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Autore: Lost In Donbass    02/05/2017    2 recensioni
Sono passati due anni da quando Will è morto, due anni in cui Tom e Bill vivono felici e in pace, Tom sempre come irreprensibile agente dell'Anticrimine berlinese e Bill sempre come mercenario per conto di July. Ma questa volta, devono far fronte a un problema molto più grande: chi ha rapito Bill, e soprattutto, cosa vogliono da lui?
In una Honolulu troppo afosa, Tom si troverà a dover lottare contro demoni di cui non conosceva l'esistenza, per salvare Bill dal suo passato una volta per tutte, tra segreti mafiosi, isole hawaiane e la sua solita scanzonata allegria.
Sono tornati tutti, ragazze! July, i coinquilini, i G&G, Heike ... non manca nessuno!
NOTA BENE: SEQUEL DI "WON'T YOU BE MY BLOODY VALENTINE" DI CUI SI CONSIGLIA VIVAMENTE LA LETTURA PER COMPRENDERE MEGLIO QUESTA!!
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest
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WON’T YOU BE MY BLUSHING BRIDE?

CAPITOLO PRIMO: ANGELI HAWAIANI

Dedicato a Dharkja, lei sa perché!
 
Tom Kaulitz, per una volta in vita sua, poteva davvero dirsi completo e in pace con sé stesso, sdraiato sul piccolo divano verde dell’appartamentino della Amburg Strasse, gli occhi persi oltre le luci di una Berlino bollente in pieno agosto, guardando le stelle che pallide si affacciavano nel velluto nero del cielo malato dalle luci dei lampioni e dei locali notturni. Si passò una mano tra i capelli, che dai grassi dreadlocks biondicci erano diventati cornrows scuri, dopo che Bill si era lamentato del fatto che si fosse fossilizzato sui rasta senza avere voglia di cambiare almeno un pochino. E Tom aveva ubbidito al suo viziatissimo fidanzato, presentandosi poi nel Distretto Dieci con grosse treccine, un sputo di caffè sconvolto di Georg, e un pugno in testa del povero commissario capo Mann che doveva ancora venire a patti col fatto che il suo migliore agente, il Segugio di Berlino, fosse gay, fissato con le mode giamaicane, e allergico alla divisa regolamentare, siccome si presentava sempre coi suoi vestiti sformati. Ma alla fine, gli ricordava sempre Tom, non erano forse il Dieci, il distretto dei ritardatari, degli sfigati, dei casi clinici e dei sempre in bolletta? Dunque, perché proprio loro avrebbero dovuto attenersi alle regole che le Frittelle di Cervello imponevano, loro, che rappresentavano in tutto e per tutto il commissariato da telefilm, che con la sua illogicità e la sua carenza di mezzi riusciva però gloriosamente a risolvere casi fuori dal mondo? Nessuno aveva dimenticato il Serial Killer delle Croci, anche se la sua vicenda era stata tenuta nascosta il più possibile dall’opinione pubblica, per non scatenare un vespaio di scandali assurdi. Il pazzo era morto, la popolazione era al sicuro, bastava quello. Alle famiglie di quei poveri giovani uccisi (Tom ricordava ancora con orrore quei corpi sfigurati da croci e simbolismi coreani, quei ragazzi innocenti che si erano trovati vittime di un pentacolo tessuto da un demone impossibile da definire come uomo) era stata semplicemente mascherata la verità, chè di raccontare a quei genitori scavati dal dolore che il loro figlio, o la loro figlia, erano stati ammazzati solo per compiacere le paturnie di un ragazzo oltremodo possessivo e invischiato nella mafia nordcoreana proprio non glielo diceva loro il cuore. Era bastato un “Si è suicidato, i vostri figli sono vendicati” per calmare quegli occhi bruciati dall’insonnia e dal rimorso, per farli chiudere nel loro lutto eterno e sotterrare quel caso che nascondeva troppi dettagli bollenti per poter essere dato in pasto alla gente davvero in alto o alle persone comuni. Un omicidio coperto, l’uomo più ricercato del pianeta, un poliziotto ai limiti della legalità: notizie esageratamente scottanti da chiudere in un freezer e non tirarle più fuori sino al secolo successivo.
