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Autore: Gagiord    02/05/2017    1 recensioni
Aoko Nakamori, la prescelta. La ragazza, ormai diciassettenne, aspettava, seppure inconsciamente, l'arrivo di qualcosa. Qualcosa che le avrebbe cambiato la vita.
Ginzo Nakamori, il padre della giovane, sapeva tutto. Tuttavia, finché il potere in lei non si fosse svegliato, non poteva dirglielo. E, comunque, non ne avrebbe avuto l'occasione: stava giorno e notte fuori, ormai, alla caccia di Kaito Kid. Ebbene, il ladro era ancora costretto a rubare, determinato a trovare Pandora, quella gemma tanto importante per l'Organizzazione che si era promesso di distruggere. Eppure, non si era mai accorto che quel tanto ambito gioiello l'aveva sempre avuto sotto i propri occhi...
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Aoko Nakamori, Gin, Ginzo Nakamori, Kaito Kuroba/Kaito Kid
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Era seduta sul materasso ormai scaldato dal tepore del corpo che aveva sostenuto per tutto il giorno, mentre lei si cambiava. Aveva deciso, insieme a suo padre e Keiko, che sarebbe stato meglio avere sempre la tuta sotto i vestiti ordinari, così da non perdere troppo tempo tra una sostituzione di abiti e l'altra. Inoltre, il caldo tipico della stagione estiva aveva abbandonato del tutto il tempo di Tokyo, perciò qualche veste in più non la infastidiva affatto.
Avevano parlato decisamente poco, quella sera; Aoko la guardava ogni tanto di sottecchi, con l'intenzione di comunicarglielo al più presto possibile.
Infilò anche la larga felpa nera, chiudendo gli occhi e disserrandoli non appena essa oltrepassò il suo capo. Si accomodò, poi, sul suo letto, sospirando. Distese completamente il corpo e aprì le braccia.
Keiko la osservò con sguardo interrogativo. "C'è qualcosa che devi dirmi?"
Possibile che tenerle nascosto qualcosa fosse un'azione così irraggiungibile? Capiva sempre quando c'era un problema, e anche quella volta non fece eccezione. In ogni caso, non si poteva sorprendere più di tanto: era pur sempre la sua migliore amica, e la conosceva da più di cinque anni. Le sarebbe risultato impossibile non dirle di quella chiamata.
Ridacchiò, furba: l'avrebbe messa alla prova. "Forse..." Poggiò i gomiti sul materasso, così da sostenere la parte superiore del busto. Creò un sorrisetto che non smosse assolutamente la bionda.
Si stese anch'ella, ma a pancia in giù, gravando sui gomiti. "Fammi indovinare..." sogghignò, sorniona. "C'entra Kaito, giusto?"
La viaggiatrice sbuffò e mise su un broncio ironico, e, voltandosi, le diede le spalle. "Con te non c'è gusto!"
Scoppiò a ridere, ma poi le diede un pugno amichevole sulla spalla, e la esortò: "Forza, racconta la fiaba!"
Le toccò roteare gli occhi: odiava essere considerata la principessa di Kaito. Era davvero così palese la sua cotta? Poi, però, si unì all'amica, ridendo di gusto. "Va bene, va bene!" acconsentì, non prima di aver sopportato altre due pacche sulle spalle e la minaccia del solletico al ventre.
Si mise nuovamente a sedere, incrociando le gambe davanti a sé.
Keiko aguzzò le orecchie: se si era messa comoda, allora doveva essere qualcosa di piuttosto importante.
"Oggi pomeriggio mi ha chiamata" esordì, lasciando leggermente interdetta l'amica. "Sospettava di me, e voleva che gli dicessi tutto."
"E tu non l'hai fatto," la interruppe, "vero?"
Sospirò. "No, ma lo farò."
"Eh?" esclamò, sconcertata. Scese velocemente, drizzandosi, e si mise davanti a lei, guardandola negli occhi. Poggiò due mani sui fianchi, risultando buffamente come una madre che sta rimproverando la propria figlia. "Stai scherzando, spero!"
Scosse la testa in segno di diniego, sbalordendo sempre più la biondina.
"Ma non puoi!" Aprì le braccia, quasi a volerla abbracciare. "E se quell'idiota di Hirawata lo scoprisse?" 
"E ti preoccupi di questo?" chiese, lievemente disorientata. Pensava che l'avrebbe criticata per quanto incosciente si stesse dimostrando, non per paura di come avrebbe potuto reagire Katashi.
Inarcò un sopracciglio. "Di cosa mi dovrei preoccupare, se no?"
"Ma come!" Sgranò gli occhi, incredula. "Non so, di tutta questa faccenda da dire a Kaito, lui che mi spiegherà tutto..."
La sua compagna alzò gli occhi al cielo. "Si vede che sei una frana in queste questioni." Sollevò le spalle con fare rassegnato, quasi spazientito. "Guarda che a me fa solo piacere se voi due teste di rapa vi mettete finalmente insieme, eh!" Incrociò le braccia al petto, annuendo alla sua stessa frase, completamente convinta.
Il suo viso si colorò di cremisi, a causa della stessa persona per la seconda volta in quella giornata. "Non mi metterò con nessuno, io!" strillò, chiudendo gli occhi. Era davvero buffa con quell'espressione e il colore scarlatto dipinti in volto.
Keiko rise di gusto, sedendosi accanto alla compagna e cingendole le spalle con un braccio. "Sì, certo, ci crediamo tutti!" sogghignò, prendendola in giro. 
L'altra sbuffò, facendo una strana smorfia che, probabilmente, doveva risultare un broncio ironico. Poi, scoppiò a ridere insieme all'amica.
'Sai che la ragazza non ha torto, vero?'

