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Autore: marig28_libra    29/04/2017    3 recensioni
Le ombre del vespro si abbattono minacciose sul leone dei de Jarjayes, protettore araldico di una stirpe da secoli servitrice della corona francese.
Colpiti dal lutto delle loro bambine , François e Judith non riescono più a generare un erede sano e a vedere la serenità degli animi…
Oltre i campi di battaglia e le oscure incomprensioni, i due dovranno trovare il coraggio di prendersi ancora una volta per mano e riscoprire se stessi…Tra passato e presente , la ricerca dell’origine : la maturazione dell'amore assoluto e contorto.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Generale Jarjayes, Madame Jarjayes, Marron Glacé
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAP 3 - LA DIMORA DEI POMI D'ORO: ANTICHE PACI

Ciao tutti! ^^ ritorno nuovamente da nebbiose e lontane lande dopo tanto tempo…Tra impegni vari e alcuni problemi sono riuscita a proseguire la storia che non mi ero certo scordata di mandare avanti…col fatto che ho altre due fan fiction belle corpose cerco di fare il possibile per non dimenticare nessuna!
Dunque  ricapitolazione sui contesti :

- storico

Guerre franco-indiane, America del Nord. I francesi riescono a sconfiggere Washington e a mantenere una cospicua porzione di dominio nella valle dell'’Ohio a discapito delle colonie inglesi. La tensione internazionale si fa alta e intanto le vecchie alleanze della Guerra di Successione austriaca sembrano cambiare gradualmente gli equilibri…Gli Asburgo si fanno avanti con il re Luigi XV chiedendo collaborazione contro la Prussia , Russia e Inghilterra ( cap 2 , PRIMA PARTE ) ancora non avanza nessuna dichiarazione  di guerra contro Re Giorgio e la situazione resta sospesa in una fragile stabilità…

-         famigliare

Nella seconda parte del capitolo 2 abbiamo avuto modo di conoscere de i De Jarjayes , oltre al già apparso padre Jean Antoine , gli altri due fratelli : il più grande Philippe rancoroso, acido e costretto da un drammatico incidente sulla sedie a rotelle… Etienne il più piccolo dalla testa calda, spericolata e brillante . François gli era molto legato e  ha  rimembrato,  con l’amico Blaise,  il suicidio e altri ricordi più leggeri di gioventù. Concludendo,  i membri della famiglia d’origine del nostro protagonista sono deceduti +

Per quanto concerne Judith, abbiamo conosciuto l’affezionata sorella maggiore Oriane, estroversa, positiva e dal carattere fervente, il cognato ( e marito di quest’ultima ) Cosimo, un barone napoletano con numerose attività commerciali e il nipotino Samuele ( l’amato figlio della coppia adottato da un convento)
Ultima parentesi riguarda la servitù dei due protagonisti ( cioè  i membri comparsi fino ad ora) : Marie , la nonna di André, Berthold, il servo che accudiva Philippe sempre rimasto al servizio della famiglia, e  Albert , maggiordomo di Etienne che poi è stato trasferito nella dimora de i de Jarjayes.

 

Detto questo vi auguro buona lettura! ^^

François, dopo la missione in America di Fort Necessity , sta per approdare in Francia…

 

 




 

 

3

La dimora dei pomi d’oro:

antiche paci.

 

 

 



 

Te, mela,
voglio
celebrare
riempiendomi
la bocca
col tuo nome,
mangiandoti.
Sei sempre
nuova come niente altro,
sempre
appena caduta
dal Paradiso:
piena
e pura
guancia arrossata
dell’aurora!
Quanto difficili
sono
paragonati
a te
i frutti della terra,
le uve cellulari,
i manghi
tenebrosi,
le prugne
ossute, i fichi
sottomarini:
tu sei pura manteca,
pane fragrante,
cacio vegetale.

(P. Neruda) )

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Valle dell'Ohio

30 giugno 1754

Cara Judith,

è delirante vivere solo con un’immagine di te che alberga nella testa e non posso toccare…L’unica cosa che mi pare di odorare è la carta su cui scrivi, l’inchiostro della tua calligrafia…
Fa male vedere le tue parole.
Fa male perché a marzo di quest’anno ti ho lasciata senza chiarirti nulla.
Abbiamo attraversato brutti momenti ed io ho preferito raggelarmi. Il calore brucia troppo e non posso tollerare di essere rimasto l’unico erede senza eredi.
Tre anni, Judith.Tre anni e ancora nulla.
Sono terribile e ho osato trattarti in modi che tu mai avresti meritato. Sì…le mie scuse possono apparire retoriche, chissà quante volte riciclate da mani di innamorati collerici…Ma se non m’importasse nulla …non sprecherei carte, non dormirei a mala pena tre ore a notte riflettendo inutilmente su ciò che ho combinato. I miei doveri sono pesanti ma almeno con il loro peso mi calpestano bene la testa che vola molte volte male.
È la mia indole…ma voglio raccogliere le cose sporche che si sono accumulate in questi anni e cacciarle via dalla più grande finestra che riesca a immaginarmi. Con cose sporche intendo tutti i momenti in cui abbiamo fatto finta di vederci…e magari abbiamo anche finto di far l’amore. In primis io sono stato un pessimo amante. Anzi non lo sono stato e questo mi fa davvero schifo.

Non possiamo mettere a mondo un altro bambino se io non imparo di nuovo a darti tutto me stesso.
Non ho mai smesso di pregare per le nostre figlie…continuo a provare rabbia che ci siano volate via di mano uguali a lucciole che , dopo la notte, cadono al suolo già vuote…Credimi. Vorrei aver avuto come preoccupazione, durante tutti questi mesi,  quella di provvedere alla loro istruzione, prendere  vestiti ordinati e belli, stabilire dove farle frequentare catechismo…Avrei voluto vedere sui loro visi un’altra te stessa piccola che sarebbe cresciuta…

Mi sono dilungato ancora una volta su cose che, purtroppo, non ammettono fantasie molte costruttive…Perdonami…

 Forse il mio contingente dovrà  partire in pieno autunno, prima di dicembre…Lo spero vivamente.

La Louisiana non è un gran posto. C’è l’aria salata del mare che s’attacca viscida ad ogni abitazione e anche se siamo riusciti ad arginare senza fatica le spinte invasive degli Americani, non è finita qui. Dell'’Inghilterra non mi fido e tutte queste colonie non credo se ne staranno a lungo con i confini fermi e piatti. Da alcune indiscrezioni, stanno trapelando le intenzioni degli Asburgo di stringere alleanza col Regno di Francia. Avverto odori non tanto piacevoli…Stai a vedere che le alleanze stabilite dopo Aquisgrana  andranno all’inferno…Ma so da tempo che non c’è da stupirsi se l’Europa non è una scacchiera bella e quadrata  ma un calderone che può variare sempre la temperatura di ebollizione per far eruttare sorprese nuove.

