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Autore: Sileno    30/04/2017    0 recensioni
Un ragazzo si sveglia in una baita isolata in compagnia di un custode anziano. La memoria del ragazzo è confusa; sembra perdere pezzi. Piano piano si renderà infine conto della motivazione della sua venuta.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sdraiato su un letto - forse chiamare letto questo sacco lercio riempito di foglie secche è un’esagerazione - mi giro e rigiro sotto queste coperte di lana grezza che mi fanno prurito alla pelle nuda. Ogni volta che mi muovo sento uno scricchiolio furioso che uccide ogni traccia di sonno. Almeno sono al caldo, le gocce si schiantano sul vetro della finestra. Sento il vento ululare. Fa strane urla il vento, sembrano quasi umane. Rabbrividisco. Sento il borbottio del vecchio, al di la della porta, nella stanza da pranzo, sento anche lo schioccare dei pezzi di legno che bruciano nel camino. La cena mi si rivolta nello stomaco. Ho ancora il sapore dello stufato di carne e dei fagioli imprigionato in bocca. Il vino rosso fa ondeggiare il cuscino e la stanza, come se dormissi nella pancia di una piccola nave. Vedo ancora quegli occhi grigi, accesi sotto le sopracciglia cespugliose del vecchio.
“Vai nel letto”  ha detto “e non guardare la finestra”.
Forse è pazzo, quel vecchio, ma non guarderò alla finestra. Devo pensare a qualcosa che mi mantenga impegnato. Alice andrà bene. La visualizzo nel buio della mente, nuda a fianco a me, le carezzo la pelle liscia, percorro il suo corpo con le dita fino alle spalle, le mani scivolano sulla sua carne. Il suo volto però, è una macchia di colore piatta. Alice sparisce senza salutare, che faccia aveva? Cerco nella mente, provo a ricostruirla, naso piccolo, capelli mori. No, quegli occhi scuri non sono suoi. Qualcosa scivola via dalla mia mente, quando me ne rendo conto è troppo tardi. Rimossa. Inutili i miei sforzi.
 
Apro gli occhi, la stanza è luminosa.
La finestra è spalancata, entra l’aria fresca. Respiro l’odore della pioggia socchiudendo gli occhi.
Alzo il busto facendo scricchiolare le foglie nel materasso, scosto la coperta con lentezza e poggio i piedi sul pavimento di pietra. Le piante dei miei piedi toccano il duro gelo, rabbrividisco.
Mi infilo i calzini, sopra la coperta c’è una maglietta stropicciata, una felpa col cappuccio e un paio di jeans. Mi vesto fissando le venature delle travi di legno del soffitto. Formano strane forme e volti. Vado alla finestra, è stretta e quadrata.  Fuori c’è un prato brillante di rugiada, poi alberi, un bosco di querce dalle foglie gialle che si muovono col vento sotto un cielo azzurro e senza nuvole.
Vado alla porta, a fianco del letto. La spalanco.
La stanza in cui entro è occupata al centro da un grosso tavolo in legno grezzo, con quattro sedie basse e tozze. A sinistra c’è il camino, dove ora riposa una brace rossa e pulsante. Alla parete sopra il camino sono appese con chiodi un paio di enormi e ramificate corna di cervo. Sembrano artigliare l’aria. Nell’altra parete invece sono appese una mezza dozzina di mensole di legno piene di barattoli con strani liquidi e foglie. A fianco del camino c’è una porta di legno chiusa. Il portone che porta fuori deve essere quello dall’altro lato della stanza. Sul  tavolo c’è un piatto scavato nel legno con qualche fetta di pane e salame, a fianco un bicchiere di vetro opaco con del vino rosso scuro. Mi siedo al tavolo e faccio colazione. Il pane è morbido sotto i denti, il salame profumato. Mangio tutto quello che c’è nel piatto e sorseggio il vino tra un boccone e l’altro, mi lascia il sapore di frutta sulla lingua. Mi alzo e vado verso il portone chiuso. Lo apro. Esco.
C’è il prato davanti a me, l’erba è schiacciata dal vento. Oltre il prato la fila di querce dalle chiome danzanti nell’aria limpida.
L’aria gelida mi morde la faccia,  il collo e le dita. Mi volto verso la porta per rientrare: un rumore alle spalle. Viene da oltre gli alberi. Ruote sulla ghiaia?
Cammino attraverso il prato, le scarpe e gli orli dei pantaloni mi si inzuppano. Trafitto da lame di gelo ai piedi. Sono sotto le chiome delle querce, tra i grossi tronchi immobili e l’umidità sospesa che confonde le forme, i miei piedi fanno sciaf sciaf sulle foglie morte e decomposte a terra.
Una stradina di ghiaia taglia il bosco. Sul bordo c’è un’auto ferma, con le luci accese. E’ una Panda bianca con strisce di fango sulle fiancate. La portiera del guidatore è aperta.
Mi avvicino all’auto. Qualcosa si è mosso al margine sinistro del mio campo visivo. Mi volto.
Un uomo in mutande e canotta bianca cammina sul bordo della stradina, mi da le spalle, è alto e ha le braccia e le gambe ossute, i capelli arruffati. Affonda i piedi nel fango e nelle pozzanghere sollevando schizzi. Lo osservo. Lui non si volta, continua a camminare lungo la strada inghiaiata, tra una decina di passi scomparirà tra la nebbia.
 