S'inchinò con eccessivo ossequio, quasi venerazione. "C'è qualcuno che vuole parlarvi, signore."
L'anziano non mutò espressione: palpebre serrate, il volto solcato da numerose grinze provocate dal tempo. "Lascialo entrare." Non sembrò neppure muovere le labbra.
Il giovane sussultò al suono della sua voce. "I-immantinente, signore!" Poi uscì con passo affrettato.
Qualche istante dopo entrò un uomo di circa cinquant'anni, interamente vestito di nero, alto e macilento. Si piazzò davanti all'evidentemente costosa poltrona su cui restava l'anziano, ancora imperturbabile. Restò immobile, fissando l'uomo più grande con occhi scuri e freddi.
Un angolo della bocca s'incurvò impercettibilmente. "Vedo che non cambi mai." Aprì di scatto le palpebre, rivelando due iridi nere come la pece; sembrava quasi che, guardandole, vi si potesse inabissare dentro, per poi non fare più ritorno.
Non fiatò, si limitò a continuare a scrutarlo con lo stesso sguardo algido, per niente intimidito.
Sollevò una mano, esaminando la pelle ormai incartapecorita di essa. "Noto che non sei in vena di scherzi" osservò, sarcastico.
Il più giovane alzò gli occhi al cielo, piuttosto spazientito. "Va' al dunque. Voglio tornare al più presto possibile, odio la puzza di stantio che c'è in quest'epoca."
Rise; una risata penetrante, capace di far rabbrividire chiunque. "Mi piacciono le espressioni del ventunesimo secolo" disse, una nota ironica sempre presente nella sua voce bassa e rauca. "E sarebbe davvero affascinante poter sentire che odore aleggia ai giorni vostri."
L'uomo vestito in nero lo fulminò con gli occhi, intenzionato a farlo tacere. Era alquanto ovvio, però, che quell'uomo non era colui che si lasciava zittire: era colui che ammutoliva. "Ho detto di andare diritto al dunque, Kibisu."
Abbassò repentinamente la mano, rivolgendo lo sguardo all'individuo avanti a sé. "Non prenderti troppe libertà, adesso. Sei sempre un mio subordinato." Non gli permise di ribattere, che proseguì: "Voglio sapere se qualcuno s'è recato".
Incrociò le braccia al petto, gettando una fugace occhiata al polso sinistro: solo allora si ricordò di non aver portato l'orologio per il pericolo di disperderlo. Stava decisamente dormendo troppo poco, in quel periodo. "Sempre Snake." Sbuffò.
"E al fanciullo cos'è accaduto?"
"Fanciullo non si può proprio sentire" mormorò, arricciando il naso aquilino. "Da quanto so, comunque, la ferita da sparo non è troppo grave."
Affilò lo sguardo, rendendolo ancora più tagliente. Aveva l'apparenza di un predatore che adocchia il suo bottino. "Bene" decretò, con voce più cupa del solito. "Lei mi serve illesa, sicché è ancora utile per Pandora."
"Scrivi una lettera," lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, "ché a me secca dirlo a Snake - soprattutto perché è duro di testa."
L'anziano corrugò la fronte: non era di certo solito alle locuzioni del 2015, perciò era naturale restarne leggermente smarriti. 
S'alzò, dunque, dalla pregevole poltrona, seppur con fatica. Era piuttosto basso, con la schiena e spalle ricurve, e, per sostenersi meglio, gravava su un bastone di legno di mogano accuratamente lucidato. I vestiti sfarzosi di quell'epoca lo raffiguravano ancora più goffo e robusto.
Si diresse allo scrittoio lievemente impolverato e decisamente di cattivo gusto, viste tutte quelle pomposità che lo adornavano. Spostò la sedia sfiorandola appena, come usasse telecinesi. Vi si sedette con eleganza, nonostante la sua corporatura lo ostacolasse. Prese una grande piuma grigia, per poi aprire il calamaio. Intinse con fare raffinato il piumino, lasciandolo sgocciolare un po' per non sporcare lo spazio limitrofo.
Cominciò poi a scrivere, mentre il più giovane incrociò nuovamente le braccia e iniziò a ticchettare la punta del piede sul pavimento, spazientito.
Dopo circa cinque minuti, colui che l'uomo in nero aveva chiamato Kibisu sospirò. "Smettila, Ookubo. Dai noia." Ghignò, consapevole di quale sarebbe stata la sua reazione.
L'appellato, contro ogni sua aspettativa, rise piano. "Oh, Ookubo non esiste, ormai. Non sono più Soichiro Ookubo, sappilo."
Non si sorprese, comunque; anzi, sorrise leggermente, in modo inavvertibile. "Lo so" ridacchiò, nella sua voce persisteva una sfumatura ironica, quasi sardonica. "Voleva essere una semplice rivalsa."
Soichiro Ookubo cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza. Stava morendo dalla voglia di sapere che ore fossero, anche perché non era a conoscenza della durata rimanente dello sproprio.
"Sbrigati a finire quella maledetta lettera."
"Sì, sì" gli concesse, mentre intingeva nuovamente la piuma nell'inchiostro nero. Firmò; la sua grafia era fine, ma decisa. Il linguaggio era molto forbito, senza, tuttavia, apparire ampolloso. Sigillò, poi, la lettera con un francobollo verde petrolio.
Lanciò un effimero sguardo sul suo superiore a lavoro. Sbuffò lievemente, e successivamente lo raggiunse vicino alla sedia, torreggiandolo. "Non ho mai capito perché ti ostini a mettere questi bolli."
Kibisu non si volse, restò immobile a fissare la busta ormai adagiata sulla scrivania. "Servono a distinguere la loggia dall'Organizzazione" spiegò. Rivolse lo sguardo verso la figura accanto a lui, ma non virò minimamente né busto né capo. "Pensavo lo sapessi."
"Certo che lo so" ribatté con tono indifferente. "Ma non ne vedo l'utilità."
L'anziano si alzò adagio, facendo ricorso allo schienale dello scanno. Non rispose. Agguantò la lettera, e la porse al subalterno, che lo guardò perplesso. "Tieni." Agitò un po' la mano, ostentandola. "Raccomando la ragazza a te. Ti ricordo che, almeno per ora, deve continuare a cercare la gemma."
Soichiro prese l'involucro con titubanza, girandolo un po' tra le mani, quasi fosse un elemento a lui del tutto estraneo. Era quasi bizzarro vedere una figura così alta, imponente, seppure fin troppo gracile, osservare con tanto sospetto un oggetto così apparentemente insignificante.
"Per quanto concerne il giovine," aggiunse "vi lascio liberi di compiere ogni azione."
Incatenò i suoi occhi gelidi in quelli neri di Kibisu. "Con lui abbiamo già fatto abbastanza."

