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Autore: Elayne_1812    02/05/2017    3 recensioni
Non solo Kim Kibum era in grado di destreggiarsi con l’energia pura, un’abilità innata estremamente rara, ma era anche la chiave d’accesso al trono di Chosun. Cose che un ambizioso e scaltro come Heechul non poteva ignorare.
(dal prologo)
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- Io…mi sento vuoto. – disse semplicemente.
Vuoto? Non c’era niente di vuoto in quello sguardo ammaliante, in quelle labbra del colore dei fiori di ciliegio, in quegli sguardi decisi e al contempo imbarazzati. Come poteva essere vuoto, Key, quando era tutto il suo mondo?
Sopra di loro le nubi si stavano aprendo, rivelando sprazzi di un cielo puntellato di stelle. Jonghyun fissò gli occhi neri e profondi di Key, insondabili e affascinanti quanto la notte più misteriosa. Così belli che anche le stelle avevano decisi di specchiarvisi.
-Tu non sei vuoto, Key - disse Jonghyun, -io vedo l'universo nei tuoi occhi. - (dal capitolo 9)
jongkey, accenni 2min
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jonghyun, Key, Minho, Onew, Taemin
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti! Come potete vedere sono ancora viva, mi dispiace molto per l’immenso ritardo nel pubblicare questo capitolo. Purtroppo le ultime settimane sono state abbastanza incasinate e le prossime non si prospettano tanto meglio, quindi non escludo la possibilità di riuscire ad aggiornare nuovamente solo a fine mese. In ogni caso vi consiglio di tenere controllata la pagina. Spero di non avere lasciato troppi errori di battitura nel testo visto che ultimamente, con tutte le cose che ho da fare, sono abbastanza fusa.
Nonostante a inizio stesura abbia avuto dei dubbi sul taglio che avevo deciso di fare con lo scorso capitolo, proseguendo mi sono accorta che non potevo fare altrimenti perché questo capitolo è parecchio lungo. Tenere le due parti insieme era davvero impossibile.
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite, ricordate, seguite e ovviamente tutti i lettori. Un grazie particolare a chi mi ha lasciato i suoi commenti: Blugioiel, Chocolat95, DreamsCatcher, Ghira_, Gonzy_10, Jae_Hwa, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, Saranghae_JongKey e vanefreya.
Ringrazio anche chi mi ha mostrato il suo apprezzamento ed interesse per il mio lavoro tramite mp: K_POPforlife, horansfaith, Gonzy_10 e TheMazeRunner.
Grazie per il vostro sostegno ^^
Buona lettura!
 
 
 
 
Capitolo 30
An Encore
 

“Echoes of silence
(Locked inside)
My dried up lips
(Filled inside)
As much as the story was long
Our hello felt empty  (…)

I’m still dreaming
After the darkness goes away
You and I from the sunny days
Will replay itself”

