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Autore: Nene_92    30/04/2017    15 recensioni
[INTERATTIVA - ISCRIZIONI CHIUSE]
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Londra, Giugno 2007.
Sono passati sette anni dalla gara organizzata da Antares che si è tenuta a Villa Black, che serviva per dare un nuovo erede maschio alla famiglia.
Cassiopea e Darius Levenvolde sono ormai sposati da tempo, hanno una figlia di quattro anni e un altro piccolino in arrivo.
Ma una sera, durante una festa organizzata da Cassiopea, un cadavere viene buttato dentro alla piscina, scatenando il panico tra gli ospiti.
E il cadavere, disgraziatamente per la famiglia Levenvolde, è quello di Samuel Larson, cameriere della famiglia da cinque anni.
Chi è stato davvero ad ucciderlo? E perchè? Chi lo sa, magari proprio il vostro OC!
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(La storia, per chi conoscesse la serie, è vagamente ispirata a Devious Maids - Panni sporchi a Beverly Hills. Per chi non avesse letto "Un erede per i Black" è leggibile anche singolarmente)
Genere: Generale, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La nuova dinastia dei Black'
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Salve!

Prima ancora di lasciarvi al capitolo, faccio una breve considerazione che vale PER TUTTI (io pensavo che la cosa fosse scontata, visto che l'ho già detta e stradetta, ma a quanto pare non è così -.-' ): alle domande che faccio a fine capitolo, dovete rispondere SEMPRE.
Non credo che inviare un nome per MP sia questo sforzo titanico.

Buona lettura!




- Sylvia Berenice Burke - 


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Sylvia Berenice Burke in Selwyn, 19 ottobre 1975, Corvonero



19 ottobre 1975, Swansea, Galles, Gran Bretagna



Kenneth Burke continuava a passeggiare avanti e indietro per il corridoio, nel quale arrivavano soffocate le urla della moglie, partoriente per la terza volta.
Come ogni bravo purosangue, non aveva mai assistito direttamente alla nascita dei suoi figli.
Semplicemente, si piazzava nel corridoio, in attesa che l'elfo domestico preposto a tale compito uscisse e ne comunicasse l'avvenuta nascita.

Tuttavia quella volta sembrava che la nascitura Sylvia Berenice - quello era il nome che lui aveva scelto per la futura figlia - non avesse alcuna fretta di nascere.
Era da ore che il travaglio andava avanti, pensò sbuffando e gettando l'ennesima occhiata all'orologio a pendolo piazzato a metà del corridoio... se la nascita avesse tardato ancora un po', lui avrebbe rischiato di fare tardi all'udienza dello Winzengamont.
E di certo non poteva permetterselo, visto che stava semplicemente per nascere una femmina.
Magari, se fosse stato il terzo maschio, avrebbe anche potuto farla un'eccezione.

Tuttavia, dopo qualche altro minuto - che però a lui sembrarono ore - un pianto di neonato si levò nell'aria e l'elfo domestico uscì con un piccolo fagotto rosa tra le mani, annunciando così al mondo la nascita di Sylvia Berenice Burke.




-*-*-*-



2007, Londra, Villa Black Levenvolde, ore 7.00



"E tu cosa ci fai nella mia cucina?"

La domanda, posta all'improvviso, ruppe il silenzio regnante fino a pochi secondi prima nella stanza.
E ottenne come risultato quello di far prendere un mezzo infarto a Candice, che per la sorpresa battè la testa contro al forno che stava pulendo.

"Ahy!" Si lamentò la ragazza, portandosi una mano sopra alla parte del corpo lesa.
"Oh Merlino! Ti sei fatta male? Guarda che stavo scherzando!"

Candice, ancora dolorante, si girò verso colui che aveva parlato, riconoscendolo come Nihal Black.
"Sto bene... più o meno..." Commentò mentre sentiva la parte di pelle colpita pulsare.
"Fa vedere!" Esclamò l'uomo avanzando verso di lei e costringendola a sedersi sulla sedia, nonostante le rassicurazioni della ragazza.

Dopo una breve occhiata, le puntò la bacchetta contro borbottando qualcosa e immediatamente un senso di sollievo si propagò dal punto colpito.
"Giuro che non volevo spaventarti." Ripetè Nihal mortificato "Si tratta di uno scambio di battute che faccio spesso con Cata: credevo fossi lei! Di solito finiamo sempre per discutere su chi debba usare la cucina!" Spiegò. "L'unica cosa certa è che, tra elfi domestici e domestici non ne ho mai l'uso esclusivo!" Concluse sbuffando, con tono di voce contrariato.
"Di sicuro con me questo problema non si porrà!" Commentò Candice divertita "E non si preoccupi Signor Black, sto bene." Ripetè nuovamente "Le piace cucinare quindi?" Domandò poi incuriosita.

Di sicuro non se lo aspettava minimamente da un purosangue!