I capelli scuri vennero mossi dalla brezza fredda, creando un'immagine quasi magica: una figura slanciata, di spalle, al chiarore della Luna crescente che illuminava quella notte.
Si trovava ancora una volta su un grattacielo, ma era pressoché inutile, considerata l'altezza del palazzo in cui era custodita la gemma che doveva esaminare questa volta: The Shyness Of Green. Un nome insolito per un gioiello, aveva pensato lei. Inoltre, Ginzo le aveva espresso la sua opinione in merito: un nome insolito, sì, ma anche leggermente paradossale: la pietra era, in realtà, uno zaffiro blu. Un naturalissimo zaffiro blu, delle dimensioni di un un pugno di un neonato, preso in custodia dall'associazione dei Suzuki. 
'Aoko, lo sai. Lasciati andare.'
Sostava sul margine di quel tetto da circa un minuto, ormai. Aveva fatto tutto ciò che doveva fare: riscaldare i muscoli, indossare - con suo puntuale disappunto - la tuta, sistemare la maschera nera, attivare la cintura per un eventuale bisogno, oltre alla necessità dell'arpione... Voleva fare solo un'ultima cosa.
Alzò, dunque, la manica destra della veste verde petrolio, facendo scivolare un elastico nero dal polso. Poi, raccolse la folta chioma scura in una coda di cavallo alta, e la legò saldamente, stringendola ulteriormente in seguito. 
Non rispose né compì ciò che Johanne le aveva chiesto.
Lasciò cadere nuovamente le braccia lungo i fianchi, scrutando intensamente il palazzo che si ergeva sotto i suoi occhi. Avrebbe dovuto saltare sul tetto - a circa venti metri dai suoi piedi -, per poi passare dal condotto di aerazione che Keiko aveva gentilmente offerto di aprire di nascosto. Successivamente, avrebbe lanciato delle granate stordenti, proteggendosi con una maschera antigas, ambedue procuratele da suo padre. Un classico, insomma.
La parte più difficile, però, stava nel ricordare i luoghi precisi in cui non era possibile essere ripresi dalle telecamere. Ecco, aveva già dimenticato tutto!
'Ci sarò io, ricordi?' le rammentò Johanne in un dolce bisbiglio.
Strinse i pugni, continuando a fissare quel minuscolo edificio nella moltitudine inarrestabile e, per Aoko, squallida dell'enorme città di Tokyo. Probabilmente non vi aveva mai fatto attenzione, ma tutti quei palazzi, gli uni accanto agli altri, anche colorati... Li vedeva grigi, scialbi. O forse era soltanto il greve stato d'animo che l'assillava in quei giorni fin troppo pieni.
Fu nuovamente Johanne a destarla dalle sue elucubrazioni - piuttosto catastrofiche, si potrebbe aggiungere -, con un tempestivo e tuonante "Smettila!".
Lei sospirò semplicemente, dando finalmente ascolto a quella che poteva essere scambiata per una voce di coscienza. Titubò leggermente, prima di lasciarsi andare. Aveva paura di come sarebbe potuto essere il ritorno alla normalità, quando Johanne sarebbe stata nuovamente soppressa da chissà quale energia. Potevano davvero vincere la stanchezza e il vuoto che l'avevano sopraffatta l'ultima volta e che, quasi indubbiamente, l'avrebbero fatto anche quella sera? Non ne era per niente sicura. 
In ogni caso, lasciò che il potere di Johanne si unisse al suo, e che quella bizzarra sensazione di completezza la inebriasse. 
La ladra, dal canto suo, non vedeva l'ora di farlo un'altra volta. Certo, non la rallegrava né rassicurava la spossatezza che colpiva la sua ospite dopo la sincronizzazione - le stava davvero a cuore, nonostante le rivolgesse parola da poco più di una settimana -, ma era passato davvero troppo tempo da quando poteva nuovamente muoversi liberamente in un corpo: parlare, mettere in moto qualunque arto lei volesse. 
Dopo qualche secondo, Aoko sentì chiaramente la voce che tanto le era piaciuta l'ultima volta.
Johanne stiracchiò le braccia avvolte nel tessuto scuro, come reduce da una lunga dormita. "Ah, che bella sensazione!" esclamò, chiudendo gli occhi e godendo del leggero vento fresco che accarezzava il corpo di Aoko.
Già, il suo corpo. Non si era ancora abituata ad udire una voce non sua uscire dalle sue labbra, o movimenti non voluti attivare i suoi muscoli. Abbassò repentinamente gli arti superiori, e i suoi occhi si aprirono, formando due sottili fessure. "Johanne!" la ammonì con veemenza, chiudendo le mani in due pugni, come una bambina impettita che reclama il suo gelato; l'unica differenza era che lei reclamava la totale padronanza del suo fisico. "Ne avevamo già discusso l'altra sera!"
Lei sogghignò, com'era suo solito fare davanti alla stizza che suscitava in Aoko. "Sì, sì, come vuoi." 
La viaggiatrice non poté far altro che sbuffare, per poi sentire un "Dai, diamoci da fare" uscire dalle sue stesse labbra.

