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Autore: taisa    08/06/2009    10 recensioni
Il volo di un uccello si ferma quando rientra nel proprio nido.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Vegeta, Yamcha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL NIDO PERFETTO

IL NIDO PERFETTO

*

I raggi del sole illuminavano i neonati fiori primaverili che avevano cominciato ad abbellire i rami degli alberi fino ad allora spogli e scheletrici. Gli uccellini, per giunta, sembravano apprezzare la nuova stagione, accogliendola con entusiasmo, pigolando nei loro nidi, o svolazzando in alto nel limpido cielo azzurro. Mamma uccello, intanto, si stava occupando di nutrire i suoi piccoli che, appena nati, cinguettavano alla ricerca di cibo, custodito direttamente nel becco materno.

I suoi occhi, azzurri come il colore del cielo, si soffermarono su quella scena, domandandosi le ragioni che costringevano la natura stessa a comportarsi in maniera così bizzarra. Forse era addirittura la prima volta che assisteva ad una scena simile, tanto inusuale da costringerlo ad osservare gli uccellini per diversi minuti a bocca spalancata.

“…nks?” Una voce, dolce e gentile, si introdusse tra i suoi pensieri, costringendolo a distogliere lo sguardo dalla famiglia che abitava in cima al ramo. La riconobbe al volo, quella voce, appartenente a una persona che avrebbe identificato tra migliaia di altre. Era lei, non aveva dubbi. Il suo sguardo, pertanto, andò a cercare la figura che lo aveva distratto, incrociando immediatamente un altro paio di occhi azzurri. Si era accovacciata accanto a lui, intanto, per essere alla sua altezza e per permettergli di guardarla con più attenzione. Istintivamente il suo braccio si sollevò, additando lo spettacolo alla quale aveva assistito fino a quel momento. “Uccellini” disse solo, quasi come se, in un parco, non esistessero altri esemplari di quella strana specie. Anche lei rivolse lo sguardo al nido, giusto in tempo per vedere anche papà uccello tornare dalla sua famiglia. Qualcosa, nello sguardo della donna, sembrò mutare, complice forse un pensiero nascosto nella sua mente. Si limitò a sorridere, fissando lo sguardo sulla scenetta alla quale stava assistendo. Poi si rivolse al bambino, scostandogli una ciocca di capelli lilla dal viso. “Sì, Trunks, sono degli uccellini, hai visto?” Gli confermò, accentuando ancora di più quel sorriso che le abbelliva lo sguardo. “Ci sono la mamma, i figli, e anche il papà è tornato a casa” Continuò a parlare lei, quasi enigmatica, suscitando uno sguardo indecifrabile sul volto del piccoletto che, per tutta risposta, si limitò ad additare nuovamente il nido. “Uccellini” Ripeté, come se quel semplicissimo concetto non fosse chiaro alla sua interlocutrice.

“E’ proprio una bella famigliola” S’intromise una terza voce, giungendo alle loro spalle, cogliendoli quasi di sorpresa. La donna fu la prima a voltarsi, osservando l’uomo che era arrivato di soppiatto, e che a sua volta aveva cominciato a studiare la vita sul ramo. “Yamcha!” Esclamò lei, riconoscendo immediatamente il nuovo venuto, tornando al alzarsi in piedi. A sua volta, Yamcha, sentendo pronunciare il suo nome, le rispose con un sorriso gentile. “Ciao, Bulma” La salutò infine, scostando lo sguardo sulla figura più piccola accanto a lei. “Accidenti! Questo è il piccolo Trunks? Come sei cresciuto” Affermò poggiando le mani alle proprie ginocchia e cercando lo sguardo del bambino. Poi si additò, “Io sono lo Zio Yamcha, ti ricordi di me?” Domandò, quasi sovrapponendo l’immagine di quel bimbetto con quella di un ragazzo di qualche anno in più. E Trunks, che di fatto lo aveva visto l’ultima volta quando a malapena camminava, si rifugiò dietro la madre, afferrando il lembo dei pantaloni e sbirciando l’espressione dello sconosciuto quasi con paura.

Bulma si rivolse al figlioletto, nascosto al sicuro dietro di lei. Rise, osservando l’atteggiamento timido e un po’ goffo del giovanissimo Saiyan. “Andiamo tesoro, anche se ha una brutta faccia, Yamcha non è cattivo” Ironizzò, ridacchiando tra sé e guardando di sottecchi l’ex fidanzato, che di rimando le lanciò un’occhiata falsamente offesa. “Grazie tante” le mormorò dopo alcuni istanti, altrettanto sarcastico. Trunks, che della discussione non aveva capito molto, sollevò lo sguardo per osservare uno strano gatto dal pelo blu fluttuare nell’aria. Il buffo animaletto svolazzò fino ad avvicinarsi al bambino che, incuriosito, sollevò una manina allo scopo di accarezzarlo. I due adulti, assieme ad un maialino che era appena sopraggiunto, si soffermarono per osservare la scena in silenzio. Pual si lascò carezzare dal piccoletto che, al contatto, sorrise come se avesse appena scoperto qualcosa di stupefacente. “Morbido” dichiarò per rendere partecipi tutti della sua rivelazione. La scenetta si concluse con una risata generale, che quasi stupì il bimbo, evidentemente sorpreso da quella reazione. Ma la sua attenzione fu nuovamente catturata da qualcos’altro. Il tintinnio di un camioncino sembrò risultare più interessante persino del gattino con la quale stava giocando.