Quel che mi preme adesso è tornare da te e dedicarci a noi e al nostro avvenire.
 Finché non ti avrò avanti, non ti avrò abbracciato e non avrò la certezza assoluta di sentirti concreta  non potrò stare tranquillo…

Ti amo,

François

 

 

Arras, Normandia

15  novembre 1754

Caro François,

Ho appreso con molta gioia che le truppe francesi hanno trionfato in Pennsylvania contro le milizie americane…sono state svolte molte operazioni con successo e più di una volta, con orgoglio, hanno pronunciato il tuo nome.
Sentire il tuo nome soffiarmi nelle orecchie e cadermi sugli occhi è una sensazione meravigliosa quanto inquietante e triste.
La mia felicità è aumentata quando a corte è stato comunicato che il tuo contingente sarebbe partito agli inizi di questo mese.
Tu sei il Generale De Jarjayes. So che le lettere impiegano moltissimo per giungere a destinazione…il grande oceano Atlantico ci separa e , nonostante il tempo abbia la sua semplice matematica, scorre diversamente da continente a continente… Non basta soltanto la tua assenza ma la sregolatezza del sole che mentre da me sorge, da te sta già invecchiando...
Ho letto la tua lettera e vorrei che le onde si scuotessero ancora di più per far muovere la tua nave…
Non possiamo scordare le nostre bambine ma non desidero proseguire questo discorso perché è impossibile tracciare una copia , anche sfocata, del mantello della morte…Che sia malvagia o alleviatrice di tribolazione non voglio più saperlo…

Tu hai perfettamente ragione a dire che ora ci siamo noi.
 
Sì ci siamo noi e dobbiamo affrettarci ad ammucchiare tutto ciò che abbiamo accumulato e togliere via c’ho che ci disturba.
Sei difficile, François . Mi hai fatto star male e ho avuto modo di riflettere lucidamente. Nei momenti peggiori di solitudine emergono quei terrificanti fantasmi mentali…quelle proiezioni che toccano i ritratti del passato e fanno diventare la luce degli antichi giorni obliqua allungando a dismisura le mani per mutarle in zampe e artigli. Non ti nascondo che parecchie volte mi sono chiesta se ho fatto bene a sposarti…se non sono stata ingenua e precipitosa a diciotto anni…Ti giuro, e ora me ne vergogno terribilmente, ho creduto che il blu dei tuoi occhi fosse in realtà una macchia ghiacciata di nuvole, gettata lì sul tuo viso per spazzarmi via nei tempi morti della quotidianità. E …per un po’ di tempo ho sospettato , nella nostra stanza da letto, che tu guardassi solo il mio corpo…non me, Judith…la tua sposa…ed è per questo che mi rinchiudevo senza più voglia né rabbia di oppormi
Ti faccio questi discorsi, perché è solo con te che posso capire e alla fine riesco a notare che quel tuo freddo, quelle fortezze che sollevi non li chiudi mai del tutto.
Lasci sempre degli spiragli e puntualmente fai crollare i mattoni. Io so che sei un soldato anche fuori dall’esercito. Puoi nasconderti ma so che mi guarderai sempre.
Mi hai sempre scritto e io voglio aprire un altro capitolo con te.
So che sarà diverso e magari ci saranno altri problemi….ma vedremo nascere  un altro bambino.

Sento che andrà bene, François…perché quando ci rivedremo ci toglieremo dagli occhi tutta quella brina che ci ha fatto scordare che, benché siamo diversi, troviamo sempre il modo e la sostanza di combaciare.

Ti amo,

Judith

P.s  mia sorella Oriane col marito e il piccolo Samuele si sono trattenuti nella nostra villa per tre settimane . Torneranno a dicembre e trascorreremo il Natale  a Le Heavre nella piccola tenuta di  vacanza dei miei genitori . Se le navi arriveranno a fine gennaio in Francia potremmo passare una settimana assieme in tutta tranquillità.

 

 

Le Heavre

28 gennaio 1755

 

 

 

 

Le Heavre era la solita bestia acquattata, distesa con le sue maculature di tetti grigi su un bacino d’acqua. Le affusolate zampe stiracchiate formavano i bracci del porto con l’unico ciuffo ribelle della pelliccia che pareva contemplarli:  la torre della cattedrale barocca di Notre-Dame cercava di alzarsi sempre per far temere il proprio appuntito cappello vescovile.
Un grumo di fumo comparve ,a un certo punto, nel cielo argento e azzurro del mattino.

Una schiera di cannoni neri , caricati a salve , lanciarono ruggiti di deferenziali saluti.

La fortezza militare della città accolse tre dei velieri francesi mandati in missione nelle colonie d’America.
Il primo a insinuarsi nel grande golfo del porto fu il Saint-Michel d’or , con il vessillo del giglio della corona di Francia e lo stendardo di riconoscimento blu che recava ricamato l’arcangelo che calpestava il demonio. La composizione delle vele quadre issate sui tre alberi , dava l’idea di un  pesce corazzato appeso all’ingiù alla stregua di un trofeo imponente e mitico, mentre l’acuminata prua sfibbiava le acque blu piombo simile al becco di un uccello palustre.  
La grossa creatura,  spedita e sbuffante , si accostò alla banchina del porto seguita dalle altre due navi che parevano guardie del corpo che le proteggevano le spalle.
Le passerelle furono issate da  braccia ruvide e inumidite di mozzi e marinai che gettavano e afferravano funi in tante frenetiche pennellate.
Presero a uscire ufficiali, soldati, marinai in una marcia di ordini, imprecazioni e passaggi di merci attraverso catene ondeggianti e gridanti.

-         Qui c’è sempre puzza di termiti che corrono e intasano!

-         Almeno siamo in Francia e non più a Nouvelle Horléans…

-         Beh, mica scanso il pantano e le fontane di polvere…sono le schifezze a fortificare la salute …

-         …. anche una dose di ben cotti manrovesci giusto, Damian?

L’uomo, che portava i bagagli, sorrise ironico alla battuta del padrone François mentre attraversavano la passatoia .

-         Sono sempre abbrustoliti alla perfezione, non temete. La qualità non è andata perduta neppure in America.

-         Te li sei meritati tutti, dato che  la tua zucca più che abbrustolita si è carbonizzata a furia di rosolarsi nelle idiozie.

-         Ancora con quest’argomento, signore?