Shinee, An Encore
 
 
Il cielo riluceva di un fastidioso grigiore traslucido e l’aria sapeva di pioggia imminente, erba e fiori in boccio. Il canto degli uccelli risuonava tra i rami rinvigoriti dai primi teneri germogli in attesa di essere bagnati dalla pioggia primaverile ed i grilli frinivano sui dolci declivi delle colline. Ma tutto questo aveva poca importanza. Che il cielo fosse turchese e terso e gli uccelli inneggiassero alla primavera, Kibum camminava come in una bolla senza tempo e spazio. Forse non stava nemmeno camminando, ma fluttuava o procedeva per inerzia mettendo un piede davanti all’altro. Erano passate poche ore dall’ultima volta che le braccia di Jonghyun l’avevano stretto a sé e, ancora meno, da quando l’aveva allontanato con parole dure e brucianti, tuttavia gli sembrava passata una vita. Era come un altro mondo e tra il prima e l’ora vi era un solco invalicabile.
Kibum rallentò il passo e sospirò, mentre gli altri, Jinki, Taemin e Minho, procedevano davanti a lui.
Sentiva su di sé la sensazione della perdita di quell’ultimo abbraccio che non c’era stato e di quel bacio morto sul nascere che Jonghyun stava per posare sulle sua labbra, prima che gli rivolgesse le sue ultime parole.
E’ a Soul il tuo posto, è al tuo promesso che appartieni.
Una frase che era risuonata e risuonava tutt’ora alle sue orecchie come con una sentenza ed una verità ineluttabile, quanto meno per le labbra che le avevano pronunciate.
Il mio posto è con te, pensò stringendosi una mano al petto.
Forse era stato un sogno. Aveva dormito troppo a lungo e troppo profondamente e, ora, non riusciva a distinguere sogno e realtà. Forse stava ancora dormendo e nulla di ciò che era accaduto in quei mesi corrispondeva al vero. La sua mente era lì, per quanto confusa e provata, ma il suo corpo riposava tra le coperte calde e pregiate del suo palazzo a Soul. Nulla era mai accaduto.
Si sfiorò le labbra con i polpastrelli pensando di nuovo a quel bacio mai arrivato. Quando avrebbe desiderato sfiorare le labbra dell’altro ancora una volta, anche solo per rammentarne il profumo e portarlo con sé prima che altri cogliessero le sue.
Temeva sarebbe finita in quel modo. Quanto era stato avido di felicità, di amore, per non vedere razionalmente dove tutto questo lo stava portando? Tutto ciò che erano e che potevano essere era stato inevitabilmente travolto dagli eventi. Di fronte a quell’abbraccio mancato, quella stretta che desiderava ma che allo stesso tempo sapeva di dover evitare affinché il suo coraggio non vacillasse, Kibum ebbe l’impressione che tutto fosse destinato a franare sin dall’inizio.
Kibum volse lo sguardo dietro di sé mentre il vento leggero gli scompigliava i capelli. Si stava lasciando indietro qualcosa che, ormai, aveva perso per sempre o poteva confidare nella speranza di stare di nuovo tra le sue braccia?
Il suo è stato un addio, rifletté amaro.
Si morse il labbro e strinse i pugni. Aveva sperato di lasciare il Rifugio, se non con la certezza, con la flebile consolazione di riunirsi a Jonghyun, ma ora non era più certo di niente. Forse era finita, forse non avrebbe mai dovuto iniziare.
-Kibum. –
Il principe volse il capo trovandosi di fronte Minho, mentre i fratelli Lee camminavano parecchi metri avanti a loro. Quanto era rimasto indietro?
-Va tutto bene? – domandò Minho.
Kibum annuì, ma sapeva che erano solo vuote frasi di circostanze per riempire un silenzio che diventava ogni passo più profondo.
Come può andare bene quando ho perso una parte di me?, si chiese.
Non vi era nulla di facile in ciò che stava per fare. Se da un lato lo scontro verbale con Jonghyun e l’addio fugace che il più grande aveva loro imposto gli aveva dato la forza di muovere i primi passi verso Haehwan, dall’altro lato l’idea di averlo perso lo spaventava ed insinuava in un lui un senso di rassegnazione.
-Sai, credo di aver capito. –
Kibum tornò a rivolgere lo sguardo a Minho rendendosi conto di essersi completamente scordato della sua presenza, nonostante gli avesse rivolto la parola poco prima. Con un certo disagio notò che l’altro lo guardava perplesso e che, senza che se ne fosse accorto, avevano ripreso lentamente a camminare mentre i Lee procedevano sempre avanti a loro con le orecchie fuori portata.
-Cosa? –, domandò sbattendo le palpebre tentando di ristabilire un contatto con la realtà.
-Taemin – rispose Minho in un sussurro e con una mal celata punta d’orgoglio.
-Oh –fece Kibum fissandosi le punte degli stivali.
Il principe si era totalmente dimenticato di quei due talmente era stato preso dalla sua relazione con Jonghyun.
E a rovinare tutto, gli suggerì una vocetta amara nella sua testa.
-La situazione tra te e Jonghyun e quanto è accaduto mi ha fatto riflettere molto…-
Minho si bloccò di colpo rendendosi conto che, nonostante il suo desiderio d’affrontare l’argomento con l’unica persona che era stata messa a parte dei suoi sentimenti, forse le sue osservazioni erano fuori luogo.
-Forse non è il momento -, tagliò corto.
Kibum scosse il capo e sorrise, invitando l’altro a proseguire con un lieve cenno del capo.
-Bhe -, proseguì Minho scrollandosi di dosso il disagio, - non mi sono mai interrogato sui suoi veri sentimenti, mi sono sempre preoccupato di Jinki. Forse gli devo parlare, a Taemin intendo. –
-Credo dovresti farlo. –
Kibum si stropicciò le mani, poi alzò gli occhi sull’altro. – Digli quello che provi, Minho, digli tutta la verità. Non so quali siano i suoi sentimenti, ma tiene molto a te. –
Sospirò. – Non lasciarti scappare la possibilità di essere felice. –
La sua voce si ruppe all’improvviso terminando la frase in un singulto, appena smorzato da un mordicchiarsi di labbra nervoso.
-Jonghyun ti ama – disse Minho, serio.
Il principe sorrise amaro. –Non lo so, non so più niente. –
-Adesso è arrabbiato, lo sapevamo che sarebbe stato così, ma poi…-
-Minho, per favore, non darmi false speranza. Mi sto già torturando da solo. Forse la rabbia passerà, ma io l’ho ferito molto più profondamente di quanto potessi immaginare. L’ho umiliato e deluso. Lui non mi vuole più. –
-E’ ridicolo – sbottò Minho.
-Non lo è. Quali che siano i suoi sentimenti, o i miei, non importa. Ha scelto lui per noi, hanno scelte le mie bugie. Non sono uno stupido, lui non vuole qualcuno che è stato capace di ferire il suo orgoglio, né un principe. –
Minho scosse il capo e sbuffò. Il ragionamento di Kibum non faceva una grinza, eppure non riusciva a credere né ad accettare che tra suoi amici fosse davvero finita. Per di più così. Come poteva quando il loro amore si era sempre specchiato l’uno negli occhi dell’altro, anche quando loro stessi non erano consapevoli dei propri sentimenti?
Stupido Jonghyun, pensò. Sei davvero così arrabbiato ed orgoglioso da non vedere quanto ti ama e da rivolgergli un addio inconsistente e vuoto?
Minho si guardò attorno. Non riusciva a credere che Jonghyun si fosse rifiutato di accompagnare Kibum. Nulla di ciò che era accaduto in quelle poche ore aveva senso ai suoi occhi. La stessa aria che si respirava all’intorno era sbagliata. Conosceva Jonghyun molto bene e poteva bene immaginare quanto l’orgoglio del più grande si sentisse tradito da Key, ma conosceva anche i suoi sentimenti e aveva la certezza che Jonghyun si sarebbe pentito di tutto questo.
Lui e la sua dannata zucca vuota, imprecò tra sé Minho. Vuoi davvero perderlo così?
Che cosa passava nella testa del più grande?
O forse, rifletté, stai solo cercando un modo per lasciarlo andare?
