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Autore: odissaea    27/04/2017    0 recensioni
Nel regno di Cecropia o nasci benestante o nasci ladro. Daka è nata ladra, e in questo ha un vero talento. I suoi genitori sono scribi e non guadagnano abbastanza per mantenerse la famiglia. Il villaggio in cui vive è circondato da Eritree, alberi giganteschi con candide cortecce. La luce che illumina la sera proviene dai Fluma, piccoli fuochi fatui che volano per le strade. Il mondo esterno è un luogo sconosciuto. Solo il nonno di Daka, Jebediah, era stato nelle terre oltre la foresta. Pochi venivano scelti per questi viaggi, in una gara che si svolgeva ogni anno. Pur non sapendo quale sia il compito da svolgere nel mondo delle terre ignote, Daka decide di partecipare alla gara.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta
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«Torna subito indietro, sporca ladra che non sei altro!» gridò il mercante cercando di correrle dietro per riprendere il maltolto. Fatica sprecata, con quella sua pancia gigantesca più che correre sembrava rotolare. Gli abitanti del villaggio lo guardarono ridacchiando e facendo battute sulla sua stazza, mentre una ragazzina si faceva largo tra la folla senza essere fermata da nessuno. Il povero mercante, vestito con stoffe pregiate e dai colori stravaganti, un tripudio di viola e giallo e rosso, era crollato a terra con il fiatone sporcando le sue belle vesti e gridava aiuto alle guardie, ma anche loro ridacchiavano sotto i baffi.


Tutti a Cecropia sanno che con i ladruncoli non c’è nulla da fare. Le guardie si sono stancate di correre dietro a ragazzini di ogni età facendo la figura degli idioti, spesso finendo ricoperti di fango o in qualche trappola. Preferiscono di gran lunga ridere insieme al popolo dei mercanti alle prime armi come quel tipo seduto sulla polvere.

Nessuno ha mai pensato di fermarli. Si conoscono tutti, nel villaggio, e tutti conoscono le condizioni di vita delle loro famiglie. Rubavano per sopravvivere, perché i loro genitori non guadagnavano abbastanza, perché il raccolto non era stato abbondante come ci si aspettava. Per fortuna l’inverno era ormai terminato, e gli alberi avevano ricominciato a ricoprirsi di gemme e foglie. Presto il cielo sarebbe stato coperto dalle loro chiome.

Intanto, però, il sole risplendeva al di sopra dei rami, donando un lieve calore che aveva il sapore di promesse e notti d’estate, calde e piacevoli. Una leggera brezza fresca rallegrava la piazza del mercato, piena come sempre nelle mattine di inizio primavera. Il leggero chiacchiericcio dei clienti e i litigi sui prezzi davano inizio a una nuova giornata, tranquilla e piacevole come le precedenti. Non succedeva mai nulla di nuovo lì, eppure c’era sempre qualcosa di cui spettegolare con i vicini di casa, qualcosa che veniva immancabilmente servito alla famiglia insieme alla colazione.

I padri alzavano gli occhi al cielo, ma non mancavano mai di ascoltare le novità della mattinata. Era un rituale tranquillo che si ripeteva ogni giorno, come i dolcetti sfornati dal fornaio dall’altra parte della strada e il mazzetto di fiori freschi che la fioraia lasciava sulla porta di casa.
«Daka, sei in ritardo» sbuffò un padre, intento a controllare per l’ennesima volta dei fogli da consegnare quel giorno stesso a lavoro.

Nonostante il suo tentativo di entrare in cucina di soppiatto, i movimenti della figlia avevano comunque attirato l’attenzione dell’uomo seduto al tavolo della cucina.
Daka lasciò cadere sul tavolo il bottino della mattinata e si lavò le mani nella bacinella vicino alla madre. Quella notte era rimasta sveglia fino a tardi a guardare le stelle, e ovviamente si era anche svegliata tardi, finendo per arrivare in ritardo al mercato. A quell’ora tutti erano ormai completamente svegli e rubare era decisamente più difficile. Avrebbe potuto prendere qualcos’altro se quel grassone non si fosse messo a strepitare come una gallina, ma almeno non era tornata a casa a mani vuote.

Axel, con le sue manine paffute da bambino, allungò le mani e sollevò il fazzoletto che copriva il raccolto della sorella maggiore. Un manciata di frutta, dei semi, qualche oggetto di ferro da rivendere al fabbro e dei dolcetti per la colazione del suo fratellino. Il suo sorriso era l’unico motivo per cui Daka rischiava tanto avvicinandosi alla bancarella dei dolci, famosa per la crudeltà della donna che se ne occupava. Quella strega di Glysabel era la pasticciera più cara del villaggio, ma i suoi dolci erano effettivamente deliziosi. In giro si diceva che due ragazzini beccati a rubare al suo banco fossero stati messi in prigione per una notte intera, sotto sua insistenza.
Quella mattina però Daka non stava guardando Axel, bensì suo padre. Aveva preso molto da lui, come gli occhi verde acceso e il taglio elfico del viso. Tuttavia la persona seduta a tavola era diversa da quella che ricordava. Lui era un uomo allegro, dalla risata facile, che la sera sollevava in aria la moglie per il semplice gusto di farlo, ridendo come se fossero una coppia di novelli sposi. Quell’uomo, invece, non sorrideva mai, aveva le spalle chine e un’espressione stanca e combattuta. L’ombra di suo padre.