"Dammi del tu per favore!" Replicò lui agitando una mano "Comunque sì, adoro cucinare... anzi, sono quasi certo di avere conquistato mia moglie proprio in quel modo. Anche se lei continua a negare." Ammise divertito. "Sei sicura di stare bene?" Domandò per l'ennesima volta.
"Sì, assolutamente." Rispose Candice iniziando ad osservare l'uomo, che si muoveva abilmente nella cucina per recuperare determinati ingredienti e strumenti. "Le serve una mano?" Domandò poi vedendo che il ragazzo si era fermato nel bel mezzo della stanza, guardandosi intorno con aria perplessa.
"Stavo pensando a dove Cata potesse avere nascosto il setaccio..." Borbottò lui in risposta, prima di fare spallucce "Vabbè, amen. Accio! ... E ti ho detto di darmi del tu!"


"Come ti trovi qui?" Domandò Nihal dopo un po', mentre aggiungeva del latte all'impasto. "Deve essere un bel salto dagli Stati Uniti all'Inghilterra... io ne so qualcosa."
"Come hai detto tu... è un bel salto." Convenne Candice "Di sicuro sono due mondi molto diversi... all'inizio è stato strano ambientarsi, ma adesso va meglio... come mai ne sai qualcosa?" Chiese poi incuriosita.
"Sono americano anch'io." Rispose lui.
"Ma non sei... un Black?" Domandò la cameriera perplessa.
"Solo di adozione." Spiegò Nihal tranquillo "Mia mamma Pyxis era la vera Black! Io sono nato con il cognome Jackosn, ma poi mio nonno - Antares Black - non voleva che la dinastia si estinguesse con lui, perciò mi ha adottato e dato il suo cognome." Riassunse brevemente "Ma io sono nato e cresciuto a New York... davvero non ne hai mai sentito parlare? E dire che la nostra storia è stata sulle riviste di gossip per un bel po'!" Commentò sorpreso.
La violinista, a quelle parole, si strinse leggermente le spalle. "Diciamo che qualcosa magari ho letto... ma non si sa mai cosa sia vero e cosa no, visto che le riviste di gossip tendono sempre ad esagerare." Spiegò "Comunque sono del New Jersey: di Atlantic City per l'esattezza ... ma tu non stai un po' esagerando con tutto quell'impasto?" Chiese sorpresa all'improvviso, notando quanto impasto per dolci Nihal avesse prodotto durante la loro chiacchierata. "Si potrebbe quasi sfamare un esercito!"
"In linea teorica avresti ragione però, in questo caso, dovrò sfamare
davvero un esercito." Replicò l'uomo "Tra pochi giorni sarà il compleanno di mia nipote Lyra e subito dopo quello di mio figlio Perseus. Non ho idea di quanti saremo, tra parenti vari!"



-*-*-*-


Luglio 1993, Swansea, Galles, Gran Bretagna



Sylvia, avvolta nel suo vestitino leggero estivo all'ultima moda, arrivò nel salotto adibito alla colazione e, con sorpresa, si accorse che non solo erano presenti tutti i componenti della sua famiglia - oltre ai suoi genitori Kenneth ed Aurelie, c'erano anche i suoi fratelli, Laertes ed Octavian - ma anche un signore che non aveva mai visto, intorno alla quarantina.

Avrebbe voluto aprire bocca per augurare il buongiorno a tutti i suoi familiari e successivamente presentarsi allo sconosciuto, seguendo quelle regole previste dall'etichetta purosangue che le erano state inculcate nella testa fin dalla più tenera età, ma suo padre la precedette.
"Sylvia, stamattina sono arrivati i risultati dei tuoi MAGO." Annunciò sventolandole davanti agli occhi un foglio di pergamena, con il sigillo di Hogwarts già spezzato, mentre un elfo domestico iniziava a versarle il the dentro ad una tazza.

A quelle parole, il respiro di Sylvia si spezzò per un attimo, anche se cercò di mascherare il tutto dietro alla sua solita maschera di impassibilità.
Stava aspettando quei risultati da giorni ormai.

"E devo dire che non deludono affatto il nome dei Burke: sono tutte E." Continuò l'uomo con un piccolo moto di orgoglio che raramente Sylvia gli aveva sentito esprimere.

Tuttavia, nonostante la splendida notizia, c'era qualcosa che non le tornava: cosa c'entrava quell'uomo sconosciuto, con quel momento?
"Sono felice di aver raggiunto le vostre aspettative, padre." Comunicò, bevendo un sorso di the, tenendo per sè le sue perplessità.

"Aspettative che di sicuro non deluderai neanche in futuro." Continuò l'uomo "Così come sei stata una ottima studentessa, sarai anche una ottima moglie. E' per questo motivo che ci tenevo a darti la notizia adesso, davanti a Frederick Selwyn, il tuo futuro marito."

A quelle parole, Sylvia dovette ricorrere a tutto il suo controllo purosangue per non reagire in alcun modo.
Nonostante questo, il the le andò comunque di traverso.


-*-*-*-


25 giugno 2007, 
Londra, Villa Northman



Lysbeth, carica come un mulo di sporte con la spesa, si smaterializzò in uno dei tanti corridoi della Villa.
Spaesata, si guardò intorno, cercando di capire dove diamine fosse finita: quella abitazione era un vero e proprio labirinto e lei non si era ancora abituata a tutto quello spazio.
Lo dimostrava il fatto che le sue reali intenzioni erano quelle di  smaterializzarsi direttamente in cucina, non di certo in mezzo al nulla.