Prese - o, per meglio dire, presero - in mano il gioiello, e fu lì che si scaricò un'ondata sconvolgente di miriade di emozioni e sensazioni diverse. È quasi ostico provare a descriverle, poiché furono talmente fulminee ed effimere che loro non ebbero nemmeno il tempo di accorgersene. Perciò, atterrò perfettamente dalla rovesciata, con il The Shyness of Green in mano.
La stanza pullulava di agenti della polizia, mentre dall'esterno si potevano udire grida e adulazioni per la ladra "immortale".
Il padre di Aoko si trovava dentro l'edificio, in quanto poliziotto, e aveva accanto una Keiko elettrizzata, che era stata molto utile per le vie di fuga dell'amica. Entrambi osservavano con attenzione ogni movimento della giovane che si dilettava - quasi si divertiva - a saltare, roteare e danzare nella più assoluta libertà e grazia. Trattennero il fiato quando lei afferrò rapidamente la gemma, in attesa di sapere se fosse realmente quella giusta.
Keiko batté addirittura le mani, per tutto il suo fomento ed emozione, mente gli occhi le brillavano.
Non ebbero subito la risposta alla loro ansia; o meglio: si poteva dedurre dall'atteggiamento disorientato di Aoko - che era ferma ormai da qualche secondo, sotto gli occhi dei poliziotti leggermente confusi dal suo continuo volteggiare - che doveva essere, verosimilmente, quello zaffiro, o perlomeno uno importante.
Aoko restò ferma nello stesso punto di atterraggio, ed era talmente sconvolta da quelle strane sensazioni che non si accorse che i poliziotti le andavano incontro. Ginzo si preoccupò per un attimo, poi lo sguardo gli cadde sulla pietra tra le mani di Aoko e un lampo di consapevolezza gli attraversò il viso e diventò un'espressione curiosa e leggermente sollevata.
Il colore dello zaffiro era cambiato in un verde stinto, e all'interno brillava un rosso intenso.
Aoko si sentiva completa, questa volta davvero. Si sentiva potente, invincibile, e tutti i pensieri negativi sparirono del tutto.
Non sapeva se fosse la sua ospite a contagiarla, ma Johanne provava una strana sensazione: era come se fosse di nuovo nel suo corpo, come se non fosse mai stata una semplice voce per secoli. Era di nuovo libera
Un agente stava per afferrarle la caviglia, ma Aoko scattò in aria con un salto di circa un metro e mezzo - wow, non era mai arrivata così in alto -, aprendo le gambe in un meraviglioso ejambée, proprio come una farfalla che spiega le ali.