Anche la madre risentiva degli stessi problemi. Sembrava invecchiata di una decina d’anni negli ultimi sei mesi e ogni giorno diventava sempre più difficile nascondere le sue occhiaie. Daka fingeva di non accorgersene, ma la situazione continuava a peggiorare.

Il problema era che, nonostante lavorassero giorno e notte, i suoi genitori erano sottopagati e a stento riuscivano a coprire le spese. Visto che quasi nessuno sapeva leggere o scrivere il lavoro di scribi sarebbe dovuto essere pagato meglio, ma il governatore li sfruttava a suo piacimento, inventando scuse su scuse per diminuire la paga. Ad un certo punto Daka aveva deciso di non poter più andare avanti così, e quello che prima era solo uno scherzo divenne un lavoro. Era sempre stata la più veloce e la più agile tra i ragazzi della sua età, ma mai come in quel momento queste doti le erano state utili.

Aveva delle mani agili e veloci, perfette per quel genere di lavori. Scivolava silenziosa tra la folla, infilando in tasca portafogli, cibo e qualsiasi altra cosa le capitasse tra le mani. Aveva imparato in fretta come guadagnare soldi con gli oggetti rubati, procurandosi una clientela affidabile e abbastanza onesta con i pagamenti. I suoi genitori non ne erano stati felici, ma non potevano fare a meno di accettare il suo aiuto. Dopotutto, c’era anche un bambino in casa da sfamare.

«Tesoro siediti e mangia, tra poco devi andare» le sussurrò sua madre, porgendole un asciugamano rovinato, un tempo bianco ma ora quasi giallastro.

«Si madre» rispose lasciandosi scivolare sulla sedia. Si sentiva a pezzi, e desiderava più che mai una delle tisane che faceva sua nonna, di quelle che ti rimettevano in sesto dopo un sorso. Ne avevano ancora un po’, ma era destinata ai suoi genitori. Loro stavano molto peggio.

«Non hai trovato molto oggi, giornata pigra?» le chiese il padre con un finto tono di rimprovero. Le voleva bene dopotutto, solo che non gli piaceva che la figlia fosse costretta a rubare mentre i suoi amici si divertivano. Era sempre la sua bambina, e non gli piaceva vederla crescere così in fretta. Non doveva diventare come loro.
«Un grassone si è messo a corrermi dietro. Avresti dovuto vederlo Axel, sembrava uno di quei pappagalli che abbiamo visto alla fiera. Te lo ricordi? Quello che ripeteva tutto quello che sentiva, con quella voce buffa, e tutte quelle piume colorate…» ricordò Daka, facendo ridere il fratellino. Anche suo padre sembrava voler ridere, ma quello sul suo viso più che un sorriso era una smorfia.

«Oggi Ilyana ha portato i tuoi fiori preferiti. Sono nel vaso vicino alla finestra!» gridò la madre dal piano di sopra, mentre cercava di trovare una delle scarpe che il figlio aveva nascosto mentre era distratta.
Il vaso di vetro blu era colmo di fiori bianchi e rossi, un curioso bouquet di fiori primaverili e invernali. Ghiacciole, fiori bianchi dai petali a forma di rombo, gli ultimi della stagione, e Gigli di fuoco, dai petali morbidi e setosi di un rosso rubino striato di giallo, i primi della stagione.
Strano che fossero cresciuti con quel freddo. E poi di solito i primi sbocciavano nella radura, e il giorno prima Daka non aveva visto fiori rossi.

«Daka giochi con me? Giochi?» gridò Axel tirandole una ciocca di capelli. A quattro anni aveva già un’ottima coordinazione e l’abilità di far perdere la pazienza a chiunque, ma sua sorella lo adorava. Era una delle poche fortunate ad aver avuto un fratello. Le altre famiglie, di solito, si limitavano ad un solo figlio. La nascita di Axel era stata una sorpresa, e aveva scatenato una serie di pettegolezzi nel vicinato.

Quando era nato le vicine avevano fatto la fila per vederlo, lanciando frecciatine e commenti pungenti alla madre, almeno finché Axel non aveva sputato in faccia alla più vecchia e dispotica di loro, Miss Marsia. Daka aveva riso così tanto che il padre aveva dovuto mandarla in camera sua per non offendere gli ospiti, ma era chiaro che anche lui se la rideva sotto i baffi. Ogni volta che incontrava quella donna per strada riusciva a stento a trattenere un sorrisetto.

«No Axel, Daka va a lavoro.»rise liberando la ciocca di capelli, ora sporca di briciole e marmellata.
Axel mise il broncio, lanciandole un pezzo di frutta che la sorella afferrò al volo e mangiò ridacchiando.
«Tra qualche mese compirai cinque anni e potrò portarti con me, promesso» disse tentando di rassicurarlo. Doveva lavorare, e non aveva tempo di controllare suo fratello. A lui non piaceva stare con il nonno, preferiva giocare al parco con i suoi amichetti.