Stava per girare su se stessa per provare a rismaterializzarsi, quando due voci - una maschile e una femminile - attirarono la sua attenzione.
Riconobbe subito quella femminile: era quella di Amelie.
Per l'altra ci mise invece un po' più di tempo, ma alla fine riconobbe quella di Hakon, il gemello della ragazza.

Anche dalla sua postazione si capiva che stavano discutendo vivacemente riguardo a qualcosa.

E nonostante Lysbeth, dopo il licenziamento dai Levenvolde, si fosse ripromessa di non ficcare più il naso in in questioni relative ai purosangue, non riuscì proprio a trattenere la curiosità.
Così, dopo aver appoggiato le borse per terra e averle fatte evanescere, si accucciò in un angolo e tese l'orecchio.

"... ma certo che vorrei tornare a casa Hakon! Credi davvero che io mi diverta a restare bloccata qui in Inghilterra?" Stava dicendo Amelie, con una voce stridula, ormai prossima al pianto "Sono lontana da tutto qua! Dalla mia casa, dalla mia famiglia, da te!"
"E allora cosa stai aspettando a farlo?" Controbattè il ragazzo, alzando leggermente il tono di voce.
"Gli Auror me lo stanno impedendo, maledizione!" Rispose lei soffiando come una gatta davanti all'acqua.
"E cosa aspetti a corromperli? Non sarebbe di certo la prima volta per noi!"
"Cosa credi, che me ne stia con le mani in mano?" Ribattè la ragazza arrabbiata "Sto cercando un qualche appiglio... un segreto, uno scheletro nell'armadio, qualcosa che mi possa servire... ma la squadra messa su da Aaron Morgan sembra essere senza macchie." Ammise con tono abbattuto. "Maledizione a Grindelwald!"

Un rumore di vetri infranti fece pensare a Lysbeth che probabilmente Amelie, presa dalla rabbia, avesse scagliato un bicchiere - o qualcosa di simile - con rabbia a terra.

"Calma tesoro." La riprese però la voce pacata del fratello "Tutti hanno un punto debole. Trova il loro e sfruttalo per tornare a casa. Ho bisogno di te qui."
"Tutto questo maledetto casino per uno stramaledetto domestico!" Sbuffò la bionda, anche se già con un tono di voce molto più calmo. "Che possa marcire nella tomba!"
Il gemello ridacchiò
però divertito, per nulla impressionato da quelle esternazioni. "Non gliel'hai ancora perdonata, eh?"
"Perchè, tu sì?" Fu la risposta ironica di Amelie.
"E' morto." Replicò Hakon con una scrollata di spalle. "Non potrà più parlare. Per fortuna.



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1995, Villa Burke - Selwyn


Sylvia, dopo aver controllato per l'ennesima volta di essere da sola in casa, tirò fuori dal cassetto un modulo.

Ormai era sposata con Frederick Selwyn da più di un anno... e non ce la faceva più, a fare la casalinga.
Le sembrava di impazzire.
Doveva restare in casa tutto il giorno per controllare tutto ciò che i domestici facevano, dividendosi tra cortile e le numerose stanze della Villa che condivideva con suo marito.
Uomo con il quale era riuscita giusto ad instaurare un rapporto di distaccata cortesia.

Frederick Selwyn, tra tutti i purosangue che le sarebbero potuti capitare, non era neanche il peggiore.
Tuttavia, esattamente come avrebbe fatto chiunque di loro, aveva preteso dalla prima notte di nozze che sua moglie adempisse ai suoi doveri coniugali.
La prima e quasi tutte le altre successive.

Con il tempo, l'interesse per la giovane moglie - avevano ben 15 anni di differenza - era scemato, probabilmente complici sia i suoi impegni di lavoro - che lo facevano stare spesso lontano da casa - sia il fatto che Sylvia sembrasse completamente immune alle gravidanze.

Probabilmente, se avesse saputo che a sua insaputa lei usava degli anticoncezionali, la situazione sarebbe stata del tutto diversa.

Ma non l'aveva mai scoperto e Sylvia era ben felice di non portare in grembo un bambino che l'avrebbe legata a quella casa - e a quella famiglia non voluta - ancora di più.

Tuttavia quella magra consolazione non era per lei abbastanza.
Stare tutto il giorno in quella casa le dava alla testa.
Aveva bisogno di una valvola di sfogo.
Anche solo per poche ore al giorno, ma ne sentiva ogni giorno di più l'esigenza quasi soffocante.


Per quel motivo aveva quel modulo in mano: aveva sentito dire che all'Ufficio Misteri erano a corto di personale.
E lei, con i voti che aveva preso solo due anni prima ai MAGO, rientrava pienamente nel profilo richiesto.

Inoltre la dirigente del Dipartimento, Aurelia Yaxley, era una vecchia amica di famiglia e le aveva assicurato che non ci sarebbero stati problemi, per quanto riguardava la sua assunzione.
Doveva solo spedire il modulo compilato e il gioco era fatto.

Suo marito non avrebbe mai e poi mai avuto il coraggio di negare una richiesta proveniente dal Ministero della Magia stesso.
E lei, per almeno un po' di ore al giorno, sarebbe stata libera.


