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Autore: Kary91    30/04/2017    4 recensioni
[Long Fiction | Jace!centric | Jace & Alec (bromance) | What-if? di "Città delle Anime Perdute"]
Ci troviamo verso la fine di Città di Anime Perdute e qualcosa di sostanziale cambia, durante la battaglia fra Shadowhunters e Ottenebrati: Alec viene ucciso da Sebastian, sotto lo sguardo impassibile di un Jace schiavo della volontà di quest'ultimo.
Sei mesi dopo, Jace è finalmente libero dal condizionamento di Sebastian, ma non è più se stesso. Devastato dai sensi di colpa e dal dolore per la perdita del suo parabatai , è ossessionato dall’idea di riportare in vita Alec.
Troverà un modo: una strada che nessuno ha mai nemmeno pensato di intraprendere e che probabilmente gli costerà la vita. Un viaggio che rischia di scardinare l’equilibrio dei Regni Celesti – dove vivono gli angeli e le anime di chi non c'è più.
Ma quando Jace Herondale vuole qualcosa nemmeno Raziel in persona può impedirgli di ottenerla. Soprattutto se quel qualcosa è la vita di suo fratello.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Jace Lightwood, James Carstairs, Kieran, Magnus Bane
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A thousand times over;'
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6 | Whither thou goest (I will go);

«Non lasciare che sia qualcun altro a dirti chi sei. Tu sei la fiamma che non può essere estinta.

Sei la stella che non si può smarrire. Sei chi sei sempre stato, e questo basta e avanza.»

James Carstairs Le Cronache dell’Accademia. Cassandra Clare

 

Quando Jace si svegliò rimase sorpreso, accorgendosi che aveva smesso di tremare.

Si alzò sui gomiti, cercando di non fare perno sui punti in cui era ferito; qualcosa di morbido e pesante gli cadde dalle spalle, lasciandogli esposto il torace nudo. Era una coperta magica, di quelle che usavano le fate. Doveva averci dormito dentro per almeno qualche ora, perché l’intorpidimento dovuto al freddo era cessato.

 

Si chiese da dove arrivasse: la maggior parte dei suoi compagni lo detestava – l’aggressione della sera prima ne era la prova – e perfino i pochi che lo tolleravano non si sarebbero privati di qualcosa di così prezioso.

 

Ma forse c’era un’eccezione: ne ebbe la conferma quando riconobbe i passi leggeri di Kieran alle sue spalle.


Il principe Unseelie si accovacciò al suo fianco, l’occhio più chiaro nascosto da una ciocca di capelli blu.

 

“Bevi” ordinò, porgendogli dell’acqua.

 

Jace accettò la borraccia senza protestare. Mentre beveva, il suo sguardo ricadde sul fuoco che scoppiettava in lontananza: le fiamme proiettavano ombre distorte sui cacciatori che gli riposavano intorno.

 

Una smorfia di dolore gli contrasse i lineamenti, mentre stendeva il braccio per restituire la borraccia. Non aveva più freddo, ma le ferite gli pulsavano ancora.

 

Kieran gli sfiorò una spalla.

 

Credo che fra la tua gente esistano rune capaci di guarire[1]” osservò, indicando un’escoriazione che gli attraversava la clavicola.

 

Jace azzardò un sorriso obliquo.


“Solo se hai qualcosa con cui disegnarle” replicò, frugandosi nelle tasche ed estraendo ciò che rimaneva del suo stilo: due estremità affilate e perfettamente inutili. “Qualcosa di intero, magari.”.

 

Kieran annuì: aveva lo sguardo distante di chi ha la mente impegnata in riflessioni tutte sue.

 

“La neve ha aiutato” mormorò dopo qualche istante. “A Nord di qui c’è una sorgente con dei poteri curativi” aggiunse, fissandolo con intensità: l’occhio argentato brillava come adamas. “Ma è oltre i confini del Santuario. Noi della Caccia non possiamo accedervi.”

 

Jace lo squadrò guardingo.