Tom andava avanti così, esattamente come prima di conoscere Bill. Squinternato, lavoratore oltre misura, sognatore. Però aveva il moro dalla sua, e questa era una “vecchia novità” che addolciva la sua vita in ogni sua sfumatura. Erano già due anni che vivevano pacificamente insieme, e che tiravano dritti per le loro vite così diverse eppure così intrecciate indissolubilmente. Uno al servizio della legge, integerrimo nel combattere il crimine e l’altro un assassino al servizio della malavita. Eppure erano così perfetti insieme che a volte Tom si chiedeva se non gli avesse dato quella notte un passagio come sarebbero entrambi finiti, senza l’altro che completava alla perfezione il loro specchio. La loro assurdità li faceva essere perfetti insieme, lui che era sempre il solito, impacciato Tom e Bill che rimaneva la solita carica di sensuale malizia. Sì, Tom si poteva dire un ragazzo felice, anche in quel momento, con i Green Day a tutto volume nelle vecchie casse, lo sguardo perso nella notte e la voce sensuale e melodica di Bill nell’orecchio
-Gattino, mi manchi tanto, lo sai?
Non sapeva se odiare o amare quel tono capriccioso e infantile eppure così eccitante e provocante, soprattutto quando erano lontani oceani. Era già una settimana che Bill era alle isole Hawaii, dall’altro capo del mondo, per svolgere una faccenda per conto di July e a Tom mancava così tanto da fare male. Gli mancava Bill, gli mancava tutto di lui, come una droga terrificante che lo lasciava spossato nell’animo, come i protagonisti di Trainspotting era perso senza la sua eroina personale da iniettarsi dappertutto, un Sick Boy tedesco dipendente da un paio di grandi occhi neri come l’inferno e truccati come la peggiore delle battone, che con un solo ammiccamento lo facevano capitolare come Rossana aveva fatto capitolare Alessandro Magno, una forza splendente e totalizzante che andava ogni anno fortificandosi, quasi che più si lasciasse dietro stracci di Will più riuscisse a illuminare le sue iridi intergalattiche, dove roteavano silenziosamente tutti gli arabeschi dell’Alhambra, le monumentali statue di Bangor, le statue del Bernini e i quadri del Masaccio. Bill era arte allo stato puro, la grondava da ogni angolo come ogni angelo che si rispetti, musa di tutto lo spettacolo artistico mai creato, frutto della più delicata perfezione celeste. I suoi occhi erano splendidi Turner, le sue movenze delicatissimi Prassitele, la sua bellezza una sventagliata di Raffaello, la sua vitalità un tripudio di Ernst, la sua follia una cascata di Kirchner, il suo stile esagerato una spruzzata di Kandisky. Era la sua Clio, quando gli raccontava le storie assurde che viveva quando erano lontani, accoccolati sul divano, Bill impegnato ad accarezzarlo e lui che lo stringeva come a non volerlo più lasciare andare, la voce melodiosa che narrava e si faceva narrare, costruendo panorami che Tom tentava di dimenticare non appena arrivava il solito “Shh, Tomi, giura che non lo dici a July-chan che te l’ho detto!”. Era la sua Euterpe, quando andavano fuori la sera con i G&G, Claudia e Raghnild, Heike e Kalle, se tornava in Germania, e Bill rideva gettando indetro la testa, scuotendo i lunghi capelli corvini, appeso al suo braccio con un sorriso sincero che si allargava sul suo viso troppo effeminato. Era la sua Tersicore, quando ballava in casa, mezzo nudo, Lady Gaga sparata a tutto volume nelle casse, e quei kris che a Tom facevano sempre un po’ paura che si faceva roteare tra le dita con un’abilità un po’ inquietante. Era la sua Thalia e la sua Melpomene, quando si rivedevano dopo una breve separazione e si lanciava in buffe commedie da due soldi, stringendolo forte e sfregandogli il nasino perfetto nel collo, come ogni volta che scommettevano su qualcosa e irrimediabilmente Bill vinceva, con quel