Quali che fossero i motivi ad aver mosso le parole ed i gesti del suo migliore amico nelle ultime ore, Minho riteneva fosse un’idiota ed aveva la netta sensazione che a muoverlo non fosse stata solo la rabbia, ma qualcosa di molto più sottile e pericoloso.
Paura, pensò.
-Avrei voluto dirgli tante cose, come quella sera tra la neve -, sospirò Kibum parlando più a sé stesso.
Per un attimo un sorriso ed un timido rossore balenarono sul viso del principe mentre rammentava la notte del capodanno lunare, quando era stato sul punto di rivelare la verità a Jonghyun. Quella notte era il momento perfetto, così immacolata nel suo biancore, nelle sue luci e in quella bolla di calore che era solo loro.  L’aveva sempre saputo, eppure come un codardo l’aveva gettata via.
Se potessi ripartirei da lì, pensò.
- Invece non sono riuscito a dirgli niente. Solo parole vuote e scontate gettate a caso. Avrei dovuto partire dalle parole sincere di quella notte, avrei dovuto dirgli che l’amavo, di odiarmi per le mie bugie ma di non dubitare mai di quello che provo per lui. Perché ogni volta che cerchiamo di esprimere ciò che proviamo più nell’intimo e ciò che ci spaventa perdiamo la capacità di parlare? Emettiamo solo suoni capaci di ferire, senza logica e senza sentimento. –
Kibum ricordava un’altra situazione simile, proprio dopo il loro primo bacio. Sorrise amaro riportando a galla quella scena fatta di frasi fredde e sguardi distaccati. Entrambi anche allora, seppur in modi diversi, avevano avuto paura. Paura di perdersi, paura di trovarsi…erano volate parole dure, ma poi era arrivata quella notte splendida sotto il cielo stellato della festa del raccolto…
Ma Kibum non si faceva illusioni. Non ci sarebbe stata nessuna notte stellata a riunirli, non questa volta. Prima si sarebbe arreso alla consapevolezza di averlo perso, meglio sarebbe stato. Ora, doveva solo concentrarsi sui suoi obiettivi e affrontare ciò che lo aspettava. Non doveva permettere che la tristezza lo distraesse.
Devo essere una bambola fredda e perfetta, si disse.
-Avresti dovuto dirgli che è un idiota considerate tutte le volte che ti ha dato del maiale. –
Quella di Minho voleva essere una battuta ma Kibum non reagì e capì che la mente dell’altro era persa altrove.
Fu Kibum a rompere il silenzio pochi secondi dopo. -Minho…-
Minho guardò il principe riconoscendo dei suoi occhi la stessa determinazione che aveva visto in lui quando aveva annunciato che sarebbe tornato a Soul. Minho capì che qualunque cosa stesse per uscire dalle labbra dell’altro sarebbe stato un ordine e non una semplice richiesta. Minho inarcò un sopracciglio.
-Stagli vicino. -
–Penserò io a lui. –
Avanzarono in silenzio aumentando il passo, infine raggiunsero gli altri e proseguirono la discesa delle colline camminando tra gli alberi lontani dal sentiero, dopotutto non potevano permettersi incontri non programmati. Potevano esserci dei soldati nei paraggi e Jinki era stato categorico sul fatto di agire in tutta segretezza.
Kibum si chiese da quanto tempo stessero camminando. Non era possibile fare valutazioni in base al cielo, dato che era interamente coperto da banchi di nubi sempre più grigie, ma il suo stomaco aveva iniziato a brontolare sonoramente e non mangiava dalla sera prima.
Meglio, pensò, sarò più credibile una volta ad Haehwan, pensò.
In ogni caso la residenza non doveva essere più così lontana.
Forse un’ora, valutò.
Un'aria fredda che profumava di pioggia rotolò tra agli alberi e Kibum alzò il capo. Probabilmente molto presto avrebbe iniziato a piovere.
Improvvisamente Jinki s'arresto ed alzò una mano, poi si voltò verso gli altri. Taemin si bloccò di colpo rischiando di scontrarsi con la schiena del fratello maggiore.
-Noi non possiamo proseguire oltre, la residenza è vicina, forse ancora una mezz’ora di cammino -, disse il Leader rivolto a Kibum.
Il principe annuì.
-Andrò da solo. -
Jinki sorrise e abbraccio il più piccolo. Kibum si strinse a lui come quel giorno sotto la pioggia di Seungil, ma se allora rivederlo era stato come intravedere un porto sicuro dopo essere stato sballottato dalla tempesta, ora quel porto lo stava lasciando senza sapere se vi avrebbe mai fatto ritorno.
-Grazie per quello che hai fatto per me. -
Jinki scosse il capo e gli passò una mano tra i capelli in un gesto tenero e confidenziale, come se salutasse un fratello più piccolo.
-Non devi farlo per forza – disse Jinki ad un tratto.
-Non devi sentirti in colpa per la mia scelta-, disse Kibum. -È mia, non tua. -
Jinki annuì e sospirò.
-Sei cresciuto in questi mesi. Quando sei arrivato eri poco più di un bambino spaventato che voleva solo fuggire. –
-Lo sono ancora – disse Kibum.
-No, ora sei un principe spaventato che ha il coraggio di combattere. -
Jinki fissò Kibum con orgoglio, consapevole sia della strada che l’altro aveva fatto sia di essere al contempo in parte l’artefice di quel cambiamento. Tuttavia, la preoccupazione per il destino del più piccolo non poteva che metterlo sulle spine. Non sarebbe stato facile. Come si sentiva responsabile di quel cambiamento, Jinki avvertiva anche il peso della responsabilità per quella decisione coraggiosa che Kibum aveva preso. Se gli fosse accaduto qualcosa non se lo sarebbe maia perdonato, né come Leader, né come fratello maggiore.
-Abbia cura di te, se qualcosa dovesse andare storto, se ti sentirai in pericolo, verremo a prenderti.-
-Non accadrà nulla di tutto ciò, andrà bene. Mi terrò in contatto. -
Taemin s’avvinghiò al braccio del principe. -Devi stare attento, umma.-
Come sarebbe stato ora la sua vita al Rifugio senza Kibum? Le giornate gli sarebbe risultate tremendamente vuote, non era più abituato alla sua assenza. Inoltre, come poteva stare tranquillo quando Kibum sarebbe stato costantemente in pericolo?
-So quello che devo fare -, rispose Kibum, la mente già distante e lo sguardo perso tra la boscaglia.
-È proprio questo che mi preoccupata. -
Taemin ripensò a quel giorno nel bosco, quando aveva assaltato la carrozza del lord di Busan. Ricordava bene quell’uomo e non gli piaceva per niente. Sapere la sua umma tra le mani di quel tizio lo spaventava, soprattutto perché questa volta non avrebbe potuto salvarlo e mandare a gambe all’aria quella faccia da schiaffi.
Kibum gli rivolse un sorriso rassicurante e l’abbraccio.
Il più piccolo sospirò quasi rassegnato tra le braccia della sua umma perché sapeva quanto era determinato e questo l’avrebbe portato indubbiamente a fare cose molto stupide.
Alla fine, Kibum guardò gli altri allontanarsi per fare ritorno al Rifugio, agitò un’ultima volta la mano nella loro direzione, subito ricambiato da Taemin, e rimase fermo finché non sparirono tra gli alberi.
Il principe si ritrovò solo tra la vegetazione. Sopra di lui le chiome degli alberi s’agitavano al vento e le foglie frusciavano riempiendo il silenzio. Tutti, aveva salutato tutti tranne Jonghyun. Appoggiò la schiena ad un tronco trattenendo un singulto. Si era imposto di non piangere e non l’avrebbe fatto. Possibile che quelle ultime parole forti, quell’addio insensato fosse tutto ciò che rimaneva di loro? Frasi sconnesse dalla quali trasparivano solo rabbia e paura?
E’ così che devo dirti addio? Senza sapere se credi o no alle parole orribili che mi hai detto?
Si passò la manica della camicia sugli occhi con veemenza, poi volse lo sguardo all’orizzonte dove già s’intravedeva il bianco luccichio di Haehwan.  Era tempo di tornare nel mondo reale.
 