 

“Che intendi dire per Santuario?” chiese, guardandosi intorno: si trovavano in cima a una collina e il paesaggio era spoglio e innevato. Tuttavia, guardando in basso, si accorse che erano circondati dal verde. Una striscia di brughiera separava l’altura da una zona più rigogliosa, che ospitava un boschetto di abeti. Il paesaggio sottostante era tagliato in due da un fiume e, in lontananza, il sole era alto nel cielo, nonostante sulla collina l’alba fosse appena spuntata.

 

Era come se il circondario si fosse diviso in due: da una parte nevicava e il mattino stava ancora sorgendo. Sotto la collina, invece, il paesaggio ricordava più quello di un tiepido pomeriggio primaverile.

 

Il principe indicò la brughiera con un cenno del capo.

 

“Quella è la terra sotto la collina” rispose, giocherellando con la punta di freccia che portava al collo. “La dimora dei teneri e dei cuori nuovi: nessuno vi invecchia, né conosce dolore e stenti.”[2]

Jace si sentì attraversare da un brivido: ricordò le parole di Jem Carstairs a proposito di Annwn.

 

Alcune leggende lo descrivono come un luogo fertile e dal clima sempre sereno, dove le persone non invecchiano, il cibo abbonda e le malattie non esistono.

 

“I viventi non possono attraversarla” proseguì Kieran, “Ma i membri della Caccia hanno il permesso di sostare nella brughiera, che noi chiamiamo Santuario. Lì, le protezioni Angeliche non hanno effetto. Possiamo percorrerla per trovare anime erranti, affinché si uniscano al nostro esercito.”

Jace processò ogni parola con attenzione, affamato d’informazioni. Per la prima volta si chiese quanto tempo fosse trascorso dalla sua partenza: gli sembrava di essere in viaggio da mesi, e il fatto di trovarsi così vicino alla terra sotto la collina lo confermava, ma sapeva anche che il tempo scorreva in maniera diversa quando si cavalcava con la Caccia.

I suoi pensieri si spostarono verso Clary e il senso di colpa lo travolse.

C’erano giorni in cui la sua mancanza si faceva così acuta da ricordargli che in fondo era ancora uno Shadowhunter. La natura selvaggia della Caccia, tuttavia, tornava in fretta a prendere il sopravvento.

 

“Quindi è questa, Annwn…” annunciò, fasciandosi il torace con le braccia: aveva ripreso a nevicare. “… La prima Dimensione Angelica.”

Kieran sorrise.

“La chiamano in tanti modi” ammise, tornando a toccare il ciondolo a forma di freccia. “La parola Annwn deriva dalla mitologia Mondana: secondo i Gallesi, la porta per accedervi è nascosta presso le sorgenti del fiume Severn.”

“Ed è così?” lo interrogò Jace, pur conoscendo già la risposta.

Il principe scosse la testa.

“No, ma non erano lontani dalla verità: il portale che regola l’accesso alle Dimensioni Celesti si trova davvero sotto un fiume.”

Indicò ancora il paesaggio sottostante, soffermandosi sul corso d’acqua che lo divideva a metà.

“Ma se un vivente cercasse di attraversarlo morirebbe sul colpo.”

Un sorriso arrogante si arrampicò sulle labbra di Jace.

“Beh, io non sono un vivente qualunque” commentò, lo sguardo terso di determinazione. La stanchezza, il dolore e lo sconforto del giorno prima sembravano scomparsi.

Piegò in quattro la coperta e la porse a Kieran.

“Questa è tua” affermò, prima di recuperare da terra la maglietta macchiata di sangue. “Perché mi hai aiutato? Di questi tempi le fate preferirebbero beccarsi la sifilide demoniaca, piuttosto che avere a che fare con uno Shadowhunter.”

Il principe Unseelie rimase in silenzio per qualche istante; i suoi capelli sembravano più chiari, adesso – di un blu slavato, che ricordava l’alba sopra di loro.

“Ti ho sentito parlare, ieri sera” rivelò infine, piegandosi la coperta sul braccio. “Continuavi a ripetere un nome e più mormoravi, meno tremavi: chiunque stessi invocando ti stava aiutando a superare il dolore.”

S’interruppe – il suo sguardo, nuovamente distante, abbracciava la terra oltre la brughiera.

