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Autore: Elena Ungini    01/05/2017    0 recensioni
L’agente speciale Steve Rowling lavora da due anni al Progetto A.I.R.E.S.S., con lo scopo di risolvere casi legati al mondo del paranormale. UFO, streghe, vampiri e affini sono all’ordine del giorno, per lui. Nel bel mezzo di un’indagine, si ritrova fra i piedi la giornalista Livienne Parrish, venticinquenne avvenente e disordinata. Nonostante l’odio atavico che Steve prova nei confronti dei giornalisti, è costretto a collaborare con lei, mentre gli intrighi, intorno a loro, si fanno sempre più fitti e pericolosi. Ma il pericolo più grande, per Steve, sono gli immensi occhi verdi di Livienne…
Genere: Avventura, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VAMPIRI
 
Filadelfia, Mercoledì 12 aprile 2000, ore 07.35
 
Era una splendida mattina, con il sole che sbucava dietro i palazzi del centro di Filadelfia, rallegrando la città e ricordando che, ormai, l'estate non era più così lontana. Steve chiuse a chiave il suo appartamento, scese le scale, uscì dallo stabile e si affrettò a raggiungere il vicino garage dove lasciava sempre la macchina. Lungo la strada si fermò all'edicola per dare un'occhiata alle notizie del giorno. Fra i tanti titoli ampiamente sfruttati anche dai telegiornali, il suo sguardo fu calamitato da un trafiletto sul poco conosciuto settimanale "Mistery", che portava il titolo "Vampiri a Var". Acquistò il giornale, raggiunse il suo ufficio alla sede dell'FBI di zona e si sedette a leggerlo. Aveva scorciato solo poche righe, quando il suo capo, Donald Kerk, sbirciò dalla porta socchiusa.
“Venga pure”, lo incoraggiò Steve, notandolo.
“Salve Steve”, lo salutò bonariamente, entrando.
“Salve Kerk. Lavoro per me?”, chiese Steve, visto che il capo entrava nel suo ufficio solo per affidargli qualche caso da risolvere.
“Già. Ma, come al solito, mi hai preceduto!”, esclamò, additando l'articolo che Steve stava leggendo.
“Non l'ho ancora finito”.
“Beh, te ne parlo io, allora. Ci sono stati degli strani avvenimenti, in quel piccolo paese europeo: tombe profanate e mucche e altri animali dissanguati, con strani buchi sul collo. Che cosa ti fa venire in mente?”
“La riedizione cinematografica anni 2000 di Dracula il vampiro”, ironizzò Steve.
“Già. A ogni modo la polizia locale non sa che pesci pigliare: credo che abbiano una paura folle solo a uscire di casa dopo il tramonto, così hanno chiesto il nostro aiuto, o, per meglio dire, il tuo aiuto. Ti andrebbe di fare un giro in Romania?”
“Avrei preferito le Bahamas, ma se non c'è altro…”.
“Bene. L'aereo parte fra un'ora. Questa è la documentazione ufficiale. C'è ben poco, per la verità”.
Gli passò il dossier, che Steve cacciò nella sua ventiquattrore, poi tornò a casa per preparare la valigia. Un'ora dopo, l'aereo di linea con Steve a bordo si staccava dal suolo di Filadelfia, diretto verso la Romania.
Erano le sette di sera quando atterrò a Timisoara. Da lì, prese un taxi e si fece portare fino a Var, un paesino poco lontano da Caransebes, dove alloggiò nell'unica locanda del paese. Qui, una donna bionda, pallida e magra, lo accolse. Steve si trovò subito in difficoltà con la lingua: l'interprete che doveva giungere da una città vicina era malato, non si riusciva a trovare nessuno che sapesse l'inglese e lui non conosceva una sola parola di rumeno. Le indagini non si prospettavano delle più facili. Durante il viaggio aveva letto la documentazione che Donald gli aveva fornito. Come aveva detto il capo, c'erano ben pochi indizi utili: solo qualche contadino che affermava di aver trovato la propria vacca dissanguata, con due buchi sul collo, e qualche donna che diceva di aver visto un vampiro aggirarsi furtivo nelle notti di luna piena. Evidentemente, le donne in questione dovevano aver fatto un po' di confusione fra vampiri e lupi mannari, pensò Steve, poco convinto da tali testimonianze. Disfò le valigie e mise tutti i suoi vestiti nell'armadio. A dire la verità fece piuttosto alla svelta: non si portava mai molti cambi, durante i viaggi.