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25 giugno 2007, Londra


Melisandre, non appena sentì le parole della sua segretaria, si diresse a passo di marcia verso il suo studio, intenzionata a dirgliene quattro alla persona che si trovava lì.
Eppure, quando raggiunse la meta, si fermò perplessa ad osservare la sua interlocutrice.
In effetti, quando la sua segretaria le aveva detto che una giovane ragazza purosangue si trovava nel suo studio, la detective aveva pensato di non essere stata evidentemente abbastanza chiara nel respingere la proposta la volta prima.
Ciò che l'aveva bloccata però, era la persona che aveva davanti.

Al posto del caschetto castano di Alexis Buldstrode infatti, davanti a lei si trovava la chioma rosso fuoco di Cecilia Weiss.
E a differenza della magiavvocato, la ragazza emanava un'aria da persona molto più simpatica e alla mano.

In sostanza, Melisandre non se la sentiva proprio di cacciarla in malo modo come aveva pensato di fare fino a pochi secondi prima.

"Detective McTavish?" Domandò Cecilia, sfoggiando un sorriso contagioso "Piacere di conoscerla, sono Cecilia Evans." Si presentò allungandole la mano.
E Melisandre, quasi spinta da una forza invisibile, si ritrovò a ricambiare la stretta. "Ho già rifiutato il caso." Si ritrovò comunque a voler precisare, giusto per non darle false speranze.
"Lo so" Ammise Cecilia "Ma non vorrei lasciare nulla di intentato... magari è stato solamente sbagliato l'approccio. So quanto Alexis possa essere irritante, a volte."
"Si è presentata come se fosse lei la padrona dell'ufficio." Borbottò Melisandre, facendo il giro della scrivania per sedersi sulla poltroncina.
"Capisco." Annuì la tassorosso "A volte facciamo fatica a sopportarla anche noi." Commentò con una scrollata di spalle.

Di solito Melisandre era abituata a nasare le bugie. E in quel caso seppe subito che la ragazza stava dicendo la verità. Neanche lei sopportava Alexis.
Tuttavia decise di non dargliela vinta così facilmente. "Perchè dovrei accettare il caso adesso, se l'ho rifiutato solo pochi giorni fa?"

"Perchè Cassiopea e Darius non si meritano quello che stanno passando." Rispose prontamente Cecilia. "E se lei può aiutarci a ristabilire la verità su quello che è successo, aiuterebbe una famiglia a non andare in pezzi."
"Non tenta neanche di convincermi con la promessa di una consistente somma di denaro?" Domandò Melisandre incredula.
La Weiss fece spallucce "Può chiedere la somma che vuole, quella è l'ultimo dei miei pensieri." Ammise candidamente "Voglio solo che mia cugina e suo marito vivano tranquilli."
"Ha detto che non se lo meritano e che la loro famiglia rischierebbe di andare in pezzi... perchè?" Indagò Melisandre. "Perchè dovrei aiutare una famiglia purosangue ricchissima e viziata ad uscire dai guai?"
"Perchè, come ho detto prima, non se lo meritano." Ripetè pazientemente Cecilia. "E non voglio che i miei nipoti - Lyra e quello che deve ancora nascere - passino quello che ha passato mia cugina. Ne avrà sentito parlare immagino... avrà anche avuto un nonno che l'ha super viziata, ma credo che avrebbe rinunciato volentieri a molti di quei vizi, in cambio dell'amore di due genitori."
"Sì, ne ho sentito parlare." Ammise Melisandre sospirando e trovandosi improvvisamente con le spalle al muro. "Accetto il caso."

"Questo è un assegno in bianco." Disse Cecilia depositando il pezzo di carta sulla scrivania di Melisandre, con un sorriso a 32 denti "Io ho messo solo il primo numero e la firma... decida lei il resto."



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1997, hotel londinese



Sylvia arretrò di qualche passo, mentre l'uomo di fronte a lei la schiacciava sempre di più verso la parete, baciandola con foga e iniziando a scioglierle i lacci del vestito.

Sinceramente, la donna neanche si ricordava come quest'ultimo si chiamasse oppure se si trattasse di un mago purosangue, mezzosangue o nato babbano e neanche le interessava: ne aveva avuti troppi, di amanti occasionali, per ricordarseli tutti.
L'unica caratteristica che le importava era che fossero discreti.

Non che fosse un problema: la maggioranza di loro era davvero intenzionato a darle solo "una botta e via".
E a lei andava benissimo così.
Se suo marito le aveva tolto la verginità, la passione in un rapporto sessuale le era stata insegnata solo anni dopo, da diversi uomini che erano finiti casualmente sul suo cammino.
Quegli incontri la facevano sentire viva, donandole quel pezzo di vita che non si era goduta per nulla, essendo stata costretta a sposarsi ad appena 18 anni con un uomo decisamente piatto, oltre che più vecchio.

Tutti gli uomini che aveva avuto li aveva incontrati, per un motivo o per l'altro, sul lavoro.

In fondo, che il Ministero della Magia fosse un continuo via vai di gente, era cosa nota.
L'unica regola che si era imposta era di non instaurare nessun rapporto - neanche per una scopata - con qualcuno che condivideva con lei il luogo di lavoro.

In nessun modo doveva essere scoperta.