“C’è un motivo se hai scelto di unirti alla Caccia” dichiarò infine.

Jace diede una scrollata di spalle.

“Dicono che andarsene in giro per il cielo a derubare i morti sia all’ultimo grido in fatto di moda.”

“Lo fai per amore” replicò Kieran, tornando a fissarlo con intensità.

“Alec non è il mio fidanzato” ribatté Jace, scoccando un’occhiata cauta ai compagni di Caccia: stavano ancora riposando. “È il mio parabatai.”

“C’è differenza?” domandò Kieran, allargando le braccia. Aveva perfino le movenze eleganti dei principi, ma gli abiti consunti e gli occhi bicolore gli conferivano qualcosa di indomito, in contrasto con il suo aspetto regale.

“I parabatai sono compagni d’armi” spiegò Jace, inarcando un sopracciglio. Immaginò che i membri del popolo fatato fossero piuttosto estranei ai rituali Nephilim. “Sono legati l’uno all’altro da un giuramento, votati a proteggersi fino alla morte. In battaglia, i loro cuori battono all’unisono” aggiunse, ricordando di aver detto qualcosa di simile a Clary, una volta. “Quando uno dei due muore…

Il dolore lo punzecchiò con insistenza. Si toccò la clavicola, cercando la cicatrice della sua runa. “…Parte dell’altro muore assieme a lui.[3] È come se la tua anima venisse strappata a metà, come se un pezzo di te smettesse di funzionare.”

Kieran lo ascoltava attento, ignorando i fiocchi di neve che avevano preso a depositarsi sulla sua tunica.

“E questo non è amore?”

Jace tornò a stringersi nelle spalle.

“Non nel senso romantico del termine. Hai dei fratelli?”

Kieran annuì.

“Nessuno con i quali andassi d’accordo.”

Jace ripensò alla crudeltà con cui i suoi famigliari l’avevano venduto alla Caccia. Tutto a un tratto provò compassione per lui; si chiese se qualcuno gli avesse mai serbato l’affetto incondizionato che provava per Alec e Izzy.

“Diciamo che non ho mai immaginato di rotolarmi fra le lenzuola assieme a lui” tentò di spiegare, sorridendo malandrino. “Cosa che invece farei volentieri con Clary, se solo fosse qui.”

Ancora una volta, il dolore lo travolse: erano giorni che non pensava così spesso a Clary. Settimane, forse, che non soffriva così tanto al pensiero di averla lasciata andare.

 

Forse quella consapevolezza dipendeva dalla sua vicinanza ai Regni Celesti: non erano mai stati così lontani l’uno dall’altra – nemmeno prima di essersi conosciuti.

 

“Quindi si tratta di una questione carnale?” chiese Kieran, restando impassibile. Sembrava sinceramente incuriosito da quella conversazione. “Noi fate preferiamo la fedeltà del cuore a quella del corpo, ma per voi umani è spesso il contrario: vi concedete fisicamente a una persona sola e siete convinti di essere nel giusto anche se il vostro cuore è diviso in due. Non lo concepisco” ammise, prima di scuotere appena la testa. “Ma in fondo, suppongo che nessuno sappia davvero cosa sia l’amore.”[4]

 

“Tu cosa pensi che sia?” lo interrogò Jace, aguzzando lo sguardo per frugare il fiume: a quella distanza era impossibile scorgerne la sorgente, ma sapeva che era lì che doveva dirigersi.

 

Kieran sorrise; per un istante ricordò un adolescente qualunque, fatta eccezione per i capelli bluastri e le orecchie a punta.  

 

“L’amor che move il sole e l’altre stelle” pronunciò, con la sua voce musicale.

 

Jace gli rivolse un’occhiata sorpresa, ma sorrise a sua volta.

 

“Non sapevo che le fate leggessero Dante.”


“Alla corte Unseelie studiamo molto. Ritengo davvero che l’amore sia questo: – una forza indomabile che spinge chi l’avverte a soverchiare i limiti, a ribaltare i princìpi e l’ordine delle cose. L’amore plasma l’impossibile fino a renderlo reale.”