"Non voglio."
Aoko si riferiva a due cose: non voleva, intanto, che la sincronizzazione cessasse - aveva paura, troppa paura di soffrire -; e poi, non voleva separarsi da quella pietra.
Johanne le aveva espresso la sua meraviglia - "Che botta di culo!" - per aver trovato il proprio cristallo così presto, pressoché senza fatica. Peccato, si era detta, non mi sarebbe dispiaciuto continuare a divertirmi con gli sbirri. E ovviamente, Aoko aveva intercettato la sua corrente di pensiero e l'aveva ammonita, spiegandole istericamente che non si stavano divertendo e che era più che felice che quell'incubo fosse finito subito.
Ora, però, si rese conto che separarsi dal The Shyness of Green era davvero difficile; finalmente capiva perché per quei politici - disgustosi, aggiungeva sempre lei - fosse così difficile staccarsi dal potere. Perché lei si sentiva ed era potente. E quel potere, quel senso di completezza erano troppo difficili da abbandonare, sapendo soprattutto che in seguito ci sarebbero stati solo vuoto e dolore.
Sapeva anche di sbagliare a pensare quelle cose, ma che ci poteva fare? Non era forse umano proteggersi da un qualunque pericolo, pur avendo coscienza di essere vigliacchi, codardi, magari anche illusi di un qualcosa che si ha la certezza di avere?
E lei non voleva che quelle poche certezze che vantava vacillassero. In quel periodo, poi, la maggior parte si erano infrante contro la logica come delle bambole di porcellana contro terra.
"Dobbiamo, piccola." Sospirò, mentre sentiva i lineamenti della sua ospite contrarsi in un broncio afflitto. "Non sei la prima a dover affrontare questa situazione. Undici persone hanno dovuto rinunciare a questo potere prima di te - oddio, magari non proprio undici, però siamo lì."
Aoko fece un verso amareggiato. "E questo dovrebbe consolarmi? Io non ne posso più, Johanne..."
Johanne avvertì una morsa attanagliarle il petto; non sapeva se il dolore fosse suo o della ragazza. "Lo so." 
Probabilmente Aoko non era dell'umore giusto per farsi dare lezioni di vita, ma non le importava. Voleva che si rendesse conto di ciò che poteva e doveva fare.
"So anche che sarà difficile comprendere quello che ti sto per dire, ma col senno di poi ci ragionerai e mi darai ragione. Sappi che il male e il bene sono sempre troppo confusi per prendere una posizione precisa, soprattutto se si è emotivamente coinvolti; per questo non ti dirò che ciò che pensi è sbagliato, ma non sempre ciò che non è sbagliato è completamente giusto, e non sempre ciò che è considerato giusto è da fare." Sentendo una smorfia contrariata sul viso di Aoko, si affrettò a proseguire. "Dopotutto, tu stessa sei una ladra. Certo, non una vera e propria, ma..."
Aoko esplose in quel momento. "Non ne posso più" sibilò, ripetendo le parole di poco prima. 
Ma non fu quello a spaventare Johanne, quanto più il fatto che la sua energia era diminuita di molto - aveva interrotto la sincronizzazione -, ma che non avesse dato cenni di stanchezza. Restò in silenzio per qualche secondo, troppo sorpresa dall'improvvisa freddezza della giovane, ma poi accadde qualcosa che non si sarebbe mai aspettata; o meglio, se la sarebbe dovuta aspettare, ma non così presto e non in quel momento.
Un'energia sconvolgente scaturì dal corpo di Aoko, assumendo una strana sfumatura tra il rosso e il verde e illuminando la squallida palazzina e la strada sottostante, ancora con le volanti lampeggianti della polizia. Gridò, gridò, finché non finì il fiato in gola. Erano urla che volevano liberare qualcosa, ma non sapeva nemmeno lei cosa. E quando cessarono, quella stessa energia che era uscita da lei le fece fare un volo di qualche metro; sbatté sul pavimento freddo, inerme, e perse i sensi.
'No, Aoko! Merda, non doveva andare così!'

Dondolava come un pendolo, spostando il peso da un piede all'altro, nervosamente. Squadrò di sottecchi l'espressione dell'ispettore Nakamori, ma lui sembrava essere assorto nei suoi pensieri, mentre il suo sguardo era rivolto al palazzo abbandonato a una ventina di metri da loro.
"La prossima volta la prenderò, Ginzo, puoi starne certo!" Ma a quanto pareva, l'ispettore Gamano non se n'era accorto e sentiva il bisogno di dover giustificare la sua sconfitta.
Ginzo fu così strappato alle sue elucubrazioni, e simulò un sorriso per far capire che aveva recepito la sua "determinazione", anche se sapeva benissimo che era vana: Aoko era troppo agile e atletica per essere presa senza l'aiuto di armi da fuoco, e in tal caso il padre non avrebbe esitato un attimo ad impedirle di compiere un altro furto. Ad ogni modo, sembrava non essercene bisogno, perché da quanto aveva potuto vedere lo zaffiro aveva sortito nella ragazza uno strano effetto - che fosse quello zaffiro, poi, non lo sapeva. 
Keiko trattenne uno sbuffo. Non gliene fregava proprio nulla delle parole di quell'ispettore; voleva solo rivedere Aoko e accertarsi che stesse bene. Perché diavolo ci stava mettendo così tanto? La scorsa volta, a togliersi la tuta e a cambiarsi aveva perso al massimo dieci minuti, dal momento che - testuali parole - non aveva aspettato altro che infilarsi sotto le coperte e dormire.
Una luce rosso-verdognola si estese a qualche metro davanti a loro, sopra le loro teste, mentre Gamano continuava a snocciolare parole su come avesse messo alle strette la ladra Johanne durante uno dei suoi furti tanti anni fa.
La biondina sobbalzò e si guardò intorno febbrilmente, nonostante non sapesse nemmeno lei cosa cercare. Era dannatamente preoccupata per Aoko.
Cos'è successo? Perché è successo lì? Aoko sta bene?
Questi pensieri - sia di Keiko che di Ginzo - furono prontamente interrotti dall'ispettore Gamano, che urlava ai suoi sottoposti: "Andate subito a vedere cos'è accaduto! Potrebbe trattarsi di Johanne!" Aveva cominciato a correre - seppur in modo alquanto goffo - verso il palazzo anche lui.
L'ispettore Nakamori si scambiò una velocissima occhiata con Keiko, ed entrambi convennero silenziosamente. Pur di andare contro gli agenti, dovevano aiutare Aoko.