 
 
***
 
 
Jonghyun si era rigirato nel letto per ore nella speranza di ragionare e non essere semplicemente preda della totale confusione e dei sentimenti contrastanti e troppo forti per essere gestiti. I motivi erano molteplici, uno diverso dall’altro, ma questo non mutava il risultato.
Lui non è per me.
Poi qualcuno aveva di nuovo bussato alla sua porta. Per un attimo aveva sperato fosse di nuovo lui, che la sua chioma corvina facesse capolino oltre la soglia per dirgli che era stato tutto uno scherzo di pessimo gusto, oppure che si era immaginato ogni cosa. Allora gli avrebbe donato quel bacio e quell’abbraccio che aveva negato ad entrambi.
Invece era entrato Minho e, subito, la rabbia si era impossessata con forza di Jonghyun. Il suo migliore amico gli aveva mentito per mesi, così come tutti gli altri, nonostante conoscesse molto bene i suoi sentimenti. Forse era stato costretto a mantenere il segreto, forse l’aveva fatto di sua spontanea volontà, Jonghyun non lo sapeva, ma la sua sola presenza lo infastidiva. Anche se si fosse sforzato con tute le sue forze respingere la rabbia che provava in quel momento era impossibile.
-Accompagneremo Kibum vicino alla residenza reale di Haehwan, vuoi…- aveva iniziato a dire Minho
-Non voglio –, aveva risposto freddo e repentino, sempre rannicchiato nel letto e dando la schiena al nuovo venuto.
-Perché vuoi gettare via tutto in questo modo?-
Non aveva risposto. Non c’era niente da gettare se non quello che non avrebbe mai dovuto esserci.
Lui non è per me, ripeté di nuovo quella fastidiosa e tetra vocina nella sua testa.
Meglio credere che non mi abbia mai amato.
-Sei un cretino. –
Minho aveva sbuffato sonoramente ed era uscito sbattendo la porta. Il colpo era rimbombato all’intorno per poi spegnersi, lasciando nuovamente Jonghyun in preda al silenzio assordante che faceva da cornice ai suoi pensieri confusi.
Tuttavia non sapeva perché, non sapeva come, ma Jonghyun si era ritrovato a correre tra la boscaglia nel disperato tentativo di raggiungerli. Forse erano partiti da ore e l’aveva perso per sempre, oppure era partito troppo presto ed era davanti a loro. Non solo sapeva. Questo come molte altre cose quel giorno non avevano senso. Non aveva nemmeno la più pallida idea di ciò che avrebbe fatto, ma non importava. Forse si sarebbe limitato a seguirli, a seguirlo, in silenzio per posare lo sguardo su di lui un’ultima volta. Forse l’avrebbe stretto a sé per dargli quell’abbraccio e quel bacio che bruciava sulla sua pelle e sulle sue labbra più di quanto avrebbero fatto se non glieli avesse dati. Forse aveva bisogno di quello per sancire definitivamente l’ultimo giro di quella spirale contorta in cui erano rimasti avvinghiati. Perché volente o nolente un'unica frase, in tutta quella confusione insensata, sembrava avere un senso: lui non è tuo e tu non sei suo.
La verità era che non avrebbero mia dovuto posare lo sguardo l’uno sull’altro perché qualunque cosa fosse nata sarebbe stata destinata a spezzarsi. Prima o poi quel momento sarebbe giunto. E come poteva lui, che non era mai stato niente, seguirlo a Soul? Era un mondo a cui non apparteneva.
Infine li aveva raggiunti e si era bloccato di colpo per poi seguirli in silenzio a debita distanza, accertandosi di rimanere ben nascosto tra gli alberi. Quando gli altri avevano salutato Kibum era rimasto fermo a guardare e s’era appiattito tra i tronchi fissando il più piccolo che non sembrava intenzionato a muovere un altro passo avanti.
Kibum si era accasciato contro un tronco, il corpo tremante e lo sguardo basso. Diverso dalla figura determinata e forte che aveva visto solo pochi minuti prima.
Aveva desiderato abbracciarlo ma era rimasto fermo, solo quando il principe aveva ripreso la propria marcia si era mosso con lui, ma sempre in ombra.
Ora, la pioggia aveva iniziato a scrosciare. Le nubi grigie e metalliche avevano infine rilasciato il loro pianto sulle colline e Jonghyun si calò il cappuccio sul capo. Guardò Kibum domandandosi perché non facesse altrettanto mentre la sua lucida chioma corvina s’infradiciava.
Si ammalerà, pensò.
La marcia proseguì, finché non giunsero al limite della boscaglia. Lì, Kibum si fermo di nuovo e Jonghyun con lui. Passarono minuti, forse ore. In realtà Jonghyun aveva perso il senso del tempo da quella mattina se non dalla notte precedente.
Poi Kibum si mosse, mise lentamente un piede oltre gli alberi, pronto a valicare un confine immaginario al di là del quale non avrebbe più potuto fare ritorno. Fu allora che Jonghyun si mosse, quasi inconsapevolmente, e si ritrovò con la mano stretta sul polso del più piccolo che nell’impeto del movimento era ruotato su sé stesso ritrovandosi di fronte il più grande.
Jonghyun deglutì di fronte allo sguardo liquido dell’altro. Era perplesso, Kibum, e faceva scorrere gli occhietti felini su di lui per sincerarsi della sua reale presenza, come se la stretta intorno al suo polso non fosse sufficiente. A Jonghyun girò la testa. Tutte le sensazioni che aveva provato al loro primo incontro si manifestarono prepotentemente, e guardando l’espressione confusa dell’altro capì che anche lui provava lo stesso. La stagione era diversa, lo scenario era differente, eppure tutto era immutato in quell’universo alternativo che era sempre stato solo loro. Poco importava che si fosse infranto.
-Jong…-
Kibum emise un debole miagolio e Jonghyun fu inghiottito dai suoi occhi magnetici.
Era stato un pazzo scellerato ad aver pensato anche solo per la frazione di un secondo, anche solo per proteggere sé stesso, che tutti i baci, tutte le carezze e le promesse erano state false. Non c’era mai stato niente di falso in Key. Nessuna maschera, nessuna ambiguità, solo un nome che poteva distruggere tutto perché li separava inesorabilmente anni luce.
Erano due pianeti che condividevano la stessa orbita, l’uno quella quell’altro e l’uno il satellite dell’altro, eppure appartenevano a due galassie diverse.
Il viso di Kibum era pallido e bagnato dalla pioggia, le labbra rosate esangui ed i suoi occhi sempre più confusi. Aspettava di sapere a cosa fosse dovuta la presenza del più grande, ma lo stesso Jonghyun non era in grado di fornire a sé stesso una risposta. Tutto ciò che riuscì a fare, che l’istinto gli suggerì di fare, fu liberare il polso della mano dell’altro per accarezzargli la guancia, mentre sprofondava sempre di più negli occhi scuri di Kibum.
Un pazzo. Ecco che cos’era. Lo vedeva ora come l’aveva visto poche ore prima, ignorandolo e volendolo ignorare. Gli bastava ripercorrere quegli ultimi mesi per avere la conferma, che non avrebbe mai dovuto vacillare, che lui era tutto per l’altro. Che quell’abbraccio disperato quella sera a Seungil, quando si erano ritrovati, era stato vero quanto il profumo dei ciliegi che si respirava nell’aria. Che quella prima notte insieme conservava per Kibum il valore inestimabile che gli aveva attribuito all’ora e che mai si sarebbe dato per il semplice bisogno del momento. Leggeva tutto questo e molto altro negli occhi del più piccolo che lo stesso Kibum, un tempo, aveva giudicato tanto vuoti, ma che lui aveva visto colmi di luci e sogni. E li vedeva ancora. Tremolanti sotto una patina lucida cristallizzata tra le ciglia scure di Kibum.
Jonghyun lo baciò.
Lo fece senza pensare, senza riflettere. Doveva prendere quell’ultimo bacio. Forse era sbagliato, o forse la cosa migliore che potesse fare. Non lo sapeva, non sapeva più niente. Qualunque decisione prendesse gli sembrava tanto perfetta quanto sbagliata, tanto sentita quanto vuota. Desiderava dare sfogo a tutti i suoi dubbi ma la confusione era tale che anche il semplice elencarli diventava complesso. Aveva perso il sentiero sicuro su cui camminava, troppi sassi e troppe erbacce l’avevano reso contorto, troppe domande e troppe toppe da mettere per aggiustare quella conversazione insensata.
Tuttavia lo baciò e lo fece intensamente come se fosse la prima volta. La sua mente, come le sue labbra che si muovevano su quelle dell’altro, lo riportarono al loro primo bacio tanto inaspettato quanto agognato da entrambi. E come all’ora la bocca del più piccolo si dischiuse timidamente per lui. Le labbra di Kibum avevano il sapore innocente di sempre, delicato e dolce, erano morbide e setose, ma giocavano dubbiose con le sue. Forse il più piccolo si stava domando se davvero era giusto scambiarsi quel bacio che per entrambi sapeva d’amore, d’incertezza, di rabbia, di lacrime non versate e di un addio che non sapevano esprimere a parole. Jonghyun non poteva rispondergli perché non aveva risposte sensate da fornirgli, come non ne aveva per sé stesso. Era ancora arrabbiato, ma lo amava e sapeva che anche Kibum provava ed aveva sempre provato lo stesso.
Alla fine si staccò con il fiato corto, prese il viso del più piccolo tra le mani e fece aderire le loro fronti. Kibum s’aggrappo alle sue spalle respirando piano, le labbra di nuovo rosate e del corpo scosso dalla pioggia che lo infradiciava.
-Prendi questo bacio e poi dimenticalo, è stato donato ad un sogno e rimarrà in quel mondo. -
Kibum tremò tra le sue braccia ed alzò gli occhi per incontrare i suoi, ottenendo la conferma che tra loro non poteva che esserci un addio.
-Tu non sei per me ed io non sono per te. Ora vai e non guardarti indietro -, disse Jonghyun.
Il più piccolo sciolse, lentamente, le dita sottili avvinghiate alla camicia di Jonghyun e una lacrima solitaria rigò il suo viso confondendosi con quelle del cielo.
 