“Allora, come mai da queste parti?” S’informò infine Bulma, cominciando una serie di convenevoli rivolte al vecchio amico. Lui sorrise, intersecando le braccia, poi sospirò. I suoi occhi scuri scrutarono vagamente l’intero parco della Città dell’Ovest, come se già non lo avesse osservato miglia di volte. “Eravamo venuti a farci un giro, poi pensavamo di…” La frase morì in quel preciso istante, avendo individuato il concitato movimento del bambino accanto alla donna. Il piccolo Trunks aveva nel frattempo cominciato a strattonare i pantaloni della madre, alla ricerca della sua attenzione. Bulma fu quindi costretta ad abbassare lo sguardo, incrociando due bellissimi e speranzosi occhi azzurri. Il Saiyan additò il camioncino che a qualche metro di distanza stava passando, scampanellando allo scopo di attirare l’attenzione della gente nelle vicinanze. E Trunks aveva riconosciuto quel peculiare mezzo, “Gelato” disse infatti, informando anche gli altri membri del gruppetto della sua entusiasmante scoperta e, soprattutto, del suo desiderio.

Bulma si trovò quindi sul punto di dover decidere se accontentare il figlio o meno, ma ad anticiparla fu proprio Yamcha. L’uomo si avvicinò al ragazzino, inginocchiandosi accanto a lui. Il visino del mezzo Saiyan si dipinse con una sorta di indiscrezione, curioso di conoscere le intenzioni dello sconosciuto. L’ex predone del deserto poggiò una mano sul capo del bambino, mostrandogli un’espressione affabile, tanto da tranquillizzare il piccoletto. “Se la tua mamma è d’accordo, te lo offro io un gelato, giovanotto” Si propose gentilmente, avanzando la sua richiesta ad una terza persona. E Bulma, colto il suggerimento, si poggiò le mani ai fianchi, ponderando sull’idea. Yamcha sollevò lo sguardo in attesa di una risposta che, infine, giunse positiva da un leggero cenno del capo. “D’accordo, ma non prendergliene uno troppo grande, o stasera non avrà fame” S’impose la donna, dettando quindi le sue condizioni.

Yamcha sollevò il Saiyan dal terreno, tornando ad alzarsi in piedi a sua volta. “Molto bene, signorino, andiamo a prenderci un gelato!” Annunciò facendo accomodare il bimbo sulle proprie spalle, assicurandosi di reggerlo saldamente, allo scopo di non farlo cadere. E Trunks gioì, comprendendo il significato delle parole di quello strano individuo, approvando con un leggero battito di mani. Infondo, questo tizio, era anche simpatico. “Yamcha! Fai attenzione!” Lo ammonì la madre del bimbo, scoprendosi apprensiva per un attimo. Ma lui, che si era già allontanato, le rispose con un cenno della mano, “Tranquilla, tranquilla” la rassicurò senza voltarsi.

*

Un bambino normale, di appena due anni, difficilmente finisce il suo gelato e ne elemosina dell’altro, ma Trunks non era un ragazzino come tutti gli altri e il suo stomaco alieno aveva già cominciato a fare bella mostra di sé. Fu quindi arduo, per Bulma, riuscire a convincerlo a non esagerare, scioccando notevolmente il gelataio che quasi non riuscì a credere ai suoi occhi. Costretto ad assistere inerme al piagnisteo che aveva obbligato la giovane madre a tentare il tutto per tutto pur di arginare il delirio.

Fortuna volle che, Olong e Pual, erano corsi in soccorso dell’amica. Trunks pareva infatti essere molto interessato ai due animaletti, finendo per trovare in loro un’attrattiva migliore che nel suo secondo gelato mancato. Così, i due improvvisati babysitter, erano riusciti a trascinare il futuro guerriero in giochi con la sabbia nell’apposito spiazzo del parco, adibito ai bambini della sua età.

Nel frattempo, Bulma e Yamcha, osservavano la scena a qualche metro di distanza, seduti su una panchina, alle prese con le loro chiacchiere da grandi. E se lo sguardo della donna non si era scostato nemmeno per un secondo dai gesti goffi del figlioletto, quello dell’uomo pareva vagare in continuazione tra i vari angoli del parco, seguendo in qualche modo i suoi pensieri. Quando quelle pupille scure e gentili si posarono nuovamente sul volto di lei constatò per l’ennesima volta quello sguardo materno che le abbelliva il viso e che la rendeva forse un po’ diversa da quella Bulma adolescente che aveva conosciuto anni prima. Discorde anche da quella che lo aveva lasciato per percorrere da sola la sua strada.

“Quindi sarete parecchio indaffarati in questi giorni” Riprese il discorso lui, tornando ad un argomento affrontato appena pochi secondi prima e che aveva lasciato spazio, per un attimo, al silenzio e ai pensieri. Bulma annuì, senza staccare gli occhi dal bambino a qualche metro di distanza. “Sì, per ora se ne sta occupando mio padre, ma tra poco credo che mi toccherà cominciare a rivedere i suoi progetti” spiegò concentrata. Yamcha si stravaccò sulla panca, restando con lo sguardo fisso sui lineamenti maturi della vecchia fiamma, constatando mentalmente che, mai una volta, quelle iridi azzurre si erano scostate su di lui. Lasciando, per giunta, parlare il silenzio, che ancora una volta sembrò voler partecipare al discorso.