 

“Ne parli piuttosto bene, per uno che dice di non sapere cosa sia l’amore” osservò Jace, continuando a sorridere.

 

Kieran tornò a fissare le terre oltre la brughiera.

 

“Non so nemmeno cosa accada dopo la morte, ma questo non mi impedisce di avere delle idee a riguardo” rispose, sfilandosi la neve dai capelli. “E a quanto pare non lo impedisce nemmeno a te” aggiunse, affondando le mani nella coperta. “Hai intenzione di ritrovare l’anima del tuo compagno d’armi.”

Jace si limitò ad annuire.

 

“So di poter accedere alle Dimensioni Celesti” rivelò, scoccando un’occhiata cauta ai compagni di intorno al fuoco. “Ho un piano che fa acqua da tutte le parti, ma non m’importa: attraverserò quei cancelli.”

 

Era certo che ce l’avrebbe fatta, perché non aveva scelta.

 

Kieran lo fissò per quella che parve una sequenza interminabile di secondi, prima di annuire.

 

“Hai tre quarti d’ora” lo avvertì, voltandosi verso il falò. “Gwyn vorrà riprendere la Caccia alle sei. Se parti adesso puoi raggiungere la sorgente del fiume prima che gli altri si accorgano della tua assenza: lì troverai i cancelli” aggiunse, sfilandosi la catenella con la punta di freccia.

 

“Prendi questa” aggiunse, mettendogliela nel pugno. “Non sarà un arco, ma all’occorrenza può trasformarsi in un’ottima arma.”

 

Jace ricambiò il suo sguardo con gratitudine, stringendo le dita intorno al ciondolo.

 

“Non so cosa accadrà una volta attraversato quei cancelli” dichiarò, legandoselo al collo. “Ma una cosa è certa: sarò ancora in debito con te.”

 

Kieran scosse la testa.

 

“Sei fortunato, Jace Herondale” mormorò, sfiorandogli una guancia: aveva le dita stranamente calde, nonostante tutto quel freddo. “Conosci il nome del tuo cuore. Quelli come te non si perdono mai veramente: possono sempre richiamarlo e farlo tornare a casa.[5]

 

La luce della determinazione tornò ad accendere lo sguardo di Jace.

 

“Non tornerò a casa” rispose, prima di battersi una mano sulla coscia: il suo destriero riconobbe il suono e gli trottò incontro, pronto a rimettersi in marcia. “Ma Alec forse sì.”

 

*

Jace azzardò un passo in direzione dei primi alberi: la brughiera terminava in quel punto e con essa il Santuario.

Stando alle parole di Kieran, per i viventi era impossibile accedere al boschetto che costeggiava il fiume Annwn. Jace capì che aveva detto la verità quando il suo destriero incominciò a scalpitare, scuotendo innervosito la testa. Cercò di farlo avanzare, ma senza successo: sembrava trattenuto da una forza invisibile.

Jace gli sussurrò qualche parola all’orecchio per calmarlo e lo salutò con una carezza sul muso, prima di riprendere il cammino.

Superò i primi alberi senza che accadesse nulla: i suoi piedi procedettero senza impedimenti, guidandolo verso il rumore del fiume. La sua pelle incominciò a irradiare un bagliore insolito, che sembrava provenire dal fuoco celeste. Immaginò che fosse quello a consentirgli di andare avanti: le fiamme del paradiso avevano ingannato le protezioni degli angeli, nascondendo la sua umanità.

Impiegò più di un’ora a raggiungere il fiume, ma gli bastò uno sguardo per intuire che non era un corso d’acqua qualunque. La sua superficie era lucida come uno specchio, di un argento che ricordava il metallo fuso. Quando Jace si chinò per toccarla, una nuvola di vapore bianco si sollevò, avviluppandogli il braccio. Il ragazzo avvertì un pizzicore piacevole dalle dita alla spalla e un fresco improvviso, poi il vapore svanì. Quando tirò fuori la mano dall’acqua, si accorse che i tagli e gli ematomi superficiali erano svaniti. Quelli più profondi si erano cicatrizzati e perfino il dolore se ne era andato.