 
***
 
 
Kibum non seppe come si ritrovò davanti ai cancelli di Haewan. Solo che un attimo primo era solo, confuso, pronto, o quasi, a concentrarsi unicamente su ciò che lo attendeva e a cercare di stabilire una linea d’azione, poi si era ritrovato di nuovo tra le braccia calde di Jonghyun ed aveva avuto la sensazione che fossero giunte a trarlo da un incubo. Ma non era stato così. Gli avevano solo donato quell’ultimo momento di dolcezza, quel bacio che sapeva di pesco, di amore, di rabbia, di vuoto e di un senso di abbandono che lo sfiorarsi delle loro labbra avevano tentato di colmare. Invano. Era stato un bacio dolceamaro che, Kibum l’aveva capito non appena le labbra di Jonghyun si erano posate morbide sulle sue, gli avrebbe arrecato per i giorni e le notti future tristezza e conforto. Jonghyun l’aveva guardato dritto negli occhi e Kibum aveva provato le medesime emozioni del loro primo incontro. Era ancora arrabbiato, Jonghyun, ancora ferito, ma l’amore era solo appena celato da quegli occhi che volevano risultare impassibili ma che, in realtà, lasciavano trasparire le pagliuzze ambrate che sempre li illuminavano quando leggeva negli occhi del più piccolo i suoi stessi sentimenti. Ma non era stato che un attimo, un alito di vento. Perché oltre all’amore Kibum aveva visto che non era più suo, non per Jonghyun almeno. La conferma era giunta dalle stesse labbra del più grande, le stesse che l’avevano baciato. Forse per l’ultima volta.
Dunque era un addio. Doveva crederci, rassegnarsi? Forse era la cosa migliore.
Kibum alzò gli occhi per incontrare la visione imponente ed elegante della residenza imperiale. I cancelli di Haehwan trafiggevano il cielo uggioso, appena stemperato dai raggi rosati e violetti del tramonto che facevano capolino tra le nubi, con i loro denti dorati. Per molte estati della sua infanzia quei cancelli avevano rappresentato l’ingresso in un mondo magico lontano dalla corte di Soul, erano stati come i raggi luminosi del sole estivo che lo stesso nome del palazzo evocava[1]. Ora, invece, erano come fauci luccicanti e ridenti pronte a inghiottirlo.
Il viso di Heechul balenò davanti a lui evocato dalle sue di ansie più recondite. 
Si strinse nelle spalle e tremò leggermente. Fu un tremito di paura al pensiero di ciò che lo attendeva una volta varcata quella soglia, ma anche il tentativo di scrollarsi di dosso il senso di tristezza, di vuoto ed abbandono che provava. Volse lo sguardo dietro di sé, alle colline, desiderando di veder apparire di nuovo il più grande. Ma era solo.
Sospirò. Sotto di lui si stava aprendo, si era aperto, un pozzo senza fondo. Doveva guardare davanti a sé o ne sarebbe stato inghiottito. Doveva ignorare la vasta gamma di sensazioni contrastanti che ora lo tormentavano e, soprattutto, doveva ignorare quel bacio e relegarlo in un angolo della sua mente e del suo cuore. Custodirlo come un gioiello prezioso senza che la sua luce lo stordisse.
O sarò come la farfalla che vola nella notte e si lascia attrarre dal fuoco, pensò.
Ma, dopotutto, non era già una farfalla pronta gettarsi di sua spontanea volontà tra le fiamme?
Sino a che punto l’avrebbero ghermito quei tentacoli infuocati? Sarebbe riuscito a conservare parte delle sue ali per spiccare di nuovo il volo o ne sarebbero state totalmente consumante?
Doveva entrare in quella bolla di sapone che la sua mente aveva già iniziato ed erigere per lui in vista di quel momento. Non poteva lasciarsi distrarre. Da niente.
Sono una bambola fredda e perfetta, ripeté nella sua mente come un mantra.
Trattenne l’impulso di sfiorarsi le labbra per cogliere quel bacio e nasconderlo da occhi indiscreti. Era solo suo.
Kibum abbassò gli occhi e si guardò i vestiti. Era fradicio e infangato a causa della pioggia e di tutte le volte che era scivolato tra il fango. Gli stivali erano totalmente incrostati, la camicia macchiata ed il mantello puntellato di schizzi. Probabilmente anche il suo viso era un disastro così come i suoi capelli. Alzò le mani. Anche quelle erano sporche di fango.
Fece spallucce. Non aveva importanza, anzi, questo contribuiva a rendere il tutto più credibile.
Per fortuna aveva smesso di piovere e, sotto le luci rosate del tramonto che a fatica s’aprivano un varco tra le nubi, si delineavano i colori tenui dell’arcobaleno.
S’avvicinò ai cancelli aperti e percorse il viale alberato che portava al portone d’ingresso della prima corte interna, dove arrivavano le carrozze.
I giardini erano perfetti ed ordinati come sempre, i fiori ed i roseti ingabbiati in splendide aiuole incorniciate da sottili balaustre ritorte bagnate d’oro. Al temine del viale principale fiancheggiato da ciliegi la residenza imperiale di Haehwan appariva in tutta la sua bianca eleganza marmorea. Degli uccellini fischiarono mentre Kibum faceva scorrere lo sguardo su quel luogo che, ora, gli sembrava tanto famigliare quanto estraneo. I ricordi positivi che aveva della sua infanzia si concentravano in quel luogo in cui aveva passato molteplici estati in compagnia della madre, l’imperatrice Myungsoo. Ironia della sorte, molte di quelle estati meravigliose le aveva passate lì anche in compagnia di Heechul e anche lui aveva contribuito a renderle tali.
Una volta era tutto diverso, pensò Kibum con rammarico.
Arrivato davanti al portone aperto procedette del tutto incurante dei soldati di guardia che subito lo bloccarono.
Kibum si sentì afferrare le braccia e scaraventare all’indietro. Barcollò, rimanendo in piedi per miracolo e rivolgendo uno sguardo disgustato alle pozzanghere che puntellavano il viale. Era già sufficientemente impresentabile senza fare il bagno lì dentro.
-Dove pensi di andare? -, fece un soldato accarezzando l’elsa della spada con fare minaccioso.
L’uomo indossavano la divisa rossa e oro dei soldati di Busan.
Kibum rivolse loro uno sguardo sprezzante.
Pure qui li ha portati, come se fosse casa sua!, pensò innervosito.
Kibum incrociò le braccia e spostò il peso da una gamba all’altra.
-Questa è casa mia –, soffiò.
Una delle guardie scoppiò a ridere. – Chi pensi di essere, il principe di Chosun? Sparisci. –
Kibum rimase immobile e si morse il labbro. Non aveva pensato all’eventualità di essere fermato. Era ridicolo, dopo tanto fuggire dai soldati di Busan e da Kyuhyun ora che si “consegnava liberamente” non volevano saperne di lui. Era davvero irritante. Certo, fradicio ed infangato non doveva essere un grande spettacolo, ma erano forse ciechi quegli zotici? Non avevano visto i corridoi del palazzo tappezzati di dipinti con il suo viso?
Sbuffò irritato. Se voleva entrare non aveva altra scelta che mostrare le unghie.
-Voglio parlare con lord Heechul, subito. –
L’altra guardia inarcò un sopracciglio e sogghignò.
-E perché mai dovrebbe parlare con te, sentiamo? –