“Oi” dico con voce un po’ più bassa delle mie intenzioni. Lui non si volta, continua a camminare. Lo seguo a passi incerti.
“Fermati” dico, “Non hai freddo?”. Accelero il passo. Non risponde.
Deve essere un pazzo. Penso. Un pazzo in fuga.
Gli corro dietro fino ad arrivare ad appena un metro da lui. Lo afferro per una spalla, lui sguscia via dalla mia presa con una torsione violenta e veloce. Riprende il cammino come se non lo avessi mai toccato.
“Ma che…” Borbotto, lo afferro con tutte e due le mani alle spalle. L’uomo si divincola di nuovo, con un breve lamento.
E’ come se sotto la pelle nascondesse dell’acciaio.
Lui riprende la sua andatura dondolante, goffa, da ubriaco.
“Fermati tu, piuttosto” Dice una voce alle mie spalle.
Mi giro di scatto.
E’ il vecchio, è seduto sul cofano dell’auto, mi guarda con quegli occhietti sepolti sotto le sopracciglia.
“Non lo puoi mica fermare, quello” Dice.
“Perché?”
“Perché è già morto”
Il vecchio mi fa cenno con la mano di raggiungerlo. Io lancio un’ultima occhiata a quel tizio, che continua a camminare, e mi avvicino al vecchio. Lui si gira e prende a camminare lungo il sentiero dandomi le spalle, a cinque passi di distanza davanti a me. Supero la panda, dopo qualche passo appare dalla nebbia una vecchia auto rossa. Non ci fermiamo. Ecco una jeep color militare con qualche traccia di ruggine. Non ci fermiamo. Un camioncino bianco spunta dalla nebbia. Il vecchio si ferma e lascia che lo raggiunga.
“E potremmo continuare a lungo” Dice sorridendo. Non dico nulla.
“Torniamo a casa” Dice, si infila tra gli alberi.
Lo seguo senza esitare.
 