“Però!” mormorò fra sé, non riuscendo a trattenere un sorrisetto. “Com’è che le cose più interessanti ve le tenete tutte a casa vostra?” commentò, rivolto agli angeli.

Avrebbe voluto giocare con quell’acqua ancora per un po’, ma sapeva di non poter perdere tempo. I membri della Caccia non potevano proseguire oltre la Brughiera, ma non era da escludere che chiunque governasse Annwn gli fosse alle calcagna.

S’incamminò lungo il fiume, seguendo la direzione indicatagli da Kieran; più proseguiva e più il rumore dell’acqua s’intensificava, come se si trovasse vicino a una cascata. Dovette percorrere ancora un paio di chilometri prima di scoprire la fonte di quello scroscio.

Giunto alla sorgente, Jace sbatté più volte le palpebre, impressionato dalla visione che gli si parò di fronte: il fiume terminava davvero con una cascata, ma invece che rovesciarsi verso il basso l’acqua zampillava all’incontrario, rimbalzando contro il cancello più grande che il ragazzo avesse mai visto.

Fu costretto a inclinare la testa all’indietro per poterlo esaminare meglio: era alto più o meno quanto l’Istituto di New York e sembrava estendersi per almeno una cinquantina di metri. Le merlature avevano un che di gotico e le estremità erano delimitate da colonne sormontate da guglie a spirale. Sembrava fatto di Adamas – celeste e traslucido – e l’acqua che s’infrangeva contro le sue porte rifletteva la luce del sole, facendolo brillare.

Jace lo contemplò immobile per qualche istante, prima di riuscire a distogliere lo sguardo. Un brivido, simile a una scossa, gli percorse la schiena e i peli gli si rizzarono lungo le braccia: c’era qualcosa di quel cancello che gli faceva suonare dentro un campanello d’allarme. Era come se il suo corpo stesse cercando di suggerirgli che lui e quel cancello non erano compatibili e che attraversarlo non sarebbe stata una buona idea.

Inspirò con forza, toccandosi la punta di freccia che portava al collo: quel ciondolo inusuale non lo fece pensare al principe che gliel’aveva donato, ma ad Alec.

“Sei qua dietro, fratello?” mormorò, sollevando la testa per inseguire i contorni del cancello; il rumore dell’acqua scrosciante coprì le sue parole.

Jace infilò le mani in tasca e ne estrasse un foglio sporco di terra: era la runa sconosciuta che aveva disegnato Clary.

“Non che possa farci molto senza stilo…” commentò fra sé, tirando fuori le due estremità che si era portato dietro. Le tenne unite con una mano e provò a incidere una runa sul terreno, ma non funzionò.

Un’idea gli balenò alla mente, strappandogli un sorriso. Si chinò sull’acqua e provò ad immergervi le due metà dello stilo, brandendone una per mano. Ancora una volta il vapore argenteo si sollevò dalla superficie del fiume, ma quando scomparve le due estremità erano ancora separate.

Jace roteò gli occhi, passandosi una mano umida fra i capelli; i graffi che aveva sul volto sparirono, ma non se ne accorse nemmeno.

Tornò a esaminare la runa di Clary, spiegando il foglio sull’erba. Mentre lo lisciava con le mani, notò nuovamente i bagliori emanati dalle sue dita.

Era come se il Fuoco Celeste stesse lottando per emergere, avvertendo la vicinanza con il suo luogo di provenienza.

Jace si guardò le mani: una scintilla di consapevolezza gli illuminò gli occhi.

Lentamente immerse i piedi nell’acqua, puntando a raggiungere la cascata. Il suo cuore batteva con violenza, protestando contro la sua decisione. Anche le sue gambe funzionavano e male: si muovevano a scatti e sembravano stranamente pesanti. Quando infilò la testa sotto il getto d’acqua i suoi muscoli ebbero uno spasmo violento e non smisero di pulsare fino a quando non raggiunse i piedi del cancello. Il suo corpo stava cercando di ribellarsi, come se ogni cellula avesse innescato un principio di autoconservazione e volesse impedirgli di farsi del male.