L’uomo dalle profonde cicatrici scostò nuovamente lo sguardo, ora verso il Saiyan e i suoi estemporanei compagni di giochi. “Beh, mi pare una buona idea, infondo” Sospirò infine lui, trattenendo a stento uno sbadiglio rilassato, “Quella Gravity Room non era molto sicura in giardino. In casa riuscirete sicuramente a gestirla meglio” Suppose sincero, ricordando vicende che appartenevano a diversi anni prima, e che, per svariati motivi, non aveva mai dimenticato. Davanti ai suoi occhi, infatti, rivide ancora quella scena, quando la sua Bulma si era precipitata tra le macerie, scavando a mani nude alla ricerca dell’altro. Tutto sotto il suo sguardo impotente e, all’epoca, anche molto ingenuo.

Da quando era iniziata la discussione, per la prima volta gli occhi di Bulma si scostarono sull’ex fidanzato, come a voler comprendere i suoi pensieri. Scoprendo, in quel preciso istante, che la complicità che li aveva legati per anni era ancora lì, nonostante tutto. Affievolita dal tempo e dalle traversie vissute. Uno strano sorriso, dunque, incurvò le labbra della donna, avendo perfettamente intuito a cosa lui stava pensando. Ad avvalorare tutto ciò furono proprio gli occhi del guerriero umano, che colta quella particolare sfumatura negli occhi di lei si premurò di tranquillizzarla con un sorriso gioioso. Quasi a volerla rassicurare sui propri sentimenti.

Il silenzio, questa volta, parve voler parlare per loro. Dispensando parole appena accennate in sguardi che nascondevano vecchi pensieri. Fu solo il rintocco delle campane, proveniente dall’orologio al centro del parco, a riportare i due con i piedi per terra. “Ah!” Esclamò all’improvviso Bulma, facendo sobbalzare l’amico, colto notevolmente di sorpresa. “Co… cosa succede?” Balbettò quasi spaventato, osservando l’altra alzarsi in piedi con un balzo. “Si è fatto tardi, dobbiamo tornare a casa!” Spiegò, come se si fosse appena ricordata di essere una madre e, come tale, di avere l’obbligo di adempiere al suo ruolo nei confronti del bimbetto ormai ricoperto di terriccio e sabbia, nella quale si era rotolato per gran parte del pomeriggio. Yamcha, che comprese al volo tale coercizione, si alzò a sua volta dalla panca, stiracchiandosi ed accompagnando tale gesto con un sonoro sbadiglio, “D’accordo” Concordò parlottando più a se stesso. “Olong, Pual, è ora di andare, riportate qui Trunks” ordinò ai due amici, dopo essersi poggiato le mani accanto alla bocca in modo da farsi sentire anche a distanza.

I due animaletti, e l’improvvisato guerriero della sabbia, scostarono su di lui la propria attenzione; non solo, anche Bulma si vide costretta ad osservare l’amico per un lungo secondo, attendendo di essere raggiunta dal figlio. Di malavoglia, il piccolo Trunks, fu trascinato verso la madre, assumendo uno sguardo offeso nei riguardi di quest’ultima. E Bulma, che aveva imparato a riconoscere quella particolare increspatura su un altro soggetto, comprese perfettamente i pensieri del piccoletto. Si avvicinò a lui, accucciandosi di fronte al bambino. “Coraggio, Trunks, è ora di tornare a casa, Olong e Pual verranno a giocare con te un’altra volta, se vorranno” Gli propose, cercando lo sguardo del maialino, che scontroso incrociò le braccia esibendosi in uno strano “Sì, certo” poco convinto, sfoggiando peraltro un bernoccolo che gli era apparso sul capo. Poi, la donna, scostò lo sguardo sul gattino volante che, all’opposto, annuì fermamente, rispondendo con un più cordiale “Sicuro” all’indirizzo del bambino. Trunks, ora persuaso da entrambi i nuovi amici, osservò gli occhi della mamma che mentalmente stabilì di dover usare l’ultima carta. “Lo sai che i nonni ti stanno aspettando? E c’è anche papà con loro” Nel pronunciare quella parola, Bulma sembrò accentuare per un solo attimo il suo sorriso. Intanto, per qualche strana ragione, i suoi pensieri andarono agli uccellini in cima all’albero.

Quel termine, inoltre, bastò a suscitare uno sguardo allegro e solare anche sul viso paffuto e bieco del giovane Saiyan. Nel contempo anche l’uomo assunse una strana espressione, assai diversa, tuttavia, da quella di madre e figlio. Evidentemente i suoi pensieri lo avevano, per un istante, portato a riflettere su qualcosa di meno allegro. Nonostante ciò, quel velo di tristezza, gli sparì subito dal volto, dimenticandosi un secondo dopo di aver anche solo incrociato la sua strada con una così peculiare elucubrazione.