Scese a cena nella sala da pranzo e scoprì di essere l'unico ospite della pensione. Se non altro, l'ambiente era tranquillo e si mangiava piuttosto bene. Dopo cena si ritirò subito nella sua stanza, stanco per il viaggio. La mattina seguente si svegliò presto, scese in sala da pranzo e notò con sorpresa che era stato apparecchiato per due persone. Durante la notte doveva essere arrivato un altro ospite. Iniziò a imburrare delle fette di pane tostato e si versò una tazza di tè, ma rischiò di rovesciarselo addosso quando udì alle sue spalle una voce conosciuta, che lo salutava in inglese.
“Buongiorno, Steve”.
Si voltò, quasi incredulo: la bionda e alta figura gli sorrideva tranquilla, facendo scintillare gli immensi occhi verdi. Che ci credesse o meno, davanti a lui c'era quella ficcanaso di Livienne Parrish. Che ci faceva lì?
“Che diavolo ci fai, tu, qui?”, chiese, infatti.
“Vengo a toglierti d'impiccio, mi sembra ovvio”, disse, sedendosi a tavola di fronte a lui e rivolgendosi poi alla padrona del locale chiedendo del caffè in un rumeno praticamente perfetto.
“Tu parli il rumeno?”. Steve era stupito.
“Io parlo sette lingue; una di queste è il rumeno”.
“Che cosa ci fai qui?”, ripeté Steve, superato lo shock iniziale.
“Il mio capo ha trovato talmente interessante il mio ultimo articolo, che ha deciso di offrirmi una grande chance: mi ha mandato qui perché vuole che scriva un pezzo su questo caso e se anche questo farà successo come il primo, mi promuoverà "inviata speciale" di un supplemento del giornale, che si chiamerà "ai confini della realtà" e tratterà di argomenti paranormali”.
“Vuoi dire che ti avrò tra i piedi anche stavolta?”
“Dovresti essere contento, dato che non sai una sola parola di rumeno e che non hai un interprete”.
“Come lo sai?”
“Ho fatto qualche ricerca su di te e ho chiesto in giro”
“E che altro hai scoperto?”, chiese lui, chiaramente seccato.
“Che hai trentadue anni e sei laureato in medicina e psicologia criminale. Hai lavorato tre anni come patologo per l'FBI, poi sei stato affidato al "progetto AIRESS". Abiti in un appartamento in centro, vivi solo, sei abbonato a tre diverse biblioteche e leggi molta fantascienza. Inoltre, vai pazzo per le torte alle fragole”.
“Hai dimenticato una cosa: non amo i giornalisti”, sbuffò.
“Lo so, ma non credo che tu abbia molta scelta, a meno che tu non voglia aspettare che il tuo interprete guarisca dalla pertosse. T'informo che di solito ci vogliono almeno tre settimane perché non sia più contagiosa”.
Steve finì la sua fetta biscottata, chiedendosi perché, con tanti agenti federali che c'erano a Filadelfia, Livienne avesse incontrato proprio lui.
“Posso sapere come hai avuto tutte queste informazioni sul mio conto?”
“Anch'io ho le mie fonti. Dopotutto, sono o non sono una giornalista ficcanaso?”
Steve stava per ribattere che quella non era una risposta convincente, quando un uomo entrò nella locanda, urlando e sbraitando a più non posso. L'uomo si rivolse a lui, farfugliando qualcosa in rumeno. Livienne tradusse:
“Dice che questa notte il "vampiro" ha colpito ancora. Una delle sue mucche è stata azzannata al collo e ha perso molto sangue. Quando l'hanno trovata, hanno dovuto abbatterla”.
