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Autore: Lena Mason    02/05/2017    1 recensioni
“Era una fredda giornata di fine Ottobre, all’incirca verso mezzogiorno, quando una ragazza varcò le soglie dell’aeroporto di Narita, Tokyo, Giappone.”
L’arrivo di questa nuova ragazza all’accademia Ouran porterà parecchio scompiglio. Nuove amicizie, nuovi interessi e nuovi problemi colpiranno l’amato Host Club.
Riusciranno a salvarsi anche questa volta?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Haruhi Fujioka, Kyoya Ohtori, Nuovo personaggio, Tamaki Suoh, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo XVII

 

 

Alla una in punto Rossana uscì dall’ascensore al primo piano e, come al solito, fu circondata dai giornalisti che, nonostante venissero continuamente cacciati dall’Hotel, riapparivano pochi istanti dopo.

Le fecero qualche domanda e, quando alzò lo sguardo per rispondere ad uno di loro, lo vide: Kyoya camminava dritto e sicuro a pochi passi da lei, al fianco di Akito e suo padre.

Vide Akito volgere lo sguardo verso la folla di giornalisti e sorriderle: l’aveva riconosciuta, ma data la situazione non si avvicinò a lei. Lo vide voltarsi e richiamare l’attenzione del fratello minore.

No, Akito. Fatti gli affari tuoi. Se non mi vede è meglio

Ovviamente Akito proseguì con il suo intento e Rossana vide Kyoya – sexy all’inverosimile con i capelli lunghi – voltarsi verso di lei, guardarla e distogliere lo sguardo.

Quel piccolo bastardo ha ghignato! Se potessi andrei là e lo prenderei a pugni fino a toglierli il sorrisino.

«Sana era lui, vero?» le chiese Stephany sotto voce, in irlandese, lingua che aveva imparato da Rossana, la quale permetteva loro di parlare in privato anche in mezzo alla gente.

«Sì, e non è cambiato di una virgola. Ha ancora quel sorrisetto strafottente che riservava solo a me. Quando lo vedrò, gli farò pentire di avermi guardata ancora in quel modo. Non sono più la ragazzina delle superiori che si sentiva inadeguata vicino a lui. Siamo sullo stesso livello economico, ormai» disse Rossana, a bassa voce e in Irlandese, alla sua manager, mentre si dirigevano alla macchina.

«Sarà divertente vederti smontare quel piccolo altezzoso. Devo ammettere che fisicamente non è niente male» aggiunse Stephany in macchina.

«No. Se non fosse così…così Kyoya, gli salterei addosso seduta stante» ammise la rossa « È ancora più sexy di quando andavamo alle superiori».

La rossa tirò fuori il cellulare: quando era atterrata a Tokyo aveva tirato fuori dai meandri del portafoglio la sim che usava ai tempi delle superiori e mostrò una foto dell’Host Club alla sua manager che rimase a bocca aperta per quanto quei ragazzi fossero attraenti.

Quando aveva inserito la sim nel cellulare e lo aveva acceso, si era accorta che vi era una mail. Da Kyoya. Il giorno della sua partenza, poco dopo che l’aereo era decollato.

Sayonara, Rossana.

Due semplici parole che l’avevano fatta sobbalzare e mozzare il fiato. Sapeva che una volta letta la mail, il mittente riceveva l’avviso, ma sperava che negli anni Kyoya avesse cambiato numero.

Peccato che quel suo sorrisetto diceva tutt’altro. Sapeva che usava ancora il suo vecchio numero. Piccolo demonio.

Non aveva detto nulla alla sua manager della mail e non aveva risposto, ovviamente: dopo quattro anni non avrebbe avuto senso farlo.

Arrivò alla scuola in perfetto orario e varcò la soglia dell’aula in cui avrebbe tenuto le lezioni: venne accolta da un caloroso applauso e si sedette dietro la scrivania.

Alle sue spalle vi era uno schermo bianco dove venne proiettata la sua immagine per permette anche a chi era seduto lontano di vederla.

«Buongiorno a tutti, studenti» li salutò, ricevendo un grande saluto collettivo «allora, so che siete del primo, secondo e terzo anno, vero?» chiese alla folla,sentì degli assensi «Avanti, fate le vostre domande».