Jace distese le mani di fronte a sé, la runa di Clary bene a fuoco nella sua testa: gli tremavano le dita. Aveva paura – tutto ciò di cui era fatto gli ordinava di averne – e le certezze che l’avevano guidato fino a quel cancello non gli erano mai sembrate tanto ridicole.

Fece un rapido calcolo, tenendo d’occhio le scintille che gli pulsavano sottopelle: le probabilità di morire sul colpo, toccando quel cancello, si aggiravano intorno al novantacinque per cento.

Sospirò ancora, gli occhi chiusi alla ricerca di concentrazione.

Alec si meritava che combattesse per quel cinque per cento.

Le dita incominciarono a scottargli, mentre si sforzava di guidare tutto il fuoco che aveva in corpo verso le mani.

Dove andrai tu, andrai anch’io” mormorò, riconoscendo il tepore delle fiamme che fuoriuscivano dai suoi palmi. Si appoggiò al cancello e una scossa violenta gli penetrò sottopelle, facendolo gemere dal dolore. Jace non mollò la presa. “Dove morirai tu, morirò anch’io, e vi sarò sepolto…” proseguì a fatica, incominciando a muovere le mani sulle porte.

Incise i contorni della runa con il fuoco, bruciando la superficie di Adamas su cui era appoggiato: incominciò con due tratti brevi in verticale, che poi andò ad appoggiare a una lunga linea orizzontale, curvata verso il fondo.

Quando il disegno terminò, Jace scostò le mani dal cancello e aprì gli occhi – le mani che gli bruciavano.

L’angelo faccia a me questo e anche di peggio…” riprese, respirando a fatica: la runa aveva preso fuoco e una volata di fumo argenteo si era sollevata intorno a lui, troncandogli il respiro.

Si udì uno scricchiolio, poi un tonfo violento: le porte del cancello vibrarono.

Lentamente, incominciarono ad aprirsi.

La terra tremò sotto i piedi del ragazzo, che cadde in avanti, picchiando la testa contro un tratto d’inferriata.

Stordito, cercò di ritrarsi dalle fiamme; il terreno incominciò a sgretolarsi, provocando delle spaccature intorno a lui.

Jace saltò in avanti, aggrappandosi al cancello.

… Se altra cosa che la morte mi separerà da te.”

Il suo sguardo s’insinuò attraverso le porte, e quello che vide lo riempì di orrore: oltre ai cancelli il vuoto si estendeva in ogni direzione, come un massiccio buco nero.

Cercò di tornare indietro, ma il terreno continuava a spaccarsi, creandogli attorno delle voragini.

Il fuoco divampò all’improvviso, accecandolo.

Uno strattone improvviso lo spinse in avanti.

Jace venne risucchiato dal vuoto.

 

*

Alec aprì gli occhi di scatto, alzandosi a sedere.

La serra in cui si era addormentato la sera precedente era scomparsa, così come le altre stanze dell’Istituto; adesso si trovava in riva a un lago e le prime luci dell’alba ne accarezzavano timidamente la superficie. Non era un luogo sconosciuto; ad Alec ricordava il lago vicino alla fattoria di Luke. Max dormicchiava al suo fianco, il fumetto aperto sulla pancia e gli occhiali storti sul viso sereno: non era stato lui a svegliarlo.

Alec scoprì l’avambraccio destro, sentendolo pulsare: la pelle in quella zona scottava e pungeva. Un disegno incominciò a prendere forma, bianco e in rilievo, come una cicatrice: la runa parabatai.

Un fremito di eccitazione accarezzò la schiena di Alec.

“Jace…” mormorò, scattando in piedi. Premette la mano contro il marchio e lo sentì vibrare contro le dita. Riusciva a sentirlo per intero, adesso, e non più in maniera frammentata. Jace era lì – in quella runa, sotto la sua pelle, come se gli scorresse nel sangue.

Come se ci fosse sempre stato.

“Jace!”

Gridò di nuovo il suo nome, guardandosi intorno con impazienza. Max, destato dalle sue urla, si alzò a sedere con uno sbadiglio.

“Che succede?” farfugliò, stropicciandosi gli occhi.

Alec continuò a camminare lungo la riva, una mano ancora premuta contro l’avambraccio.