I due scesero e attraversarono il molo. Se un  aristocratico avesse udito quello scoppiettio di frasi, si sarebbe sdegnato per la sfacciataggine del servo. Non poteva conoscere la particolare vicenda che lo legava ai de Jarjayes.
Damian , coetaneo del generale, era un bell’uomo di elevata e vigorosa corporatura. Possedeva  capelli castano cenere di un liscio crespo con alcune ciocche che guizzavano imbiondite per il sole marino e salato. La spazzola non voleva conoscere quell’ammasso di vegetazione indomita che gli arrivava al collo. L’unica cosa tosata con un po’ più cura era la peluria che copriva il mento e che accordava al viso , dagli zigomi sudati d’abbronzatura , un’aria da vagabondo avventuriero. Gli occhi grandi e marroni non volevano mai calare le palpebre sempre pronti a scrutare e a commentare vivaci e disinibiti. 
Era il primogenito di Angéle, l’amatissima balia della famiglia, che aveva allattato François ed Etienne. Egli  aveva vissuto coi giovani  padroni quasi da pari, da fratello. Jean Antoine, certo , aveva sempre imposto i gradini dei ruoli (benché stimasse la propria servitù )  ma questo non aveva impedito l’istaurarsi di un’amicizia sincera e a volte burrascosa.
François conosceva quello spirito intelligente, inquieto e , a cicli lunari , imprudente.

-         Capisco che l’Europa e l’America siano lontane– ammise – però, maledizione, contattare uno scrivano a buon prezzo e farci sapere qualcosa di tanto in tanto non è mandare missive a Saturno! Due anni! Due anni!

-         È stato difficile, generale…So che ho sbagliato a causa…a causa…di quello che mi è successo.

-         Se beccavi qualcosa di peggio potevi morire in una stamberga puzzolente! Non hai pensato a quel disgraziato di tuo padre Berthold? Non gli sei rimasto che tu. Ringrazia il cielo che sia una specie di santo…fossi al suo posto ti ridurrei a ecce homo.

-         Invece son io a metterlo in croce…povero papà...Mi è mancato tanto. Dovremo andare a trovare assieme mamma , Celine ed Etienne.

-         Già…Angéle…Celine.

Angéle aveva spirato molti anni fa per cause naturali ma Celine restava, come Etienne, una porzione di terreno messo a soqquadro dal dolore. Era l’adorata sorella minore di Damian. Si passavano solo due anni di differenza e avevano condiviso una grande amicizia coi fratelli de Jarjayes…

-         Dovevo andarmene, signore…- sospirò il servo guardando i carretti con le mercanzie che rullavano tra le vie - grazie a voi mi sono potuto imbarcare altrove per diverso tempo.

François non gli aveva impedito di cercare , per un periodo,  esperienze  d’oltreoceano. Fu una decisione molto drastica ma sarebbe stato tirannico non lasciarlo volare via: allo stesso modo della morte, l’agonia e la tristezza erano i crudeli e democratici generali di tutti.

-     Ti ho prelevato da quel postribolo il giorno prima della partenza del Saint-Michel d’or – il conte preferì arginare i pensieri luttuosi - Non so davvero se sia stata una mano divina a guidarmi verso le urla tue e di quella ragazzaccia.

Damian sbuffò e schioccò pesantemente la lingua tra l’imbarazzo e una certa rabbia da spaccone compiaciuto .

-        Diamine! e la sgualdrina mi aveva garantito di essere sotto controllo medico…insomma! Aveva vent’anni, una pelle perfetta e…

-         Come un bel salmone ti sei buttato nella corrente e sarai fuori combattimento per un bel po’.

-      Meno sento parlare inglese , meglio è…- l’uomo si fermò un attimo -Ehi, avete notato? La Compagnia britannica pare piuttosto tranquilla…temevo chissà che risse e incidenti.

L’austero palazzo grigio e bianco della Compagnia delle Indie Occidentali sembrava starsene sicuro e a proprio agio  proteggendo il via vai dei membri , mostrando le finestrate rettangolari simili ad uno schieramento disegnato di scudi romani. C’era la cupa vigilanza su derrate alimentari e su uomini provenienti dalle Antille , dai Caraibi o dall’Africa dalla pelle d’ebano o di mogano che attendevano il seguito di una sorte tempestosa.

-         Deve stare con la testa bassa, Damian…dobbiamo farlo tutti. La battaglia nell’Ohio è stata un’esplosione in una piccola polveriera che comunque si è sentita qui e in Inghilterra. Tra dodici giorni dovrò recarmi con Blaise  a fare  rapporto al re a al consiglio di guerra. Lui attraccherà  a giorni.

-         Dobbiamo procuraci una vettura e raggiungere la dimora de La Seigne…

-         François! François!

Quella voce…possibile fosse proprio lei?

-         Signore! Ma avete sentito?

-         Sembra…sembra lei?

L’ufficiale allungò maggiormente lo sguardo sulla folla pullulante di marinai, soldati, mercanti , e schiavi.
“ François”  era un nome diffuso…non certo raro.

-         François! Sono qui! Sono qui!

Un braccio si levò dalla fanfara gorgogliante di gente smuovendo un fazzoletto candido.
Il generale avanzò sentendosi il cuore sprofondare in un pozzo di violenta e immensa gioia.
Aveva riconosciuto una capigliatura di boccoli castani assai cara e un vestito pesante color acqua marina.
La sua pietra preziosa era lì.
Incredibile.

      -         Judith…- la voce gli colò per terra.

La stanchezza disgelò tutta d’un colpo dalle membra e lui corse verso la moglie mandando al diavolo il consueto contegno militare, quella camicia di forza che aveva rischiato di divenire un innaturale esoscheletro.
Non era il Generale de Jarjayes  in quel momento e neppure un conte.
Era solo François.Un marito che tornava.
Buttò il bagaglio e la baionetta per terra e strinse a sé Judith che gli gettò le braccia attorno al collo.
Non si dissero nulla durante quei secondi.
Tra i loro corpi le parole non trovarono ancora spazio. Tante erano le cose da chiarire lasciate in sospeso ma ora bisognava solo riprendere a bruciare.
Il ritorno fece mutare in ombre alienate l’odore cruento del pesce e dei battelli sfigurati.

 

***§***

 La carrozza , con la quale Judith era giunta al porto,   lasciò scorrere dai finestrini le abitazioni di legno coi tetti grigio bluastri del centro. Prese la ben più pacifica strada che portava alla tenuta marittima della famiglia de la Seigne. Presto le vie si fecero più mormoranti di alberi e sassolini.

-          Che strana sensazione essere tornato in Francia…- sospirò disteso il Generale inclinando la testa all’indietro – tutto ciò che mi è famigliare, mi sbatte in faccia nuovo…anzi rinnovato.

La moglie gli si accostò sorridendo:

-         Anche a me non pareva vero che la tua nave fosse all’orizzonte…L’ho intravista dalla terrazza della villa e ho fatto preparare la carrozza.

-         Non speravamo in questa sorpresa…io e Damian stavamo provvedendo per una vettura.

-         Avremmo perso tempo a pizzicare un onesto cocchiere, Madame – ridacchiò il servo seduto sul sedile destro davanti a loro

-         Ma Judith…– domandò il generale con un sopracciglio inarcato e  a denti stretti – hai scelto Serge come cocchiere?

