Il giorno dopo la scommessa...
Shikadai tornava
da una noiosa lezione in accademia durante la quale non aveva fatto altro che
dormire perché, a suo parere, le lezioni del professore Shino erano
noiosissime. Lui odiava le spiegazioni, i professori, stare in classe dove gli
altri ragazzi non facevano altro che schiamazzare. L’unica cosa che voleva
davvero fare era starsene sdraiato da qualche parte a guardare le nuvole,
proprio come faceva suo padre quando sua madre non lo vedeva.
E sarebbe
stato quello il suo obiettivo finale, se solo una bambina dai capelli blu notte
e gli occhi azzurro cielo non stesse correndo dalla sua parte, con un mazzo di
girasoli in mano.
“Shika!
Shika, aiutami!”
Si fermò
davanti a lui col fiato che le mancava, i capelli tutti spettinati dalla folle
corsa e i girasoli sbattuti di qua e di là. Himawari era per Shikadai una gran
seccatura, specie quando gli sorrideva. Ma in quel momento, Himawari non
sorrideva e non era sprizzante come al solito. Si guardava intorno in modo
ansioso, come se da un momento all’altro potesse succedere una catastrofe.
“Si può
sapere che ti prende?”
“C’è un
bambino che non fa altro che seguirmi e dirmi di mettermi con lui! Mi ha
seguito fino al negozio di fiori della mamma di Inojin e mi sta seguendo ancora
a-…”
“Himawari,
raggio di sole, dove sei?”
Himawari
divenne una statua di sale, bloccandosi sul posto, incapace di muovere un solo
muscolo. Aveva conosciuto quel bambino al parco giochi, e da quel momento era
stata la sua ossessione. La seguiva praticamente ovunque, facendosi trovare casualmente
sempre dove si trovava la bambina. Poteva avere l’età di suo fratello, forse
Boruto lo conosceva, ma a lei non andava a genio. Va bene essere gentili,
disponibili e giocare insieme, ma quando Himawari diceva una cosa era quella.
Glielo aveva detto centinaia di volte che non voleva mettersi con lui, che lei
non ci pensava proprio ai ragazzi, ma quel bambino non capiva.
Shikadai
vide la scena, in cui Himawari lo guardava terrorizzata e un bambino correva verso
di loro, e qualcosa scattò in lui. Forse perché aveva puntato Himawari, che era
la seccatura di Shikadai, o forse per il fatto che Himawari potesse cedere al
fascino di quel bambino, o peggio ancora: dargli il suo primo bacio.
Le donne sono proprio una
seccatura, come dice papà!
Ma a
dispetto del suo pensiero, il suo corpo agì in modo diverso. Si avvicinò a
Himawari, cingendole le spalle con un braccio e l’avvicinò a sé, poggiando le
sue labbra su quelle di lei.
Cosa sto facendo?!
Aveva
chiuso gli occhi mentre compiva questo gesto, non vedendo lo sguardo sgranato
di lei o lo sguardo di fuoco del bambino.
“Hey, tu!
Cosa stai facendo a Himawari? Lasciala subito!”
Shikadai
si staccò dalle labbra di Himawari col cuore che batteva troppo veloce per i
suoi gusti, mentre una strana sensazione attanagliava il suo corpo. Cosa gli
stava succedendo? Perché sì sentiva così strano?
Poi guardò
quel bambino e gli sorrise spavaldo.
“Guarda
che Himawari è la mia ragazza, la mia seccatura. Quindi vedi di
starle lontano.”
Cosa ho appena detto…
Si stupì
da solo per ciò che ha detto un momento prima, e come lui, anche gli altri due
bambini. Il bambino lo guardò, stringendo i pugni ai lati del corpo.
“Tanto
riuscirò a mettermi con lei. Himawari diventerà la mia ragazza.”
E dopo
aver detto queste parole se ne andò via, correndo veloce.