"Dobbiamo intervenire." Lo disse in tono perentorio, deciso e secco.
Snake lo guardò come se fosse folle. "Non potremmo prenderci la gemma e andarcene?" domandò ingenuamente. Un secondo dopo si ritrovò a fare un verso di dolore e disappunto, poiché l'altro gli aveva tirato uno scappellotto sulla nuca.
"Sì, così permetteremmo alla polizia di iniziare una nuova indagine, sicuramente aiutata dalla loggia. Meglio che non parli, dici solo cazzate" sibilò velenoso, mentre estraeva lentamente la rivoltella dalla fondina.  "Ora si passa alle maniere forti" mormorò, più a se stesso che non a Snake.
"E con la ragazza cosa facciamo?"
Lui spostò lo sguardo ora al corpo della giovane, a parecchi metri da loro, ora agli agenti che si ammassavano davanti all'entrata arrugginita dell'edificio. Ridusse le pupille a due fessure e sospirò. 
"La proteggiamo, ovvio."

Johanne poteva solo sentire; gli occhi di Aoko erano chiusi, e in ogni caso non sarebbe riuscita a vedere niente se non il cielo stellato. Non sapeva se rammaricarsene o meno: sentiva rumori di passi umani, di grida e di ordini, e stava in tutti i modi cercando di svegliare Aoko. E se fosse stata la polizia? No, non potevano lasciarsi sbattere in galera proprio dopo aver trovato il loro zaffiro.
Non ebbe il tempo di pensare altro, perché avvertì un tonfo dopo un rumore più lieve a pochi metri dalla sua ospite, e subito dopo una parola che le pervenne come "Incapace!", ma non era del tutto sicura: il frastuono delle volanti sotto di loro arrivava anche a loro forte e chiaro.
Restò interdetta. Di sicuro non erano agenti, appurò, ma allora chi erano? A questo punto non era più così sicura di voler Aoko sveglia.
"Gli sbirri sono davvero lenti."Snake sbuffò. "Io voglio fare a botte!"
Il suo compagno gli scoccò un'occhiata torva ed esasperata. "Non sai fare altro" borbottò. 
Decise che non voleva fare fuori nessuno, quella sera. E poi, quello bravo con la mira era Snake; lui se la cavava meglio con il corpo a corpo, malgrado la sua corporatura macilenta e apparentemente fragile.
Il desiderio di Snake si avverò qualche secondo dopo, proprio mentre quest'ultimo stava togliendo la sicura alla pistola.
Johanne non sapeva cosa fare. Più che altro, perché non poteva fare niente; odiava sentirsi così impotente, soprattutto se di mezzo ci andava Aoko. Se le fosse successo qualcosa, non se lo sarebbe mai perdonato, e forse nemmeno Ginzo e Yume l'avrebbero fatto. 

