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Autore: _NimRod_    30/04/2017    1 recensioni
In piedi nello stretto corridoio centrale del treno, il ragazzo guardò il sedile accanto a sé. La tizia con il taglio alla Semola e gli anfibi si esaminava le unghie smaltate di rosso scuro. Era quasi certo ci fosse un girone speciale dell’Inferno riservato unicamente a coloro che nell’ora di punta occupavano la seduta di fianco alla propria con giacca e borsa, costretti per l’eternità a rimanere scalzi, in piedi su braci ardenti, impossibilitati a sedersi per via delle giacche e delle borse inamovibili che ricoprivano ogni superficie rialzata del girone. Aveva un quarto d’ora scarso di treno davanti, era mattina presto e si moriva di caldo: non aveva per niente voglia di mettersi a sindacare e probabilmente dover discutere per uno stupido sedile per una questione di principio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Valentino singhiozzava a testa bassa, Michele guardava per aria con espressione annoiata: il Don, fieramente impettito in mezzo ai due ragazzini, salutò il padre di Michele con un gelido buonasera. Li teneva entrambi bloccati stringendoli per la spalla, cosa che a Francisco non stava piacendo un granché.

“Si sono picchiati di nuovo?” chiese l’uomo dopo aver spostato lo sguardo dalle mani grassocce di Don Pietro ai suoi occhi acquosi.

“Non esattamente. Gradirei parlare anche in presenza della signora Ferri.”

Valentino si mise a uggiolare più forte e Michele gli tirò una manata sul braccio.

“Credo sia uscita. Cos’avete fatto?” chiese rivolto ai bambini, cominciando a preoccuparsi. Per qualche ignoto motivo a Francisco passò per la testa che Michele e il suo amico avessero crocifisso un animale, ma l’azione più violenta che gli aveva visto compiere su altri esseri viventi era portare il cane dei vicini a farsi la pipì addosso a forza di complimenti e carezze, per poi arrivare loro stessi non troppo lontani a una situazione simile per le risate. Erano una coppia buffa, quei due. Il primo, magro come un chiodo e perennemente ingobbito, aveva uno sguardo dolce che non si spostava quasi mai da terra, incorniciato da un paio di occhiali da vista troppo pesanti e impegnativi per un ragazzino di quell’età, che scivolavano in continuazione lungo il setto nasale. Miguelito, il suo bambino, fiero e impettito nonostante quella manciata di chili in più che si portava dietro dall’adolescenza, con il suo solito sorriso furbetto con il quale poteva prendere in giro chiunque tranne il suo papà. Dopotutto, la faccia da schiaffi da qualcuno doveva pur averla presa.

“La catechista mi ha riferito di averli visti baciarsi nel parco giochi dell’oratorio.”

Il padre di Michele non poté evitare che il proprio sopracciglio sinistro si sollevasse.

“Stavamo solo scherzando”, sospirò Michele, scocciato.

Il Don ignorò il ragazzino: “Quest’anno sarebbe il termine del cammino per il sacramento della Cresima, signor Della Vedova.”

L’uomo incrociò le braccia e scosse la testa aggrottando le sopracciglia: “Cosa intende?”

“Non vorrei fosse sintomo di altro. E’ mio dovere consigliarle di arginare il problema sul nascere.”

Francisco avrebbe potuto sminuire la situazione calcando la mano sul dettaglio più palese, facendola passare per una ragazzata. Altro? Hanno tredici anni, Don. Cerchiamo di essere un pochino concreti, per una volta. Ci siamo passati pure noi. Una giustificazione da padre spaventato dal confronto, che pur di non avere problemi incolpa un’entità astratta come la pubertà. Si sarebbe evitato davvero un sacco di menate e probabilmente il Don avrebbe chiuso un occhio sulla faccenda, nessuno si sarebbe fatto male.

Eppure non era nel suo stile, nemmeno lontanamente. Il Valentino del futuro ci si sarebbe rivisto parecchio.

“Credo di non aver capito bene. In che modo la sessualità di mio figlio dovrebbe essere un problema? Perché devo vedere il suo migliore amico in lacrime sulla mia soglia di casa? Si è scomodato a venire fin qua con l’intenzione di umiliarli come si deve, vero? Lei è soltanto un tramite, se qualcosa nella condotta di questi due bambini non fa piacere a Dio nostro Signore, sono certo che nella sua infinita onnipotenza sarà in grado di prendere tutti i provvedimenti del caso. Dovrebbero pentirsi per un gesto così pieno d’amore? Allo stesso modo in cui a me e a mia moglie era stato chiesto di pentirci per aver avuto il nostro unico figlio al di fuori dal sacramento del Matrimonio? Avremmo dovuto pentirci della gioia più grande della nostra vita, secondo la vostra logica malata.”

“Ci sono regole da rispettare, signor Della Vedova. E le conseguenze delle vostre scelte come genitori sono evidenti. Non è già questa una prova della Divina Provvidenza?”

Michele vide gli occhi verdi del padre spalancarsi e il suo viso perdere l’espressione da simpatico bonaccione che aveva solitamente: pregustò i pochi istanti di silenzio irreale che facevano da preludio alla tempesta, approfittando del momento favorevole per divincolarsi dalla presa del Don e trascinare Valentino per un braccio su per le scale, entrando in camera propria. Chiuse la porta, accese lo stereo e alzò il volume del cd dei Linkin Park fino a coprire il litigio che stava avvenendo al piano di sotto.

“Piantala di piangere”, disse a Valentino, che nel frattempo si era raggomitolato contro l’armadio con le ginocchia al petto.

“Se non mi fan fare le Cresima, mia mamma mi ammazza.” Si tolse gli occhiali e cominciò a strofinarsi gli occhi. “E poi se lo viene a sapere la Chiara, mi molla di sicuro.”

Michele si coricò sul letto faccia al soffitto e sospirò: “Non dovevi chiedermelo se era un problema.”

“E tu non dovevi dirmi di sì.”

“Quindi adesso è colpa mia? Sai che cazzo me ne frega della Chiara, a me?”

“E’ colpa tua perché sei un ciccione di merda. Potevamo nasconderci sullo scivolo come ti avevo detto, ma tu sei troppo pigro.”

“Solo i fifoni si nascondono”, disse stringendosi nelle spalle.

Valentino si alzò dal pavimento e si stese accanto a Michele. Non era colpa sua e un era mai stato di merda. Stare vicino a lui lo faceva sentire al sicuro.

“Io ho paura.”

“E di cosa?”

“Di tutto. Sbaglio sempre, in tutto quello che faccio. Mi dispiace averti messo nei casini, volevo solo capire cosa si provava.”

“Ti ho aiutato volentieri a capirlo.”

Rimasero qualche istante in silenzio, fissando entrambi il lampadario bianco che pendeva sopra i loro occhi.

“Mi ero sempre chiesto perché tua mamma non avesse il vestito normale da sposa nelle foto del matrimonio, sai?” disse Valentino dopo essersi schiarito la voce.

“Si sono dovuti sposare in comune, e come hai visto a mio papà non è mai andata giù”, sorrise Michele. “Vedrai, andrà tutto bene. Fidati di me.”

   
 
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