«Ti porto altra frutta» gli sussurrò all’orecchio la sorella, per poi dargli un bacio sulla guancia.
«Vai al lavoro? Non è ancora presto?» il padre si girò verso l’orologio, preoccupato di essere in ritardo.

«Prima devo portare questi al fabbro e andare a svegliare Kenya. Ci vediamo stasera, passo io a prendere Axel dal nonno!» gridò le ultime parole affinché anche la madre riuscisse a sentirla. Suo fratello doveva aver nascosto per bene quella scarpa se ancora non era riuscita a trovarla.

Fuori il sole era ormai alto e le strade erano più affollate. Bambini correvano rischiando di far cadere gli adulti diretti al lavoro e il fornaio con un vassoio di paste appena sfornate. La fioraia dall’altra parte della strada stava sistemando dei cestini con gli ultimi fiori invernali, regalando qualche mazzetto alle bambine che la salutavano. Le sue vicine erano già sedute all’ombra, osservando con attenzione la folla. Arpie.

Daka sbuffò, sollevando con il fiato una ciocca di capelli che le copriva gli occhi. Doveva tagliarli, di nuovo.
Cominciò a correre controcorrente, verso la fucina in cui lavorava Kavyr, il fabbro a cui vendeva gli oggetti di metallo rubati. Era stato il suo primo acquirente quando era ancora alle prime armi e l’aveva aiutata ad entrare nel giro di contrabbando. Un uomo anziano ma robusto come un armadio, con un dolce sorriso e costantemente circondato da bambini per il suo talento. Ufficialmente si occupava di ferrare cavalli o costruire attrezzi per i contadini o per il palazzo del governatore, ma quando non doveva occuparsi di questi lavori ufficiali costruiva giocattoli. A volte li regalava anche, se gli eri abbastanza simpatico. Dopo aver saputo cosa Axel aveva fatto a Miss Marsia Daka era tornata a casa con le braccia piene dei giochi migliori per il suo fratellino.

 

In quel momento il fabbro stava lavorando davvero, chino sull’incudine, martellando con gesti lenti e potenti. Sembrava un gigante, ma almeno era un gigante buono. Persino Daka, che era piuttosto alta, arrivava a stento alla sua spalla.
«Buongiorno Kavyr, lavoro pesante oggi?» disse sedendosi sulla staccionata bassa che circondava la fucina.
«Chi si rivede, la mia ladruncola preferita. Cos’hai per me oggi?» disse lui con un sorriso, asciugandosi il sudore e osservando il risultato del suo lavoro. Daka non capiva cosa fosse quell’oggetto allungato, ma non aveva tempo per le domande.
Gli porse quei pochi oggetti che era riuscita a prendere, tutti di acciaio. Kavyr sollevò leggermente le sopracciglia sorpreso. Era raro riuscire a trovare dell’acciaio.
«Davvero niente male, ma non so se riuscirò a farci qualcosa. Torna stasera, vedremo se queste chincaglierie possono servirmi.» disse sbuffando.
Soddisfatta, Daka lo salutò con un cenno della testa e corse a casa della sua migliore amica.
 
 
«Kenya, maledizione, sei in ritardo!»
Le grida della madre si sentivano dall'altra parte della strada. Le poche persone ancora nel quartiere, soprattutto ragazzi, ridacchiavano alzando gli occhi al cielo. Ormai si erano abituati a quelle grida. Tutti sapevano che dormigliona fosse Kenya Oliar.
Saltando i tre scalini davanti alla porta Daka bussò con insistenza, abbastanza forte da farsi sentire nel caos all’interno della casa.
Si sentì un rumore di passi che scendevano in fretta le scale, poi la testa arruffata di Kenya fece capolino da dietro la porta.
«Cinque minuti e…» fece un lungo sbadiglio «andiamo. Ma che ore sono?» borbottò la sua amica con voce assonnata, come ogni mattina.
Daka saltellava sulle punte, ansiosa di andare. Non voleva fare tardi, ci teneva al suo lavoro. L’aveva ottenuto per caso, rubando il portafoglio giusto al momento giusto, ma quella era un’altra storia. Veniva pagata bene per aiutare nell’osservatorio astronomico, e questo le bastava.
 
Due ragazzini corsero fuori superandola. I gemelli, Mick e Henrick, fratellini di Kenya. Già era strano avere più di un figlio, ma averne tre sembrava un vero e proprio azzardo. D’altra parte, nessuno si aspettava che potessero essere due gemelli. Non era mica colpa loro.
«Ok sono pronta, possiamo andare» disse Kenya afferrandole il braccio e trascinandola in strada. Le due ragazze corsero come matte, ridendo e facendo a gara a chi sarebbe arrivata prima e attirando sguardi e sorrisi.
All’entrata le aspettava il loro datore di lavoro, che camminava avanti e indietro con movimenti nervosi. Sembrò rilassarsi solo quando vide le due ragazze avvicinarsi.
«Penso di aver scoperto qualcosa» disse, lasciandole entrare.

   
 
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