I poliziotti salivano velocemente le scale: erano circa una decina, compreso l'ispettore Gamano che sciorinava ordini con voce stridula e assordante - "State sempre pronti, ci si può aspettare di tutto da una donna del genere!", "Non andate nel panico!", "Il vostro obiettivo è catturarla!", quando l'unico ad essere nel panico era lui.
Quando finalmente giunsero sul tetto, partì un colpo; non era da parte di un agente, però.
Snake aveva mirato mirato al polpaccio di una guardia presa a caso. L'uomo cadde a terra subito, ancora incredulo e sgomento davanti ai due criminali.
Poi sparò il secondo e il terzo e il quarto: ogni uomo che sbucava dall'angusto corridoio in salita veniva preso alle gambe e stramazzava sopra gli altri con un grido di dolore.
'Che stupidi', pensò il compagno di Snake. 'Sentono gli spari e le grida e si ostinano ad arrivare qui completamente scoperti.' Per una volta, comunque, era grato a Snake, poiché quella sera era proprio di malumore e non gli andava di iniziare alcuna colluttazione con nessuno; se l'avesse fatto, probabilmente il suo avversario avrebbe avuto vita breve.
Il quinto agente non sopraggiunse - non subito, almeno. Restò dietro la porta di ferro arrugginito e prese la mira quanto più decentemente possibile alle ginocchia di Snake, facendo cenno ai colleghi di stare zitti e di rimanere indietro.
Il socio di Snake lo vide: era in una posizione più angolata del tetto, perciò notò il la pistola e le braccia leggermente tese, e non esitò un attimo. Sospirò appena; poi alzò il braccio e aprì il palmo della mano. Un'energia dalla luce verde petrolio - quasi nera - uscì e andò a scagliarsi contro lo stomaco del povero poliziotto, facendolo sbattere contro il muro e accasciare a terra.
Snake lo osservò confuso, poi comprese. "Cielo, non pensavo saresti arrivato a tanto, Crocodile."
Crocodile scrollò le spalle con nonchalance. "Ah, quel tipo stava mirando alle tue gambe. Se non ci fossi stato io, ora saresti carne da macello."
Snake schioccò la lingua, ma non aggiunse altro.
Nel frattempo, gli agenti osservavano sbalorditi e inorriditi quella scena; ora avevano seriamente paura. Ad ogni modo, l'ispettore Gamano non volle sentire ragioni ed incalzò tutti ad uscire; ciononostante, l'ansia gli faceva sudare le mani e la fronte calva, e lui stesso aveva la paura che gli faceva tremare le gambe.
Gli altri tre uomini e l'ispettore sopravvennero quasi nello stesso momento - per quanto il passaggio lo permettesse -, ma i primi due furono subito colpiti da Snake, seppur non in punti fatali, e si accasciarono sul cemento immondo. Il terzo sfuggì di poco a un ennesimo proiettile, mentre Gamano sparò per primo, cogliendo Snake di sorpresa e perforandogli la parte superiore della spalla sinistra. Nel frattempo, Crocodile aveva atterrato l'agente ancora illeso - il poveretto, preso dall'ansia, gli era inconsciamente andato incontro - con un calcio alla mascella.
"Brutto bastardo..." soffiò, diventando rosso di rabbia; apparentemente, era più concentrato su Gamano che non sul suo dolore. "Io ti ammazzo!" E così fece: dalla sua fidata revolver Smith & Wesson uscì subito una pallottola, diretta alla testa dell'ispettore; gliene importava poco se il lavoro non sarebbe stato pulito, o se il cervello sarebbe saltato fuori: lui era orgoglioso e vendicativo, e non aveva intenzione di farsi mettere i piedi in testa.
Se non fosse stato per un unico inconveniente. Crocodile, infatti, non voleva lasciare più tracce di quanto ne avessero già fatte, né voleva avere nemica la polizia giudiziaria. Già ci pensavano gli agenti della polizia segreta giapponese a star loro dietro, a causa di tutti gli spacci d'armi e droga e assassinii vari. 
Dalla sua mano scaturì ancora una volta la strana energia verde scuro, e andò a deviare la traiettoria del proiettile. Lanciò un'occhiata più che bieca a Snake, e se lo sguardo avesse potuto uccidere, lui sarebbe stato già carbonizzato. "Provaci ancora e il tuo cuoricino smetterà di battere all'istante." Anche il suo tono era graffiante e freddo, e Snake non aveva dubbi che l'avrebbe fatto sul serio, se necessario. La prospettiva non lo allettava per nulla.
Il battito cardiaco di Koichiro, con ogni probabilità, era raddoppiato. Sto morendo, sto morendo, sto morendo... Era sicuramente un attacco di panico. Prese freneticamente il walkie-talkie dalla sua cintura e si sintonizzò immediatamente alla base. "Shinjuku, 7-36-80! Servono rinforzi, venite arm..." 
Non fece, però, in tempo a concludere la frase: Snake aveva velocemente ricaricato il tamburo dell'arma (aveva esaurito tutti i colpi, dopo quella strage) e, presa la mira, aveva fatto esplodere il dispositivo con un solo colpo. 
Gamano lasciò subito la presa sull'oggetto, ormai a fuoco, e lo fissò terrorizzato e sconvolto.
"E no, tesoro, ora ti stai allargando troppo. Mi spiace - oddio, mica tanto -, ma ti devo mettere fuori combattimento." 
Il più magro e alto dei due - Crocodile - tese di nuovo la mano, ma l'ispettore previde la sua mossa e cercò di scappare a sinistra, sparando una seconda volta: stavolta il proiettile andò a sbattere contro la ringhiera pericolante del solaio, producendo un assordante e fastidioso clangore metallico e facendo cadere un pezzo di ferro ossidato in strada. Nessuno dei tre sperò che non ferisse qualcuno passante di lì.
Crocodile spostò la direzione della sua mano, ma la sua destinazione era piuttosto lontana - circa cinque metri - da Koichiro, così lui continuò stupidamente a correre in una linea immaginaria somigliante ad un iperbole. Dopo appena due secondi, liberò una seconda sferza di forza, che colpì l'ispettore allo stomaco e lo vece volare contro il parapetto, che si piegò pericolosamente sotto il suo peso, ma che per fortuna non lo fece cadere. 
Snake ghignò.  "E i piedipiatti sono andati!" Mosse un pugno avanti come un ragazzino che ha appena vinto una scommessa. Si volse verso il compagno e  lo osservò interrogativo. "Ora prendiamo la pietra, vero?"
Crocodile sospirò per l'ennesima volta, snervato, e si passò la mano sinistra - d'altronde, non si poteva fidare di quella destra dopo averla usata - tra i capelli corti e corvini. "Sei proprio imbecille." La fece ricadere lungo il fianco e il suo sguardo lo trafisse, gelido. "Ti ho detto che non possiamo. Secondo te, la loggia non s'insospettirebbe se gliela portassi io, anziché la figlia di Nakamori?"
Snake parve provare a ponderarci un attimo, poi si rassegnò e scrollò le spalle con fare indifferente. "Quindi abbiamo finito?"
L'altro non rispose. Prese il suo arpione e lo lanciò sul soffitto del palazzo su cui si trovavano solo pochi minuti fa, poi disse: "Andiamo. Suo padre sta per arrivare", con inflessione piatta e secca.
Il criminale sbuffò, ripose la rivoltella nella fondina e ripeté le azioni del suo partner.
Johanne aveva sentito tutto.