“Possiamo vederla?”, chiese Steve. Livienne tradusse la domanda e l'uomo li condusse alla sua fattoria, un po' fuori paese. La vacca era ancora distesa per terra e la polizia era sul luogo. Steve esaminò l'animale: aveva due profondi buchi sul collo, proprio in corrispondenza della giugulare, ma erano troppo vicini per essere stati fatti da una dentatura umana. La testa della mucca portava evidenti segni di un colpo violento, inferto con un corpo contundente. Intorno c'era sangue dappertutto, sull'erba del prato.
Livienne, intanto, interrogava l'uomo per avere qualche altra informazione.
“Che hai scoperto?”, le chiese Steve.
“Dice di aver udito la mucca lamentarsi e di essere corso fuori con il fucile e una torcia elettrica. È venuto subito al pascolo, ma la casa dista da qui almeno duecento metri, così ci ha messo del tempo a individuare la mucca ferita fra le altre, distese a dormire. Quando è arrivato, ha visto un'ombra fuggire via, nel bosco. A quel punto, ha abbattuto la mucca sofferente. Ora la porteranno via e la bruceranno, perché non vogliono mangiare carne "infettata da un vampiro"”.
“C'è qualcosa che non quadra in questa faccenda, Livienne: innanzi tutto, se vogliamo credere alle leggende, da che mondo è mondo i vampiri non azzannano la mucche, ma giovani fanciulle indifese. Inoltre non mi spiego il perché di tutto questo sangue qua intorno: se il vampiro avesse succhiato il sangue dall'animale non ci sarebbe stato tutto questo inutile spargimento, non credi?”
Si soffermò per guardarla negli occhi e prendere atto della sua reazione e, per un istante, il sole illuminò le iridi verdi di Livienne. Steve rimase quasi senza fiato, poi si riprese:
“Inoltre, sono perfettamente convinto che questi buchi non siano stati fatti da una dentatura umana”, disse, mostrandole i segni.
“Per finire, c'è questo ematoma sul cranio: strano che un vampiro dia una botta in testa alla sua vittima, per tramortirla prima di dissanguarla. Non trovi anche tu?”
“Il contadino dice che il vampiro voleva spaccare il cranio della mucca per suggerne il cervello”, sospirò Livienne, poco convinta.
“Secondo me, qualcuno ha tramortito la mucca per poterle fare due buchi sul collo, utilizzando uno strumento costruito appositamente”, concluse Steve, tirando le somme della sua indagine.
“Per quale motivo?”
“Non lo so: forse per alimentare la storia del "vampiro", magari per attirare dei turisti…”, provò a ipotizzare Steve.
“Può essere. Ma c'è un'altra cosa che devi sapere: il fattore ha fatto il nome di un certo Studd. Afferma che, a detta di tutti, è lui il vampiro. Vive poco lontano da qui, in una villa sulla collina. Che ne dici? Andiamo a trovare questo misterioso parente di Dracula?”
“Sbaglio o non credi molto neppure tu a questa storia?”
“Non sbagli. Meglio vederci chiaro”.
“Chiederò una macchina alla polizia locale, così avremo più libertà di movimenti”.
“Sarà meglio che gliela chieda io, a nome tuo”, rise Livienne. Raggiunse il bancone e chiese alla padrona del locale il numero di telefono delle forze dell’ordine. Steve non poté fare a meno di notare che la ragazza aveva un fondoschiena delizioso.
“Ecco fatto”, lo informò Livienne, quando tornò da lui.
La polizia locale fu ben felice di mettere loro a disposizione una vettura e di levarsi così dall'impegno di seguire le indagini. Livienne e Steve si diressero subito verso la periferia del paese. Da qui, proseguirono su una strada selciata che si inerpicava su per la collina.
“Hai notato le strane ghirlande appese alle porte di casa, in paese?”, chiese Livienne.
