Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: simocarre83    02/05/2017    1 recensioni
Questa raccolta di breve storielle è ambientata nei luoghi e con i personaggi dei racconti "Ricordi" pubblicati nella sezione Avventura. Sono però dei racconti a sé stanti, quindi potete leggerli come e quando volete. se poi vi incuriosiscono, sapete dove trovare gli altri. trattano di diversi argomenti, con diverse tipologie di racconto. Ed ecco perché li ho pubblicati in questa sezione. Buona lettura!
Genere: Comico, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
UNA PROMESSA E’ UNA PROMESSA

Giuseppe si svegliò quel giorno con sempre meno voglia di andare a scuola. Era l’inizio di marzo e a Policoro in quel periodo faceva già abbastanza caldo per avere voglia di andare a scuola. Inoltre a 16 anni cosa si può pretendere?
Per quell’ultimo anno a scuola ci andò con Michele. Essendo più grande di lui di due anni da lì a tre mesi avrebbe sostenuto l’esame di maturità e poi chissà. A lui, invece, rimanevano ancora poco più di due anni in quel liceo scientifico. Comunque quel giorno, via sms, Michele l’aveva avvisato di stare poco bene. Ed effettivamente, soffrendo di diverse allergie, poteva succedere.
La strada da casa sua a scuola era comunque solo una passeggiata di cinque minuti, quindi in poco tempo arrivò a destinazione. I suoi compagni erano tutti presenti. Tutti tranne Angelo. Se lo ricordava ancora ma rappresentava solo un piccolo ricordo nella sua mente da adolescente. Insomma, aveva altro a cui pensare, e lo faceva con vero piacere.
Arrivò in classe e alla fine della terza ora si dedicò con piacere all’intervallo. L’ultima ora aveva il compito in classe di inglese, poi si sarebbe dovuto fermare a scuola con dei suoi compagni per studiare matematica, almeno per aiutarli, per il compito in classe della settimana seguente. Stava scoprendo che, in parte grazie alla passione profusa da Simone, quella materia, in fondo, gli piaceva e provava piacere anche nello spiegarla ad altri.
Finì il compito in classe due minuti dopo tutti gli altri. La professoressa, pazientemente, attese. Stavano raccogliendo le autorizzazioni per partecipare alla gita del mese seguente, organizzata da quella stessa professoressa, ed era stata lei a fargli perdere un po’ di tempo mandandolo in segreteria a consegnarle tutte, di lui si fidava parecchio, quindi quei due minuti in più se li era meritati.
Finito il compito erano già usciti tutti. La professoressa prese il compito e corse via, lasciando Giuseppe da solo in classe. Tempo di riporre nello zaino tutte le cose e uscì anche lui. Il corridoio era deserto. Nessuno in giro, i compagni con cui si sarebbe dovuto fermare sicuramente l’aspettavano già al bar della scuola per mangiare un panino e poi tornare in classe perché dalle 14 alle 16 avevano il permesso di rimanere nella scuola. Decise di prendersela con calma, essendo solo l’una e un quarto.
Arrivato al termine di un corridoio doveva solo girare a destra e, superato un piccolo atrio, arrivare, mediante un corridoio lungo quanto quello che aveva percorso, all’atrio successivo dove si trovava il bar ed un po’ di vita.
-È incredibile- pensò -come durante la mattina questi corridoi siano pieni di gente e cinque minuti dopo il suono dell’ultima campanella si svuotino completamente-
Capì immediatamente dopo che stava sbagliando ad usare termini assoluti come “completamente” perché, poco prima di arrivare all’incrocio dei corridoi, sentì un bisbiglio provenire da poco lontano.
Un istinto che aveva imparato a coltivare nell’ultimo paio d’anni, gli disse che era il caso di stare attento, molto attento. Immediatamente si fermò.
Bisbiglio -> Strano.
Strano -> Pericoloso.
Bisbiglio -> Pericoloso.
Questo fu il ragionamento che fece in pochi millesimi di secondo. Solo allora si concentrò un po’ di più. E sentì.
“Se non mi dai il portafoglio e le scarpe le prendi!” furono le uniche parole che riuscì a distinguere. E che gli diedero ragione.
Si buttò immediatamente contro il muro. E sporse un attimo la testa oltre lo spigolo. Li vide.
Uno, la vittima, era piccolo. Avrà avuto 11 anni, sicuro era delle scuole medie che c’erano al piano di sopra. Un ragazzino normalissimo. Un fisico normalissimo. Un paio di occhiali, dietro i quali si scorgevano occhi infiammati di lacrime. Bocca chiusa, contratta, probabilmente dalla paura. Un maglioncino di cotone e un paio di jeans. Tremava come una foglia, questo lo vide bene. Aveva una guancia decisamente più arrossata dell’altra.
L’altro, 14, forse 15 anni. Lo conosceva perché lo vedeva sempre nei corridoi della scuola, con altri due suoi compagni di classe, che usciva dalla seconda della sua stessa sezione. Quindi l’età doveva essere quella. Era vero che si era sbagliato un’altra volta, ma non poteva essere la stessa cosa. Aveva solo un accenno di peluria sotto il naso e un po’ più in giù delle basette. Per il resto il viso ed il fisico, anche nel suo caso, erano ben curati. Aveva una maglietta a maniche corte e anche lui un paio di jeans. Si era posizionato davanti all’altro con le braccia all’altezza delle spalle di quest’ultimo e gli aveva bloccato le vie di fuga laterali, costringendolo con le spalle al muro, senza vie d’uscita.
Era indubbiamente più forte del piccoletto. Mentre lo guardava, pur volgendogli le spalle, il ragazzo aveva voltato un pochettino il viso, permettendogli di osservarlo. Aveva notato così il particolare dei “baffetti” e qualcos’altro: un sorriso, velato ed arrogante, che gli incurvava le labbra.
“Mi diverti troppo! Aspettiamo un altro po’ o ti muovi a levarti le scarpe e a darmele, prima che te ne dia un altro?!” chiese, a metà fra il serio e lo scherzoso. Solo che quello, evidentemente, non era uno scherzo. Proprio per niente.
Giuseppe ritrasse la testa, lasciando contemporaneamente lo zaino per terra.
-È solo! È più piccolo di me! È un bullo!-
Furono le uniche tre frasi che pensò in quel momento, inspirando profondamente quanto silenziosamente.
Era incredibile, come, dopo quell’estate, quelle cose gli mettessero addosso una voglia sovrumana di fare a botte.
Paradossalmente, solo l’ultima frase era riferita al più grande dei due. Le prime due erano per il piccolo. Vedere quella persona che, innocente, soffriva come una preda messa all’angolo dal predatore, o da qualcuno che si credeva tale, gli procurava fastidio, orrore, paura e molta, molta rabbia.
 
