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Autore: Makil_    30/04/2017    13 recensioni
In un territorio ostile in cui la terra è colma di intrighi e trame nella stessa quantità con cui lo è dell'erba secca, il giovane ser Bartimore di Fondocupo, vincolato da una promessa fatta al suo miglior confidente, vedrà finalmente il modo per far di sé stesso un cavaliere onorevole. Un torneo, un'opportunità di rivalsa, una guerra ai confini che grava su tutte le regioni di Pantagos. Quale altro momento migliore per mettersi in gioco?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Pantagos'
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Glossario della terminologia relativa alla storia (aggiornamento continuo):

Patres/Matres: esperti, uomini e donne sapienti indottrinati da studi all’Accademia. Ogni regno ne possiede tre, ognuno dei quali utile a tre impieghi governativi.
Accademia: ente di maggiore prestigio politico a Pantagos, vertice supremo di ogni decisione assoluta. Da essa dipendono tutti i regni delle regioni del continente, escluse le Terre Spezzate che, pur facendo parte del territorio di Pantagos geograficamente, non  sono un tutt’uno con la sua politica. Il Supremo Patres è la figura emblematica della politica a Pantagos, al di sopra di tutto e tutti.
Devoti: sacerdoti del culto delle Cinque Grazie (prettamente uomini), indirizzati nello studio delle morali religiose alla Torre dei Fiori, nelle Terre dei Venti.
Fuoco di Ghysa: particolare sostanza incolore e della stessa consistenza dell’acqua, la cui unica particolarità è quella di bruciare se incendiata.
Le Cinque Grazie: principali divinità protettrici del sud-ovest di Pantagos, proprie di molti abitanti delle Terre dei Venti e della Valle del Vespro. Tale culto prevede la venerazione di quattro fanciulle e della loro madre. 
Tanverne: enormi bestie dotate di un corpo simile a quello di giganteschi rettili, abitanti il territorio di Pantagos.
Y’ku: titolo singolare dell’isola di Caantos, nelle Terre Spezzate, il cui significato è letteralmente “il più ricco”. Il termine “y’ku” s’interpone tra il nome e la casata nobiliare di un principe dell’isola, posto a determinare la sua ascendenza nobile.
Incantatori: ordine giurato unico del continente di Pantagos. Si tratta a tutti gli effetti di un gruppo di sapienti  in cui sono raggruppati guaritori, speziali, alchimisti e finanche stregoni – benché in molti, e nel popolino nello specifico, non credano a questo genere di arti. La sede degli incantatori è la Gilda degli Incantatori, altresì detta Tempio Bianco, sulla Collina di Burk, a Fondocupo. 
Castellano: figuro (molto spesso un esperto) incaricato di reggere, in vece del sovrano al quale è subordinato, un altro regno, un piccolo borgo o una cittadina appartenente all'uomo cui giura lealtà. 

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Passare tra i tendaggi decolorati dalla notte, facendo attenzione a posare i piedi sul terriccio umido e non su dei sassi franosi, con in mano quel grosso assemblaggio di legno e acciaio, fu un’impresa non poco complicata.
Era impossibile non notare che fosse notte già da un po’. La mezzaluna splendeva alta nel cielo, accanto a lei le stelle tingevano di luce le tenebre, dando quasi vitalità a quella notte fresca. Passando tra i viali sterrati dell’accampamento, Bart fu costretto a fermarsi un paio di volte per rilassare le braccia dal peso di ciò che stava portando. Accanto a lui, un piccolo fuoco stava ardendo su una pira, circondato in ogni lato da un gruppo di cavalieri in armatura totalmente assopiti l’uno sulla spalla dell’altro. L’aria era satura dell’odore della notte, di quel brivido che entra nella pelle, rinfresca l’erba ed inumidisce il terreno; quel freddo lieve che basta per far capire a tutti che è ora di ritirarsi a dormire. Tutto taceva ora e ognuno era nascosto dietro la propria tenda. Il silenzio incombeva sul campo, facendolo apparire diverso dalla sua versione mattutina.
Lo stesso, però, non si poteva dire del pioppo vigoroso che cresceva vicino al suo padiglione, immobile sotto la coltre oscura di tenebre nel cielo. Lenticchia stava brucando delicatamente l’erba, emettendo di tanto in qualche nitrito di lamento. “Magari rabbrividisce qui.” pensò Bart passandogli accanto e facendogli scorrere la mano sul dorso. Accanto, il palafreno di Esmerelle agitava la coda da un lato all’altro sferzando l’aria rapidamente, gli occhi puntati su di lui. Oltre alla loro presenza non c’era nessun altro. Bart si era aspettato di trovare un indaffarato ed impaziente patres Steffon sotto alle fronde pioventi dell’albero, eppure dell’esperto non c’era nemmeno l’ombra. Il giovane cavaliere aprì le cortine della tenda con una sola mano e si precipitò in quello che ormai era il suo padiglione.