-         Suo fratello non stava bene e lui è stato così gentile da mettersi a disposizione…

Serge era uno dei servi della famiglia de la Seigne. Una brava persona lunga, magra col mento piccolo e arretrato e un naso a punta sgranchito in avanti. La sua aria placida era affidabile ma alcune volte finiva tra le nubi dell’imbranataggine. Ciò rendeva poco tranquillo il conte.

-         Beh, vedo in forma il nostro Serge – diluì Damian - siete stata provvidenziale in ogni senso, signora.

-         E’ da tantissimo che manchi da casa. Sono molto felice di rivederti…Appena arriveremo dovremo mandare una lettera a Joyssigni , così Albert potrà riferire a tuo padre che sei sano e salvo.

-         Salvo sì, sano…eh!eh!

-         È accaduto qualcosa di grave?

François grugnì crucciato:

-         Il nostro giovine ha avuto qualche problemuccio di salute che sta  sistemando…

-         Non vi preoccupate Madame – evase arrossendo Damian – piuttosto…papà sta bene?

-         Berthold si è sforzato un po’ troppo in questo periodo. Prima di andare ad Arras abbiamo chiamato un medico e ha riscontrato  un principio di artrosi.

-         È sempre stato così…lavora tanto quando c’è un pensiero grosso che lo assilla. Beh…ora il grosso pensiero è in Francia e  festeggeremo i suoi settant’anni assieme!

-         Assolutamente – sorrise Judith – sai,Marie si domanda quando ti sistemerai e farai il brav’uomo?

-         Quella donna nutre un’eccessiva fiducia – scoccò ironico François -  ne passeranno di diluvi universali prima che Damian prepari paglia e rametti per il suo nido.

-         Signore – si drizzò fieramente il servo – le mie ossa sono pietra e i miei muscoli brace! Troverò la soluzione a tutto…A proposito Madame, cosa dice Marie?

-         Sì – aggiunse il conte –  non aspettava il nipotino?

La contessa si riempì  di gioia mista a lucentezza e rattristata consapevolezza.

-         E’ felicissima – rispose con le ciglia leggermente incrinate – il suo André è nato ad agosto. A quanto pare è bellissimo,  pieno di salute e affamato.

-        Buon segno! – rise allegro Damian – inizierà da subito a fare scorte di energia! Da grande avrà un fisico di ferro.

François accorgendosi del sottile rivo ombroso della moglie le strinse con calore la mano. Se fossero stati  soli l’avrebbe presa tra le braccia e ricoperta di baci :

-         Abbiamo tutto il tempo – mormorò - …non abbatterti…

Mentre Judith ricambiò uno sguardo d’acquatica dolcezza, le ruote della carrozza barrirono acidule. I passeggeri traballarono a destra e sinistra come fossero sonagli scossi da un musicante balordo.
L’ufficiale tirò fuori la testa dal finestrino e sbraitò contro lo svampito conducente:

-         Serge! Per le corna di Satana! Volevi scassare la carrozza?!

-   P-perdonatemi, Generale de’Jarjayes! Non ho visto quella buca… Questo pezzo di strada è un po’ accidentato…

-         Accidentato sarai tu! Non sapresti vedere  neanche la voragine creata da un elefante!

Tutti si misero a ridere sotto i baffi pensando che mancasse quel collerico tocco di classe per coronare un tanto atteso ritorno alla normalità.
Le colline, nel frattempo, presero a mostrare i grembi ricolmi di meli dalle arterie maestose e ingarbugliate. Nonostante fosse inverno, si avvertiva un senso di tranquillizzante densità in quei rami come se formassero una forte falange contro le rigidità del freddo. 
Oltrepassato un leggero declivio, sbucò la dimora paglierina dei nobili della Seigne ,dal tetto spiovente e grigio che veniva vegliata da pini marittimi accucciati poco distanti da essa.
In pieno stile Normandia, era un semplice solido a due camini in mattoni compatti e rassicuranti. Da fuori sembrava più una dimora di borghesi rustici che di conti. Le finestre mostravano i volti dalle imposte bianche mentre al centro s’incuneava, sotto un arco a tutto sesto, un portone di legno massiccio. Un vialetto di mattoni candidi e rosa, cinto da voluminose siepi ben tagliate, accoglieva gli ospiti. Il cortile centrale si spianava ampio, quadrato e chiaro mentre sul versante sinistro una bella scuderia proteggeva robusti cavalli frisoni e vari tipi di carrozze. Uno splendido giardinetto , smeraldino d’estate e verde cupo d’inverno , ornava il retro della villetta con un gazebo di pietra argentea che sormontava un tavolo ovale e sedie scolpite in marmo.  Parecchie piante di rosmarino zampillavano voluminose dal prato e diverse lavande lilla e glicine restituivano un pacifico e grandioso spettacolo, fatto da miriadi di pennacchi danzanti. Oltre un recinto si stendevano altri alberi di melo, coltivazioni di famiglia da parecchie generazioni che regalavano pomi rossi o arancio.
Quando François scese dalla carrozza assieme alla moglie e a i servi, provò la particolare e piacevole sensazione di straniamento: più volte era andato a trovare i suoceri assieme al padre e a Etienne ed era capitato anche di essersi recato lì per  far respirare aria buona a Josephine.
Sapeva di aver vissuto concretamente momenti allegri, malinconici e mansueti eppure riteneva di scontrarsi con un sogno, che seppur vivido, restava sogno.
Perfino nel momento in cui il maggiordomo della casa ricevette aprendo il portone ,coglieva una visione non completamente vera.
Cercò di prendere confidenza con l’ampio atrio rettangolare dalle pareti percorse da una sottile e azzurra striscia  arabesca. Lasciò ,quasi intorpidito, il bagaglio a Damian e per poco non lo fecero sussultare i passi gentili del padrone di casa e la lunga gonna vellutata della severa consorte.    

-         Caro François – gli disse l’uomo -  siamo lietissimi di accogliervi  tra queste mura dopo tanto tempo.

-         L’onore è mio ,signori – sorrise lui cordialmente – dopo il baccano del mare e i terribili movimenti delle navi, per me è come essere entrato in un tempio.

