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Autore: Queen FalseHearth    29/04/2017    1 recensioni
Purtroppo questa storia è basata su un’esperienza vera, la mia esperienza. Essere stata una bambina egoista e stupida non ha fatto altro che portare dolore e odio. Ringrazio la crescita per avermi fatto capire i miei sbagli. La conseguenza per i miei capricci del passato è stata, per una piccola creatura innocente, la morte.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La piuma di un uccellino senza nome

Era un giorno qualunque quando la trovai.
I compiti e l’assenza di mia madre e di mia sorella m’impedirono di uscire: di restare sola nei miei pensieri, in camera. Ero scaraventata sulla scrivania priva di pensieri divertenti, la mia mente era vuota, non volevo studiare. Ero annoiata, volevo trovare uno svago che non comprenda fare espressioni o problemi. Quando mi guardai attorno, avvertì una strana presenza e non riuscii a giustificare quella strana sensazione. Mi sentii osservata. Continuai a fissare tutta la mia scrivania e, nonostante il disordine, notai un intruso che giaceva dentro la scatola a pochi centimetri da me. “Quel granello di polvere non dovrebbe esistere” mi dissi “di solito pulisco ogni giorno quella scatola”. Era un cofanetto molto importante, ci tenevo gli oggetti più importanti. Mi avvicinai e non potevo crederci.
Guardai la piuma con tristezza sapendo che ormai non potevo fare niente per il suo vecchio padrone. Era piccola e leggera, rimasta lì per molti anni a quanto pare. L’avevo dimenticata in questi anni, un peso sul cuore. Una lacrima accarezzò il mio viso bianco. Cavolo, erano passati parecchi anni dall’ultima volta che avevo visto quel cucciolo innocuo senza nome, la piuma mi ricordò i suoi occhi, non so perché. Per quell’uccellino quella penna grigia, quando era ancora in vita, era l’unica cosa che aveva del suo passato come cittadino della campagna. Ricresceva la mia sofferenza nel guardarla. Chi può essere così crudele da fare quello che ho fatto io? Perché quell’innocente creatura doveva incontrare quella spregevole bambina tanti anni fa? Non gli avevo neanche trovato un nome nella sua permanenza nella mia camera, pensai che ne aveva già uno e mi riferivo a lui come “uccellino”. Usavo nel nome quando cercava di scappare dietro la scrivania e quando sbatteva all’angolo del soffitto, solo adesso mi accorgo della crudeltà che ho fatto? Non poteva farlo quella stupida bambina quest’esame di psicologia? No? Sono costretta a soffrire. Quel povero uccellino…
 Dalla profonda disperazione mi venne un’idea.

Corsi nel balcone dove i raggi del sole cercarono di oltrepassare le tende a strisce bianche e verdi, con scarsi risultati. Tenevo ancora in mano la piuma grigia, forse la stavo soffocando. Un abitudine che è costretta a vagare nel mio corpo.
-Ti ho tenuto rinchiuso per tutta la fine della tua vita, lascia che liberi la tua piuma- dissi come se fosse una formula magica. Con delicatezza appoggiai la piuma sulla punta del muretto e attesi che un filo di vento possa accoglierla verso il cielo, la libertà che gli ho privato. Nessun movimento da parte della piuma. Era giusto: era inanimata, ma la trattai come se fosse viva perché era anche tutto quel che mi restava dell’uccellino senza nome. Decisi, con coraggio, di indirizzare io stessa la piuma verso la sua nuova casa, luminosa. Da sola non ce l’avrebbe mai fatta. Con altra delicatezza lanciai la piuma verso il sole e quest’ultima volò in alto sfiorando la barriera invisibile che la separava dalla casa del suo eterno riposo. Volò in alto. Mi allontanai per far assaporare all’anima dell’animaletto il sapore della libertà ma, in silenzio, vidi degli strani movimenti della leggera piuma prima che mi fossi completamente voltata. Con delicatezza stava ritornando da me. Azzardai a tendere la mano e alla fine la piuma si posò come se fosse il primo fiocco di neve. Proprio al centro del palmo della mia mano.
Cosa? C’era un po’ di vento, perché non l’ha raggiunto? Ritornò in possesso della schifosa ragazza che lo aveva rinchiuso per soddisfare un suo capriccio: di voler tenere un uccellino, di imporgli tutto quello che voleva ignorando la sua opinione di ritornare sugli alberi. Che stupida che ero, mi continuo a ripetere. Avevo fatto finta di non notare che il piccolo volatile stava sempre sopra il mio armadio, cercando di confonderlo con un albero vero, e sognava di nuovo il cielo. Guardava solo il lilla della parete e il bianco del pavimento in cui stava per poi posare i suoi occhi sul parquet, non assomigliava minimamente alla corteccia. Il profumo della campagna non c’era più. Perché l’ultimo frammento dell’uccellino era ritornato da me….aveva perdonato la bambina capricciosa e aveva accettato la pace eterna? O forse voleva ritornare, invece, da me? In me sapevo che era la seconda risposta. Sorrisi ma non potevo commettere l’errore di una volta. Scossi la testa. Meritava di meglio l’anima di quella povera creatura.