Trovò Esmerelle sul letto di paglia, le tendine appena richiuse tutt’attorno. Posò l’armatura in un angolo del padiglione e lasciò cadere la casacca ormai quasi del tutto vuota sul mobiletto accanto al letto, insieme allo scudo che Garmold gli aveva regalato. Il suo mantello e Lungacrestra giacevano lì accanto, il primo ripiegato accuratamente, la seconda distesa al suolo, silenziosa e gelida nel suo fodero marrone. Bart si slacciò la cintola a cui era legata la spada che aveva acquistato poco prima da Garmold, molto più piccola di Lungacrestra, ma tanto più affilata. Il fodero nuovo pendeva dal suo bacino senza neppure arrivare all’altezza del ginocchio. “Per lei andrà più che bene” si disse. La estrasse con un gesto fulmineo. La spada era dannatamente bella, lucida e sottile. Una curvatura l’attraversava nella lama perfettamente affilata ed adeguatamente spuntata, che rifletteva con nitidezza i bagliori di due ceri lasciati a bruciare sul mobiletto. “Dovrà rimanere così per ora, intaccata e pura. La sua era una promessa. E le fanciulle non utilizzano le spade in mezzo ai cavalieri”.
Avrebbe voluto donargliela da sveglia, mentre lei poteva sentirlo, lodarlo e, perché no, ringraziarlo, ma seppe che non c’era modo di attendere. Doveva trovare Ortys Wysler e patres Steffon al più presto, raccontare loro cosa aveva sentito, informarli del pericolo che incombeva sul campo e dell’intrigo che correva tra le vie sterrate come un cavaliere a cavallo, pronto a falciare via numerose teste dal loro collo. Non c’era tempo da perdere, si disse, loro dovevano sapere. E dovevano farlo subito.
Si avvicinò di qualche passo al corpo dormiente della fanciulla con cui ormai aveva imparato a condividere la sua avventura. “Un’avventura che sta per terminare. E per te, Esmerelle, dovrà terminare prima che sia davvero finita”. Il viaggio di ritorno al padiglione gli aveva dato modo, tra le tante altre cose, di riflettere a lungo sul da farsi. Aveva pensato alle possibilità di risvolta e aveva notato con immenso dispiacere che non ce n’erano molte. E seppure queste esistevano, Esmerelle non avrebbe dovuto averne a che fare. Lei era una ragazza, una fanciulla, e tra qualche anno sarebbe stata donna a tutti gli effetti. E lei non doveva avere modo di vedere tutto quello che stava per accadere, tramato nelle menti dei più odiosi uomini nel campo. Lei, Esmerelle, era venuta fino a Roshby con Bart solo per assistere al torneo. C’era stato un tempo in cui aveva pensato che l’onore cavalleresco fosse qualcosa di straordinariamente potente, in grado di vincere le peggiori difficoltà della vita. Gli aveva detto che desiderava tanto vendetta per ciò che le era successo, qualcosa che solo l’onore, solo il torneo avrebbe saputo darle. Ma se avesse visto che non c’era onore neppure nell’evento più onorevole mai proposto dall’Accademia, che ne sarebbe stato delle sue speranze di rivalsa?
Bart era più che convinto a non permetterle di vedere oltre. Lui avrebbe fatto di tutto pur di risparmiarle quella vista.
Per poco più di metà coperto da una leggerissima coperta di seta, il corpo sinuoso e delicato di Esmerelle era disteso su quel materasso. Il solito corpetto di cuoio, ancora un po’ bagnato d’acqua del laghetto in cui era stato lavato, le stringeva il petto e le metteva in risalto le forme. Bart si prese un momento per ammirare la bellezza della ragazza che aveva di fronte. Il suo volto longilineo era puro, coperto da una pelle chiarissima, perlacea. I suoi occhi erano grandi, simili a quelli di un cerbiatto. I lunghi e foltissimi capelli biondi le ricedevano sulle spalle a ciocche splendenti, contornandole il viso in una cornice d’oro fuso.
Bart posò la lama accanto a lei, qualche passo lontano dai piedi del letto, scoperta. Al risveglio avrebbe avuto modo di vederla, lì, pronta a difenderla: dopotutto sarebbe stata utilizzata proprio questo scopo. Ma adesso, mentre le tenebre incombevano tutt’attorno al campo, e mentre il gelo si levava da sud, a difenderla ci sarebbe stato il padiglione di cuoio, innalzato come una guardia insonne pronta a calare la sua lama contro i briganti della notte. E, almeno fino ad allora, con lei ci sarebbe stato lui, ser Bartimore di Fondocupo, intenzionato più che mai a preservare la sua purezza.