Il Conte Grégoire Isaïe de la Seigne era un sessantenne di media statura, tutto giusto nelle proporzioni , tutto calmo e lindo nei gesti: un’armonia di sincerità, discrezione e innata benevolenza.  Aveva il volto un po’ quadrato ma  morbido e ben conformato. Gli occhi azzurri , del cielo dell'aurora,  erano sormontati da meditabonde ciglia castane e i capelli mossi e brizzolati si riordinavano dietro le tempie e le orecchie per non cadere scomposti sopra le guance. Indossava un semplice completo invernale grigio chiaro con un panciotto blu scuro che gli correggeva il ventre leggermente in rilievo.
Non alta ma di grande presenza era la moglie di cinquantacinque anni: la contessa Bénédicte Magdaléne. Sebbene alcune rughe le pieghettassero la pelle , possedeva ancora una strabiliante e algente bellezza. Ogni bagliore sapeva di brinata cristallizzata e l’abito color malva , decorato solo sul corpetto e sull’orlo delle maniche lunghe,  s’accostava deferente al  chiaro epidermide. I folti e delicati capelli biondissimi s’accumulavano in una crocchia sul capo tenuta ferma da una cintura di piccoli fermagli di madreperla. Il viso era affusolato tale e quale alla torre inflessibile del collo ; il naso e la bocca  sembravano lavorati in pregiati frammenti di marmo e gli occhi grigio chiarissimo risaltavano in mezzo alle ciglia bionde, incutendo bruciore gelato  a chi osasse contraddire. Le sue materne origini svedesi e l’aurea invernale le avevano fatto guadagnare l’appellativo di “ Normanna”.

-         Speriamo che possiate riposare in tutta tranquillità – si rivolse al genero – la vostra camera è quella dalla porta blu che guarda a est , verso il  porto della città .

-         E’ la vecchia ubicazione , François – rise Judith – sai quanto io ci tenga…

-         Sì,  è vero – ammise il marito afferrando quel gesto di complicità -  ricordo che fin da ragazza hai avuto una grande affezione per i rifugi con le pareti floreali…

La contessa della Seigne si schiarì  la voce , con un lieve increspo,  per redarguire battute sconvenientemente intime.

-         Saremo a disposizione per qualsiasi evenienza – si sforzò di essere tenue e garbata -  pranzeremo verso l’una così, François, avrete tutto il tempo a disposizione per sistemarvi .

-         Esatto – aggiunse il suocero con disinvolto calore – mettetevi comodo e dite subito se desiderate qualcosa.

-         Vi ringrazio di cuore – rispose rispettosamente il generale – in effetti ho proprio bisogno di ridarmi una sistemata da capo a piedi …

-         Allora facciamo preparare la vasca per il bagno – proferì Judith – vedrai che ti sentirai come rinato…

-         Cosimo e tua sorella Oriane sono assenti?

-         Si trovano ancora giù in città per sbrigare alcuni servizi. Torneranno a mezzogiorno o forse prima.

-         Bene ! Sarà meglio che mi tolga questa divisa che non è più fatta di stoffa ma di alghe e sale!

***§***

 

L’acqua calda e la fumogena leggerezza del pulito avevano fatto dissolvere la grassezza del sudore e le scaglie della stanchezza. Finalmente libero di non indossare la divisa militare senza che qualcheduno lo potesse multare, François si sistemava davanti lo specchio della stanza da letto. Con un paio di pantaloni nuovi addosso e una vestaglia da camera , attendeva che Damian portasse la camicia, il gilet e la giacca freschi di pulizia. Dopo il bagno gli aveva velocemente spuntato i capelli divenuti raggrinzati e lunghi quasi fino alle spalle. Il pettine riusciva ,  meno intimidito,  a disciplinare le ciocche ondulate che presentavano alcune striature di primizia argentatura.
All’inizio sciattamente quieto poi sempre più incuriosito e ansioso, il generale si acconciò sempre più lentamente fino a che non contò uno per uno i capelli grigi o bianchi che incappavano tra i dentelli del pettine. Abituato a portare la parrucca si era scordato della piantagione che evolveva sul suo capo.

Non era uomo vanesio ma si rattristò  alle graffiature della vecchiezza. Quei filamenti erano le firme che la pazienza cupa, il dolore e la rabbia avevano deposto poco per volta e che s’immergevano nella sua castana e matura giovinezza per poi emergere e rammentargli che proseguivano  la loro semina.

Per sollevarsi spostò lo sguardo sulla parete di fronte ,  un po’ più in alto dov’era appeso un ritratto ovale  di Judith adolescente… Il pittore l’aveva tratteggiata con magistrale delicatezza in un abito estivo arancio chiaro che le lasciava scoperti gli avambracci, le spalle e il collo. Sul viso , senza trucco, regnava imperitura la morbidezza ingenua della pelle; le belle labbra  sorridevano tranquille e gli occhi erano gocce  mattutine spruzzate da un pennello inumidito in un mare calmo. I boccoli erano legati solo in parte da un nastro bordò all’estremità del capo. Il resto  della chioma era una profusione di libertà angelica e rinascimentale. 
Seduzione irresistibile.  
François dovette ringraziare il cielo e la propria tenacia sincera e disobbediente: sarebbe finito ammogliato con una duchessa se non si fosse opposto al padre Jean Antoine. Le unioni combinate erano all’ordine del giorno tra aristocratici ma lui non le aveva mai sofferte: la vita militare non gli aveva impedito di maturare il senso dell'autodeterminazione nella sfera più intima del proprio essere. 
In seguito ad animose discussioni,il genitore s’era dovuto ricredere alla conoscenza diretta di Judith.
L’uomo rammentava un episodio che aveva svelato un’ inedita angoscia, un’angoscia che spiegava l’intelaiatura di un capo famiglia che programmava e programmava cercando di far quadrare qualsiasi tassella nell’ottica delle sicure disillusioni.

Padre e figlio passeggiavano nel cortile della loro villa… Un primo pomeriggio morsicato qua e là da rigurgiti di nubi grigie che si ritraevano a tratti lasciando sgocciolare un sole primaverile e tremolante come il tuorlo di un uovo... 

-         Voglio sposare Judith – dichiarò privo d’esitazione il giovane - …lo voglio con tutto me stesso. E’ una delle poche certezze della mia vita. Grazie a lei…ho avuto il coraggio di scoperchiare tante cose e paure  orribilmente ridicole.

Jean Antoine emise un ruvido sbuffo dalle narici…Era la manifestazione di un raffreddore intorpidito.

-         Son rari questi tipi di matrimoni, figlio mio…- rispose respirando l’umidità asprigna delle cortecce dei pini -  non so se essere immensamente felice.

-       La mia relazione non è un contratto di vendita ! Parlerò da ragazzino, ma non concepisco un’esistenza di negoziazioni ,  tranquille bugie e…

François si fermò nel vedere l’uomo abbuiare tra le rughe e i ricci bianchi. Si vergognò contrito pensando di aver offeso l’unione dei genitori…l’onestà di quella lontana madre non vissuta visto che l’aveva lasciato all’età di tre anni. Di lei restavano numerosi ritratti, forti,autorevoli di una bellezza sobria e granitica…una Cornelia romana dagli occhi blu e i capelli castani che forse odoravano di fiori secchi. Jean Antoine la elogiava quasi fosse un’icona sacra, una diva incontestabile delle antiche gens tiberine…però quel codice deferenziale, seppur sincero,  definiva  un  sinonimo di vero amore ?  

-         Non ho nulla da ridire sulla tua fidanzata – riprese l’anziano in tono calmo -  Sono vecchio ma non rimbambito a tal punto da non cogliere l’energia che ti trasmette e  dona. Ha devozione, franchezza e profondità. Un tesoro preziosissimo e piuttosto pesante.