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25 giugno 2007, Londra


Caroline Fisher aveva sviluppato nel tempo una tecnica di sopravvivenza molto semplice per sopravvivere al lavoro: se Alexis Buldstrode sembrava anche solo vagamente infuriata, era meglio tenersi alla larga il più possibile.

Per quel motivo quella mattina, appena capita l'antifona, cercò di tenersi impegnata per più tempo possibile lontana de Alexis, lavorando solo ed esclusivamente nel suo ufficio, senza mai mettere il naso fuori.

Tuttavia, quella mattina, quella tecnica risultò per la prima volta insufficiente: Alexis, senza neanche bussare, entrò all'improvviso come un tornado nel suo ufficio, sbattendole una serie di fascicoli sulla scrivania, ordinandole di analizzarli in fretta, perchè ne aveva bisogno il prima possibile.
Tuttavia, almeno quella mattina, Caroline non era affatto disposta a farsi mettere i piedi in testa.

Era ancora troppo sconvolta dal funerale di Samuel.
E si era ricordata all'improvviso quanto fosse fastidioso essere manovrati come delle marionette.
Alexis inoltre, benchè in ufficio non si fosse mai comportata come tale per via del suo cognome altisonante, era una sua collega, non il suo capo.

Per quel motivo, ancora prima di rendersene pienamente conto, la sua bocca si mosse per articolare un secco "No."

Per qualche secondo, Alexis si fermò a fissarla in silenzio, perplessa quanto Caroline stessa per quello strano rifiuto.
Poi sbattè le palpebre e sembrò riprendersi. "Come prego?"

"Non sono una tua sottoposta. Sono una tua pari, una tua collega." Le rispose Caroline con tono fermo. "Quindi, se vuoi qualcosa, me lo chiedi gentilmente e aggiungendoci un 'per favore'." Spiegò virgolettando l'espressione con le dita "Oppure ti arrangi."

Qualche secondo di silenzio si propagò tra le due, prima che Caroline, spinta da un moto di amor proprio che non pensava di avere, concludesse il discorso con la frase "Questi fascicoli, intanto, te li fai da sola."


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2001, Ufficio Misteri



"Selwyn!"

Sylvia, davanti a quel cognome, arriccò il naso infastidita.
Aveva già provato più e più volte a spiegare al suo capo ufficio che il suo cognome era Burke, ma non c'era stato verso di far entrare il concetto in testa a quella zucca vuota.

Tuttavia fu costretta a stamparsi in faccia una educata espressione di circostanza e ad alzare lo sguardo verso il suo interlocutore, scoprendo così che l'uomo era accompagnato da un giovane ragazzo, probabilmente fresco di MAGO o poco più grande.
"Sì capo?" Domandò interrogativa, cercando di mantenere un'espressione impassibile.

Qualcosa, in quel ragazzo, la agitava profondamente.
Le aveva risvegliato sensazioni che non credeva neanche lei di poter più provare, dopo il matrimonio con Frederick.

"Lui è il tuo nuovo collega." Spiegò secco l'uomo "Vedi di fare un po' di posto nel tuo ufficio, perchè d'ora in avanti lavorerete insieme. Gli farai da tutor." Concluse prima di girare i tacchi e andarsene, augurando al ragazzo buona fortuna prima di sparire oltre la porta.

"Piacere signorina Selwyn. Sono Theophile Larson." Si presentò il ragazzo, porgendole la mano per stringergliela.
"In realtà mi chiamo Sylvia Burke." Lo corresse lei "Selwyn è il cognome di mio marito" Spiegò con una smorfia, sentendosi in imbarazzo ad ammetterlo "... purtroppo."

"In ogni caso chiamami Sylvia e dammi del tu. "

Entrambi fecero fatica a sciogliere quella stretta di mano: una scossa elettrica li aveva colpiti inesorabilmente.



-*-*-*-


"Pensavi mi fossi scordato di te?"

Quella domanda, rivoltale all'improvviso da qualcuno che si trovava alle sue spalle, fece prendere un mezzo infarto a Julia.

"Spiacente per la mia assenza, bellezza." Continuò Elliott, ormai sicuro di avere la completa attenzione della sua interlocutrice. "Ma cause di forza maggiore mi hanno trattenuto." Concluse rivolgende un breve inchino nella sua direzione.
"Qualcuno ti ha denunciato per stalking?" Non riuscì a trattenersi dal domandare Julia con tono pungente, mentre iniziava a rovistare nelle tasche del mantello per trovare la bacchetta.
"In ogni caso, non mi sono dimenticato di te." Continuò il fotografo, ignorando volutamente la domanda della medimaga.
"Che fortuna!" Borbottò la donna sarcastica, che nel frattempo aveva ormai trovato la bacchetta e gliela puntava contro, nascosta dal mantello.

Attaccare ogni forma di vita umana era contro i suoi principi, avendo studiato per salvarle.
Ma in quel caso la considerava come legittima difesa.

"Hai pensato alla mia proposta?" Domandò Elliott aumentando il passo per avvicinarsi a lei, mentre Julia lo aumentava a sua volta per cercare di seminarlo. "Una bella intervista esclusiva sull'autopsia al cadavere di Samuel Larson, il cameriere dei Levenvolde? Sarebbe un articolo da prima pagina!" Esclamò entusiasta.
"Forse in una rivista per mentecatti." Commentò la medimaga, roteando gli occhi al cielo.