---o---

Il ragazzino si chinò. Capì che non aveva altra scelta. La scusa l’avrebbe inventata dopo, avrebbe detto che gliele avevano rubate mentre facevano ginnastica, tanto aveva il cambio perché avevano fatto realmente educazione fisica. Si sarebbe preso una sgridata da parte di suo padre, ma sarebbe finito tutto lì. Il momento peggiore era quello, ed era quasi passato; il momento in cui devi riconoscere la tua debolezza contro una persona inevitabilmente più forte di te, il momento in cui, come era già successo ad altri suoi compagni di scuola, un bullo, come lo chiamavano gli adulti, ti costringe con la forza a fare una cosa che tu non vuoi. E a lui andava ancora ancora bene, perché da suo cugino, più grande di tre anni, aveva sentito cose ancora peggiori combinate da una banda di bulli.
Lentamente slacciò e si sfilò una scarpa. Poi l’altra. Si alzò in piedi buttando le scarpe ad un metro circa di distanza.
“Ed ora il portafoglio!” disse l’altro.
“Ti prego, non farlo!” implorò il ragazzino, piangendo e sperando di impietosirlo. Ma non poteva. Lo capì. Capì che era all’angolo e non poteva scappare. L’altro mosse un filo la gamba destra fino a toccare la parete e bloccargli quella via anche ora che alzava il braccio.
Lo schiaffo lo sentì quasi prima di vederlo.
Scoppiò ancora a piangere, ancora più forte, ma sempre silenziosamente. L’altro alzò di nuovo il braccio, pronto a colpirlo ancora.
Chiuse gli occhi.
 