Trunks, intanto, si voltò verso i due trasformisti, facendo loro un cenno con la manina, mentre l’altra si aggrappò saldamente ai pantaloni della donna. “Vado con mamma” Annunciò, sorridendo sdentato. Bulma strinse tra le braccia il piccolo ometto, sollevandolo dal terreno e regalandogli un leggero buffetto sul naso, “Bravo tesoro, saluta tutti” Gli ordinò con dolcezza, facendo un primo passo verso l’uscita del parco. E mentre il Saiyan era impegnato a salutare i suoi nuovi amici, Bulma si rivolse al compagno di tante avventure. “Yamcha, allora, ci vediamo domani” Gli ricordò, prima di allontanarsi definitivamente. Lui sorrise ed annuì, supportato da un “Sì, a domani”.

Pual, che era stato l’unico a non lasciarsi sfuggire il particolare sguardo dell’amico una manciata di minuti prima, restò a fissarlo come se volesse entrare nella sua testa pur di conoscere quei pensieri con assoluta precisione. Ma Yamcha, che si era semplicemente limitato a sorridere all’amica, non pareva avere particolari riflessioni in quel preciso istante. Se non quello comune a tutti e tre gli amici, e che fu Olong ad esternare per tutti. “Certo che è strano, sentire qualcuno che la chiama mamma” Farfugliò leggermente indeciso, osservando l’amica che era ormai un puntino all’orizzonte. E se Pual si limitò a fissare il maialino con sguardo indeciso, Yamcha rise divertito, “Già, è strano” concordò, girando su se stesso e prendendo tutt’altra strada rispetto alla donna. “Olong, Pual, torniamo a casa anche noi” Suggerì in un secondo momento, mentre un piccolo sorriso si fece largo sul suo viso deturpato dalle cicatrici.

*

Il suo sguardo doveva essere terribilmente annoiato, in quel momento. L’espressione di chi avrebbe tanto preferito trovarsi da tutt’altra parte, lontano da quell’insistente parlottare che nemmeno stava ascoltando. Era solo un brusio di sottofondo, per quel che lo riguardava, una di quelle cose di cui, tuttavia, non sai come liberarti.

Le iridi scure si scostarono sul tavolino da caffè situato a pochi centimetri dal divano sulla quale sedeva. La superficie di legno, per giunta, era ricoperto da scartoffie di cui capiva ancora meno del cianciare insistente al suo fianco. Le uniche cose a lui chiare furono solo quelle due parole: Gravity Room. E forse gli erano bastate quelle poche lettere per indurlo ad ascoltare il vecchietto su cose noiose. In più era persino riuscito a non mandare tutto all’aria, distruggendo tavolino, salotto e casa intera. Senza nemmeno saperlo si complimentò con se stesso, stava quasi migliorando i suoi tempi di sopportazione.

Così come, di tanto in tanto, sbirciava la donna dal capelli d’orati, canticchiare uno stupido motivetto a qualche metro di distanza, intenta ad annaffiare le piante sul davanzale della finestra. Probabilmente, in realtà, la sua mente stava solo valutando quale dei due eliminare per primo, sterminando così parte dei suoi problemi. E mai avrebbe creduto che, l’ingresso di un nuovo membro di quella famiglia, avesse il potere di tranquillizzare i suoi nervi. In un certo senso.

Trunks, che aveva riconosciuto al volo il padre, era riuscito a divincolarsi dalle braccia materne. Si precipitò verso l’uomo dall’aria annoiata e, un po’ timidamente, gli poggiò le manine sul ginocchio, affinché lui potesse prestargli attenzione. Bulma invece, che raggiunse il salotto subito dopo il figlio, osservò la scena dall’uscio della stanza, mentre un piccolo sorriso si fece largo sulle sue labbra.

“Siamo tornati” annunciò infine lei, come se avesse bisogno di avvisare del proprio rientro. E se i suoi genitori le regalarono un sorriso e un saluto cordiale, Vegeta si limitò a fissarla con la coda dell’occhio, prima di tornare ad occuparsi di quel piccolo seccatore che aveva nel frattempo cominciato a torturare i suoi pantaloni appena sopra il ginocchio. La terrestre non si lasciò sfuggire l’occasione, si avvicinò al tavolino, inginocchiandosi accanto al bambino, poggiando una mano sulle sue piccole spalle. “Coraggio, Trunks, racconta al tuo papà cos’hai fatto oggi” Lo incoraggiò, sfidando quasi l’altro genitore che, incrociate le braccia, le lanciò un singolo sguardo torvo e minatorio. E se l’innocente Trunks non comprese il significato di quell’espressione, cominciando quindi a raccontare in maniera singolare le sue avventure; Bulma ignorò volutamente quel modo eloquente di aggrottare le sopracciglia da parte del compagno.