Stava cercando di non pensare a quella autopsia, ma ormai nelle riviste di gossip non si parlava altro che di quell'omicidio.
Era difficile non pensarci.
In effetti, si ritrovò a pensare, era strano che nessun altro giornalista, a parte Elliott Florence, l'avesse ancora contattata per saperne di più.

"E potresti guadagnare un sacco di galeoni!" Insistette Elliott, agitando le braccia. "Conosco moltissime riviste che pagherebbero profumatamente per questo genere di notizie!"

Con un sospiro di sollievo, Julia si accorse di essere ormai a pochi passi da casa.
Doveva solo finire il vialetto e si sarebbe ritrovata al sicuro, tra le confortevoli mura domestiche.
Dove Elliott Florence non avrebbe mai potuto raggiungerla.

"Per l'ultima volta" Ripetè esasperata "La mia risposta è no."
Mettendosi quasi a correre, raggiunse il cancelletto di casa sua, attivando tutti gli incantesimi di protezione.

E con una discreta soddisfazione vide Elliott Florence venire respinto, come se si fosse lanciato su un muro di gomma invisibile.
Sapeva anche lei che non sarebbe bastato così poco, per tenerlo lontano.

Ma anche quel giorno era riuscita a sfuggirgli.


-*-*-*-



21 giugno 2007, Londra, Villa Black - Levenvolde (giorno dell'omicidio)




Sylvia si morse violentemente la lingua per non emettere un gemito incontrollato provocato dall'orgasmo che Theophile le stava facendo provare.
Avevano insonorizzato la camera, ma chiunque sarebbe potuto comunque entrare lì dentro in ogni momento, interrompendoli sul più bello.
Ansante, la donna si appoggiò con la schiena alla colonna di marmo dietro di lei, mentre il suo amante le sprofondava dentro ad un ritmo sempre più incalzante.

Sylvia sapeva che non avrebbe dovuto cedere di nuovo e soprattutto non a quella festa - suo marito si trovava nel cortile, a poca distanza dalla stanza dove loro due si erano rifugiati - ma non era proprio riuscita a trattenersi. 
In fondo, che il loro matrimonio fosse una farsa, combinato solo per volere delle loro famiglie, era cosa nota. 
Così, appena aveva visto Theophile solo in un angolo, era stata lei a prendere l'iniziativa: con la scusa di parlargli di un problema sul lavoro - essere colleghi aveva anche dei vantaggi dopotutto - l'aveva trascinato in una stanza vuota.
Poi erano stati i loro corpi a fare il resto.

"Oh per Merlino!" Li interruppe la voce di Samuel, entrato in quel momento nella stanza come nelle peggiori previsioni di Sylvia, costringendoli così ad interrompere il bacio di colpo come se si fossero scottati. "Ecco perchè non si apriva la po...Theo!" Esclamò poi, ancora più sorpreso riconoscendo il cugino. 

Per un attimo il silenzio regnò sovrano nella stanza, con la situazione bloccata a mezz'aria. 
Poi Samuel sembrò riprendersi. 
Si schiarì la gola, appellò ciò che era venuto a prendere - un paio di casse piene di bevande - e se ne andò come se niente fosse successo, ignorando i richiami di entrambi.

Ma il sorrisino che sfoggiò prima di uscire dalla stanza non piacque a nessuno dei due.



-*-*-*-



25 giugno 2007, 
Londra, Dipartimento Auror



Eleanor Parker sbuffò contrariata, continuando a leggere il rapporto che teneva tra le mani.
Per un solo attimo alzò gli occhi dal foglio, per prendere tra le dita una ciocca di capelli rossi sfuggitale dall'acconciatura e la spostò dietro all'orecchio, cercando così di sistemare la pettinatura.
Poi tornò a guardare la cartella, che conteneva l'autopsia del cadavere di Samuel Larson, quasi sperando che nel breve lasso di tempo che le era servito per sistemarsi l'acconciatura, il foglio si fosse autonomamente trasformato.

Appurato che però il testo, confermato dalla firma della medimaga Julia Carlisle, non si era modificato di una virgola, sbuffò di nuovo.

"O hai molto caldo oppure quel rapporto ti ha fatto qualcosa." Commentò divertito Aaron, allungando il collo dalla sedia accanto per osservarla meglio.

Era da almeno dieci minuti che seguiva le mosse della sua sottoposta, ovvero da quando era finalmente arrivato il rapporto della autopsia.
Ed era da almeno cinque minuti che Eleanor sbuffava come una ciminiera.

"Brutte notizie?" Domandò curioso, dal momento che la ragazza continuava a lanciare occhiatacce al foglio, quasi come se fosse colpa sua per ciò che c'era scritto all'interno.

"Questo rapporto non ha senso." Annunciò alla fine lei, sospirando sconsolata. "Dice che Samuel Larson... si è suicidato!"
Aveva appena finito di dirlo che Aaron, con uno scatto felino, era balzato in piedi per raggiungerla, strappandoglielo di mano con poca grazia.


"Ma che stai dicendo?"


