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Autore: _Qwerty_    30/04/2017    3 recensioni
Andromeda Black si scopre presto più matura della sua età e dei suoi compagni e deciderà di non aver paura delle proprie scelte, anche quando tutto sembra farle male.
Demetra Lestrange, molto talento, molti galeoni e molti complessi di inferiorità, imparerà col tempo che il compromesso non è sempre possibile, ma anche che non tutto il male viene per nuocere.
***
Eccomi qua con una nuova storia, quella che da tempo si nasconde nel pc e che finalmente ho ripreso in mano, ma soprattutto che ho trovato il coraggio di pubblicare qui. Si parlerà di Andromeda, di come ha conosciuto Ted e come ha maturato la decisione di allontanarsi dalla famiglia e scegliere lui, una nuova vita e nuovi valori, ma anche della sua miglior amica, Demetra Lestrange, un personaggio di mia invenzione, sorella minore dei famigerati Lestrange Mangiamorte e a sua volta sempre in bilico fra l’orgoglio purosangue tentato dalle arti oscure e la fedeltà ai sentimenti dell’amicizia e della giustizia.
La storia è stata scritta in parte anni fa e in parte adesso ed è una storia a cui tengo molto, per cui le recensioni sono ancora più gradite!
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Famiglia Black, Famiglia Lestrange, Nuovo personaggio | Coppie: Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix, Ted/Andromeda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Malandrini/I guerra magica
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2. grandi e piccole aspettative

II.