-         Una felicità grande può essere pesante?- interpellò il ragazzo lievemente urtato -  La fortuna è un dramma?

-         La grandezza non è opera leggera. Il mondo ha la consistenza di una piuma? Tu e la tua futura sposa sorreggete reciprocamente  i vostri universi.

-         Dunque, padre , dove scorgereste l’inquietudine?

Il sole fece cadere un braccio bruciando di oro bianco la fontana del cortile:  l’acqua stagnante nella vasca prese di nuovo linfa vitale. Anche il verde dell’erba e degli alberi venne schiaffeggiato da quel raggio scivolato via furioso dalle nuvole grigie.

-     Mi domando, François – sospirò Jean Antoine - in che maniera gestirai gli incoraggiamenti, le dichiarazioni della passione, ogni verbo d’amore che ti correrà via dalle labbra.

-         In che senso?

-      Nel senso che ci sono parole che non tornano più indietro. Le potrai ripetere ma tutte le  volte,  lentamente, avranno un sapore diverso. Si sprecano spesso e poi si dimenticano  in un lungo rapporto in procinto di  ghiacciarsi…

Il figlio restò basito. Non aveva mai sentito il genitore esprimersi attraverso termini tristi, accorati che emettevano il fruscio di vecchie carte riprese da un cassetto chiuso a lungo…Si rese conto di aver ininterrottamente percepito quell’uomo come il pater familias incontestabile e contestabile, carceriere e protettore senza mai riflettere sul fatto che era stato giovane e magari sventurato e intrappolato...
Alla fine l’anziano interrogò  con gli occhi neri che sembrava dicessero “ ma che guaio ti procuri? ”:

-         Sarai in grado di non lasciare deteriorare un cibo che ti dovrà alimentare per infiniti anni? La libertà fa correre su distese fiorite ma anche su deserti pieni di massi aguzzi… Se hai scelto di non aver catene, potresti calpestare sentieri luminosi così come potresti barcollare su un  precipizio.

 Damian bussò alla porta facendo rimpicciolire i ricordi nella memoria.
Il conte ricevette i vestiti ordinati.

-         Sono felice che voi e Madame vi siate riuniti – esordì il servo mentre aiutava il generale a sistemare la giacca sulle spalle.

-         Sì…stento a crederci…Finché non l’ho presa tra le braccia temevo si trattasse di un miraggio.

François si abbottonò tornando dinanzi lo specchio. Stette per qualche secondo immobile contemplando il riflesso della camera azzurro chiaro decorata da floreali linee blu…. Trovò mirabolante non odorare le tende di un accampamento costellato di zanzare plumbee.

-    Non posso più pensare alla distanza…- confessò accennando un sorriso - continuo tuttavia a essere  smarrito…devo ancora riprendermi…

Damian ,  tranquillo e  impertinente, si avvicinò al talamo matrimoniale. Aggiustò un po’ i lembi delle coperte ricamate  da vecchia balia premurosa e pettegola.

-         Beh…- appurò massaggiandosi il mento -  Il letto è stato preparato con grande cura.

François trasalì di vergogna e stizza.

-         Damian!

-         Dovete rimettere in moto quello che avete lasciato dormire. Se no, tanti saluti disgelo!

-         La baionetta funziona bene anche senza proiettili.

Il suono leggero e ritmato di passi indubbiamente femminili, persuasero l’uomo a risparmiare staffilate al servo.

-         Suvvia, vi do suggerimenti da uomo a uomo…- mormorò costui sorridendo e battendogli una mano sulla spalla - se volete ritrovare la vostra dimensione pensate alla felicità di Madame…non avete visto il modo in cui vi guarda?

-         Spolverati via.

Si udirono tre bussi alla porta:

-         François – chiamò Judith – è permesso?

Damian aprì l’uscio e , con elegante sornioneria,  riferì:

-         Madame: vostro marito è pronto. Risplende amabilmente da cima a fondo somigliante ad un angelo del paradiso.

-         Ti farò risplendere appeso al tetto di questa magione – minacciò il generale – se non righi dritto alla tua postazione!

Judith sorrise costernata mentre il servo obbediva divertito.

-         Mai che quell’asino smetta di spiattellare asinerie – brontolò il padrone cambiando poi  tono rivolgendosi alla moglie – scusami…spero di non aver tardato troppo.

-         No – rassicurò lei – la tavola è già apparecchiata ma Oriane e Cosimo devono ancora arrivare...ti va se aspettiamo in terrazza?

I due attraversarono il corridoio , arrivando sulla balconata che guardava il giardino d’ingresso della casa … Le Heavre pareva un grumo di scatole spazzate nell’angolo più remoto dell’orizzonte.  
La donna  si avvicinò affettuosamente al marito dandogli un bacio sulla guancia e stringendo il suo braccio.

-         Incredibile che tu sia accanto a me. La tua espressione e il tuo corpo si sono ridotti su fogli di lettera per troppo tempo. Ho potuto sgridarti soltanto attraverso l’inchiostro. Per fortuna adesso è diverso.

Lui  sorrise afferrandole la  mano in modo implorante:

-         Desideri già somministrarmi fucilate? Ti prego, sono saturo di proiettili…hai  tutto il tempo per randellarmi più tardi.

-         Hai proprio ragione, caro. Ne abbiamo di conversazioni da fare. Sarà impossibile annoiarsi.

-         È così…bisogna recuperare in ogni senso.

-         Inevitabile. Tante cose ci cadono per strada mentre andiamo di corsa.

L’uomo circondò le spalle della moglie voltata dalla parte opposta .Percorse con gli occhi la linea della guancia su cui sfumava la luce perlacea dell’azzurro. I riccioli castani ingombravano le spalle offuscando il collo ed evocando la visione terribile degli incubi regnanti nelle notti irrespirabili. La donna diventava muta immobilizzandosi. Al terzo disperato richiamo si girava mostrando un ovale piatto, liscio uguale a un uovo di ceramica sprovvisto di occhi, naso, bocca… Uno spettro svuotato,  bianco d’irriconoscibile morte.
La morte di parole,  ricordi materiali…il rifiuto atroce del contatto profondo. Immediatamente il conte  pronunciò dipanando la coltre del silenzio:  

-         Ho la pessima abitudine di correre troppo e  leggo ad alta voce sentenze credendo che gli altri non possano avere facoltà di rispondere…molte volte l’ho fatto con te…Credo che ci siano germi che restano perennemente  nel cuore. Ne sono talmente tanti che non basta una vita per toglierli tutti. Alcuni si estirpano e altri si generano o rigenerano…Judith, non ne ho idea di quanto io possa migliorare o peggiorare…In America , quando mi trovavo a cenare da solo…la vuotezza che mi stava di fronte era aliena… Non diceva nulla. Si limitava ad esistere nella sua assurdità senza forma. Certo la spada, la divisa e lo stendardo della mia famiglia  appartengono al re… ma tutto quello che ho dentro, il sangue, la rabbia, la tristezza, la mente piena di cianfrusaglie appartengono alla mia anima che siede qui, attaccata a te. Ecco…anche nella stupidità più nera mi rendo conto che sono tuo. Posso urlare quanto mi pare ma la legge dell'anima resterà questa. 