“Sì. Sono di biancospino: un sistema per scacciare i vampiri. Si dice che la corona che cinse la testa di Cristo fosse di biancospino, quindi si appendono ghirlande di quel tipo pensando che i vampiri staranno alla larga per paura di pungersi”.
“Ci sono anche delle croci d'argento appese alle porte e ai cancelli: questa gente vive proprio nel terrore!”, commentò Livienne, sapendo che quel genere di amuleto era utilizzato per spaventare i funesti visitatori notturni.
La stretta stradina sterrata li portò a una casa isolata, cadente e apparentemente disabitata.
“Credo che il posto sia questo, ma non vedo nessuno, qui”, constatò Livienne, controllando la piantina che aveva tracciato con le indicazioni del contadino.
“Scendiamo dalla macchina e andiamo a vedere”.
Bussarono, ma nessuno rispose. Steve mise mano alla pistola e sferrò un calcio all'uscio, che si aprì con un cigolio sinistro. All'interno, tutto era polveroso e abbandonato. Alcune ragnatele pendevano dal soffitto e dalle fessure entrava sibilando il fischio del vento. Steve e Livienne passarono in rassegna tutta la casa, senza trovare anima viva, né traccia alcuna di vampiri.
“Qui non c'è nessuno. Proviamo a interrogare i contadini che abitano qua vicino”, propose Steve.
Poco dopo erano di fronte alla porta di un cascinale. Anche qui una grande ghirlanda di biancospino campeggiava appesa all'uscio, con al centro una croce d'argento. Steve bussò. Un'anziana donna venne ad aprire e li squadrò con aria impaurita. Steve mostrò il distintivo e Livienne disse:
“Siamo poliziotti, signora. Siamo qui per farle delle domande riguardo a Studd”.
La donna si fece un frettoloso segno della croce, poi chiuse la porta in faccia ai due visitatori inopportuni. Vani furono i tentativi di farsi aprire nuovamente.
“Proviamo da un'altra parte”, propose Livienne.
“Che cosa le hai chiesto?”
“Solo notizie di Studd. Evidentemente non è molto amato da queste parti”, commentò, mentre raggiungevano un'altra casa isolata, dove una donna stava spazzando l'aia.
“Buongiorno, signora. Dovremmo parlare con lei”.
La donna annuì e Livienne proseguì, sperando che non si spaventasse anche questa.
“Lei conosce Rigel Studd?”
Dall'espressione della donna, Livienne capì che avrebbe preferito non doverne parlare, ma, almeno, questa non fuggì.
“Sì. Lo conosco. Vive nella casa sulla collina”.
“Lo ha visto recentemente?”
Dopo un istante di esitazione, la donna rispose:
“Sì. L'altra notte: mi sono alzata per andare al bagno e l'ho visto sulla strada, a piedi. Correva verso casa, era pallido come un fantasma e aveva… mio Dio… aveva le mani sporche di sangue”, sussurrò, ancora terrorizzata.
“È sicura di quello che dice, signora? Era notte, poteva aver visto male”.
“No. Sono sicura. C'era la Luna e ho potuto vederlo fin troppo bene. Ho paura. Ora che l'ho visto, forse verrà da me, per uccidermi”.
“Signora, si tranquillizzi: non credo proprio che Studd voglia ucciderla. Ha idea di dove possa essere, ora?”
“Immagino che sia a casa sua”.
“No. Ci siamo appena stati, ma non lo abbiamo trovato. Inoltre, la dimora sembra essere abbandonata da tempo”.
“Allora non so che dirvi”.
“Sa se ha dei parenti?”
“Non ne ha: sua madre è morta tre settimane fa e suo padre più di tre anni fa. Si dice in giro che fossero entrambi dei vampiri”, confessò la donna, pronunciando l'ultima frase a voce bassa.
“Può dirmi i nomi dei suoi genitori?”
“Percival Studd e Lina Hegger”.
“La ringrazio molto, signora. Ci è stata d'aiuto”, disse, notando che quei nomi avevano risvegliato qualcosa nella mente di Steve, visto il guizzo improvviso che aveva avuto dopo averli sentiti. Nel viaggio di ritorno, Livienne raccontò a Steve quello che la donna le aveva riferito.