La casa ora è fredda. La brace nel camino non pulsa più. Il vecchio prende due pezzi di legno da un mucchietto a fianco della parete, li butta dentro e soffia sollevando cenere. Io lo guardo per un po’ dall’uscio, poi mi vado a sedere al tavolo.
“Ho una strana sensazione” Dico “E’ come se qualcosa nella mia mente non ci fosse più.
“Non so che dirti” Borbotta lui, soffia nel camino svuotandosi i polmoni “Forse all’inizio è così”.
“All’inizio?” Dico.
“Si, sei arrivato ieri sera”
“Non ricordo”
“Lo ricordo io” Dice il vecchio “Ma forse tra qualche tempo lo dimenticherò, e allora noi saremo stati qui da sempre”.
Il fuoco prende. Il vecchio si alza tenendosi le ginocchia “Credo che ormai sia ora di cena” dice.
Apre la porta a fianco del camino, entra in un cantuccio scuro dove vedo dei salami appesi al soffitto, esce con un salame nella destra e una pagnotta di pane scuro nella destra. Poggia tutto sul tavolo. Torna alla dispensa e prende un’altra pagnotta e due coltelli. Mi mette davanti il pezzo di pane e un coltello. Il vecchio si siede e taglia la sua pagnotta in due, poi inizia ad affettare il salame e a disporci le fette ordinatamente dentro.
“Che è successo ieri sera?” Dico io.
“Stavo cenando proprio come ora” Dice lui senza staccare gli occhi dal suo panino “Tu hai bussato alla porta e ti ho fatto entrare, hai mangiato e ti sei ubriacato col mio vino” Spalanca gli occhi all’improvviso, si alza dal tavolo di scatto e va alla dispensa, esce dall’antro con una bottiglia di rosso in una mano e due bicchieri di vetro nell’altra. Dispone il tutto sul tavolo e si risiede.
“Dicevo… Ti sei ubriacato, poi ti ho mandato a letto. Fine della storia”
“Dove ero stato? Nel bosco?”
“Non eri stato da nessuna parte” Dice lui “Fino a ieri sera non ti avevo mai visto”.
Non dico niente. Do un morso alla pagnotta nera e mastico. Butto giù il boccone. “Non ricordo niente” Stappo la bottiglia e mi verso un po’ di vino nel bicchiere.
Ormai la lama di luce che arrivava da sotto il portone è scomparsa, siamo illuminati solo dai bagliori del camino acceso.
“E’ arrivata la notte” Dice il vecchio dopo aver buttato giù un morso di pane e salame ”Sbrighiamoci a finire e andiamo a letto”.
Annuisco con la bocca piena di pane. Apro gli occhi. La stanza è buia. Alzo il busto e tiro via le coperte che pizzicano, le foglie nel materasso urlano. Nel silenzio della stanza sono assordanti. Mi guardo intorno. Lancio una fugace occhiata verso la finestra, i vetri sono coperti solo da un paio di tendine bianche e sgualcite, distolgo subito lo sguardo. Mi stendo sul materasso, sollevando altre grida atroci, mi tiro addosso quelle coperte. Ho un freddo cane che mi fa tremare. Chiudo gli occhi. Proprio quando sto per perdere conoscenza, un ‘Toc toc’ ritmico batte nel buio della mia mente. La mia coscienza torna vigile, mi tolgo le coperte dalla faccia e guardo la finestra. Un piccolo pugno pallido ed esangue, innaturalmente bianco nell’oscurità, batte sul vetro.
Toc toc.
Mi manca l’aria, soffoco un grido spingendo il volto nel materasso. Quando alzo ancora lo sguardo la mano non c’è più. Butto via le coperte e mi alzo, poggio i piedi sulle piastrelle gelide e mi fiondo alla finestra. La apro. Una folata di vento polare mi mozza il fiato e mi fa lacrimare.
C’è qualcuno nel prato, cammina verso la massa scura degli alberi dalle chiome scosse dal vento. Una figura minuta con una chioma di lunghi capelli scuri, coperta da un telo bianco che parte dalle spalle e arriva a strisciare sull’erba. Si volta. Tra le ciocche di capelli bagnati vedo un viso sorridente. Una ragazza, poco più che bambina, dai grandi occhi color nocciola. Dalle labbra le cola del sangue, che ha sporcato con una grossa macchia rosso scuro il telo bianco con cui si copre. Mi saluta con la mano bianca, forse la stessa con cui ha bussato alla mia finestra. Io le sorrido e rispondo con un cenno, non ho più paura. Sento la sua risata, si volta e corre verso i tronchi scuri, scompare nell’oscurità. Una vocina nella mia testa mi suggerisce di uscire dalla finestra e correrle dietro, poi però un’altra folata di vento mi colpisce, e capisco che fuori questa notte potrei anche morire. Chiudo la finestra. Mi vesto e mi infilo sotto le coperte. Mi addormento poco dopo.
 