Andromeda Black andava bene a scuola, in tutte le materie, ma non era certo la prima della classe. A dire la verità, con l’impegno che metteva nei compiti e negli esercizi, riusciva a prendere più della sufficienza, ma non smaniava per avere il massimo dei voti, perché semplicemente pensava che l’obiettivo era padroneggiare gli incantesimi. Ovviamente era ben consapevole delle aspettative che c’erano su di lei: figlia di una delle più antiche e prestigiose famiglie di maghi purosangue, con decine di pagine dedicate ai Black in Nobiltà di natura: genealogia magica, tutti in famiglia e non solo si aspettavano che fosse una strega dotata e abile, come sua sorella e la sua miglior amica Demetra non mancavano di ricordarle. Sua sorella Bellatrix andava bene quanto lei nelle cose di scuola, con la differenza che sembrava doversi impegnare meno per raggiungere il suo obiettivo, che fosse imparare una fattura o trasfigurare un pollo, ma aveva anche una costanza e un senso della disciplina che lasciavano alquanto a desiderare: Andromeda si era presto resa conto che sua sorella maggiore studiava solo quello che le interessava e soprattutto che riteneva utile, come aveva di fatto ammesso al momento di scegliere le materie opzionali dal terzo anno. Non potendo non seguire Aritmanzia, a cui loro padre teneva molto, e Rune, che sua madre aveva tanto amato ai suoi tempi, aveva aggiunto Cura delle Creature magiche, immaginando che avrebbe imparato a domare creature pericolose e rare, e Divinazione, attirata dall’idea di prevedere il futuro. Una volta scoperto di essere perfettamente negata per la Divinazione e che avere a che fare con le creature magiche implicava faticare e sporcarsi, Bellatrix aveva mollato le due materie, sentenziando che i veggenti sono tutti ciarlatani perché prevedere il futuro è impossibile e che le creature magiche sono roba per Mezzosangue o comunque maghi svitati, dato che Trasfigurazione, Incantesimi e Difesa sono tutto quello che basta per farsi rispettare. Andromeda non sapeva bene come, ma i suoi genitori non le avevano mosso alcun rimprovero e anche il fatto che avesse preso solo Accettabile in Aritmanzia e Rune era passato inosservato.
All’opposto del pressappochismo di sua sorella c’era la sua miglior amica, Demetra Lestrange, che invece sembrava aver fatto suo fino al midollo l’imperativo di essere all’altezza delle aspettative delle loro famiglie purosangue. Demetra sembrava dotata di un’abnegazione allo studio senza confine: già da bambine, prima di Hogwarts, leggeva tutto il possibile dalla biblioteca di famiglia e studiava già come preparare pozioni; una volta a scuola, si preparava in anticipo alle lezioni e nel giro di pochi tentativi padroneggiava gli incantesimi, ottenendo così le lodi trasversali dei professori e punti per la loro Casa, ed essere costantemente la più brava e la prima a fare le cose sembrava essere davvero quello che la spingeva ogni giorno. Andromeda pensava che lo zelo scolastico dell’amica era decisamente eccessivo: Demetra era semplicemente già brava di suo, molto più di lei o di Bellatrix e degli altri compagni, e non c’era ragione sensata per quest’eccesso di studio.
“Questo è il prezzo dei risultati, perché la conoscenza è potere” aveva detto una volta quando erano in biblioteca a fare i compiti e Andromeda aveva proposto, non senza un po’ di senso di colpa, di copiare un vecchio tema di sua sorella per Storia della Magia.
La conoscenza è potere!, a tredici anni neanche. Se lo avesse detto sua sorella, sarebbe stato sgradevole ma perfettamente coerente; detto da Demetra invece suonava come una di quelle frasi dei grandi che senti ripetere da quando hai memoria e alla fine diventano tue senza che te ne accorga, e a un certo punto non ti chiedi neanche più perché ci credi. Non ne avevano mai parlato esplicitamente, ma Andromeda in un certo senso capiva bene l’ansia da prestazione della sua amica. I fratelli maggiori di Demetra, Rabastan e Rodolphus, avevano finito Hogwarts giusto prima che loro iniziassero, erano stati entrambi Prefetti e nella squadra di Quidditch ed erano considerati due studenti molto in gamba, sebbene non i primi della classe. Demetra voleva dimostrare di essere in primo luogo altrettanto abile dei fratelli, e se possibile ancora di più. Non erano mancate le volte in cui le aveva confidato di quanto le faceva rabbia sua madre che aveva sempre da dire quanto erano speciali i suoi fratelli e quanto lei invece non doveva montarsi la testa. Andromeda non aveva mai provato nulla del genere: c’erano sì dei litigi con sua sorella maggiore, ma sapeva che le voleva bene e crescendo insieme aveva imparato a prendersi i suoi spazi e a non farsi mettere i piedi in testa. A volte suo padre aveva fatto notare alle due sorelle quando fossero simili di carattere, con la stessa determinazione e lo stesso spirito di indipendenza, mentre vedeva in Narcissa una delicatezza nei modi e nelle parole che necessitava di protezione, e tutte le volte tutte e tre avevano protestato sonoramente a quell’affermazione, dichiarandosi loro due diverse e Narcissa insistendo di non avere bisogno di alcuna protezione, a undici anni neanche. Inoltre, il confronto con le sorelle sfumava nel momento in cui stavano insieme ad altri maghi della loro età, figli di altre famiglie purosangue come loro, che talvolta si vedevano nei ricevimenti organizzati una volta da una famiglia una volta da un’altra, e a cui potevano prendere parte una volta compiuti i dieci anni e dimostrato di sapersi comportare in pubblico. In quelle occasioni, a fare a gara per ricevere attenzioni e complimenti erano Bellatrix e Demetra, con la prima che cercava di sembrare più grande della sua età per abilità con gli incantesimi (di cui non poteva dare dimostrazione fuori da scuola, tuttavia) e la seconda che cercava di essere coinvolta nelle discussioni di politica e legislazione di cui suo padre era spesso al centro, essendo un membro del Wizengamot. Ciliegina sulla torta, poi, Bellatrix aveva da sempre una cotta per uno dei fratelli di Demetra, cosa per cui non mancavano mai di prenderla in giro a dovere, nonostante Demetra a volte lasciasse trasparire un certo fastidio all’idea di ritrovarsi Bellatrix in famiglia.