Kibum prese un bel respiro, provando disgusto di fronte alle parole che si preparava a pronunciare ed imponendosi non di mordersi la lingua da solo.
-Sono il suo fidanzato -, disse tra i denti e stringendo i pugni.
Il soldato lo fissò stranito, sbarrò gli occhi e rise di nuovo, seguito a ruota dal suo compare.
– E io sono l’imperatrice Kim Myungsoo! –
-Yah! –
Kibum gli rifilò un calcio negli stinchi.
-Non osare pronunciare il nome di mia madre! -
L’altra guardia estrasse la spada, agitandola, e il soldato colpito lo guardò furioso per afferrargli il braccio con forza.  
-Sei pazzo o cosa, straccione? Giuro che ti ammazzo, piccolo piantagrane! –
-Non provare a toccarmi!-  gridò Kibum, divincolandosi.
Il viso della guardia divenne paonazzo e si contrasse in una smorfia omicida.
-Che cosa succede?-
I soldati si bloccarono ed il principe deglutì riconoscendo il timbro della voce del nuovo arrivato. Da oltre il portone apparve Kyuhyun.
La guardia personale del lord di Busan indossava la divisa rossa e oro, ma era molto più sfarzosa e simile ad un completo elegante rispetto a quella che indossavano i due soldati. Non fosse stato per la spada appesa al fianco e l’aria militare lo si sarebbe potuto scambiare per un nobile.
Kibum non avrebbe mai immaginato di essere così felice di vedere Kyuhyun. Per una volta la seconda testa della vipera gli tornava comoda.
E forse posso anche lavorarlo a mio piacimento, rifletté.
Dopotutto, se Kyuhyun aveva ancora la testa attaccata al collo dopo quanto accaduto a Seungil non doveva aver raccontato tutto nei minimi dettagli ad Heechul. E questo era indubbiamente un bel vantaggio per Kibum.
Il principe si umettò le labbra, stupendosi lui stesso di quanto fosse diventato calcolatore. D’altra parte era sempre stato furbo e quei mesi a stretto contatto con Jinki ora mostravano i propri frutti.
E poi ho un compito da portare a termine, se voglio avere successo devo usare tutto ciò che ho a disposizione.
Erano tutti pedine, lui compreso.
Dopotutto, ormai che cos’aveva da perdere?
Kyuhyun s’avvicinò e squadrò i presenti. Non appena riconobbe il principe sbarrò gli occhi.
-Voi? – fece quasi con una nota di panico.
Kibum sogghignò tra sé. Sì, di certo Kyhyun non era stato dettagliato nel raccontare gli ultimi avvenimenti ad Heechul e dall’espressione tra il sorpreso ed il preoccupato che animava il suo viso evidentemente temeva che Kibum spifferasse tutto. Per lui il ritorno del principe rappresentava la fine di una situazione decisamente noiosa ma anche una fonte d’ansia.
-Io.  Ordina a questi zotici di lasciarmi passare e levarmi le mani di dosso -, disse Kibum mostrando tutta la propria irritazione.
Se doveva recitare tanto valeva iniziare sin da subito. Dopotutto irritare il Kyuhyun era sempre stata una delle sue attività preferite.
Come volevasi dimostrare il cavaliere roteò gli occhi e trattene a sento uno sbuffò, infine ad un suo cenno del capo le guardie liberarono il principe.
Una volta libero, Kibum si rassetto gli abiti infangati ed alzò gli occhi con sguardo altezzoso e felino.
-Lui dov’è? –
-Colgo una nota d’apprensione, vostra grazia, o sbaglio? Ansioso di rivedere la vostra promessa metà? Vi assicuro che ha passato gli ultimi mesi e straziarsi per voi. -
Kibum soffiò ed incrociò le braccia. -Non osare permetterti insinuazioni o giuro che ti farò tagliare la lingua. Sei irritante-, disse scandendo l’ultima parola.
Kyuhyun sogghignò e condusse il principe all’interno del palazzo.
-Venite. –
Kibum non si soffermò ad osservare i corridoi, le sale e le scalinate che percorsero. Conosceva ogni centimetro di Haehwan ed era stato lui stesso, e sua madre prima, ad arredarlo con gusto elegante e raffinato. Poteva indicare con precisione la collocazione ogni preziosa ceramica di Ming rigorosamente decorata a monocromo blu su sfondo bianco, ogni mobile intarsiato in madreperla ed ogni vetrata drappeggiata da seta blu dalle rifiniture in filigrana d’argento. Così come conosceva il numero delle statue di marmo, degli alti candelabri ritorti ed i soggetti dei quadri appesi alle pareti che alternavano vedute paesaggistiche a ritratti di famiglia. Ma Kibum non osservò nulla di tutto ciò. Haehwan poteva rivelarsi un pericoloso ricettacolo di ricordi che non sapeva dove avrebbero potuto condurlo. Non alzò nemmeno lo sguardo ad ammirare il dipinto che più prediligeva: sua madre nel fiore degli anni e vestita di seta che teneva amorevolmente sulle ginocchia un Kibum ancora bambino. Nello stato attuale quel ricordo risultava troppo dolce e troppo triste per essere rimirato in tutta tranquillità. Il solo percorrere quei corridoi, limitandosi a tenere gli occhi fissi sul pavimento in alabastro, bastava a far riecheggiare nella sua mente la voce di lei insieme alle risate di due bambini del tutto ignari di ciò che il futuro avrebbe riservato loro e di come il mondo avrebbe inevitabilmente cambiato il loro rapporto. All’epoca, nessuno poteva immaginare che tutto fosse irrimediabilmente destinato a spezzarsi.
Solo quando giunsero innanzi ad una porta in legno chiaro dalle rifiniture dorate si fermarono e Kibum alzò lo sguardo. Heechul doveva essere oltre quella soglia.
Kyuhyun si bloccò di colpo, strinse i pugni e si morse nervosamente l’interno di una guancia.
-Devo chiedervi una cosa -, esordì.
Kibum sorrise tra sé, ben immaginando quale fosse la richiesta del cavaliere.
-Vi sarei grato se non racconterete a lord Heechul quanto accaduto nel nostro precedente incontro.-
Proprio ciò che Kibum si aspettava.
-Colgo una nota d’apprensione, temi forse che la tua testa possa rotolare giù dal tuo collo? Oh povero Kyuhyun, deve essere stressante vivere in questo modo. –
Kyuhyun trattenne uno sbuffò cogliendo al volo le parole volutamente derisorie del principe.
Kibum si finse pensoso, tamburellando l’indice sulle labbra a cuore. -Forse possiamo scendere a compromessi. –
Kyuhyun arricciò le labbra. A compromessi con sua grazia? Il solo pensiero lo metteva in guardia. Soppesò gli occhietti felini ed astuti del principe, valutando i possibili scenari che s’aprivano davanti a lui. Era decisamente una lama a doppio taglio, ma non aveva molta scelta.
-Cosa volete che faccia? – domandò titubante.
-Quanta fretta -, osservò Kibum, - non temere, sono certo che al momento opportuno mi farò venire in mente qualcosa. -
Kyuhyun grugnì.
Kibum si concesse una risatina, poi tornò a fissare la porta davanti a lui. Non aveva idea di cosa sarebbe accaduto una volta varcata quella soglia, l’unica cosa certa era che doveva essere pronto a recitare la sua parte e sperare di essere convincente.
Una bambola, pensò, devo essere una bambola fredda e perfetta.
Prese un bel respirò e fece segno a Kyuhyun di bussare. I colpi si fusero con i battiti del suo cuore.
 