Quegli occhi azzurri, quindi, si scostarono sul tavolino, fissandosi suoi fogli sparsi per tutta la superficie. Le sottili dita afferrarono un pezzo di carta, leggendolo nei diversi punti. “Come stanno andando i progetti per la nuova Gravity Room, papà?” Domandò infine, rivolta allo scienziato che era tornato a sua volta ad immergersi nel suo lavoro. Il Dottor Brief regalò alla figlia uno sguardo distratto, alzando gli occhi al soffitto in ricerca di qualche pensiero. “Mmm… ci sono ancora un sacco di cose da sistemare, le cas…” “Per favore, non cominciare con queste casse dello stereo, a Vegeta non interessano” tagliò corto la scienziata più giovane, parlando come se il diretto interessato non fosse nemmeno nella stanza, suscitando sul volto dell’altro un notevole disappunto. Decretando autonomamente la fine della conversazione che lei stessa aveva iniziato, Bulma poggiò nuovamente i fogli sul tavolo, scostando in seguito gli occhi sulla madre, ancora indaffarata con alcune piantine. “Ah, mamma, indovina chi abbiamo incontrato oggi al parco?” La incitò la giovane donna, attendendo pazientemente una risposta. L’altra, sentendosi chiamata in causa, si poggiò una mano alla guancia, cominciando a pensare a varie soluzioni dell’indovinello. “Una persona famosa?” Cinguettò infine, costringendo la figlia a sospirare quasi esasperata. “Ma no! Quale persona famosa?! Insomma!” La sgridò in un primo momento, riprendendo le redini del discorso, prima che potesse partire il delirio causato da frasi scombussolate e senza senso da parte di entrambi i genitori. “Abbiamo incontrato Yamcha” Svelò subito dopo, allo scopo di evitarsi un gran mal di testa.

In quel preciso istante una strana luce attraversò lo sguardo del Principe dei Saiyan, che increspò appena le sopracciglia, senza che nessuno potesse annotare quel leggero movimento, né di comprenderne il significato.

“Ohhh, Yamcha, e come sta?” S’informò ora la madre, poggiando sul davanzale l’annaffiatoio che stava utilizzando. Bulma annuì in risposta, “Bene, vi saluta entrambi” riferì con un sorriso, “Pensavamo di andare a mangiare qualcosa insieme domani, per fare quattro chiacchiere”.

Se gli sguardi potessero parlare, quello di Vegeta non avrebbe comunicato nulla di positivo. Qualcosa scattò nuovamente nella sua espressione. La mascella si serrò appena, generando un ringhio impercettibile, di cui il povero Trunks non si avvide. Senza dire nulla, Vegeta si alzò dal divano, lasciando tutti di stucco a domandarsi cosa mai avesse suscitato una tale reazione nel Saiyan. Lo sguardo di Bulma, disorientato quanto quello dei suoi genitori, si scostò velocemente sul figlio che, vedendo fuggire il padre, scoppiò in un pianto deluso. Non era ancora riuscito a raccontargli nulla sugli uccellini.

*

Erano ore che stava in disparte ad osservare alcuni operai smontare e trasportare pezzi metallici tra i corridoi della Capsule Corporation. Scopo, lo spostamento fisico della sua preziosa stanza degli allenamenti.

Avevano cominciato presto, quella mattina, e dopo aver ricevuto l’approvazione di Bulma, sui progetti del vecchio, erano passati alla pratica. Vegeta, in tutto questo, restava in un angolo ad osservare il via vai di persone che faticavano a trasportare intere pareti o componenti più grandi di loro. Poco importava che, lui, avrebbe potuto dislocare tranquillamente la vecchia Gravity Room nella sua interezza con una sola mano e con il minimo sforzo. Anche se era il diretto interessato non c’era verso di renderlo partecipe ai lavori, né di sperare in un suo eventuale aiuto. Forse lo si poteva definire un atteggiamento sadico, poiché l’unica sua attrazione era quella di osservare gli sventurati operai sgobbare come muli pur di accontentare le sue richieste. Effettivamente poteva quasi dirsi divertito, constatare per l’ennesima volta la fragilità dei terrestri rientrava sicuramente nei suoi divertimenti, da qualche tempo. Con somma gioia si fermava a constatare mentalmente quanto lui, il Principe dei Saiyan, fosse immensamente superiore a tutti loro. Uno strano sorriso si dipinse sul suo volto, un ghigno perfido e visibilmente soddisfatto.

Probabilmente avrebbe continuato a crogiolarsi nella sua infinita grandezza, se non fosse stato per la voce gioiosa dell’unica terrestre di cui forse era realmente interessato provenire da dietro la finestra alla quale era appoggiato. Istintivamente si voltò a cercare anche la sua sagoma, scoprendo suo malgrado che Bulma non era sola. Davanti all’ingresso dell’immensa casa sostava infatti l’altro terrestre di cui, per essere precisi, neanche si ricordava il nome. Quello con le cicatrici, in pratica.

Il sorriso beffardo che gli incurvava le labbra appena pochi secondi prima si spense drasticamente, divenendo una smorfia infastidita, senza che lui stesso se ne rendesse conto per primo.

Cosa fu a trattenerlo, in quel preciso momento, nessuno sarebbe stato in grado di dirlo. Ogni fibra del suo essere, infatti, stava fremendo per uscire e mostrare al misero terrestre una minima parte di quella forza che gli operai al suo fianco sognavano. Forse, per la prima volta, dovette ringraziare il suo smisurato orgoglio, perché andare là fuori a uccidere un insulso essere umano necessitava di una spiegazione, che lui stesso non aveva o fingeva di non avere. Almeno, era sicuro che Bulma lo avrebbe messo sotto torchio per conoscere una motivazione sensata per i suoi gesti e, qualcosa dentro di lui, gli suggerì che l’idea di renderla consapevole di questo buffo fastidio gli sarebbe risultato ancor più seccante. Rinunciò quindi, annotando mentalmente che, alla prima occasione, quel tizio l’avrebbe pagata cara.