“uQuesta notte ho fatto uno strano sogno” Dico.
Sono seduto al tavolo, il vecchio è dall’altra parte, seduto anche lui, con un panino al prosciutto e formaggio stretto tra le mani e il bicchiere con il solito rosso appoggiato davanti.
“Hai guardato alla finestra?” Dice lui alzando gli occhi dal cibo.
“Credo di si, ma è tutto così confuso che non sono sicuro fosse reale”
“Cosa hai visto?”
“Una ragazza vestita di bianco” dico “Le usciva sangue dalla bocca, era tutta imbrattata di quel sangue”
Il vecchio annuì senza dire niente, fissando il panino tra le sue mani.
“Ha bussato alla finestra”
“Lo fanno spesso” Dice “Vogliono attenzione”
“Poi è scappata”
“Forse è timida” Dice il vecchio, da un morso al panino e inizia a masticare.
“Non hanno freddo?”
Il vecchio mi guarda negli occhi, butta giù il boccone “Non sono come noi”
“In che senso?”
“Non lo so”
“Non sono come quelli delle auto” Dico.
“Già, sono un po’ più svegli, a volte sono molto tristi, ma non sono come noi”
“Ho fatto male ad aprire la finestra?”
“Non so risponderti” Dice lui.
“Allora se tornerà le aprirò di nuovo” Dico, mi alzo dalla sedia e vado al portone.
Sento la voce del vecchio dietro le mie spalle “Fai pure” Ha detto.
Apro la porta ed esco nella nebbia fitta della mattina gelida.
 
Torno al crepuscolo, gli alberi danzano ancora alle mie spalle nel vento freddo quando apro il portone ed entro nella casa. Il caldo mi avvolge come una coperta e il mio naso è invaso dall’odore di fumo e legna umida nel camino. La stanza è vuota, le sedie sono state sistemate vicino al tavolo e il vecchio divano è intonso. Solo il fuoco scoppiettante nel camino da una qualche idea di vita.
Prendo una sedia e la porto davanti al fuoco, mi siedo a guardare le fiamme in quell’antro pieno di polvere e cenere.
Sono stato ore e ore a vagare in quel bosco gelido, dove i deboli raggi del sole penetravano come lame nella nebbia, torno con i piedi gelati e umidicci per essere passati tra tutte quelle foglie putrefatte.
Ho cercato in quel labirinto di tronchi e foglie e nebbia, senza vedere niente di mobile e caldo se non me stesso. Ho camminato lontano dal sentiero di auto. Il mondo è morto. Il portone si apre, mi volto di scatto. Il vecchio è in piedi all’entrata con un cesto di vimini intrecciati pieno di cibarie tra le braccia, distinguo un salame e una forma di formaggio, oltre ad alcune bottiglie di vino. Entra e chiude la porta, appoggia tutto sul tavolo, poi inizia a sistemare tutto nella dispensa.
“Dove le hai prese?” Dico, torno a guardare le fiamme guizzanti.
“All’altare”
“Cos’è?”
“Il posto dove trovo il cibo” Ribatte lui.
Annuisco.
“Sono tornato adesso” Dico ”Non ho visto niente”
Il vecchio grugnisce, prende dalla dispensa un paio di pagnotte e me ne allunga una, io la prendo e mi riempio la bocca di pane. Il vecchio chiude la porticina e si siede al tavolo.
“Stai attento questa notte” Dice.
 