sorrisino da sfotti sulle labbra. Era la sua Polimnia e la sua Calliope quando cantava, che fossero strane ninnananne coreane, che gli sussurava nell’orecchio tenendogli la testa sulle sue gambe come a un bambino, e aveva una voce così dolce e così melodiosa, eppure così forte e trascinante da fare male al cuore, che fossero canzoni da strillare sotto la doccia o mentre spignattava, saltellando di qua e di là, o che fossero semplicemente melodie da cantare la notte fonda, quando pensava che Tom dormisse. Invece lui era sveglio, e lo guardava, appoggiato alla finestra aperta, il vento che gli scompigliava la chioma, il corpo snello e flessuoso avvolto nella vestaglietta trasparente, la sigaretta tenuta tra le belle dita magre, lo sguardo perso nella notte, sopra ai tetti, verso la luna, e Tom aveva capito benissimo che quelle erano canzoni che gli ricordavano Will, ma lo lasciava stare, a cantare il suo passato e la sua malinconia. Era la sua Urania, quando gli faceva sempre vedere quanto sapesse di cose assurde, mentre Tom rimaneva sempre il solito ignorante che dalla scuola non si ricordava assolutamente nulla, e chiacchierava con July di cose così inconcepibili e complesse che Tom preferiva sempre starsene con June-Mei-Rin e May-Ran-Mao a giocare a quello strano gioco nordcoreano di cui non aveva ancora capito le regole. Era la sua Erato, quando erano sotto la doccia, e Bill gli si inginocchiava sensualmente in mezzo alle gambe, guardandolo con quella faccia così maliziosa eppure così graziosa o quando erano a letto, ed allora era sempre lui a iniziare, a rotolargli sopra e a ingabbiarlo tra le sue braccia muscolose, baciandogli il collo e scendendo sempre più giù, guardando quel corpicino pallido e flessuoso rispondere con gioia ad ogni tocco, le unghie che gli graffiavano la schiena. Bill era semplicemente tutto per Tom, come Tom era semplicemente tutto per Bill. Una spalla su cui piangere, una colonna su cui appoggiarsi, una persona da cui nascondersi quando si ha paura, un punto fisso che non se ne sarebbe andato. Erano il nido di un gabbiano, un porto amico per un marinaio, la terra natia per un soldato.
-Anche tu mi manchi, angelo.- disse, sorridendo come un ebete, immaginandosi Bill in qualche casetta di quei resort di lusso, seduto su quei comodi letti bassi, le tende bianche che sventolano dalla veranda e mostrano il mare meraviglioso, e lui che ricarica una pistola col silenziatore oppure che affila meticolosamente una katana. – Per quando pensi di finire?
-Uhm, non lo so, Tommuccio. Non posso parlarne per telefono, lo sai.- mugolò Bill dall’altra parte del filo, e per un secondo il ragazzo fu quasi sicuro di sentire una risatina da parte del moro. Probabile, come no. – Non dovrebbe mancare tanto, però. È un lavoro piuttosto semplice … ahia!
-Ehi, Bill, che hai?
-Niente, Tom, stai tranquillo. Mi sono solo punto con la punta della katana, niente di che. Non mi esce nemmeno del sangue.- Bill rise, quella risata bellissima e scrosciante come una cascata di rubini e diamanti che danzano nell’impalpabilità del Mar Baltico. Tom chiuse gli occhi, figurandoselo mentre rotolava sul letto, la lingua decorata dalla pallina argentata che leccava il dito ferito, il babydoll di delicata mussola bianca che usava per dormire, i capelli accuratamente acconciati in un morbido muccio, qualche maschera di bellezza sul viso.
-Stai attento con quella roba.- grugnì di rimando, grattandosi una guancia – Rischierari di affettarti un dito, prima o poi.
-Ma Tom! Non mi crederai mica uno sprovveduto, dopo tutti questi anni che vivo a stretto contatto con le armi.- sbuffò Bill, e Tom non fece fatica a visualizzare le guanciotte del fidanzato gonfiarsi come quelle di un criceto e svuotarsi con uno sbuffo innocente e infantile – Ti preoccupi troppo, tesoro. Rilassati.