 
 
***
 
 
 
Semi sdraiato sul divano foderato di velluto blu e dalle zampe leonine laccate d’oro, Heechul si concesse un sospiro rilassato e allungò le gambe, poi posò comodamente un avambraccio sul cuscino di seta.
Era assurdo e, forse, anche sciocco ed irresponsabile da parte sua, ma da quando era giunta la notizia della morte dell’imperatore Heechul si sentiva euforico oltre ogni dire. Era rilassato ed appagato, come se avesse raggiunto ogni suo obiettivo. Ma non era così. Mancava ancora un piccolo tassello a rendere tutto perfetto. Kibum. Tuttavia aveva la sensazione di potersi concedere un attimo di tranquillità perché più passava il tempo e più aveva l’impressione che molto presto sarebbe stato lo stesso principe a palesarsi di fronte a lui. E lui sarebbe stato pronto a consolarlo.
Heechul si umettò le labbra e fece scivolare lo sguardo assonnato sulla stanza. Il salottino da tè in cui stava comodamente oziando era un piccolo gioiello incrostato di marmo bianco e alabastro decorata da tappeti e tendaggi azzurri e blu e mobili eleganti dall’intelaiatura in legno dorato, un prezioso orologio dorato ticchettava su una mensola di marmo scandendo quel tempo sospeso. La luce rosata e violetta del tramonto piovoso filtrava dai sottili tendaggi che drappeggiavano l’alta finestra rettangolare che dava sul roseto del giardino sottostante.
Il lord allungò mollemente la mano drappeggiata da spumoso merletto ed inanellata da sottili cerchietti dorati adornati da piccoli rubini. Con un gesto calmo e distratto fece segno al suo giovane amante di porgergli la tazzina di fine porcellana risposta sul tavolino dalle zampe feline di fronte a lui. Subito le note prodotte dalle mani esperte del giovane sullo shimansen[2]  si smorzarono, perdendosi inevitabilmente nella luce soffusa del tramonto. Presa la tazza, Heechul sorseggiò il tè allo zenzero e arricciò il le labbra non appena incontrò il suo sapore pungente. Subito, il giovane gattonò sul tappeto e presa una zolletta di zucchero dalla zuccheriera d’argento la fece sprofondare nella tazza dal lord. La superficie dorata del tè tremolò inghiottendo la zolletta che sparì con un lieve “pluf”. Heechul bevve un sorso e, soddisfatto, si passò la lingua sulle labbra carnose. Ora aveva un sapore decisamente migliore.
Il suono dolce e acuto dello shimansen tornò a vibrare nell’aria sognante. Heechul sospirò e chiuse gli occhi.
Di norma preferiva concedersi una coppa di vino fresco e fruttato per rilassarsi, ma considerata l’euforia degli ultimi giorni aveva deciso di optare per il tè.
Ciò che provava era simile al sonnolento rilassamento dopo una scarica di adrenalina, ma non era ancora finita. Era solo una parentesi. Se i Ribelli si fossero dimostrati sufficientemente furbi da rendergli Kibum non poteva farsi trovare impreparato. Dopotutto, spaventato no, provato o meno da quei mesi di prigionia, non si faceva illusioni: Kibum sarebbe sempre stato Kibum. Astuto, irritabile, sempre pronto ad avere l’ultima parola e a rimbeccarlo con insulti taglienti quanto i suoi occhietti felini.
Heechul sorrise tra sé, poi rivolse un’occhiata al giovane ai suoi piedi. Quel giorno il suo amante indossava un corto hanbok maschile bianco dai ricami in argento, una visione eterea e innocente che presto sarebbe stata sostituita dall’originale. Almeno così Heechul sperava.
Stava per scivolare nel mondo dei sogni quando dei colpi risuonarono alla porta. Sbuffò. Aveva chiesto di non essere disturbato.
-Avanti. –
Dei passi riecheggiarono sulle lucide piastrelle di marmo per poi attutirsi quando incontrarono il tappeto.
Heechul emise un lamento e si massaggiò le tempie.
-Kyuhyun – disse scocciato.
Non poteva che essere quell’irritante cavaliere.
-Credevo di averti detto che non desideravo essere disturbato. -
-Chul -
La mente di Heechul si risvegliò di colpo, destata da quel semplice nomignolo che non udiva da anni, tanto meno pronunciato con quel tono lamentoso e tremolante d’affetto. Haehwan era così piena di ricordi che, forse, lo stato di dormiveglia gli stava giocando brutti scherzi. Forse era solo l’eco del ricordo lontano di due bambini che giocavano tra quei corridoi, dell’ennesimo ginocchio sbucciato o di una notte di temporale troppo violenta.
Heechul si alzò di scatto e con sguardo sorpreso incontrò sulla soglia una figura ben conosciuta che non vedeva da mesi, ma che tanto aveva sperato di rivedere. L’aveva inseguito nella sua mente e nei suoi sogni per tormentarlo e, allo stesso tempo, essere fonte di piacere.
-Kibummie – disse in un soffio.
Il principe mosse dei passi timidi ed indecisi sui tappeti e quando fu davanti a lui, Heechul lo soppesò attentamente. Era fradicio, Kibum, i capelli bagnati gli ricadevano scomposti sulla fronte, ma brillavano come sempre nel loro lucido nero corvino, il suo viso era macchiato di fango così come i suoi abiti; gli stivali ne erano totalmente incrostati ed avevano sparso impronte sul tappeto, così come l’orlo del suo mantello gocciolava pioggia e fango. Sotto quegli stracci macchiati e bagnati Kibum tremava leggermente, infreddolito, e le sue labbra a cuore che Heechul ricordavano così rosate erano leggermente esangui, ma i suoi occhi erano inconfondibili. Heechul avrebbe riconosciuto tra mille quel taglio felino animato da un lampeggiare magnetico che da tempo aveva iniziato ad esercitare una forte attrazione su di lui.
Heechul si chiese se non stesse sognando. Dopotutto sino a pochi secondi prima era sdraiato sul divano, totalmente avviluppato dalle note dello shimansen e dalle luci rosate del tramonto e Kibum era, indubbiamente, un motivo ricorrente nel suo mondo dei sogni.
Heechul fissò la stanza ed il principe, spaesato, ma qualunque dubbio abbandonò la sua mente quando Kibum si strinse al suo petto. Non fu tanto il gesto in sé a convincerlo che non stesse sognando, al contrario, ma la consistenza materiale del corpo infreddolito e tremante di Kibum quando s’appoggiò al suo.
Heechul passò una mano tra la chioma corvina del più piccolo nel tentativo di fugare ogni dubbio. Poi sorrise tra sé inarcando un angolo della bocca carnosa. Fece scivolare le mani inanellate sulle spalle dell’altro stringendolo possessivo.
-Chul-, si lamentò di nuovo il principe singhiozzando sul suo petto.
Il lord di Busan trattenne a stento un sorriso di pura soddisfazione. Allentò la presa sulle spalle dell’altro e gli alzò il mento con l’indice.
-Il mio povero Bummie – sospirò.
Era proprio lui, spaventato come immaginava e desideroso di un conforto che solo lui poteva e doveva dargli.
Sorrise.
Sapevo che saresti tornato tra le mie braccia, pensò, non poteva che finire così.
Heechul era euforico. Ora, finalmente, dopo mesi d’incertezza e di una situazione precaria che si era fatta sempre più insostenibile, era tutto perfetto. Ora, poteva finalmente affermare di possedere tutto ciò che desiderava, o quasi. Aveva Soul, Chosun e dunque Kibum. La triade perfetta capace di coronare i suoi sogni.
Kibum tirò su col naso.
-E’ stato orribile – disse il principe. –Mi hanno tenuto rinchiuso per mesi. –
-Ma certo-, disse Heechul con accondiscendenza. –Devi essere stato terrorizzato. -
Kibum strinse le mani sulla giacca elegante di Heechul, macchiandola di fango. Il lord s’impose di trattenere una smorfia, non era il momento di perdersi in tali futilità.
-Se non fosse stato per te sarei ancora prigioniero di quei selvaggi -, piagnucolò il principe. – Ho sentito che hai pagato un riscatto. –
Quelle parole furono puro oro colto per le sue orecchie di Heechul. A lungo aveva atteso quel momento. Non solo Kibum si era gettato letteralmente tra le sue braccia, ma sembrava anche ben disposto nei suoi confronti. Certo non si faceva illusioni che buona parte di quell’atteggiamento fosse dettato dallo stato emotivo del momento, ma era comunque un inizio.
Devo essere pronto ad aspettarmi battute acide e occhiate taglienti già da domani, s’appuntò mentalmente.
Non dubitava, infatti, che dopo un sonno risanatore Kibum tornasse sé stesso. Ma poco importava, aveva sempre apprezzato il suo caratterino difficile, era come le spine di una splendida rosa che contribuivano a renderla ancora più rara ed ambita.
Heechul annuì. – L’ho fatto. Non potevo permettere che rimanessi tra le loro mani. –
Tu sei mio, pensò.
Kibum singhiozzò e il lord gli accarezzò il capo come si fa con un cucciolo scappato di casa e tornato con la coda tra le gambe.
-Sei…sporco. –
Osservò ad un tratto Heechul guardando con disappunto gli abiti di entrambi.
Kibum arricciò il naso.
-Ho camminato fino a qui tra fango e pioggia e ho passato mesi in un buco schifoso circondato da ignoranti plebei della peggior specie, ti aspettavi che arrivassi qui pulito e profumato?-
Hecchul rise. Come volevasi dimostrate il principe non aveva perso il suo proverbiale caratterino.
Meglio così, rifletté.
Dopotutto, Heechul adorava le sfide e Kibum era sempre stato la sua preferita.
-Chulll –, si lamentò Kibum pestando un piede per terra. -Dovresti consolarmi e prenderti cura di me, non fare osservazione sul mio pessimo stato. Voglio farmi un bagno, non mi piace essere sporco e non mi piace che me lo si faccia notare. E ho fame. Voglio del tè e dei dolci. -
Heechul inarcò le sopracciglia e sorrise soddisfatto di fronte allo svolgersi degli eventi. Negli ultimi tempi era davvero fortunato.
-Li avrai, mio dolce micetto. -
Sempre tenendo il mento del più piccolo gli sfiorò l’angolo della bocca con la punta del pollice, umettandosi le labbra. Gli occhi di Kibum risultavano acquosi sotto le luci del tramonto e, nonostante i suoi tratti delicati fossero perfettamente distinguibili, il suo viso era macchiato di fango. Una visione decisamente strana dato che Kibum aveva sempre fatto il possibile per mostrarsi impeccabile. Heechul non ricordava di averlo mai visto sporco di fango, nemmeno quando erano bambini e giocavano nei giardini di Haewan. Nonostante il momentaneo disgusto per quella stretta infangata e bagnaticcia, il più grande dovette ammettere a sé stesso che così il principe riusciva a fargli il consueto effetto. Heechul fece scivolare una mano dietro la schiena dell’altro premendo i loro corpi l’uno contro l’altro e Kibum abbassò il viso nascondendo così il leggero rossore che, ora, gli tingeva il viso.
-Il mio povero Bummie. Ora ti farò preparare un bagno caldo e profumato e quando avrai finito mangerai tutto ciò che desideri. –
 