Questa notte non mi sono addormentato, sto sotto le coperte con gli occhi che fissano la finestra da uno spiraglio. Le palpebre sono pesanti, ma ogni volta che le sento abbassarsi mi mordo il labbro inferiore, il lampo di dolore mi fa tornare vigile. Sobbalzo da ore ad ogni rumore, ad ogni scricchiolio delle foglie del materasso, ad ogni lamento del legno. Gli schiocchi del fuoco nell’altra stanza sono ammutoliti da tempo, il vecchio ha smesso di rigirarsi sul vecchio divano.
Sono completamente vestito, ho persino gli stivali foderati ai piedi, sento che sono umidi di sudore, come le ascelle. Ma dovrò essere pronto a scattare e a correre, ho una gran voglia di parlare con quella ragazza dai lunghi capelli neri e la veste lorda di sangue. Lo stomaco mi ronza in maniera allarmante e ogni tanto mi fa quasi male, ho il respiro affannato e non penso ad altro.
Mi impongo di respirare lentamente, con un ritmo regolare, gonfiando i polmoni e svuotandoli pian piano dell’aria tiepida. Sto aspirando per la terza volta, quando la vedo e sputo tutta l’aria in un colpo solo. La mano bianca dalle unghie nere sta bussando al vetro. La vedo stagliarsi nell’aria nera attraverso la tendina sgualcita. Butto via le coperte e mi alzo di scatto, raggiungo la finestra in due passi e la apro. E’ lei, mi guarda dal basso, a piedi nudi nell’erba gelata, con la sua coperta bianca e insanguinata addosso. Schiude le labbra sorpresa e spalanca gli occhi scuri. Si volta e incomincia a correre nell’erba verso gli alberi. Scavalco la finestra e atterro in piedi sull’erba che scricchiola sotto gli stivali.
“Non scappare!” Grido inseguendo quella piccola creatura pallida nel prato, guadagno terreno su di lei grazie a tutta l’eccitazione che ho accumulato. Quando raggiunge gli alberi sono a pochi passi dal toccarla. Sembra che schivi i tronchi un attimo prima di schiantarcisi, seguo lo sciaf sciaf ritmico dei suoi piedi nudi sulle foglie morte. Raggiungiamo la stradina di ghiaia, lei gira a sinistra, corre a fianco alle auto nella direzione in cui esse sono rivolte. Ne superiamo tante, di auto, continuano a sbucare dalla nebbia. Sento che il piede scivola sui sassi, non riesco a fermarmi e riprendere l’equilibrio, cado a terra su un fianco mancando di un soffio la fiancata di un’auto con il cranio. Mi rialzo con un ringhio. La mano destra brucia e il fianco lancia lampi di dolore. Alzo lo sguardo, lei non c’è più. Solo il muro di nebbia. Batto il palmo sul vetro dell’auto su cui mi sono quasi sfracellato la testa. Riprendo la corsa nel buio ignorando il male alla gamba destra.Corro. Le auto sbucano regolari, vomitate dalla nebbia. Incomincio a considerare l’idea di averla persa. Di dover tornare indietro. Poi la vedo, è di spalle, immobile, a fianco di un auto davanti a me.
Anche la nebbia ha smesso di correre. Il muro non si sposta, è sempre di fronte a lei e all’ultima auto, una lunga decappottabile beige. Sono a un passo da lei, vedo che le sue spalle sono scosse dai singhiozzi. La ragazza pallida sta piangendo. Il muro di nebbia incombe su di noi, come se questo ammasso impenetrabile di materia ci potesse sommergere in ogni momento.
“Scusami” Mormoro.
Lei sussulta.
Non resisto, cerco la sua mano, la prendo e le stringo le dita leggermente. Sono gelide.
“Perché non vieni in casa?” Dico con la mascella che si muove da sola per il freddo “C’è un fuoco, ti riscalderai”
Un lieve sussurro le esce dalle labbra screpolate “No”.
Non vedo una nuvoletta di vapore uscire dalla sua bocca.
“Perché?” Il sudore si gela velocemente tra i miei capelli, così come quello dei palmi delle mani e delle gambe. Ho un freddo tremendo. Restiamo li in silenzio per qualche decina di secondi, a guardare gli sbuffi e i vortici nella parete di nebbia.
E sento qualcosa che sfugge dal mio cervello, che annega nei vortici.
Mi volto verso quella creatura sporca di sangue, che guarda ancora verso la nebbia.
“Sono morto” Dico “L’ho capito solo adesso”
Lei si volta lentamente, i suoi grandi occhi nocciola incontrano i miei, sorride con quei suoi denti insanguinati.
“Avevo paura che sarei stata sola” Dice “Ma ora che sei con me sono più tranquilla”
“Anche io, solo e disperato” Le stringo le dita forte, anche le mie ora sono gelide “Ma forse morire non è poi così male”.

 

Questo racconto l'ho scritto in una notte innevata; l'ho scritto di getto e con la febbre a 38 perciò se notate eventuali errori fatemelo presente! 
In caso foste curiosi di leggere altre cose scritte da me, questo è il mio blog: diogenesileno.tumblr.com
   
 
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