Vide una ragazza, in prima fila, alzare la mano per prima e le diede la parola: probabilmente, visto che sembrava molto giovane, frequentava il primo anno.

«Crowe-sama» iniziò, facendo sghignazzare la cantante.

«Puoi chiamarmi Rossana, o Rossana-chan se ti senti più a tuo agio» le disse, vedendo che la ragazzina arrossiva e con un colpo di tosse riprendeva a parlare.

«Rossana-chan, volevo chiederti come mai hai deciso di frequentare una scuola come la BRIT, quando avevi già successo?»

«Perché avevo bisogno di qualcuno che mi spronasse a migliorare e non mi trattasse come una celebrità. E ti posso assicurare che in quella scuola difficilmente fanno favoritismi. Se sbagli troppo, sei fuori, chiunque tu sia» le spiegò «non bisogna mai fermarsi, ma sempre migliorare».

La ragazza la ringraziò e si accomodò: dopo qualche altra domanda sulla sua carriera il clima era molto più rilassato e iniziarono ad uscire domande un po’ più personali.

Un ragazzo di terza le aveva chiesto se era fidanzata.

«No, sono single. Non ho molto tempo per questo genere di cose, sinceramente» gli rispose Rossana, prima che qualcuno dal fondo dell’aula le urlò che poteva prendersi suo cugino.

«Spero che questo cugino sia abbastanza grande da avere la patente» gli rispose, senza sapere chi avesse parlato e facendo ridere qualcuno.

Poi dalla folla si alzò una ragazza, con un sguardo che non prometteva niente di buono.

Ahia. Questa sarà tosta.

«La mia domanda è semplice: com’è possibile che una con così poco talento possa raggiungere certi risultati?».

Nell’aula calò il silenzio, prima che un brusio si alzasse, tanto che il professore dovette intervenire per riportare la calma.

«Nakaria-sama,  le devo chiedere di scusarsi con la nostra ospite. La sua domanda è stata molto maleducata».

«No, aspetti. Nakaria-sama, vero? Hai per caso una parente di nome Camille-san?»

«È mia sorella maggiore».

«Oh, capisco. Ho avuto il piacere, se così si può dire, di conoscere tua sorella alle superiori, poiché in seconda frequentavo l’Ouran Accademy» disse la ragazza «E stranamente anche tua sorella era convinta che non avessi nessun talento».

Rossana si spostò da dietro la cattedra e disse alla ragazzina che, nonostante i suoi acerbi quindici anni, sembrava la copia sputata di sua sorella: «Come ho fatto in passato con tua sorella, vedrò di fare capire anche a te quanto mi sia meritata la mia fama».

L’aula cadde nel silenzio più totale mentre Rossana parlava fitto col professore, il quale uscì di corsa dall’aula.

«Ho chiesto al vostro professore se fosse possibile usare una delle aule dove fate pratica. Mi ha spiegato che sono studiate per una classe alla volta e quindi non ci entrereste tutti. Allora ho chiesto uno stereo e un microfono. Ho portato delle basi per cantare qualcosa con voi e non vedo occasione migliore per iniziare» disse la ragazza, mentre spostava la cattedra per fare spazio.

«Se qualcuno di voi vuole raggiungermi, ne sarei felice. Direi al massimo tre per anno di studio, altrimenti non ci stiamo».

Attese con pazienza che le varie classi scegliessero chi dovesse scendere e si ritrovò circondata da sei ragazze e tre ragazzi: ovviamente la sorella di Camille era una di loro.

«Cosa dovremmo fare?» chiese la bionda, con la supponenza che contraddistingueva i membri della sua famiglia.

«Faremo un breve corso volto a migliorare la vostra capacità di cantare e ballare in contemporanea e anche a farvi capire cos’è la modestia, anche se per ora tu pare sia l’unica ad averne bisogno».

Una volta che il professore fu tornato, Rossana inserì il cd, facendo partire la base del suo ultimo successo: non era vestita per scatenarsi, ma lo avrebbe fatto comunque.

Mentre cantava dava le direttive ai ragazzi dietro di lei, i quali iniziarono a imparare la coreografia in fretta: vide che la maggior parte di loro si stava divertendo e anche coloro che erano rimasti ai posti si erano alzati, battendo le mani a tempo.