A Shikadai
diedero fastidio quelle parole.
Ecco, lo sapevo. Perché Himawari
deve essere sempre una seccatura? Non può essere nella norma e non piacere a
nessuno? Ci mancava solo questo bambino che le fa la corte insieme a I-…
“Shika…
perché mi hai baciata?”
Himawari
parlava piano, le parole sussurrate per paura che qualcuno, oltre lui, le
sentisse, e Shikadai non seppe che cosa dirle. Non riusciva nemmeno a guardarla
tanto era l’imbarazzo per il suo gesto! Come glielo spiegava, adesso? Come si
levava dal casino in cui si era cacciato da solo?
“Perché
così quel bambino non ti importunerà più.”
Era stata
una risposta diplomatica, una risposta di cui andare fieri, perché non le
avrebbe mai e poi mai potuto dire che era geloso marcio che qualcuno le si
avvicinasse.
Ma quella
risposta non piacque a Himawari. La irritò talmente tanto che stampò al povero
Shikadai una bella cinquina.
“Non si
baciano le persone se non le si vuole bene!”
Rossa in
viso per la rabbia e l’imbarazzo, si allontanò da Shikadai, completamente colto
alla sprovvista. Poteva essere intelligente, avere un Q.I. uguale a suo padre,
ma quando si trattava di Himawari diventava un’altra persona.
Ed io che pensavo di aver fatto e
detto la cosa giusta.
“Seccatura”
borbottò a denti stretti.
Sbuffò e
si diresse a casa, maledicendosi per quello che aveva detto. Suo padre glielo
aveva detto quando aveva tre anni e gli stava facendo fare il bagno. Glielo
aveva detto che, nell’istante in cui avesse trovato una seccatura, la sua vita
sarebbe cambiata drasticamente. Lui non ci credeva. Chiamava Himawari seccatura
senza rendersi conto di quello che provava, e adesso che l’aveva baciata, le
cose si erano drasticamente complicate. Come si sarebbe dovuto comportare con
lei? Perché le aveva detto tutte quelle cose? E lei? Lo avrebbe evitato?
“Che
seccatura tutto questo!”
Sbottò calciando
un sasso, per poi fermarsi qualche passo dopo. Davanti a lui c’era suo padre
che tornava a casa. L’Hokage doveva averlo mandato a casa viste le occhiaie che
si ritrovava.
“Che cosa
stai facendo?”
“Torno a
casa come te, pa’, non vedi?”
Shikadai
poteva anche essere uguale a suo padre, ma certi comportamenti, certe
espressioni erano proprio da Temari, sua madre, e la cosa non sfuggì mica al
capo clan Nara, che squadrò suo figlio dalla testa ai piedi.
Lo aspettò
e si diressero insieme verso casa. Shikadai non era mai stato un bambino
espansivo, chiacchierone o quant’altro, ma quel broncio era troppo evidente,
come anche quegli sbuffi. Ecco perché, una volta a casa, Shikamaru prese la
scacchiera degli shoji e la posizionò davanti a suo figlio. Era un appuntamento
abituale, un rituale che si doveva fare ogni sera. Così, una volta con la
scacchiera davanti, Shikamaru diede i bianchi a suo figlio, facendolo iniziare
per primo.
“In
Accademia?”
“Tutto ok,
sempre noiosa.”
Prima pedina
di Shikadai fatta fuori.
“Cosa ti è
successo?”
“Nulla.”
Seconda pedina
di Shikadai fatta fuori.
“Non ti
stai concentrando.”
“Come ti
sei conosciuto con la mamma?”
Prima pedina
di Shikamaru fatta fuori.
La domanda
aveva colto Shikamaru di sorpresa. Perché suo figlio voleva sapere come si era
conosciuto con quella seccatura di sua moglie?
“E perché
vorresti saperlo?”
“Giusto
per capire come non fare il tuo stesso identico errore in fatto di donne.”
