose Satori con un sorrisetto insopportabile. “Io ed il mio Principe abbiamo fatto una deviazione e ci siamo persi nelle vostre belle campagne!”
Tsutomu guardò il Cavaliere confuso e tanto bastò a far capire a Tobio che mentiva. “Poche scemenze, Satori. Perché siete qui?”
Il sorriso del Cavaliere divenne terribilmente forzato. “Sarò breve allora: il mio Principe è un idiota nelle relazioni sociali e si è preso una cotta per il vostro Principe dei Corvi.”
Tsutomu divenne paonazzo nel tempo di un respiro. “Cosa?!”
“Cosa?” Gli fece eco Tobio inarcando un sopracciglio.
“Eh?” Domandò Shouyou sentendosi chiamato in causa.
“Oh!” Esclamò Satori. “Eccolo qui, Tsutomu! È così piccolo che non l’ho neanche visto!”
Il Principe dei Corvi strinse i pugni irritati. “Ehi! Non sottovalutarmi perché sono piccolo!”
Gli occhi di Satori s’illuminarono. “Guarda, guarda che carattere! È quello che ci vuole per te, Tsutomu! Hai la mia approvazione, conquistalo!”
Il Principe dell’Aquila si schiaffò una mano in faccia desiderando che la terra si aprisse sotto i loro piedi ponendo fine a quella scena umiliante.
“Eh?!” Shouyou arrossì fino alle orecchie. “Ma che cosa ho fatto?”
Tobio lo guardò profondamente irritato. “Mi piacerebbe saperlo anche me!” Sibilò. “Non fai assolutamente niente ma prima il Re Demone, poi il Principe dell’Aquila sembrano non vedere l’ora di sistemarti su uno dei due troni più potenti dei Regni liberi.”
“Non è colpa mia!” Ribatté Shouyou imbarazzato. “Perché sei arrabbiato con me?”
“Fermi tutti! Io non voglio mettere nessuno su nessun trono!” Esclamò Tsutomu in sua difesa.
Satori osservò meglio la scena e fece una smorfia. “Già… Anche perché a giudicare da quel che vedo, il Re Demone ha già vinto la guerra.”
Tobio fece per chiedere spiegazioni, poi si rese conto di essere ancora completamente bagnato e mezzo nudo e che Shouyou non versava in uno stato meno imbarazzante. Si guardarono, sgranarono gli occhi ed arrossirono nello stesso istante.
“Non è come sembra!” Si affrettò ad esclamare Tobio mentre Shouyou cercava di farsi piccolo piccolo.
“Uhm…” Satori fece una smorfia e guardò il suo Principe. “Ed io che ero sicuro che, almeno in quello, saresti riuscito a superare il tuo rivale qui, il Principe Demone.”
“Taci!” Ordinarono all’unisono gli eredi al trono dei due Regni più potenti tra quelli liberi.
Satori passò gli occhi da uno all’altro. “Aaaah…” Sospirò sconfortato. “I giovani d’oggi…”
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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