Un ragazzo in particolare attirò le sue attenzioni: era sciolto e ascoltando la sua voce da vicino sentì che era molto bella.

Una volta finita la canzone, la sorella di Camille era stata messa a tacere: era senza fiato, poiché non era abituata a cantare e ballare in contemporanea, ma la cosa che la mandava fuori dai gangheri era vedere che Rossana aveva un minimo affanno.

«Geneviève, forse era meglio se chiudevi quella boccaccia» le disse uno dei ragazzi, mentre camminava verso il suo posto, ricevendo uno sbuffo da parte della ragazza.

«Spero che le mie capacità siano state dimostrate. Soddisfatta, Nakaria-sama?» chiese direttamente alla ragazza che si limitò ad annuire «Ti prego di portare i miei saluti a tua sorella» aggiunse, divertita.

Prima che il ragazzo che aveva puntato si ritirasse al suo posto, lo fermò facendolo arrossire.

«Alla fine della lezione, rimani un attimo» gli disse, vedendo che il ragazzo annuiva semplicemente e se ne tornava al posto, dove i suoi amici iniziarono a fargli domande.

Passarono gli ultimi dieci minuti di lezione a parlare dei concerti e della fatica che comportava spostarsi di frequente: quando la campanella suonò, la folla si diresse all’uscita; alcuni si fermavano a stringerle la mano, farle una foto o chiederle un autografo.

Rimase solo il ragazzo che aveva fermato, il quale la guardava lievemente spaventato:

«Non fare quella faccia, non mangio giovani talenti» gli disse, vedendo che si rilassava «ho avuto l’occasione di guardati ballare e ho sentito un po’ anche la tua voce e… sei bravo, sul serio»

Il ragazzo la guardava con occhi pieni di sorpresa.

«Ho ereditato due cose da mio padre: la testa dura e la capacità di riconoscere un vero talento quando lo vedo. E tu lo sei. Hai una voce chiara, una buona pronuncia inglese, che non è facile da trovare nel tuo paese e sai muoverti» gli disse avvicinandosi.

«Devi sapere che per l’album che è appena uscito vi era un’altra canzone, ma la mia manager ha assennatamente detto che sarebbe stata molto più bella cantata da un ragazzo. Vuoi provare?» gli chiese.

«Certo!» acconsentì il ragazzo, senza ombra di dubbio.

«Allora devo chiederti di chiamare i tuoi genitori. Essendo minorenne dobbiamo avere il loro permesso» gli spiegò «Quando avrò finito con le altre classi, verrò a prenderti e ti porterò in uno studio di registrazione non troppo lontano e proveremo, ok?»

Il ragazzo si limitò ad annuire e poi le disse: «Saresti davvero adatta a mio cugino».

«Ah quindi sei stato tu a gridare prima? Posso sapere chi è questo fantomatico cugino?».

«Oh beh in verità dovrebbe sposarsi a breve…».

«E allora perché gli cerchi una nuova fidanzata?».

«Perché non sembra felice, ecco».

«Credo sia una cosa che riguardi lui, no? Se vuole sposarla probabilmente ne è innamorato».

«No, è solo un altro matrimonio d’affari» rispose sicuro «Mia cugina mi ha spifferato che alle superiori era innamorato di una, ma l’aveva allontanata perché non andava bene per gli affari di famiglia».

«Mi ricorda un ragazzo che ho conosciuto..» disse Rossana, ma prima che potesse chiedere il nome di questo cugino, le classi di quarta e quinta entrarono nell’aula e fu obbligata a salutare il ragazzo.

Tornò all’albergo, dopo aver fatto cantare il ragazzo, il cui nome era Kai Fujita e suo padre era l’erede di un vasto impero nel campo della ristorazione.

I suoi genitori era giovani per avere un figlio al secondo anno delle superiori e si erano dimostrati felici di vedere il talento di Kai apprezzato.

Erano rimasti con lui allo studio di registrazione, dove Rossana aveva lasciato Kai nelle mani del direttore dello studio.

Doveva tornare in albergo e riposare: il jat leg la uccideva ogni volta e il giorno dopo doveva incontrarsi con l’Host Club al completo.

 

 

Mi scuso per l'enorme ritardo, ma non avuto molto tempo da dedicare alle fanfiction e il pc fa i capricci molto spesso!

Alla prossima

Lena

   
 
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