Judith poggiò la testa tra la spalla e il colletto della giacca dello sposo.

-         Invece , François , io ho la pessima abitudine di scappare dalle battaglie…Temo di non sapere impugnare le armi e perciò le lascio cadere credendo che sia inutile. Anche le corazze mi spaventano perché le trovo opprimenti e impediscono di camminare. Posso provare a dare fuoco per prima e ci riesco ma dopo,  per tanto tempo , mi gelo. Io non ho avuto abbastanza forza per cavarti sempre fuori dai fossati in cui ti infilavi. Sai quanto odio dormire da sola…ho avuto il terrore, per molte notti, di trovarmi in un mausoleo funebre …col pensiero poi della culla delle nostre bambine che sta chiusa in soffitta…

François scrollò la sposa stringendola a sé contro la stoffa calda.

-         Ci sarà una nuova culla, Judith. Me l’hai scritto nell’ultima lettera, ricordi? Sarà così perché ti vedo diversa. Guarda, il tuo volto è ancora più bello…I tuoi occhi sono forti e si muovono come acqua corrente..Sento che mi saprai sfidare a duello meglio di prima, qualunque cosa possa accadere…Sei la mia luna. La mia splendida luna.

Lei gli accarezzò il viso rimirando le iridi blu aggrappate tra le ciglia nere e le forti palpebre.

-         La nostra camera è quella che guarda a est, voltata verso il mare. Io l’ho sempre adorata perché, quando eri via,  almeno potevo immaginare il tuo sguardo. Sia di notte che di giorno, il colore delle onde cambia ma rimane lì, a vegliarmi da lontano…

Vennero interrotti da un palpito di zoccoli e polvere arrotolata: una carrozza con due cavalli marroni si avvicinò giungendo davanti le scuderie.
Scesero un uomo alto, magro e distinto con una donna vestita di lilla e un bambino dai capelli rossissimi. 
Judith e François  chiamarono Cosimo , Oriane e il piccolo Samuele che salutarono con caloroso entusiasmo.

 

 

***§***

 

 Nella sala da pranzo , dalle pareti bianche che intonavano un’eco agreste e greca, sfavillava una magnifica tavolata. Era un topazio istoriato dalle lamelle d’argento dei piatti d’ostriche, imporporato dalla calda freschezza rubino del vitello rosolato e puntinato dai vassoi dei formaggi agrodolci.
I conti della Seigne non erano sperperatori di opulenze, ma si premuravano che la gastronomia di casa offrisse prodotti di alta qualità. Dai frutti di mare pescati dal gustoso furore dell'oceano agli animali allevati nel pregiato clima salmastro dei pascoli costieri: c’era da perdersi in quel tempio sugoso di profumi forti, dolci e gioiosi. Grégoire ci teneva a far pervenire da Neufchatel-en-Brain, l’omonimo cacio d’antica tradizione normanna. Il particolare gusto farinoso si sposava con l’innaffiatura amarognola e fine del sidro.   

-         Prego , signori! – invitò il padrone sollevando la brocca di ceramica-  È d’obbligo per il palato e la gola questo nettare di famiglia.

-         Ormai le nostre cantine a Napoli rischiano di esser popolate più da bottiglie di sidro che vino!  Ci manca soltanto una coltivazione di meli sul nostro terrazzo per ottenere i giardini pensili di Babilonia!

-         Oh ,Cosimo! – accusò  Oriane - Dovremmo tornare qui durante la bella stagione! Da noi in Italia non esistono questi tesori di coltivazioni…tu cerchi di rifilarmi , ogni domenica,quel dannato amaro alla rucola dal sapore di medicinale per tosse!

-         Suvvia , cara…sai che sono un amante delle tradizioni d’Ischia ma non per questo disdegno i sapori della Normandia, anzi…

Il marito , ricevendo la brocca dal suocero , la pose alla sua signora mentre Samuele seduto  in mezzo odorava il transito dell’aroma dolce e pungente.

-         Questo sidro è un’antica lavorazione che rende il gusto più fermo e dolce – accennò Grégoire.

-     Non vedevo l’ora di tornare a berlo – dichiarò François sorridendo -   Se non sbaglio penso di averlo assaggiato la prima volta proprio da voi quando ero ragazzo.

-         Sì – confermò la sposa seduta affianco -  quella primavera in cui venisti con tuo padre e tuo fratello.

-         Già…la fioritura dei meli…uno spettacolo favoloso. Facevamo passeggiate lunghissime.

-         I fiori degli alberi sono molto belli. Sembrano rosa acceso quando sono chiusi , quasi provino vergogna , e poi aprono la corolla che è bianchissima.

-         Da piccole costruivamo delle coroncine – ricordò Oriane che stava di fronte alla sorella dalla parte opposta del tavolo -  Te ne feci una molto bella, Judith…sarebbe stata perfetta abbinata agli orecchini che hai ora.

-         Li ho da parecchio tempo. Me li regalasti tu, François, all’inizio del nostro fidanzamento.

Il generale annuì rimembrando, per un breve istante, un pomeriggio in cui l’aveva portata ad ammirare le coltivazioni costiere: lei sedeva sul dorso di un cavallo che lui conduceva per le briglie facendosi strada tra le piante.  Una bellissima giornata specialmente durante l’attimo in cui la fanciulla , nello scendere in modo scorretto dalla sella, capitombolò tra le sue braccia che prontamente s’erano preparate ad afferrarla.

-         Helene! – rimproverò la contessa Bénédicte, imperiosa a capo del tavolo –Rischiavi di rovesciare il dolce!

-         Perdonatemi, signora!

La cameriera arrossì costernata : era una ventiseienne minuta e pallida, dai capelli neri legati in  una treccia  e
dalla bocca piccola travolta bruscamente dall’incandescenza delle guance.

-   Madame – giustificò Damian che stava aiutando a portare i piatti –lo sconsiderato sono io che ho involontariamente intralciato la ragazza. Sono grande e ingombrante.

-      D’accordo, ho compreso – concluse scabra la padrona – l’importante è che stiate attenti. Per cortesia giacché è stato servito il tortino di mele  portate anche il calvados.

Mentre si allontanavano verso le cucine , l’imponente uomo  strizzò l’occhio alla ragazza che sorrise con pudore mettendosi la mano sulla bocca.

-         Ti sei ricordata bene, cara – aggiunse Grégoire -  non può mancare questo assaggio prima del dessert. è come una goccia di fiamma dolce in gola.