-Non posso “rilassarmi” quando so che tu sei da solo dall’altra parte del mondo a fare non so bene cosa contro un’organizzazione criminale non meglio identificata.- ribatté di rimando Tom, alzando gli occhi al cielo.
-E non pensi a come possa stare io sapendo quanti pericoli sicuramente più tangibili vivi tu, in mezzo a una selva di criminali di bassa lega che, se permetti, sono molto più pericolosi dei veri signori della malavita?
Per quanto la voce di Bill cercasse di essere ironica, Tom udì un leggero velo di serietà e di reale preoccupazione. Da quando si erano ritorvati a fare i conti con la morte, sembrava che Bill avesse sviluppato nei suoi confronti una sorta di morboso attaccamento che lo faceva tormentare più di quanto avrebbe fatto normalmente. Forse aveva paura che Tom si ritrovasse nuovamente coinvolto con assassini del calibro di Will, e che questa volta il suo acume e il suo scanzonato coraggio non riuscissero a salvarlo. A volte lo guardava, quando era troppo concentrato su un caso e lo ignorava quasi, e si mordicchiava pensoso il labbro inferiore, accarezzandogli distrattamente le spalle, gli occhi piegati melanconicamente all’ingiù, come se stesse per mettersi a piangere. Bill era un ragazzo sensibile, dopotutto. Aveva vissuto tanti di quegli orrori che Tom non era nemmeno sicuro di conoscere tutti, eppure non ne era uscito fortificato, insensibile, bruciato dalla sua stessa sfortuna tanto da essersi creato una corazza in distruttibile. No, per quanti incubi infestassero la sua mente e i suoi occhi d’inferno, Bill aveva la dolcezza e la sensibilità che solo i puri di cuore possono avere, si emozionava per un tramonto e piangeva quando leggeva libri troppo romantici. Era umano, aveva un’anima leggera come un velo di seta cruda e tintinnava come avesse appesi milioni di perle giapponesi, un fantasma fuggitivo di qualche bellissima dama dimenticata da secoli.
-Comunque, indovina come sono adesso?- cinguettò Bill, quella carica di sensuale malizia a cui Tom non avrebbe mai potuto resistere.
-Sdraiato sul letto, con la katana in mano, la vestaglia trasparente che sventola?- ipotizzò Tom, figurandosi per un attimo Bill sprofondato tra le fresche coltri di lino, la vestaglia di seta cruda trasparente semislacciata sul suo corpicino perfetto e sodo, il tatuaggio dei triangoli ancora in bella vista, e la spada luccicante in mano. Una visione paradisiaca di un angelo steso nel candore e illuminato dalla totalizzante luna del Pacifico, bello come solo gli angeli lo possono essere, etero come un soffio di vento, letale come il Fuoco Celeste.
-Oppure, senza vestiti, la katana affianco, la luna che mi inonda di luce, una mano in mezzo alle gambe e tanta, tanta voglia di te …
-Smettila, Bill.- grugnì Tom, chiudendo gli occhi. Lo faceva apposta, lo sapeva, provava un insano divertimento a portarlo al limite e poi lasciarlo lì, mollarlo giusto un millimetro prima del precipizio infernale. Lo aveva fatto sin dal primo momento in cui l’aveva caricato sul vecchio maggiolino verde oliva (che, oltretutto, resisteva impavido nelle mani di Claudia e Raghnild) e non la smetteva nemmeno adesso, dopo due anni di convivenza e di fidanzamento. Erano fatti così, loro due, troppo dipendenti uno dall’altro eppure anche troppo amanti di loro stessi per permettere di lasciarsi completamente consegnare a qualcuno che non fosse la loro anima. La loro diversità li portava, in fondo, a essere uguali. Credevano in qualcosa in maniera così forte da farsi male, e che uno fosse ciecamente fedele alla Giustizia e credesse nella sua divisa più di quanto credesse in sé stesso e l’altro avesse fatto un giuramento di sangue con l’uomo più pericoloso e ricercato del pianeta e che si fosse consacrato a lui, non importava. Si amavano di un amore talmente trascinante, fuori dalle righe e paradossale da averli salvati, quando entrambi sembravano sull’orlo di collassare, perché se per uno l’amore era servito a capire davvero cosa volesse dalla sua vita, all’altro era servito per scappare dalla sua condizione mostruosa e inumana. Avevano un senso dell’onore che li aveva uniti e li aveva salvati, l’onore di un ragazzo dal cuore puro che voleva solo fare del bene per gente che conosceva solo il male e salvare anime che nessuno avrebbe mai salvato, l’onore di un altro ragazzo che non aveva mai conosciuto altro che la rovina, la vergogna, il supplizio e la morte in ogni sua forma. Conoscevano la speranza, quella vera, quella che aveva mostrato a uno un mondo che non credeva potesse esistere e l’aveva spinto a reagire per i valori in cui credeva, la speranza per l’altro, che non sapeva nemmeno cosa volesse dire, che aveva ormai chiuso con ogni stupore, troppo abituato a venire zittito per potersi permettere il lusso di sognare.