Dopo averlo letto attentamente, l'Auror assunse un'espressione corrucciata. "Non è esattamente come dici tu."
"Ah no?" Rispose Eleanor ironica "Per te cosa significa 'ferite autoinflitte dimostrabili tramite l'angolazione dalla quale è stato sferrato il colpo'?" Domandò citando le stesse parole contenute nel rapporto.
"Solamente che si è autoinflitto delle ferite, che probabilmente si è autoinferto a causa degli allucinogeni che qualcuno gli ha somministrato - sempre se non ne ha assunti di sua spontanea volontà." Rispose l'uomo. "E' scritto qui." Continuò indicandole il punto inerente alle analisi del sangue che la ragazza aveva frettolosamente saltato per arrivare alla diagnosi finale.
"Quindi prima ha assunto droghe, poi ha delirato in preda alle allucinazioni e durante queste si è autoferito e buttato da solo nella piscina?" Domandò Eleanor, passandosi una mano sulla fronte per asciugare qualche goccia di sudore che le era colata lungo il collo, a causa del troppo caldo presente nella stanza.
"O ha assunto droghe da solo oppure qualcuno gliele ha somministrate con l'inganno." Ragionò Aaron "Il problema è sempre quello... chi è stato a fare cosa?"

"In pratica siamo da ca..." Cominciò a dire Eleanor.
Tuttavia non riuscì mai a finire la frase.
La porta della stanza in cui si trovavano, rimasta chiusa fino a quel momento, si aprì di colpo, facendo entrare una trafelata Aysha.

Si teneva una mano sul petto mentre boccheggiava in cerca d'aria.

"Meghara!" La riprese Aaron, innarcando un sopracciglio, turbato da quella irruenza per niente tipica della ragazza. "Che è successo? Per non busssare deve essere qualcosa di grave!"
"Mi... mi scusi..." Boccheggiò Aysha, cercando di radunare la sua chioma leonina dietro all'orecchio. "Ma deve saperlo!"

Per qualche secondo il silenzio si propagò per la stanza, interotto solo dagli ansiti di Aysha, che doveva avere corso fino a quel momento.
Poi, dopo avere ripreso abbastanza fiato, la ragazza spiegò "Una fonte mi ha suggerito di indagare sugli Snow... il pro..."
"Sì, sì, sappiamo chi sono... vai avanti." La interruppe Aaron, facendole un gesto significativo con la mano.
"Ho accolto il suggerimento e li ho tenuti d'occhio." Riprese il filo del discorso la ragazza "Solo che questa notte si sono dati alla fuga. Nessuno ha idea di dove siano."



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21 giugno 2007, Londra, Villa Black Levenvolde (giorno dell'omicidio)



"Sylvia aspetta!"
Nonostante i richiami ripetuti di Theo, la donna lo ignorò. Finì di vestirsi velocemente e poi si precipitò sulla scia di Samuel.
Fortunatamente lo trovò a poca distanza, in un corridoio deserto, apoggiato alla parete con le braccia incrociate.

Come se la stesse aspettando.

La donna, davanti a quella ostentata sicurezza, si sentì per un attimo smarrita: l'aveva seguito senza ragionare, ma cosa avrebbe dovuto fare a quel punto?

"Ho sempre saputo che mio cugino era invidioso di me" Proclamò il cameriere con un sorrisino divertito, avvicandosi a lei come una belva fa con la sua preda "Ma addirittura diventare l'amante di una ricca purosangue sposata solo per emularmi... non pensavo arrivasse a tanto." "Cosa?" Domandò lei, completamente presa in contropiede.
"Ma come, non te l'ha detto? Eppure mi sembravate così... intimi fino a pochi minuti fa!" La sbeffeggiò lui "Oppure era solo una scopata casuale per voi?" Senza darle il tempo di rispondere, continuò "In ogni caso... ho anche io una purosangue a disposizione... ma a differenza del caro Theo, io ed Elettra siamo sposati."
"Non sono affari tuoi." Fu la risposta di Sylvia, che approfittò di quel lungo discorso per riorganizzarsi le idee "Cosa vuoi per il tuo silenzio? Soldi?" Domandò "Se hai una moglie purosangue, avrà di certo delle esigenze che con un semplice lavoro da cameriere non puoi soddisfare." Provò a proporre "Te ne posso dare talmente tanti che non dovresti mai più lavorare in vita tua."

Non ci fu bisogno del sorrisino che Samuel le fece in risposta, per capire che quella proposta non sarebbe mai stata accolta.
"Ma a me piace fare il cameriere." Ribattè infatti l'uomo "Nessuno ti considera, se non per ordinarti qualcosa, ma tu sei lì." Spiegò facendo un passo verso di lei "Pronto a cogliere il minimo segnale, pronto a svelare il più piccolo segreto... come ad esempio il tuo..." Continuò, rivolgendole un veloce inchino "Non so ancora cosa ti chiederò, in cambio del mio silenzio, Sylvia Selwyn. Perciò tienti pronta."



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25 giugno 2007, Londra, Villa Black Levenvolde, ore 10



Avendo individuato moglie e figlia in terrazza, intente a fare colazione, Darius le raggiunse e, dopo aver augurato il buongiorno a Cassiopea e averle dato un breve bacio, si sistemò su una delle poltroncine che attorniavano il tavolo.