“Ci ha trovati” spiegò, frugando con lo sguardo la sponda opposta. “Non so come, né se sia possibile, ma è arrivato fino a qui. Will!” gridò all’improvviso, facendo sobbalzare Max. “Will!”

Will Herondale arrivò subito, come se stesse già gironzolando da quelle parti.

Era vestito come la prima volta in cui si erano incontrati – camicia bianca con le maniche arrotolate all’altezza del gomito e pantaloni neri. Alec si sorprese a notare che nemmeno lui e Max cambiavano mai di abito.

“Cerchi ancora me, Lightworm?” chiese, andandogli incontro con le mani in tasca. “Non che la cosa mi stupisca: la mia presenza dà assuefazione.”

“È successo qualcosa…” tagliò corto Alec, mostrandogli il braccio. “… Mi sono svegliato e la runa parabatai si stava riformando. È come se fossimo di nuovo legati” specificò, non riuscendo a trattenere un sorriso. “Io e Jace.”

L’aria scanzonata di Will sfumò, lasciando il posto alla tristezza.

“Forse lo siete” mormorò con cautela, soppesando ogni parola. “Ma non nel modo in cui speravate.”

I due Lightwood lo squadrarono con espressione confusa.

“Che significa?” lo interrogò Alec, allarmato dalla tensione nel suo volto. “Che sta succedendo? Dov’è Jace?”

Will posò due dita sulla runa parabatai del ragazzo.

Atque in perpetuum, frater” mormorò, chinando la testa.

Il panico incominciò a irradiarsi dentro Alec.

“Smettila” ordinò, allontanando la sua mano con un gesto brusco.

Will fece scorrere il suo sguardo da lui a Max. I suoi occhi, tutto a un tratto, sembravano riflettere la vastità del lago che li circondava. Non era un’impressione piacevole: guardandoli, Alec vi vide riflesso il suo smarrimento e provò un senso di vertigini.

“Mi dispiace, Alec” mormorò ancora Will: la distesa d’acqua dentro i suoi occhi lo inghiottì.

Alec si aggrappò alla spalla del fratellino. Fu come perdere l’equilibrio: come cadere nel vuoto e andarsene una seconda volta.

“Jace è morto.”

*

 

Non tutti i tipi di buio sono uguali.

Ci sono quelli più spessi, che non riesci a grattare via nemmeno con la luce di una torcia, e quelli che svaniscono da soli, gradualmente, man mano che gli occhi si abituano all’oscurità.

C’è il nero della notte che precede l’alba e quello che segue il tramonto, ma c’è anche un altro tipo di buio.

Quello che ti inghiotte all’improvviso, accompagnato da un giramento di testa, e che ti avvolge come un mantello, premendo contro il tuo corpo, soffocandoti gli occhi.

Jace si trovava in quel tipo di buio, quando rivenne.

L’oscurità era talmente piena che dovette farsi scorrere le mani lungo il corpo per assicurarsi di averne ancora uno. Si schiarì la voce, ribellandosi al silenzio nero quanto il buio.

Stava incominciando a domandarsi se per caso il fuoco celeste non gli avesse messo gli occhi fuori gioco, quando una luce improvvisa gli graffiò le iridi. L’aria si riempì di bagliori dorati e Jace si coprì il volto con le braccia, le palpebre strizzate.

Tutto a un tratto c’era troppa luce e faceva male, proprio come il raggio bollente di un laser. Si rannicchiò a terra, i denti digrignati in una smorfia di dolore.

Una voce gli riempì la testa, profonda e maestosa come lo sciabordare degli oceani e il crepitio del fuoco al tempo stesso.

“Nephilim.”

Quella parola gli rimbombò fin dentro alla cassa toracica, riscuotendolo con la stessa intensità di un’onda sismica. Era come se tutto il suo corpo stesse vibrando, come se qualcuno gli avesse infilato un impianto stereo sotto pelle.

Jace si costrinse a socchiudere gli occhi; la luce dorata aveva assunto le sembianze di qualcosa, qualcosa di talmente imponente da sovrastarlo per decine di metri.