“Il nome di Lina Hegger compare nella lista delle tombe profanate. Torniamo al paese: voglio ispezionare il cimitero”, affermò Steve.
“Perché un vampiro dovrebbe profanare delle tombe?”, chiese Livienne, poco istruita in merito.
“Di solito non è il vampiro a profanarle, ma la gente che lo teme e che lo cerca fra i cadaveri sepolti”, spiegò Steve.
Raggiunto il Camposanto, Steve notò subito strani segni intorno ad alcune tombe.
“Che cosa sono?”, chiese Livienne.
“Impronte lasciate dagli zoccoli di un cavallo”.
“Impronte di un cavallo in un cimitero?”
“Già. I cavalli erano utilizzati nell'antichità per stabilire se un morto era un potenziale vampiro o meno: se il cavallo si rifiutava di camminare sulla tomba, allora il corpo doveva essere riesumato e controllato, perché probabilmente si trattava di un "morto vivente". Evidentemente, qualcuno ha utilizzato questo sistema di recente per "controllare" queste tombe”.
“E questi che sono?”, chiese ancora lei, raccogliendo alcuni semini per terra, intorno a un'altra tomba.
“Sembrano semi”, constatò.
“Sì. Sono semi di miglio. Una credenza popolare afferma che se si spargono semi di miglio intorno alla tomba del morto vivente, egli, una volta uscito, dovrà raccoglierli tutti e non potrà andare a dare fastidio ai vivi”.
“Mi domando come possano sopravvivere ancora, nel ventesimo secolo, simili superstizioni”, commentò lei.
“Non dimenticare che questa gente ha alle spalle una lunghissima e spaventosa storia di vampiri, dal famoso Dracula, che poi vampiro non era, ad altri un po' meno conosciuti, ma non per questo meno terrificanti. Certe paure rimangono radicate nell'animo della gente anche per secoli, Livienne”.
Lei annuì, silenziosamente. Giunti alla tomba della Hegger, videro che anche intorno a quella erano stati sparsi semi di miglio. La terra era stata smossa di recente per profanare la bara, che poi era stata probabilmente rimessa al suo posto.
“Torniamo alla locanda: voglio chiedere altre informazioni su quello Studd. La locandiera dovrebbe essere in grado di aiutarci. Inoltre, è ora di pranzo”, annunciò Steve, evidentemente affamato.
Subito dopo aver mangiato un ottimo goulasch, Livienne rivolse alla padrona del locale altre domande. Venne a sapere che anche la donna considerava il ragazzo, e i suoi genitori, dei vampiri a tutti gli effetti. Il giovane Studd aveva frequentato la scuola del paese per alcuni anni, ma poi si era inspiegabilmente ritirato dagli studi, chiudendosi nella solitudine della sua casa, sulla collina, con i suoi genitori. Si diceva che la madre fosse molto malata e che nessuno la vedesse mai in giro. Si diceva anche che i tre uccidessero ogni genere di animali, per berne il sangue. Quando però Livienne chiese alla donna se vi fossero state delle vittime umane del vampiro, lei rispose negativamente, ma aggiunse che era solo questione di tempo: prima o poi l'essere malvagio avrebbe fatto la sua prima vittima umana.
“Dovremo riesumare quella donna e farle un'autopsia”, disse Steve, quando lui e Livienne furono soli.
“Parli della madre di Studd?”
“Già”.
“Sospetti qualcosa?”
“Può darsi. Vieni con me, dobbiamo convincere le autorità locali a rilasciarci il permesso per la riesumazione”.
Fortunatamente, il permesso fu accordato senza problemi e, quel pomeriggio stesso, la bara della donna rivide la luce, per la seconda volta in tre settimane.
“Comunque stiano le cose, non si può certo dire che questa poveretta "riposi in pace"”, bofonchiò Steve.
