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Autore: Jordan Hemingway    28/04/2017    5 recensioni
Scarborough, costruita intorno a una Fiera.
Una città di creature magiche dove la magia è proibita, dove è possibile trovare l'impossibile, dove chiunque può entrare ma pochi possono uscire indenni.
“Dadi truccati?” La domanda fu accompagnata da un calcio tanto violento quanto improvviso.
“Una ragazza deve pur prendere delle precauzioni.” Riuscì a boccheggiare la giovane donna prima di sputare un grumo di sangue sul pavimento sporco.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2
Un suono secco e l’asse del tetto si sfasciò, facendo precipitare Cecilia all’interno dell’edificio e sopra un tappeto damascato.
“Atterraggio migliore del previsto.” Borbottò la ragazza, massaggiandosi la schiena.

L’arredatore del palazzo sembrava aver avuto una torbida ossessione per il cremisi: dal pavimento ligneo alle tappezzerie, perfino le luci (chiaramente non naturali) riflettevano le intense tonalità del tappeto. Qua e là il muro si apriva rivelando delle piccole alcove seminascoste da tende vermiglie.
 
“Tesoro, nessuno ti ha insegnato a usare la porta?”
Ancora sdraiata a terra, Cecilia piegò la testa all’indietro.
“Agatha.” Gli occhi argentati che la stavano fissando avevano un’espressione per niente amichevole, ma forse era solo un effetto dovuto al guardarla con la testa al contrario. “Quanto tempo.”

“Un anno, tre mesi, cinque giorni, due minuti e tre secondi.” La informò l’altra, con una piega della bocca che Cecilia non avrebbe esitato a definire sinistra (ma forse era sempre l’effetto dello stare a testa in giù).
 
La faerie scese dallo scalone e si spostò davanti a Cecilia, la quale di riflesso si mise a sedere e iniziò a retrocedere lentamente.
 
“Sai com’è: prima ti assumono in una carovana di mercenari, poi una tempesta di sabbia ti fa perdere la strada e ti ritrovi in un’oasi, dove il capo dei briganti ti parla di questa montagna proibita e…” La schiena di Cecilia urtò contro i primi gradini della scalinata coperta di tessuto damascato. Cremisi. “Circostanze difficili.” Concluse con il più sfacciato dei suoi sorrisi.
 
“Difficili.” Agatha incrociò le braccia sul petto nascosto a fatica dalla corta camicia – cremisi- che costituiva il suo unico abbigliamento. Una vista che, in altre occasioni, Cecilia non aveva mancato di apprezzare a dovere. “Di difficile vedo solo la tua uscita da qui, tesoro.” Sussurrò dolcemente.
 
Un secondo dopo aveva afferrato il collo di Cecilia e lo scuoteva violentemente. “Hai una fottuta idea di quanto cazzo costassero quei candelabri e quei tappeti che hai distrutto l’ultima volta? Ti è mai passato per quella tua testa demente il pensiero di quanto avessi pagato per quelle sedie che hai sfasciato dopo nemmeno due minuti?”
“Stavo solo… Cercando di… Salvarti dall’incendio…”
“L’incendio che tu hai provocato rovesciando i miei candelabri d’antiquariato!”
 
“Agatha, sorellina, la rabbia non ti dona.” Si intromise una voce maschile.
Di male in peggio.
In cima alle scale era apparso un faerie dai corti capelli scuri e dagli stessi occhi argentati dell’esemplare che le stava artigliando la gola.
 
“Lucas. Che piacere rivederti.”
“Non ne dubito.” Annuì quest’ultimo, osservando la scena con evidente divertimento. “Sei qui per pagare il tuo debito con la Casa, ovviamente.”
“Riguardo a questo…”
“Sono sicuro che riusciremo a trovare un accordo.” Lucas sorrise in modo sinistro. “Agatha, stai spaventando i clienti: portala in una delle camere di sopra e assicurati che non possa uscire in nessun modo.”
Si rivolse poi a Cecilia: “Sarò da te appena possibile. E avremo modo di discutere sulle modalità del tuo pagamento, interessi inclusi.” Cecilia non si sentì per nulla rassicurata. “Per il momento ti lascio alle cure di Agatha.” Concluse.
 
“Muoviti.” Mantenendo la stretta sulla gola, la faerie fece alzare in piedi Cecilia e la trascinò su per le scale. Anche se fuori il sole era ancora alto, la Casa Cremisi era già in affari, come testimoniavano i gemiti e i grugniti soddisfatti provenienti dalle porte chiuse.

“Tutto bene Cecilia?” La salutò una faerie coperta solo da un velo – cremisi- , accompagnando un cliente (il quale somigliava in modo incredibile a un gambo di sedano appassito) verso una delle stanze in fondo al corridoio.

“La situazione è sotto controllo.” Fu la risposta, resa meno convincente dall’intensificarsi della presa sulla gola che la costrinse a esalare l’ultima parte della frase.

Agatha aprì una delle porte e senza troppe cerimonie gettò Cecilia all’interno della stanza vuota, non prima di averla liberata dell’ingombro della borsa. Dopodiché girò la chiave nella serratura e la ingoiò di colpo.
“Questo dovrebbe impedirti di scappare.” Gongolò la faerie.
 
La camera era effettivamente priva di ogni possibile via di fuga: senza finestre, occupata da un grande letto a baldacchino coperto di tende –cremisi- e da enormi specchi alle pareti. Nessun mobile che potesse essere usato come ariete, nessun oggetto contundente. La prigione (o, come in questo caso, l’alcova) perfetta.
 
“E adesso,” Cecilia fu scaraventata sul letto: il viso di Agatha, le sue labbra e i suoi denti appuntiti erano molto vicini, “ fino a quando non arriverà Lucas discuteremo del perché tu non ti sia fatta viva per un anno, tre mesi, cinque giorni, dieci minuti e quattro secondi.” La informò, togliendosi la camicia.
 
 

Quel che trovò Lucas quando entrò nella stanza non era certo quel che si sarebbe aspettato.
Sdraiata sul letto privo di tende, avvolta solo da quella che pareva essere una rete di stoffa e nodi, Agatha si dimenava e gemeva di piacere a ogni movimento, la bocca anch’essa bloccata da un lembo di seta.
Di Cecilia nemmeno l’ombra.
Sconfortato, Lucas fissò la sorella. “Dove ho sbagliato con te?”
Fu in quel momento che notò qualcosa. O meglio, l’assenza di qualcosa.
I suoi occhi andarono a quelli di Agatha, che tra un gemito e l’altro gli confermò quel che aveva capito.
“Cecilia, questa volta ti ammazzo.” Sbottò Lucas uscendo dalla camera, ignorando i gemiti indignati della sorella.

 
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