E mentre i due si allontanavano ridendo e scherzando tra loro, un uccellino catturò l’attenzione di Vegeta, che per un insensato motivo si ritrovò ad osservarlo volare tra le nuvole in alto nel cielo. Per una ragione altrettanto sciocca si domandò, per un attimo, quale fosse la meta del volatile. Chissà se anche lui stava tornando a casa.

*

La cameriera poggiò sul tavolino del bar l’enorme vassoio che trasportava, prima di liberarsi delle due tazze di caffè che appoggiò di fronte ai rispettivi clienti. E mentre l’uomo sfoggiò un sorriso da perfetto dongiovanni, la donna si limitò ad osservare la moca e ad annuire leggermente come ringraziamento. L’inserviente si ritrovò, per un attimo, ad osservare i due, domandandosi che genere di rapporto c’era. A prima vista erano una coppia che usciva insieme, ma dai loro sguardi s’intuiva la mancanza di qualcosa. Tuttavia, la complicità tipica delle persone innamorate era chiaramente visibile nei loro occhi. In ogni caso non erano affari suoi, lei si limitò ad allontanarsi dal tavolo accompagnata da un piccolo inchino, lasciando nuovamente sola la strana coppia.

Bulma, che aveva interrotto il suo discorso all’arrivo della ragazza, osservò la bevanda nera e densa nel suo bicchiere per pochi istanti, poi tornò a scrutare lo sguardo dell’amico ed ex-fidanzato. “Insomma, alle tre di notte Trunks entra piangendo in camera mia dicendo di aver avuto un incubo terribile” Riprese, suscitando l’attenzione del commensale, che per un attimo aveva rivolto lo sguardo alla cameriera. “Ahah, che razza di madre fa vedere al figlio di due anni film sui mostre?” Scherzò Yamcha, riprendendo a sua volta il filo del discorso. L’altra inarcò un sopracciglio indispettita, “Ha insistito lui per vederlo, e poi era un programma per bambini!” Sottolineò, pur di non sembrare, anche solo inconsciamente, una madre degenere. La sua reazione, forse un po’ esagerata, suscitò una genuina risata da parte dell’uomo, il quale riconobbe l’atteggiamento dell’amica di sempre. “Non prendertela, stavo solo scherzando” Si premurò di ricordarle, mentre la sbirciò sorseggiare il suo caffè con un’espressione indispettita in volto. Quel’increspatura delle sopracciglia che Bulma manifestava ogni volta che le veniva fatto notare un suo errore. E Yamcha si ritrovò a sorridere sotto i baffi, certe piccole cose non cambiavano proprio mai.

“Ad ogni modo…” tornò a dire lei, nel tentativo di soprassedere sulle sue eventuali colpe. “La cosa più divertente è stata l’espressione di Vegeta quando si è trovato suo figlio nel letto. Sembrava che…” “Aspetta un attimo” La interruppe bruscamente l’altro, che per un secondo aveva sgranato gli occhi. Bulma sollevò lo sguardo dalla sua bevanda, appoggiando il recipiente sull’apposito piattino, fissando quindi l’espressione sgomenta del suo interlocutore. “Tu e Vegeta condividete la stessa stanza adesso?” S’informò un po’ turbato, cercando di figurarsi una situazione che fino a qualche anno fa non avrebbe mai creduto possibile. La donna lo guardò con ovvietà, scrutando con attenzione il suo volto, “Non te lo avevo già detto?” Domandò di rimando, avendo dato forse per scontato un’informazione. Yamcha, infatti, negò col capo, in un gesto leggero ed appena accennato. Lei si fermò a riflettere ancora un secondo, poi tornò ad appoggiarsi la tazzina alle labbra, “Beh, un mesetto fa sono riuscita a convincerlo a trasferirsi in camera mia. Così abbiamo praticamente rifatto l’intera stanza” Spiegò vaga e senza troppa precisione, omettendo pertanto la fatica che aveva fatto per persuadere l’essere più cocciuto, testardo ed orgoglioso dell’intero universo.

Dal canto suo, Yamcha, sembrò riflettere per pochi istanti. Il suo sguardo si posò sul suo caffè ancora immacolato, diventando vacuo per un solo istante. Tuttavia, quando i suoi occhi tornarono ad incrociarsi con quelli azzurri della sua ex non poté fare a meno di sorridere amichevole. “A quanto pare state diventando una famigliola felice a tutti gli effetti” Insinuò ridendo ed afferrando finalmente la propria tazza. Bulma osservò l’amico, alle prese con un’evidente boccone amaro da inghiottire e che, almeno a lei, sembrò terribilmente lampante. Quel modo un po’ impacciato di ridere, accompagnato dal gesto di grattarsi la nuca, non lasciava dubbi, la notizia lo aveva certamente sconvolto. Ma lui era Yamcha, una delle persone più buone e gentili che aveva la fortuna di conoscere. Forse secondo solo al defunto Goku. Per questo quell’espressione che nascondeva una punta di amarezza le sembrò, nella sua malinconia, sincera. Suscitando, pertanto, una nota di comprensione sul viso della donna stessa.

*

Pual osservò l’orizzonte dalla finestra del salotto, scostando lo sguardo sul sole che lentamente scendeva sulla Città dell’Ovest. Il cielo stava cominciando a scurirsi, e anche gli animali avevano stabilito di tornare nelle proprie case, alla ricerca di un riparo per la notte. Alcuni uccellini volarono proprio sopra la finestra dalla quale, l’animaletto, stava osservando il mondo. Il loro cinguettare, per un momento, lo distolse dal rumore della porta d’ingresso che si aprì lentamente. “Ciao a tutti” salutò il nuovo venuto, richiudendo l’ingresso appena mise piede in casa.