Pensai al giorno in cui le mani della morte venute in questo mondo per rubarmi il volatile senza nome, oppure per salvarlo. L’uccellino era accovacciato con sguardo sofferente nella sua seconda gabbia e lo presi per portarlo dalla mia figura materna in modo che possa risolvere il problema come fanno tutte le madri. Era la prima volta che l’uccellino senza nome vedeva il corridoio e la cucina. Piangevo e urlavo, volevo un veterinario. Voglio un veterinario, lo ripetei finché non mi calmai. Mio padre stava tranquillo a consumare la sua cena, indifferente alle mie lacrime. Ero sinceramente triste, quella creatura ha fatto risorgere il mio lato buono ma stava pagando le conseguenze per colpa dell’altro lato egoistico. Sotto consiglio di mia madre corsi in bagno e aprii l’acqua del rubinetto…quell’acqua fresca. Purtroppo dopo avergli dato da bere e aver sentito per l’ultima il suo cuore battere regolarmente, seguito da un mio tenero sorriso, morì. Di colpo. Era immobile. L’orrenda scena in cui si è impressa nella mia mente è destinata a seguirmi fino alla tomba: quando l’ho gettato nella sua gabbia perché non sapevo dove metterlo…con le lacrime agli occhi…senza vita…le zampe erano immobili…lo posai in fondo alla gabbia… come se fosse un pupazzo... occhi aperti. Stecchito. La parola che lo descriveva era perfettamente stecchito. Che cosa ho fatto…ero un mostro. Successivamente mia madre per consolarmi mi aveva detto che almeno se ne era andato all’altro mondo in compagnia, e poi sarebbe morto comunque: in strada, mangiato da gatto o addirittura investito. Però sarebbe morto da libero con le nuvole che lo avrebbero salutato.

Non volevo far morire quella piuma grigia e la spinsi di nuovo verso le nuvole. Senza pensarci. Con più forza. Cercò di ritornare da me ma era troppo tardi: ricordo esattamente l’ombra della piuma dietro la tenda che cercava di superarla fino a che la persi di vista per sempre. Sbatteva contro le tende trasportata dal vento. Sospirai nella speranza di aver dato un po’ di pace a quell'uccellino.
Vola come avrebbe fatto quell’uccellino senza nome.

 

Angolo autrice
In altre parole: da piccola ero molto egoista e capricciosa e ho tenuto un uccellino selvatico in camera (per circa due o tre giorni); all’inizio l’ho tenevo libero poi mia madre l’ha rinchiuso in una gabbia per canarini. Ho cercato pure di trovarli un nome ma non ci riuscii (volevo addirittura chiamarlo Liberty, che pezzo di merda che ero). Poi è morto nella mia mano dopo avergli dato dell’acqua e sentito il suo cuore battere regolarmente. Dopo anni, ormai cresciuta e diventata una “scrittrice”, ritrovo la piuma che avevo conservato e volevo liberarla piena di sensi di colpa. La lanciai fuori dal balcone ma essa ritornò da me. Ancora oggi mi domando com’è potuto possibile. Mi commossi sapendo in fondo al cuore che l’uccellino voleva dirmi che mi aveva perdonato, ma poi mi ricordai il giorno della morte della sua morte e la rilanciai verso le nuvole.
Ora odiatemi.
….
C’è l’ho fatta a superare quella morte ma non mi perdonerò mai…ogni volta che guarderò gli uccelli abbasserò il capo. Cercherò di essere una persona migliore, per lui…o per lei non lo so ho pensato che fosse un maschio. Forse sembra una storia banale ma per me è stata un’esperienza significativa. Recensite per favore, vorrei almeno sapere se ho fatto qualche errore o se non vi è piaciuta.

 

   
 
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