Shikadai era
tremendo quando diceva quelle cose. Diceva seccatura anche a sua madre quando
lo obbligava a fare qualcosa che non voleva fare ma, puntualmente, le faceva. Forse
era merito di quel ventaglio maledetto che Temari si portava sempre dietro.
Come faccio a farmi dire da papà
come si è conosciuto con la mamma?
“Ci siamo
visti la prima volta all’esame dei chuunin. Tua madre era così orgogliosa alla
terza prova contro di me. Avevo utilizzato la tecnica dell’ombra per
immobilizzarla e volevo anche batterla, ma era tutta una tremenda seccatura e
la feci vincere, ritirandomi. Ma, sorprendentemente, venni promosso anche io.”
“Ti hanno
promosso perché non volevano vederti piangere, crybaby.”
Non avevano
sentito Temari entrare in casa, facendoli sobbalzare dai loro posti. Quella seccatura
era anche silenziosa come un gatto quando voleva.
“E poi, io
sono e sarò sempre più forte di te, Nara. Vogliamo parlare delle innumerevoli
volte che ti ho salvato la vita?”
Shikadai vide
suo padre alzare gli occhi al cielo e muovere le labbra, leggendo un “seccatura”.
“Seccatura,
cosa c’è per cena?”
Quando suo
padre faceva così, voleva dire che era troppo stanco per parlare o anche solo
litigare con la mamma. Perché l’Hokage lo riempiva di lavoro? Ma pensare all’Hokage
equivaleva anche pensare a Himawari, visto che Naruto era il padre di quella
mocciosa che aveva baciato solo qualche ora prima. E meno male che l’aveva
visto solo quel bambino. Se qualche vicina spiona avesse visto la scena, sua
madre lo avrebbe come minimo scuoiato vivo.
“Apparecchiate
la tavola invece di poltrire.”
Il generale
Sabaku no non ammetteva ribellioni, domande o ammutinamenti, pena l’andata a
letto senza cena. Così i due Nara, alzarono il loro pigro deretano, lasciando
la scacchiera ed i pezzi a metà partita e andarono ad apparecchiare, per poi
sedersi a mangiare qualche minuto dopo.
Si cenò in
assoluto silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Shikadai rispose anche a
monosillabi alle domande della madre e se ne andò in camera da letto, o per lo
meno, fece finta di andare in camera sua.
Perché in
realtà tutto ciò che fece, fu mettersi nascosto nelle scale, ad osservare i
suoi genitori. Non lo aveva mai fatto, e sicuramente non lo avrebbe mai fatto,
se non per quella stupida sfida accettata da tutti. Così si mise ad osservare i
suoi genitori. Sua madre lavava i piatti e suo padre la guardava.
“Hai
intenzione di guardarmi o ti degni di darmi una mano? Guarda che non sei l’unico
ad essere stanco.”
Shikamaru le
si avvicinò, le passo un braccio sulle spalle, girandola, e la baciò.
“Sei una
seccatura. Non puoi lavarli domani e andiamo a riposarci?”
E meraviglia
delle meraviglie, sua madre invece di inveire, finì di lavare l’ultimo piatto,
lo posò, pronto per essere asciugato e, girandosi, schizzò suo padre con l’acqua
che aveva tra le mani.
“Ti abbono
l’asciugatura dei piatti, ma solo per questa volta Nara.”
“Tu…!”
Vide il
padre caricarsi di peso la madre sulle spalle e cominciare a ad incamminarsi
verso le scale. Velocemente, Shikadai si chiuse in camera sua, prima di esser
visto dai genitori, chiudendosi la porta alle spalle. Si appoggiò con la
schiena contro il freddo legno della porta, mentre due risposte gli balenavano
insistentemente nella testa.
Sarà più difficile del previsto
scoprire la storia dei miei.
Credo di essere appena stato
colpito, anche io, dalla
maledizione dei Nara.