***

Demetra Lestrange aveva sempre preso tutto molto sul serio. Il primo ricordo ben definito che aveva di se stessa era di quando, a tre anni esatti, aveva fatto esplodere in sequenza tutti i bicchieri presenti sulla tavola perfettamente addobbata per uno degli innumerevoli ricevimenti che sua madre era solita organizzare e a cui erano invitate solo le più prestigiose famiglie purosangue. Ricordava perfettamente anche come suo padre fosse stato entusiasta della sua poderosa magia infantile e come invece sua madre l’avesse rimproverata per i bicchieri rotti, ricordandole che l’autocontrollo della propria magia è tutto, ed era alquanto disdicevole che una strega del suo lignaggio non riuscisse a controllarsi. Naturalmente c’era rimasta male, aveva pianto e solo l’abbraccio del papà aveva evitato un altro scoppio di cristalleria, ma Demetra Lestrange aveva preso molto sul serio quelle parole e negli anni seguenti non aveva più permesso alla magia di manifestarsi senza controllo, se non in rare occasioni, che guarda caso coincidevano spesso con litigi con i suoi fratelli. A questo proposito, nutriva una certa invidia, sebbene mai cattiva, nei confronti della sua miglior amica Andromeda Black, la quale non aveva mai dovuto confrontarsi con fratelli e sorelle più grandi, che hanno già fatto tutto benissimo, e dei quali devi essere all’altezza: sì, Bellatrix aveva due anni di più ed era una forza della natura, ma aveva anche un’irruenza e una sfacciataggine che non sarebbero sempre state tollerate nella buona società purosangue a cui appartenevano, nella quale l’abilità politica contava tanto quanto l’abilità con la bacchetta, e quanto alle cose di scuola, non era così brava come voleva far credere. Rabastan e Rodolphus invece erano stati entrambi Prefetti a Hogwarts, entrambi nella squadra di Quidditch e nonostante non si atteggiassero a primi della classe conoscevano incantesimi e fatture ben aldilà degli insegnamenti scolastici, si interessavano di magia oscura, come già alcuni membri della famiglia in passato, e sembravano i perfetti eredi della nobile e antica casata Lestrange. E poi c’era lei, Demetra, nata sette anni dopo i fratelli.
“Non eri in programma – aveva detto una volta sua madre – e quando sei nata sembravi una piccola civetta dispettosa.”
Questa storia del somigliare a una civetta l’aveva fatta sua più di quanto si sarebbe aspettata e non solo perché, in effetti, tra il naso aquilino e i capelli mori arruffati, quando era concentrata ricordava vagamente un rapace guardingo, come una volta aveva detto Andromeda mentre facevano i compiti. A lei piaceva un sacco occuparsi dei gufi portalettere di casa e il suo preferito era Emmon, il vecchio barbagianni di suo padre che era con loro da un tempo indefinito. Una notte aveva perfino sognato di essere diventata una civetta ed essere uscita con Emmon dalla voliera e di aver chiacchierato con lui tutta la notte volando per i cieli di Londra. E quello era l’unico modo che aveva per volare, dal momento che per la scopa era decisamente negata, non essendo mai riuscita ad alzarsi da terra per più di due metri nel cortile di casa e con uno scarso controllo della scopa, come i suoi fratelli, Rodolphus in particolare, non avevano mancato di notare sghignazzando.
Ma Demetra non si era mai arresa e aveva preso sul serio ogni minima osservazione, impegnandosi a ribaltarla a suo vantaggio. Se i suoi fratelli erano bravi a scuola, lei sarebbe stata la più brava del suo anno; se loro erano stati Prefetti, lei sarebbe diventata Caposcuola; se loro adesso, finita la scuola, mostravano scarso interesse per la Magisprudenza e la carriera politica al Ministero che tanto impegnava suo padre, sarebbe stata lei a tenere alto l’onore dei Lestrange come membri legislatori e politici della comunità magica, quale la sua famiglia era da generazioni.
Anche per questo si era opposta all’idea del Cappello Parlante di mandarla a Corvonero: sebbene sapesse di svariati membri della famiglia delle generazioni passate che erano stati smistati in Corvonero e avevano avuto una fulgida carriera politica, la maggior parte era sempre stata Serpeverde, la casa dei puri di sangue e degli ambiziosi, l’unica via per la grandezza che voleva raggiungere. E poi Andromeda era già in Serpeverde e lei non poteva immaginarsi sette anni a scuola non insieme a lei. Si conoscevano praticamente da sempre, grazie al fatto che le loro famiglie si conoscevano e frequentavano lo stesso ambiente. Demetra a volte immaginava Andromeda come la sorella che non aveva, invece dei fratelli maggiori cocchi di mamma, e considerava sue amiche anche le sue sorelle, nonostante Narcissa fosse più piccola e apparentemente disinteressata a qualsiasi cosa e Bellatrix fosse sempre in competizione per apparire più grande e più brava, compresa la fastidiosa infatuazione per suo fratello Rodolphus. Sentiva alquanto la differenza di età e sapeva che avrebbe dovuto aspettare del tempo, crescere e acquisire credibilità agli occhi degli adulti della generazione di suo padre, prima di potersi imporre anche ai fratelli, per cui per il momento cercava di farsi rispettare dai suoi pari, cioè i propri compagni a Hogwarts. Prendeva molto sul serio l’opinione che avevano le persone di lei, fossero suoi pari o adulti allo stesso modo, perché, come diceva a volte suo padre, è attraverso il filtro dell’opinione pubblica che un mago diventa autorevole. Ne parlavano talvolta con Andromeda e ogni volta lei si stupiva dell’amica: ad Andromeda sembrava sempre non importare nulla dell’opinione che avevano gli altri, perché diceva soltanto che se uno è gentile, educato e rispettoso non conta quanto è bravo a scuola, quante cose sa già fare, o se ha idee bizzarre o dorme col gatto. Per lei invece era inconcepibile non fare i conti ogni giorno con l’immagine che dava di sé, ma sapeva che, proprio per la diversità di Andromeda da tutti gli altri compagni purosangue, qualunque cosa fosse successa, non avrebbe smesso di essere sua amica, e quella era la cosa più importante.