Yamcha si guardò attorno per un secondo, notando per primo il maialino trasformista, seduto di fronte alla televisione e distratto da un programma di aerobica. Non impiegò molto ad individuare l’amico di vecchia data dal manto blu, che appena riconobbe la voce del padrone di casa gli volò in contro. “Yamcha!” lo accolse Pual, adagiandosi sulla spalla del compagno e strofinandogli una guancia in un gesto affettuoso. L’umano sorrise, accarezzando gentilmente il gattino, prima di sfilarsi la giacca.

Pual, impaziente, osservò i gesti dell’uomo, fino a seguirlo verso il divano del salottino. “Allora? Com’è andata con Bulma oggi?” Volle sapere subito, appena vide l’amico stravaccarsi sul sofà. Yamcha si stiracchiò per pochi istanti, prima di assumere un’aria perplessa e pensierosa. Quell’espressione, leggermente turbata, non sfuggì al buffo gattino, che preoccupato aggrottò le sopracciglia in fremente attesa di una risposta. “Direi bene” stabilì infine il nuovo arrivato, non imprimendo nella frase una sufficiente convinzione. Nemmeno questo scappò al trasformista volante. “Però?” Lo incalzò quindi, avendo senza difficoltà intuito l’esistenza di un altro pezzo di discorso.

Olong, nel frattempo, spense la televisione, dopo aver salutato virtualmente le ginnaste in tute colorate ed attillate. Per la prima volta, da quando era rientrato, si degnò di rivolgere uno sguardo all’amico umano, avvicinandosi a sua volta al divano, con lo scopo di partecipare al dialogo.

Yamcha si lasciò andare ad un profondo e rassegnato sospiro. Le sue braccia si intrecciarono dietro la nuca, mentre lui rivolse al soffitto uno sguardo ancora un po’ titubante. “Beh, niente. È solo che mi mancavano queste uscite con lei, tutto qui” confessò infine, mentre un sorriso dai risvolti un po’ amari si dipinse lentamente sulle sue labbra. “Yamcha” sussurrò a suo fianco il gattino, dispiaciuto sinceramente per l’amico un po’ affranto. Nel sentir pronunciare il proprio nome, il padrone di casa, scostò lo sguardo sull’animaletto, scoppiando quindi in una risata genuina. “Non preoccuparti per me, Pual, io sto bene” Lo rassicurò, comprendendo immediatamente i pensieri dell’altro.

“Non capisco perché vi siete lasciati. Tu eri molto meglio di quel tipo” Esternò Olong, incrociando le braccia e ripensando all’espressione del nuovo compagno dell’amica. Un sussulto lo colse all’improvviso, facendolo vistosamente tremare. “Brr… quello ha uno sguardo che mette i brividi” ammise appena un secondo dopo, ottenendo l’attenzione degli altri due. E se Pual era sul punto di richiamare all’ordine l’altro trasformista, Yamcha si limitò a ridere nuovamente, ma questa volta con una punta di malinconia. Fu proprio quell’ilarità così spontanea a conquistare gli sguardi dei due inquilini. “A quanto pare lui è stato più bravo di me” confidò loro, issandosi in una posizione seduta ed appoggiandosi allo schienale del divano. “Stai dicendo che Bulma sta meglio con quello che con te?” Si sorprese Olong, sgranando gli occhi ed osservando l’umano con sgomento. Yamcha annuì “Ehh, pare di sì” riconobbe, grattandosi la nuca e ridendo sguaiatamente, quasi con imbarazzo.

Pual osservò l’amico per qualche istante, captando perfettamente i suoi pensieri. Lo sguardo del gattino s’intenerì, diventando comprensivo, quasi compassionevole. “Mi dispiace, Yamcha” Si lasciò sfuggire, cercando di essere, in qualche modo, d’aiuto al compagno d’avventura. Ma lui si voltò a guardarlo con stupore, non capendo appieno quella strana frase. “E di cosa? Io sto bene, davvero” Lo rincuorò, alzandosi dal sofà e sgranchendosi nuovamente. “Sicuro?” Si preoccupò nuovamente l’animale dal manto azzurro, ma l’umano si limitò ad un cenno positivo del capo. “Sono stato meglio con lei in queste ultime ore, rispetto agli ultimi anni in cui stavamo insieme. Alla fine è meglio così” Sancì risoluto, scostando lo sguardo sulla finestra.

I suoi occhi, per un istante, scorsero un uccellino che, seppur solitario, cinguettava felice alla ricerca di una possibile compagna nel cielo primaverile. Lui era proprio come quel volatile. Sorrise al pensiero.

Pual e Olong, alle sue spalle, si fissarono l’un l’altro, e mentre il gattino fece spallucce scuotendo il capo, il maialino sospirò pesantemente. “E’ tutto matto” mormorò quindi a denti stretti.