-         No, papà – rise Judith – credo proprio che rinuncio. Non sono abituata a finire neppure un intero bicchiere di vino!

-         Io ne prendo solo una goccia – disse Bénédicte che assaggiava sempre il sidro con estrema moderazione– per tener fede alla nostra tradizione.

-         Non preoccuparti papà – gioì Oriane – io non persisto mai al Calvados. Mi auguro che non ti comporterai da taccagno se domando una bottiglietta da portarmi a casa.

-         Puoi stare tranquilla, figliola – sorrise il padre – io sono sempre orgoglioso di saperti ottima degustatrice dei nostri prodotti.

-         E la nostre collezione di bevande normanne si allarga sempre di più – scherzò Cosimo – sentiremo odore di mele anche prima di entrare in casa.

-         Se tu importi casse di liquore rucoloso , io lo faccio col sidro e il calvados.

-         Povero rucolino! Sempre con lui, ce l’hai!

Damian portò la bottiglia dell'acquavite con i bicchierini di cristallo intanto che Helene  serviva,  da un vassoio ,  ciotole di caramello ricavato dallo zucchero di mela.
Samuele puntò , bramoso, quelle delizie morbide arancio brillante  cominciando a fare vivaci cenni prima alla madre  e poi al padre.

-         Tranquillo – rimbrottò Oriane -  nessuno ruba la tua parte! Non fare la scimmia…c’è prima la torta.

-         Ma – bofonchiò il bimbo – a me piace prima il caramello….

-       Suele – mormorò il padre mescolando francese a incrinature partenopee – una cosa per volta e in piccole parti! Visto che l’altro giorno hai avuto mal di pancia?

Imbronciato il figlioletto tracciò col dito ghirigori immaginari sulla tovaglia.  

-         Posso avere un altro po’ di succo di mela?

-         Certo, piccolo – s’accinse il nonno a prendere un’altra piccola caraffa di ceramica.

-         No, papà – lo fermò Oriane – così si abitua troppo alle cose zuccherate. Va bene assaggiare tutto ma non troppo.

-         Ma – oppose dispiaciuto l’uomo – mi sembra che abbia soltanto bevuto un bicchiere.

-         Effettivamente sarebbe meglio che il bambino non toccasse neppure il caramello – ammonì la nonna – la torta è bella buona Samuele, vedrai che già con quella sarai pieno.

Il nipote , intimidito,  posò supplicante lo sguardo sulle tazze che tenevano in pugno l’invitante e soleggiata sostanza d’ambra.

-         Samuele può mangiare un pochino di torta e un pochino di caramello – puntualizzò la madre.

-       Una fetta di torta è sostanziosa – predicò la contessa – se il piccino prende sia l’uno che l’altro potrebbe sentirsi di nuovo poco bene come diceva tuo marito.

La figlia minore cominciò a percepire aria di tensione: la madre e la sorella facevano molte volte attrito tra loro. Numerose erano state le discussioni specialmente durante l’adolescenza quando Oriane aveva fatto divampare a meglio il proprio spirito ribelle…

-         Madre, controlliamo che Samuele possa abituarsi a mangiare con noi a tavola senza strafare. Ha avuto la sua porzione di primo e secondo e ora può assaggiare il dolce.

-         E dopo tanti assaggi di tal genere che è stato costretto a letto.

-         L’altra volta – ribatté l’altra sull’orlo dell’irritazione – ha combinato pasticci con  accostamenti di cibo che gli hanno colpito lo stomaco!

-         I nonni si preoccupano per i nipotini – sospese la diatriba Judith – può succedere che  non si sappia  quali alimenti diano fastidio ai più piccoli.

Nonostante fosse una quisquilia, Bénédicte doveva trovare il minimo pretesto per criticare la figlia più grande. Dopo le tempeste rischiose della giovinezza, la donna si portava appresso l’ombra di una diffidenza  accusatrice: un po’ per orgoglio ma soprattutto perché temeva chissà quali errori potessero nuocere alla famiglia.

        -        
Per fortuna che Samuele mostra appetito -  fece calmo Grégoire – è giusto che il suo palato si adegui piano                piano a ogni cosa.

-         Sta volta si è regolato bene – osservò Cosimo – può prendere la sua parte di dolce tranquillamente…e poi è l’occasione del ritorno dello zio François.

-        Io più di una volta mi sono sentito male da bambino – ammise lui – perché avevo l’abitudine di andare a mangiare di nascosto i biscotti al miele. Infatti mai mi sono scordato quei bei momenti di traballamenti intestinali.

Dopo una risata corale ( anche se più che ridere Bénédicte accennò un sorriso) si mescé il calvados nei bicchieri che vibrarono ondeggiamenti cristallini.
Dalla cucina provennero,  ad un tratto , una cacofonia grossa e argillosa e improperi della cuoca e dei camerieri: Serge aveva fatto cadere due barattoli di confettura di mele dando prova della sua leggiadra destrezza.

 

 

 

 

Note personali:

il secondo capitolo l’ho concluso con la parte Un proiettile nella mente . All’inizio tutta questa scena doveva essere l’ultima parte del capitolo secondo ma poi ho deciso che ormai sanciva un’altra fase degli eventi.Ed eccoci ad aver fatto conoscenza della casa di Le Heavre, dei genitori di Judith….c’è un ambiente di serenità e tranquillità a differenza di quello che si avvertiva con Jean Antoine…ho desiderato introdurre i caratteri differenti di Grègoire e di Bénedicte , una coppia veramente particolare, due poli opposti...Sono riapparsi Oriane, Cosimo e il piccolo Samuele…mi auguro di aver descritto in modo decente le dinamiche famigliari…Naturalmente i nostri François e Judith si sono ritrovati con la voglia di andare avanti e con rinnovata forza nonostante i tristi eventi passati..

È apparso un altro servo Damian, connesso anche col passato del protagonista, insomma un altro elemento che ci racconterà più avanti di più sui de Jarjayes !
L’ultima parte del III cap ( la più lunga) , vi posso garantire con certezza che sarà postata tra lunedì 8 maggio o martedì 9….

Ci sono novità per il quarto capitolo! Praticamente le prime due parti le avevo già completate da un pezzo ….quindi ci saranno ulteriori aggiornamenti il 16 maggio, il 31 maggio …l’ultimo sarà probabilmente a metà giugno perché lo devo revisionare da cima a fondo e apportare modifiche…

Col capitolo 4 si conclude il LIBRO PRIMO. I leoni della corone NON sarà una saga ma un romanzo unico suddiviso in più libri che rappresentano le fasi della vita dei personaggi. Ho deciso quindi che il libro secondo sarà dedicato all’infanzia di Oscar e André, il terzo all’adolescenza, il quarto all’età adulta + epilogo^^
Vi ringrazio umilmente per la pazienza!!
Un salutone!

 

 

 

 

   
 
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