Si erano salvati a vicenda Tom e Bill, avevano insegnato all’altro l’amore, la fiducia, l’affetto, la forza di reagire sempre, qualunque cosa potesse accadere, ed erano sempre lì, insieme, legati da un passato che avevano deciso di tacere per il bene di tutti, consci che l’omertà del Distretto Dieci era stata ben poca cosa rispetto a quello che aveva dovuto fare July per preservare la vita di Bill. “Non si uccide un jejag doen ink-geu” gli aveva detto nemmeno due anni prima, anche se sembrava fosse passata una vita intera; eppure, la regola nel loro caso era bellamente andata a farsi friggere. Forse anche July amava Bill, si era ritrovato a pensare Tom. Come non accorgersi di quelle occhiate velate di affettuosa malinconia che gli rivolgeva, con quei suoi grandi occhi neri ricoperti di glitter, gli occhi che all’agente facevano ancora così impressone? Come non rendersi conto del legame che li univa, forse ancora più forte di quello che avevano Tom e Bill stessi? Come non leggergli nelle pupille quella sottile mestizia, mestizia di un uomo che aveva perso la bambola che tanto amava e che tanto proteggeva, forse andando anche contro l’effettiva importanza tattica di Bill. Se lo ricordava come fosse ieri, quando gli aveva detto che lo aveva tenuto con sé, che lo aveva spronato a salvarsi dalla bestia che Will nascondeva sotto l’efebica e glaciale bellezza, che voleva solo il meglio per lui. Perché dunque preoccuparsi tanto di un ragazzo berlinese senza famiglia e senza passato, se non giusto perchè lo amava di un amore così viscerale da volere davvero solo il meglio per lui? Avrebbe potuto averlo come niente, Tom era consapevole della dipendeza che Bill aveva nei confronti di July, ma non lo aveva fatto, glielo aveva consegnato su un piatto d’argento, con uno di quei suoi inchini sarcastici e il sorrisetto sardonico. Sapeva che Bill voleva Tom, e lo aveva accontentato, rinunciando e tirandosi da parte. Quale uomo avrebbe avuto la forza di fare una cosa simile? Solo July, appunto, July, di cui Tom non aveva ancora capito l’età, la provenienza reale, la magia che si nascondeva dietro il fumo della sua kiseru.
A volte si sentiva quasi in colpa, quando li guardava chiacchierare in coreano, e vedeva quella sottile ombra sulle spalle gracili del giovane coreano, la stretta che sapeva di abbandono della sua microscopica manina con le sue leggendarie unghie ad artiglio smaltate sul braccio del moro. Gli doleva che Bill sembrasse non accorgersene, mentre se ne accorgeva lui, che avrebbe anche dovuto ignorare la sola esistenza dello Scorpione di Fuoco nel piccolo negozietto della  Constanze Strasse.  Si passò una mano tra le treccine, stiracchiandosi pigramente sul divano
-Uhm, come sei bigotto, agente.- sbuffò Bill, soffocando una risatina – Comunque, come stanno i bambini di Kalle? E le due Eva?