Uscì dalla tenda di corsa, diretto verso il padiglione di Ortys Wysler. Ora che si era liberato del peso dell’armatura, del legno, della casacca e della spada, camminare gli venne molto più semplice. Attraversò una piccola stradina di terra battuta, oltrepassando un cavaliere assonnato a guardia di due piccole braci su cui giravano due maiali cotti e pronti per essere serviti ad un banchetto. “Si bruceranno” pensò.
Il padiglione del signore di Ardua Scogliera era spento, buio e silenzioso. “Troppo, per appartenere ad Ortys Wysler”. Davanti alla cortina d’ingresso un cavaliere dall’aria regale bloccava l’accesso, l’alabarda d’acciaio piegata su un lato. Bart conosceva quell’uomo, ma non la sua arma.
«Ser Konrad» salutò posizionandosi di fronte lui. L’uomo non l’aveva neppure visto arrivare. Ammiccò un paio di volte prima di rispondere al saluto e parlargli con fare impacciato.
«Ser Bartimore, che ci fai qui?». La mascella squadrata di ser Konrad si mosse appena.
«Devo vedere Ortys.» spiegò velocemente mettendo un piede in avanti. «E devo parlare con patres Steffon. Al più presto».Pronunciò quelle parole con più violenza del previsto.
L’uomo non spostò di un passo l’alabarda. «Non potrai farlo, ser Bartimore. Né questa sera, né la prossima.»
«Che vuoi dire?» domandò perplesso.
«Voglio dire che il mio signore è partito questo pomeriggio, dopo pranzo. E con lui è andato via anche il patres. Mi spiace, ser Bartimore. Se si trattava di qualcosa di veramente importante, saresti dovuto venire prima.»
«Che significa?» chiese incapace di trovare un senso a quella prima risposta. «Dove sono andati? E quando torneranno?». La furia con cui pose quelle due domande gli fece dolere la mandibola non ancora del tutto sanata.
«Un impegno, ser Bartimore. A noi uomini della sua scorta non è dato sapere né come né dove né perché. Mi hanno comunicato di tenere il padiglione per loro e non far entrare nessuno. Non devono essere andati molto lontano, da quel che ho capito. Parlavano di una locanda, di un’importante riunione. Li ho sentiti parlare di casa
«Una locanda? Che locanda?»
«Una locanda su un certo fiume… qui al Nord è tutto così diverso… io non conosco molto. Dicevano che dovevano incontrare un uomo. Oh! Non chiedermi chi sia o chi non sia. Non ho altro da dirti a riguardo.»
Bart chinò il capo. Com'era possibile tutto ciò? Ortys era andato via senza neppure informarlo. E patres Steffon lo aveva seguito: strano per un uomo come lui, uno così legato ai suoi principi a alle sue promesse, venir meno ad un impegno. Dopotutto era mancato all’appuntamento che aveva preso con Bart. Perché?
Bart si rivolse di nuovo a ser Konrad, ormai passato in posizione di riposo, l’arma tenuta piuttosto vicino a petto. «Sai quando torneranno?»
«Un giorno di marcia per andare, uno per tornare. L’impegno non richiederà più di alcune ore. Credo che saranno qui a torneo inoltrato.»
«Torneo inoltrato?» domandò stupefatto Bart.
«Sì, non hai sentito?» chiese a sua volta ser Konrad, la bocca semiaperta ripiegata in un sorrisino severo e distorto. C’era un che di fastidioso in quell’espressione. «Qualche ora fa hanno comunicato l’inizio del torneo. Ser Bartimore, insomma, sei stato o no al campo di Roshby? Faresti meglio a prepararti: le gare avranno inizio domani!»
Una cosa che non poteva aspettarsi di sapere così, con tanta fretta. Si sentì come confuso, in un modo che non era più quello che aveva lasciato a Sette Scuri. Tutto stava andando avanti troppo rapidamente, nel vortice di un oscuro intrigo che avrebbe comportato solo spargimenti di sangue. E lui, l’unico a poterlo sapere, non aveva modo di parlarne con nessuno. Si trovava come bloccato, incatenato nel bel mezzo di una valle ricoperta dalle spire di centinaia e centinaia di vipere velenose. Poteva mettere a tacere quello di cui era a conoscenza e fare finta di non averlo mai udito, legarlo con un nodo alla gola ed inghiottirlo insieme ad un grumo acido di disprezzo e rabbia repressa, ma sarebbe stato onorevole ed umano?