***

Di solito le due amiche Serpeverde studiavano nella Sala Comune e anche nei primi due anni non avevano mai avuto problemi a trovare i posti più comodi o i tavoli più spaziosi, poiché erano sempre state in compagnia di Bellatrix che, pur non essendo all'epoca ancora una delle studentesse più anziane, aveva lo straordinario dono di far sloggiare senza proteste evidenti chiunque occupasse qualunque poltrona o tavolo di suo interesse, ragion per cui non sarebbe certo stato un problema ora che era al quinto anno.
“Togliti biondino, qui ci stiamo noi che abbiamo da studiare!” intimò Bellatrix a un ragazzino del secondo anno che sedeva da solo a un largo tavolo in marmo vicino alle vetrate.
“Io non me ne vado, perché sono arrivato prima e sto aspettando i miei compagni” rispose il biondino senza scomporsi minimamente all'aggressività di Bellatrix.
“Come osi, marmocchio?” ed estrasse la bacchetta. Anche il biondino estrasse la bacchetta, per nulla intimorito.
“Bella, lascia fare, non vorrai duellare con uno del secondo anno per il tavolo...” si inserì Andromeda per riportare la sorella al senso della ragione.
“Se vuole un duello per il tavolo io non mi tiro indietro” rispose il biondino gelido.
Il suo coraggio fu ammirevole, ma per Bellatrix alzare la bacchetta e gridare Stupeficium! fu tutt'uno. Il biondino finì a pochi metri di distanza con un tonfo sonoro contro una lampada che riparò prontamente una volta rialzatosi.
“Bella! Ma insomma! – esclamò Andromeda avvicinandosi al ragazzino – Come ti senti? Vuoi che andiamo in infermeria?”
“No” sibilò il biondino, lanciando occhiate d'odio a Bellatrix, e se ne andò ancora rosso in volto e più scosso di quanto non volesse far credere.
“E che cazzo!” fu l'unico commento di Bellatrix.
Andromeda non poté non lanciare uno sguardo di rimprovero anche a Demetra che intanto si era seduta e aveva cominciato ad aprire i libri, evidentemente convinta che fosse tutto normale.
Per ultima sedette Narcissa, che non riusciva a togliersi dalla mente il volto dell'unico ragazzo che avesse mai osato tenere testa a sua sorella.


***

NdA: ecco che finalmente le protagoniste parlano un po' di loro e si intravede qualcosa della vita in comune  a scuola... Che dite? Lo so che in questo capitolo non succede nulla, ma presto si metteranno in moto gli eventi. Commentate!
  
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