Ginzo e Keiko avevano udito degli spari provenire dai piani superiori: l'uomo ci aveva pensato un attimo, ma poi si era detto che sarebbe stato meglio non coinvolgere anche l'amica di sua figlia, perciò avevano deciso di nascondersi nel cortile polveroso della palazzina e di aspettare il termine della strana sparatoria.
Appena passato un minuto dall'ultimo colpo, infatti, i due si precipitarono sul tetto e rimasero basiti alla vista di tutti quei corpi e sangue sparsi.
A Keiko salì un conato di vomito, ma tentò di controllarsi.
L'ispettore Nakamori scrutò l'area con sguardo raccapricciato e con la pelle d'oca, finché non trovò il corpo della figlia accasciato a terra. Non ci pensò due volte: corse verso di lei e cadde in ginocchio, subito seguito da Keiko. Constatò che non era ferita - non superficialmente, almeno. Rilasciò un sospiro di sollievo. Vide anche la gemma stretta in un palmo e gliela sfilò dolcemente, ponendola nella tasca interna della sua giacca marrone.
Soppesò due opzioni: chiamare altre agenti delle forze dell'ordine e l'ambulanza, ma immaginò che già qualcuno di sotto avesse provveduto; poi, andarsene con Aoko senza lasciare alcuna testimonianza del loro passaggio. Era cosciente dello sbaglio - sia morale sia giuridico - che avrebbe compiuto, facendo finta di niente, al tempo stesso, però, non poteva di certo lasciare che la sicurezza vedesse Aoko in quelle vesti.
"Keiko, aiutami" disse solo, con voce strozzata. Era stanco. Perché quella stupida setta doveva costringere i viaggiatori a rubare la propria gemma? Siccome erano tanto potenti, non era possibile approfittare della propria posizione sociale? Ginzo preferì non pensarci più.
La ragazza annuì, con le lacrime agli occhi. "Non dobbiamo metterle i vestiti?"
"Non possiamo perdere tempo." Ginzo sollevò la propria figlia e la prese tra le braccia. "La macchina è dietro il cortile, e saranno tutti concentrati davanti all'altro palazzo: noi abbiamo strada libera. La dovrai vestire in macchina."
Keiko annuì nuovamente, corse nel magazzino pieno di cianfrusaglie e pullulante di ragnatele e polvere, afferrò rapidamente il borsone di Aoko e cominciò a scendere le scale, seguita dall'ispettore. 

 

 

*Setta dell'autrice quasi-estinta*
*fischietta* Salve, gente! Tutto bene, vero? Mica sto aggiornando dopo mesi e mesi, eh, assolutamente!
...
Vi prego di perdonarmi! D: Non ho avuto per niente l'ispirazione per questa storia, anche perché ho abbandonato un po' il fandom di Detective Conan (e tra l'altro ho visto che sta andando un po' in "rovina" :c), quindi non ho più la voglia che avevo prima. Comunque, ho intenzione di finire questa long: ci sono molto affezionata, e poi è la mia prima long, quindi... Be', non posso lasciarla incompiuta.
Per farmi perdonare, ho portato un capitolo bello lungo e corposo (anche se il titolo fa schifo)! E' vero, non si scopre praticamente niente - anzi, forse la storia si riempie ancor di più di misteri -, ma ci sono un bel po' di cose interessanti... Intanto, il dialogo tra Soichiro e Kibisu; non so se avete capito, ma dopotutto non è così difficile. Spero, poi, di aver reso bene le emozioni di Aoko prima, durante e dopo il furto... Quella povera disgraziata ragazza ne sta passando di tutti i colori, per non parlare di Johanne - forse è tra i personaggi più sfigati, la nostra cara nonnetta secolare. :'D E Crocodile, poi, quest'altro mio OC, che probabilmente è quello che sta messo peggio... Insomma, mi piace trattarli bene, i miei personaggi. xD A proposito di Crocodile: avete qualche supposizione o domanda? Mi fa sempre piacere ricevere vostri pareri!
Ah, e scusatemi se il momento con più azione vi sembra un po' ripetitivo, ma faccio pena con queste scene (ci sarebbe da chiedersi perché ho iniziato una long anche d'azione)! All'inizio avevo intenzione anche di inserire il momento del mattino seguente, ma penso che già il capitolo sia lungo e pesantuccio così, perciò ho preferito evitare.
Ah, lo stile potrà sembrarvi diverso dalla seconda metà del capitolo in poi... Questo perché non ho continuato la storia per mesi e mesi, e la mia scrittura si è evoluta; in realtà ne sono molto felice, perché rileggendo i lavori che scrivevo prima mi salgono conati di vomito alla Keiko. xD Comunque, spero che vi sia piaciuto, e che possiate continuare a seguire la storia nonostante gli aggiornamenti piuttosto rari (ops xD)! Ci vediamo alla prossima (presto, spero). :3

Edit 30/06/2017: Ragazzi! E' da un po' che mi potete trovare anche su twitter, e, a parte i puntuali scleri su Haikyuu!! e Boku no Hero Academia, potete trovare anche anteprime sui prossimi capitoli. <3 Perciò, se siete interessati (ma chi voglio prendere in giro?), trovate qualcosina lì! ;3

Baci
Shizuha

P.S. Non ho riletto il capitolo, quindi è possibile che troviate errori! D:

  
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