Mai come allora Bartimore si era sentito tanto disorientato. Fino a quel momento non si era reso davvero conto che la repentina scomparsa di Ortys avrebbe davvero implicato il non averlo più al suo fianco. Con chi si sarebbe sfogato ora che se n'era andato? Sarebbe stato troppo tardi quando avrebbe fatto ritorno, una volta che il torneo era già iniziato? Su di lui gravava una congiura, un inganno che nella sua assenza sarebbe stato modellato e perfezionato dai ribelli. Avrebbe fatto in tempo per ricongiungersi con Bart?
Il giovane cavaliere ringraziò ser Konrard e fece per andarsene istintivamente, smarrito in una valanga di dubbi.
«Un’ultima cosa» disse voltandosi un’altra volta. Ser Konrad era già tornato in posizione di difesa.
«Dimmi cos’altro vuoi sapere.»
«Sai dove si trova il padiglione di Melkor Winemors?» domandò.
«Se lo so?» fece lui. «Mi pare proprio di sì, ser Bartimore». Poi indicò una tenda verde acqua poco lontano dalla loro postazione, molto grande e vistosa. La punta di quel padiglione era sormontata da alcune borchie d’acciaio. «Dovrebbe essere quella lì. Perché me lo chiedi?»
«Voglio che tu sappia che questa notte, lì vicino, ci sarà un incendio. Il fuoco brucerà il cavallo di Melkor Winemors e lui sarà costretto a prenderne un altro. Una cavalla, se proprio dobbiamo dirla tutta.»
Ser Konrad non capì. Bartimore si pentì di averglielo detto, poco conscio del motivo per cui lo aveva fatto.
«Non capisco.» evidenziò lui corrugando le sopracciglia. Per un momento si scompose di nuovo, l’alabarda al fianco, questa volta, più che in posizione di riposo, totalmente disorientato. «Davvero non capisco cosa vuoi dire.»
«Vedi di startene dentro quando accadrà. E non dirmi che non ti avevo avvertito.»
Poi Bart si girò lasciando il cavaliere e la sua alabarda nell’ombra del campo buio, insieme immersi l’uno nella rigida severità dell’altro.
Tornato nella sua tenda Bart non poté che ripiegarsi a pensare e ripensare a tutto ciò che gli era successo in così poco tempo. Dubbi, proposte, riflessioni, certezze e interrogativi gli risalirono dai piedi fino al capo, coprendolo come avrebbe fatto una coperta di seta. Accoccolato su se stesso accanto al letto, vicino all’elsa della spada gelida di Esmerelle, Bart, senza neppure farci caso, si perse in un mondo di incertezza ed esitazione, di illogici dubbi e fastidiose perplessità, prima di cadere in un sonno profondo e senza sogni.

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Note d'autore
Ancora una volta sono costretto ad aggiornare di domenica pur di non lasciarvi senza un capitolo settimanale; domani non avrò proprio modo di dedicarmi anche solo un secondo ad efp, quindi ho preferito prendere al volo lo squarcio di tempo di oggi. Una serie di problemi, purtroppo, mi stanno tenendo lontano dal pc, impossibilitandomi numerose attività: tra cui, mio malgrado, la scrittura. Prima di ogni altra cosa, perciò, ci tenevo a scusarmi qui per essere mancato alla consueta recensione alle storie dei miei fidati recensori Innominetuo e Fan Of The Doors: farò del mio meglio per recuperare il prima possibile!
In questo capitolo, che possiamo dividere in due parti, succedono un paio di cose che, nonostante non sembri, sono molto rilevanti. Bartimore si confronta con una dormiente Esmerelle, e si pone di fronte numerosi problemi. Il cavaliere sta cambiando dentro di sé: cosa pensate di questo principio di trasformazione? E' la paura che possa accadere qualcosa di brutto ad Esmerelle a farlo penare, o c'è dell'altro? 
Ma la cosa più importante si trova nel secondo spezzone del capitolo: Bartimore si confronta con una vecchia conoscenza, ser Konrad, il quale gli riferisce qualcosa di molto scombussolante. Dove sono andati Ortys e patres Steffon? E perché fuggire tanto rapidamente, senza informare nessuno, neppure i membri della loro scorta? A voi le teorie!
Un grazie a tutti coloro che continuano in ogni modo a sostenermi; lettori attivi e silenziosi! Il prossimo aggiornamento sarà di passaggio verso qualcosa che in molti aspettano dalle prime righe della storia, a presto cari!
Makil_

 
   
 
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