*

Gli occhi di Bulma si soffermarono per più di un lungo istante sulle spalle dell’uomo che occupava il lato opposto del letto. Sembrava voler a tutti i costi focalizzare quella figura, come per rendersi effettivamente conto che lui era lì. Da un mese circa, tutte le sere, la donna si fissava sulla schiena del Saiyan, pur di assicurarsi mentalmente che non fosse solo il frutto di una sua strana fantasia. Oppure che lui non fosse lì esclusivamente per altri scopi. Dopo qualche minuto, resasi conto che quella era la realtà, si accomodò al suo fianco, cercando di costatare la propensione solo dalle scapole del Principe che, per qualche strano motivo, da un paio di giorni pareva di pessimo umore.

“E’ stata una bella giornata oggi, con Yamcha. Erano anni che non passavamo un pomeriggio così tranquilli” Azzardò a dire la terrestre, lasciandosi scivolare sotto le coperte, solo dopo aver spento l’ultima luce. Nonostante ciò, percepì dall’altra parte del materasso un leggero scatto nervoso. “Abbiamo parlato del più e del meno e…” Si bloccò per un secondo, ripensando all’espressione dell’amico quando lo aveva informato della sua attuale situazione coniugale.

“A quanto pare state diventando una famigliola felice a tutti gli effetti”

Sorrise, ripensando a quella frase e all’espressione con la quale lui l’aveva pronunciata. “…Yamcha è davvero un bravo ragazzo” Si ritrovò a dire, colta da una leggera nostalgia nei confronti del suo primo grande amore. Restò un secondo in silenzio, ascoltando il rumore dei propri pensieri. “Si è anche offerto di occuparsi di Trunks se…” “Sta zitta una buona volta! Mi sono stufato di sentirti parlare, voglio dormire, quindi vedi di piantarla!” Sbottò all’improvviso il Principe dei guerrieri, issandosi in una posizione seduta e fissando la compagna con notevole fastidio.

Bulma lo scrutò per qualche secondo, con un’espressione confusa, senza comprendere le ragioni di quello scatto improvviso. Vegeta, al contrario, le riservò un’occhiata tutt’altro che amichevole, intersecando le braccia e sperando di ottenere il prima possibile il silenzio richiesto. “Ma che ti prende?” Mormorò quindi la terrestre, accendendo nuovamente la luce per poterlo esaminare con più attenzione. “Non mi piace ripetermi” ribadì ringhiando l’altro, aggrottando le sopracciglia notevolmente increspate. La donna lo fissò con attenzione per qualche istante in più, nel tentativo di leggere i suoi pensieri.

“Ah!” esclamò infine, sgranando gli occhi e cercando quelli scuri del compagno, “Vegeta, non sarai mica… geloso?” farfugliò quasi incredula avendo infine intuito ciò che lo stava tormentando. Per tutta risposta, il Saiyan, scostò lo sguardo altrove, evidentemente intenzionato a non guardarla affatto. “Tsk, idiozie” Ribadì fermo, serrando le mandibola con rabbia, quasi contraddicendo le sue parole.

Bulma rise, nell’osservare una scena che, qualche anno fa, mai si sarebbe aspettata di vedere. Il suo dito si poggiò delicatamente tra le sopracciglia dell’uomo, nel punto in cui esse erano più aggrottate. Vegeta, che non si aspettava quel gesto, fissò per un attimo la mano che si materializzò davanti a sé, assumendo un’espressione quasi sgomenta. I suoi occhi, infine, cercarono istintivamente quelli di lei, incastonati in un viso sorridente e sereno. “E’ così invece, lo capisco dalle tue sopracciglia” asserì la donna, “Sono piegate a livello gelosia” aggiunse in un secondo momento, quasi divertita.

Vegeta la osservò ancora per un attimo, prima di riacquistare la sua immancabile espressione severa, scacciando, come se fosse una mosca fastidiosa, quella mano; per poi tornare a fissare altrove. Anche Bulma divenne più seria, mantenendo tuttavia un moto di dolcezza nello sguardo.

La timida luce accesa sul comodino di lei illuminava il volto imbronciato del Saiyan, che si ostinava a non guardarla. La terrestre, infine, non poté fare a meno di sfiorare la guancia dell’uomo, che colto alla sprovvista si scostò come se avesse appena toccato del fuoco. Vegeta fissò le dita della donna per qualche istante, prima che esse si appoggiassero definitivamente sul suo volto, accompagnata dall’altra mano. Bulma lo costrinse a girarsi, e quando i loro occhi s’intrecciarono nuovamente lei gli sorrise. “Vegeta, non hai alcun motivo per essere geloso” Cominciò lei, causando l’inarcarsi confuso di un sopracciglio da parte del compagno, di stanza e non solo. “Yamcha è un caro amico. Ma alla sera, quando si spengono le luci su una dura giornata lavorativa, o dopo essermi occupata di Trunks, è vicino a te che voglio passare le mie ultime ore, prima di addormentarmi”.

Le braccia della donna si strinsero attorno al suo collo in un abbraccio che al Saiyan parve leggero. Eppure, quel gesto per lui così inconsistente, sembrò avere il potere di soffocarlo. Vegeta si limitò a restare in silenzio, inspirando il profumo dei capelli di lei che, lentamente, stava cominciando ad apprezzare.

*

Lontano da quella stanza, un piccolo uccellino si appollaiò su un albero, ad aspettarlo la sua compagna, in attesa di potersi accoccolare vicini, per affrontare l’ennesima notte insieme. Anche lui aveva trovato il suo nido.

*

FINE

*

 

  
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