Quando la bara fu aperta trovarono il corpo della donna trafitto da un paletto di legno. La bocca della morta era stata riempita di spicchi d'aglio. Steve la fece portare nel laboratorio legale e qui eseguì l'autopsia. La donna presentava chiari segni di malnutrizione e altri sintomi che alimentavano i sospetti di Steve: delle lesioni ai bulbi oculari e una strana retrazione delle gengive, che lasciava scoperti i denti. Doveva essere stata colpita da forti spasmi muscolari, al momento della morte. Steve prelevò dei campioni di sangue e li spedì al più vicino centro di analisi.
“Com'è andata?”, chiese Livienne, quando lui uscì dal laboratorio.
“Ho bisogno di un bagno e anche di un whisky, possibilmente doppio”, commentò Steve, ancora nauseato dall'odore di quell'autopsia effettuata su un corpo in avanzato stato di decomposizione.
“Hai scoperto qualcosa di interessante?”
“Quella donna era terribilmente magra e apatica. Ho spedito il suo sangue a Resita, ma ci vorranno due giorni prima di avere i risultati. Se saranno quelli che penso, quando troveremo Riger Studd avremo trovato il nostro vampiro. Ora, se vuoi scusarmi, vado a fare un bagno”.
Dopo cena contattò le forze dell'ordine locali e le informò della sua decisione di controllare il cimitero durante la notte.
Quella sera, dopo le dieci, lui e Livienne si appostarono presso l'ingresso del cimitero, nascosti dietro un cespuglio, e attesero in silenzio. Ma non venne nessuno. La notte seguente rifecero l'appostamento e, proprio quando ormai incominciavano a pensare che anche stavolta non sarebbe accaduto nulla, udirono delle voci avvicinarsi al camposanto. Subito dopo, cinque loschi figuri entrarono nel cimitero armati di vanghe e badili. Steve avvisò la polizia tramite cellulare, poi seguì gli uomini fin dentro il cimitero, senza farsi scorgere. I cinque si avvicinarono alla tomba di un uomo, sotterrato solo due settimane prima, e si misero a scavare. Quando la polizia arrivò, i cinque avevano ormai dissotterrato la bara e l'avevano aperta.
“Fermi dove siete!”, intimò uno dei poliziotti. Quando i cinque si resero conto di essere circondati, dapprima si spaventarono a morte, poi, dopo aver scoperto che si trattava solo di poliziotti, si calmarono un poco.
“Chi siete?”, chiese Livienne.
“Siamo contadini, abitanti di Var. Volevamo solo sincerarci che quest'uomo non fosse un vampiro”.
“Per quale motivo lo ritenete un vampiro?”, chiese Steve, dopo che Livienne gli ebbe tradotto la risposta dell'uomo.
“Lui era amico degli Studd. Abitava vicino a loro”.
“E questo vi sembra un motivo sufficiente?”, esplose Livienne.
Steve si avvicinò alla bara aperta, che rivelava i poveri resti di un uomo morto da due settimane, senza alcuna voglia di tornarsene in vita.
“Vedete? Non ha nulla del vampiro, mi sembra!”
Uno degli uomini lasciò cadere il paletto di legno, che aveva prontamente preso in mano quando avevano aperto la bara.
“Ridate sepoltura a questo pover'uomo, svelti! Domani vi attendo in caserma per rispondere di questo terribile reato da voi commesso! Immagino che siate stati voi a profanare anche le altre tombe, non è così?”, chiese il poliziotto di più alto grado.
“Sì. È così”, ammise uno dei cinque, mentre gli altri si accingevano a rimettere a posto la bara. Fu a quel punto che si udirono degli spari e delle grida provenire da un vicino cascinale. Steve si precipitò alla macchina, seguito da Livienne. In breve raggiunsero il cascinale dove un uomo, in pigiama, stava ritto nel cortile, con il fucile ancora in mano e una collana di aglio intorno al collo. Poco ci mancò che a Livienne scappasse da ridere, vedendolo in quello stato.