"Papà!" Esclamò Lyra non appena lo vide "Mi prendi in braccio?"
Senza neanche aspettare il cenno di assenso dell'uomo, la bambina radunò i fogli di pergamena e i pastelli che stava usando, fece il giro del tavolo e si arrampicò sulle gambe del padre.
Poi sistemò tutto il materiale nella sua nuova postazione, rimettendosi a disegnare felice, mentre Darius le avvolgeva - in un gesto automatico - un braccio intorno alla vita per non farla cadere.

Cassiopea osservò tutta la scena con un sorriso rilassato, mentre sorseggiava del the dalla sua tazza preferita.

"Buongiorno seniore. Cosa vuole mangiare stamattina per colazione?" Domandò Catalina, uscendo a sua volta sul terrazzo insieme ad alcuni vassoi galleggianti a mezz'aria, contenenti alcuni tra i piatti preferiti dell'uomo.
"Una kascia di grano sarceno con miele e un caffè andranno più che bene. Grazie." Rispose lui, gettando un'occhiata distratta al disegno della figlia per poi spostare lo sguardo sulla moglie, mentre Catalina si indaffarava attorno al tavolo per eseguire la richiesta. "Come sta Antares oggi?" Domandò allungando una mano per sfiorarle il ventre.
"Fortunatamente sta dormendo." Rispose Cassy accarezzando la mano del marito, mentre Lyra alzava la testa per guardarli incuriosita. "Beh, direi che dopo tutti i calci che mi ha dato stanotte, un po' di forze dovrà recuperarle anche lui." Commentò ironica. "Cata ce ne sono ancora di quei biscotti al cioccolato che hai fatto l'altro giorno?" Domandò infine rivolgendosi alla domestica. "Perchè ne avrei proprio voglia!"
"Ma certo!" Rispose la ragazza, felice del successo che i suoi dolci avevano avuto "Vado subito a prenderli!"
"Grazie mille!" Fu la risposta "E magari, mentre sei in cucina, prendi qualcosa anche per te e vieni a fare colazione al tavolo con noi!" Si raccomandò, mentre Catalina apriva la porta del terrazzo per rientrare in cucina.

"Ti vedo particolarmente allegra stamattina." Notò Darius innarcando un sopracciglio, portandosi alle labbra la tazzina di caffè e bevendone un sorso.
"Ovvio che sono allegra: sei a casa!" Rispose la Black con tono ovvio. "Anche Lyra è contenta di avere il suo papà... vero tesoro?" Domandò allungandosi verso la figlia per darle un buffetto sulla guancia.
"Sì!" Fu il commento della bambina ridacchiante.
"E basta?" Indagò lui, lanciandole un'occhiata obliqua.

Ormai la conosceva bene, dopo due anni di fidanzamento e cinque di matrimonio.
E per quanto sapesse che Cassiopea fosse davvero contenta di averlo a casa con sè - non era mai riuscita a dormire, quando lui faceva le missioni di notte - aveva capito che la sua presenza in casa non poteva essere la ragione esclusiva di tutta quella allegria.

"Diciamo che delle notizie arrivate stamattina dal Ministero hanno contribuito al mio umore." Ammise la ragazza allargando il sorriso.
"Ovvero?" Domandò Darius, ormai certo di poterlo chiedere.

Con il lavoro che svolgeva, avevano dovuto sviluppare un codice verbale per poter parlare anche di cose importanti di fronte alla figlia, senza che questa se ne rendesse conto.

"Gli Snow si sono trasferiti, probabilmente all'estero." Spiegò Cassiopea serafica. "Peccato, proprio adesso che stavano facendo amicizia con i tuoi colleghi!"
"Non li hanno salutati prima di andare via?" Domandò ingenuamente Lyra, sgranando gli occhi e inserendosi così nel discorso.
"Già!" Rispose sua madre "Vero che sono stati proprio maleducati tesoro?" Commentò accarezzandole la testa. "E' per questo che sono felice: se sono così maleducati, è meglio non averli proprio intorno. Non trovi anche tu?"

Mentre la bambina annuiva in risposta, dandole così ragione, Darius si ritrovò a pensare di non voler indagare oltre.
Era chiaro che Cassiopea era venuta a sapere quella notizia nello stesso modo in cui aveva scoperto in cinque minuti che era stata Lysbeth Chevalier a denunciarlo.
Ma come sua moglie riuscisse a ricevere tutte quelle informazioni dal Ministero, prima ancora che le sapessero i diretti interessati, quello per lui rimaneva un mistero.

Che non aveva nessun interesse a svelare.


"Ecco la kascia per il seniore e i biscotti per la seniora!" Commentò Catalina, risbucando in quel momento sul terrazzo con un paio di vassoi galleggianti.
"Ma che bello, hanno un profumino delizioso! Dai, siediti con noi Cata!"


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Ed eccoci qua! Quanta carne al fuoco vi ho messo a questo giro? XD
Non ve lo aspettavate eh? :P


V
isto che il prossimo capitolo è già mezzo scritto, è possibile che io aggiorni prima del solito. Inoltre non vi farò la solita domanda su chi volete che sia il protagonista al prossimo giro (ho già scelto io). Semplicemente vi chiedo: qual è il vostro personaggio preferito al momento?


Alla prossima!


  
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