---o---

Vedeva che quel moccioso stava portando la mano alla tasca posteriore dei jeans per prendere il portafogli. Che conteneva al massimo 5 Euro. Ma l’umiliazione che gli stava facendo subire e quel divertimento non avevano prezzo.
Quindi, dopo avergli assestato uno schiaffo gliene avrebbe dato volentieri un altro. E poi chissà, forse per divertirsi un po’ gli avrebbe rubato qualcos’altro. Alzò nuovamente la mano per colpirlo.
Fu in quel preciso istante che sentì al polso della mano destra un’altra mano. Lo prendeva, lo stringeva e lo muoveva, contro ogni resistenza, dietro la sua schiena. Per come glielo muoveva doveva essere più forte e più grande di lui. Cercò di divincolarsi, ma si rese conto che muoversi significava rischiare sempre più di farsi seriamente male alla spalla destra, vista la posizione innaturale del braccio. In quel momento vide qualcosa come uno zaino calargli sulla testa e togliergli ogni possibilità di vedere chi gli stava facendo quelle cose. E lì ebbe paura.
Poi, immediatamente dopo, uno sgambetto e fu a terra. L’altro con una gamba gli bloccò le sue, e con l’altra mano gli prese la mano sinistra, portando anch’essa dietro la schiena. Poi sentì che si avvicinava alla sua testa.
“Tu non mi hai visto, ma il mio amico si. Ed io ti conosco. Tra qualche secondo ti lascio andare e me ne vado. A quel punto ti leverai questo zaino dal volto. Consegnerai volontariamente il tuo portafoglio e lo zaino a questo studente della scuola e lo accompagnerai al bar a prendersi qualcosa. Lui si prenderà con i tuoi soldi tutto quello che vuole, poi uscirete dal bar e lì ti restituirà il portafoglio e ti vedrà allontanarti dal bar e tornartene a casa. Poi verrà a restituirmi lo zaino. Io sarò per tutto il tempo al bar e se il ragazzino non sarà sorridente per tutto questo tempo, sappi che so dove abiti e continuiamo il discorso. Adesso chiedigli scusa e confermagli che sei un perdente”
Esitò un secondo, ma quando sentì le mani che gli stringevano i polsi girarsi un altro po’, provocandogli un consistente dolore, si sbrigò a chiedergli scusa e dirgli di essere un perdente e un deficiente. Quello lo aggiunse lui.
Pochi secondi dopo sentì quella presenza scomparire.
 
---o---

Giuseppe si sedette da solo ad un tavolino del bar. Neanche trenta secondi dopo vide, e non fu l’unico, la stranissima scena di uno studente del liceo che offriva un gelato ad uno studente di prima media, che aveva lo zaino, la sacca con il cambio di educazione fisica e, da qualche secondo, anche uno zaino vuoto.
Questi uscirono e un minuto dopo vide il ragazzino più piccolo che lo raggiunse e gli riconsegnò lo zaino sedendosi al suo stesso tavolo. Era molto più sereno di prima.
“Come è andata?!” chiese Giuseppe.
“Bene! Ha provato a chiedermi se ti conoscevo ma gli ho detto che comunque non gli avrei detto come ti chiami!” rispose il ragazzino.
Passarono una decina di secondi di silenzio tra i due. Poi fu sempre il ragazzino a continuare.
“Grazie! Non so da dove sei sbucato, ma mi hai salvato!” disse, cercando, faticosamente, di sorridere.
“Non devi ringraziarmi! Sono passato di là per caso!” rispose Giuseppe.
“Ma perché mi hai aiutato? Tutte le persone alle quali è successa una cosa simile, e ne conosco parecchie, hanno detto che anche se era passato qualcuno lì vicino nessuno l’aveva aiutato”.
“Perché so cosa si prova a essere nella tua situazione. E quando mi è successo l’ultima volta, durante una lunga notte di quasi due anni fa, ho giurato a me stesso e su me stesso, che non avrei mai più permesso che accadesse una cosa simile. Anche se fosse stato più forte di me, avrei chiamato aiuto, ma non ti avrei mai lasciato da solo!”
Il ragazzino lo osservò. Correndo via dal bar dopo avergli detto solo una cosa.
“Grazie”

---

Buongiorno a tutti! con queste settimane lavorative "corte", sono molte di più le cose che ho da fare e diventa sempre più difficile regolarizzare la pubblicazione... ma ci proviamo! alla prossima!!
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: simocarre83