“Quella canaglia di un vampiro! Voleva le mie pecore! Ma io gli ho sparato! E l'ho preso!”, disse orgoglioso, mostrando la scia di sangue che si perdeva nella foresta, dietro l'abitazione.
“Questo dovrebbe farle supporre che non si è trattato di un vampiro: non basta un fucile a ferirli”, esclamò Livienne.
Le tracce si perdevano su per la collina, in direzione della casa disabitata degli Studd. Intanto, due dei poliziotti avevano raggiunto Steve e Livienne.
“Andiamo, credo di sapere dov'è il nostro vampiro”, annunciò Steve. Raggiunsero in fretta l'abitazione degli Studd e, quando furono arrivati, cercarono con una torcia elettrica le tracce di sangue all'interno della casa. Seguendole, giunsero a una botola nascosta nel pavimento che, alla prima ispezione, Steve non aveva notato. L'aprì e si calò giù per le scale, che portavano a una cantina segreta.
“Attento! Potrebbe ferirla!”, esclamò il poliziotto.
Nuovamente Livienne tradusse, ma lui la tranquillizzò:
“No, se è come penso”.
Livienne scese dopo di lui, seguita dagli altri due. In un angolo della cantina, disteso per terra e ferito, trovarono Rigel Studd. La sua bocca e le mani erano sporche di sangue. Il viso era di un pallore mortale e, alla vista della luce, si ritrasse, chiudendo gli occhi e urlando spaventato.
“Livienne, chiama un'ambulanza, presto!”
Lei si affrettò a fare quanto richiesto.
“Ma è pazza? Chiama un'ambulanza per quel mostro? Lo guardi! È veramente un vampiro! Ci ucciderà tutti!”, esclamò il poliziotto. Livienne cercò di tranquillizzarlo.
“Sono certa che Steve ha una spiegazione”, disse, in rumeno, poi si rivolse a Steve in inglese:
“Quell'uomo non è veramente un vampiro, vero?”
“No. Quest'uomo è semplicemente malato di porfiria, una malattia ereditaria, che ha preso da sua madre”, spiegò Steve.
“Ne sei sicuro?”, chiese ancora Livienne, evidentemente impressionata dalla vista del poveretto, che tremava terribilmente.
“Sì. I sintomi sono quelli. La porfiria è una malattia del sangue: un po' alla volta distrugge le sue vittime con spasmi muscolari, diarrea e depressione. Spesso, nell'antichità, i malati di porfiria furono scambiati per vampiri, dato il loro continuo bisogno di sangue, e a causa anche del loro pallore, della postura delle gengive durante gli spasmi e della spiccata sensibilità alla luce che li costringeva a vagare solo durante la notte”. Livienne tranquillizzò i poliziotti, traducendo le spiegazioni di Steve, poi chiese:
“Ma perché succhiava il sangue degli animali?”
“La porfiria provoca anche gravi turbe psichiche, allucinazioni e depressione: probabilmente, l'ottusità di questo paese, che ha sempre bollato gli Studd di vampirismo, ha fatto in modo che questo ragazzo credesse veramente di essere un vampiro. Forse anche la madre era convinta di esserlo. Del resto, il bisogno di sangue dettato dalla loro malattia li spingeva a ricercarne sempre, così ha creduto alle dicerie della gente. Probabilmente, la morte della madre ha aggravato una situazione psicologica già difficile e allora si è gettato sugli animali del paese, facendo quello che la gente si era sempre aspettata da lui”, rispose Steve.
Quando l'ambulanza arrivò Studd fu caricato e portato all'ospedale più vicino: stringeva ancora fra le mani uno strano strumento appuntito, probabilmente di sua costruzione, che aveva utilizzato fino a quel momento per forare sul collo le sue vittime.
Le analisi del sangue confermarono la versione di Steve: madre e figlio erano entrambi malati di porfiria. Nessuno dei due si era mai fatto vedere da un dottore, forse per paura di essere riconosciuti come "vampiri".
Il giorno dopo Steve e Livienne lasciarono insieme Var per tornare alla loro città. Il caso era risolto.
   
 
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