-Stanno benissimo, anzi, mi ha detto che dovrebbero venire in Germania, lui e i bambini. Ce li porta a conoscere di persona!- rispose Tom, sorridendo da solo. I figli del suo amico coi capelli blu oltremare e i tatuaggi sparsi per tutto il corpo erano diventati la mascotte del gruppo, anche solo dai collegamenti skype nelle riunioni settimanali a casa di Georg e Heike, la coppia più fischiata, sia nel bene che nel male, di tutto il Distretto Dieci. Quei quattro bambocci coi capelli biondi come ogni svedese che si rispetti uguali a Eva Lisa ed Eva Lotta, le mitologiche fidanzate gemelle di Kalle, portavano sempre lo spirito per iniziare un nuovo caso col piede giusto.
-Ma ci avrei tenuto così tanto ad esserci anche io a vederli … - mugolò Bill, e Tom sentì un rumore ovattato di lenzuola che si scostavano – La zia Bill, non suona divinamente?
-Sarai la zia più originale che sia mai esistita, tesoro.- Tom rise, alzandosi finalmente dal divano verde con le nappe, osservando sempre con malcelato timore le katane, i pugnali yemeniti e i kriss appesi al muro, ingoiando a vuoto come ogni volta che realizzava che quelli non erano semplici suppellettili, come li aveva abilmente venduti ai suoi genitori una volta che erano andati a trovarli lì a Berlino. No, quelle erano tutte armi che avevano mietuto delle vittime, sporche di sangue di ogni razza e religione. A volte era come se non realizzasse del tutto che Bill era, comunque, un mercenario, un assassino, un sicario. Separava nettamente la figura che aveva sotto gli occhi tutti i giorni da quella violenta e selvaggia nella quale si tramutava quando era ora di diventare la guardia del corpo di July. Non voleva sapere chi avesse ucciso, ferito, minacciato con quelle lame che affilava ogni giorno, a chi avesse sparato con quelle pistole, quei fucili di precisione, quelle piccole balestre da caccia che teneva sotto chiave nello studio, ben lontani dalle mani impacciate di Tom.
Sentì Bill ridere dall’altra parte del filo, e sentì anche il suono soffocato di un altro telefono che squillava, seguito subito da un gemito dispiaciuto
-Oh, gattino, scusami … devo lasciarti, mi stanno chiamando i contatti. Ci sentiamo domani, sì?
Tom sbuffò, seccato. Odiava essere interrotto quando parlava al telefono col suo fidanzato lontano chilometri e chilometri da casa, come se lui non avesse diritto di parlargli per quanto tempo voleva.
-Come vuoi, B. Mi raccomando, non metterti nei casini.- si raccomandò, appoggiandosi distrattamente al muro del salotto, tra una spada e un poster della Marvel che aveva portato dal suo vecchio appartamento nella Brandenburg.
-Ma quando mai, cucciolo, quando mai?!- Bill rise dolcemente, e Tom poté vedere le sue belle dita lunghe e inanellate avvolgersi attorno a uno dei piccoli dread bianchi che aveva tra la folta capigliatura corvina. – Ti amo tanto, a presto!
Non fece nemmeno in tempo a rispondergli, che la telefonata fu chiusa con un freddo e secco click. Sì, abbastanza rapido, ma non abbastanza per non permettere all’allenato orecchio del Segugio di Berlino di sentire uno strano tonfo, in lontananza. Ma forse era soltanto lui che si preoccupava troppo di un angelo autostoppista, in fondo.

***
Ciao gente! Eccomi qui, come mi era stato espressamente chiesto, sono tornata col mirabolante sequel di Wont'you be my bloody Valentine! Ammetto, che come primo capitolo fa un po'schifo, ma se sapete aspettare vi giuro sul cd di Scream che diventerà molto più bella, sempre frutto dei miei problemi mentali tra Criminal Minds e Tokio a palla ... beh, non è che ho molto da dirvi, se non che, ai nuovi arrivati, sarebbe consigliabile darsi una letta alla precedente, più che altro perché vorrei che non rimanessero punti in sospeso per nessuna di voi, ecco :DD
Che dire, spero che vi piaccia e mi raccomando recensite in tante!!!!!!
Bacio, :**
Charlie xxx
  
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