Le sue iridi, ancora frastornate, arraffarono qualche dettaglio qua e là: un turbinare di piume dorate, occhi grandi e inumani e rune che sembravano avere vita propria, disegnate sulla pelle della creatura che gli occupava la visuale.

“Nephilim!”

La voce lo invocò di nuovo, magnetica e terrificante al tempo stesso.

Un sorriso accarezzò le labbra di Jace.

“Salute anche a te…” esclamò, mettendosi in ginocchio.

I suoi occhi, che stavano incominciando ad abituarsi alla luce, si aprirono di scatto: oro e azzurro si accesero, foderati da un luccichio di trionfo.

“… Angelo Raziel.”

 

 

«Non mi interessa. Lui per me lo farebbe, non puoi negarlo. Se io scomparissi…»

«Brucerebbe il mondo intero fino a tirarti fuori dalle cenere, lo so.»

 

Clary Fairchild & Alec Lightwood Città delle Anime Perdute. Cassandra Clare

 

 

Note Finali.

Buongiorno e buona domenica!

Con estrema lentezza, come sempre, arrivo finalmente con il nuovo capitolo! Con “Whither thou goest” si conclude, in un certo senso, la prima parte di storia. Jace sembra essere finalmente molto vicino ad Alec, ma per raggiungerlo ha pestato un bel po’ di piedi angelici. E, soprattutto, quelli di un angelo particolare, che di certo non si contraddistingue per bonarietà e gentilezza! Nel prossimo capitolo vedremo quali saranno le ripercussioni del suo gesto e faremo la conoscenza con un paio di personaggi spesso citati da Cassandra Clare, ma che non abbiamo mai incontrato nei suoi libri.

 

Tornando a questo capitolo, anche qui ritroviamo un polpettone di citazioni e riferimenti alla storia di Mark e Kieran: ci tenevo a coltivare il parallelismo che avevo costruito nel capitolo scorso, con Jace che va a sostituire il ruolo di Mark. Ovviamente il rapporto che va a crearsi fra Jace e Kieran non ha nulla a che vedere con il Kierark, ma mi piaceva l’idea che fosse proprio Kieran ad aiutare Jace: mi sembrava il più adatto e, inoltre, mi sono divertita molto a scrivere il loro dialogo. Le fate hanno idee molto diverse rispetto ai Nephilim su concetti come l’amore, la famiglia o la morte e mi piaceva l’idea di un confronto. Kieran fatica a mettere a fuoco il concetto di parabatai proprio per via di questa diversità, ma ne coglie l’importanza e decide dunque di aiutare Jace.

 

Con il loro dialogo si chiude anche la parte di storia dedicata alla Caccia Selvaggia: dal prossimo capitolo in poi migriamo anche noi nei Regni Celesti!

 

Colgo l’occasione per ringraziare le persone che hanno commentato lo scorso capitolo, significa davvero moltissimo per me! Spero di riuscire a postare presto il prossimo capitolo, che è già pronto da mesi e sta lì a prender polvere!

A presto!

 

 

 

 

 

 

 



[1] Citazione tratta da “Lady Midnight”: lo stesso Kieran, in un passaggio del libro, rivolge queste parole a Mark Blackthorne.

[2][2] La descrizione che Kieran fa della terra sotto la collina è un rimando a ciò che dice Mark Blackthorne a Simon Lewis nel settimo volume delle Cronache dell’Accademia Shadowhunters.

[3] Riferimento alle spiegazione sui parabatai che  Jace rivolge a Clary nell’episodio 1x3.

[4] Riferimento a una frase che pronuncia Mark Blackthorn in Lady Midnight: mi piace immaginare che il commento che fa Mark sull’amore possa essere nato da qualche riflessione condivisa con Kieran. Così, ho deciso di riprenderlo anche qui.

 

[5] Riferimento a una frase che Mark rivolge a Simon nel settimo volume delle Cronache dell’Accademia Shadowhunters: “Fortunati coloro che conoscono il nome del proprio cuore. Sono coloro il cui cuore non si perde mai veramente. Possono sempre richiamarlo e farlo tornare a casa”.

 

   
 
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