 
***
 
Le stanze private del principe di Chosun erano avvolte dalla penombra, appena illuminate dalle candele che baluginavano sugli alti candelabri a più braccia, delineando appena il prezioso mobilio all’intorno. Il grande letto a baldacchino sembrava fluttuare ed imporsi nella stanza come l’unica presenza solida, il resto non erano che linee sottili dai profili metallici. Tutto era stato accuratamente preparato per il bagno e per uno spuntino notturno grazie ad un semplice gioco di paraventi che permettevano d’isolare ogni spazio a seconda delle sue funzioni. Oltre l’ampia vetrata drappeggiata da velluto blu imperversava un temporale e lo scrosciare della pioggia smorzava il silenzio irreale di quella notte.
Cullato dall'acqua calda della vasca da bagno, Kibum si strinse le gambe al petto ed appoggiò il mento sulle ginocchia che spuntavano dalla schiuma profumata. Osservò di sottecchi la schiuma tremolare e poi chiuse gli occhi e si morse l'angolo della bocca, lì proprio dove Heechul l'aveva sfiorato. Per un attimo quel semplice gesto aveva avuto il potere di riportarlo indietro di mesi, ma si era imposto freddezza. Non doveva e non poteva lasciarsi spezzare da una simile sciocchezza. Dopotutto non era che l’inizio.
Un tintinnare di ampolle di vetro giunse alle sue orecchie e corrugò la fronte, colto alla sprovvista, quando le mani piccole del giovane servo che si stava occupando del suo bagno iniziarono a massaggiarli il capo con olii profumati. Le dita del giovane affondarono tra la sua chioma con movimento metodici e rilassanti, tuttavia Kibum rimase rigido, le gambe sempre strette al petto.
Un pensiero fugace gli attraversò la mente portandolo a domandarsi chi fosse quel ragazzo; era certo che non fosse uno dei servi di Haewan.
Probabilmente l’ha portato qui da Busan, pensò.
Dopotutto l'aveva visto nella sala in compagnia di Heechul.
Emise un mugugno e poi scacciò dalla propria mente quelle riflessioni inutili.
Quando i suoi occhi avevano incontrato quelli di Heechul aveva percepito il solito senso di disagio e vulnerabilità. Tuttavia aveva dovuto ignorare tutto questo e, come mosso dall’istinto di sopravvivenza, aveva lasciato che la sua personale bolla di freddezza l’avvolgesse. Era assurdo eppure riconosceva di essersi sentito particolarmente calmo, come se la breve conversazione e contatto con il più grande non l’avesse sfiorato. Finché era stato in presenza di Heechul gli era sembrato di vivere e vedere ogni cosa da lontano.
Forse è questo il segreto, pensò.
Solo ora che si trovava solo, nella propria stanza, percepiva con forza un profondo senso d’inquietudine, quasi capace di fargli rimpiangere la presenza dell’altro.  
Per tutto il tempo di fronte ad Heechul non aveva avuto idea di come comportarsi. Si era limitato ad agire d’istinto facendo ciò che l’altro si aspettava e desiderava da lui, ma anche cercando di coglierlo alla sprovvista. Mostrare un’espressione sconvolta e spaventata, dopotutto, non era stato così difficile. Era scosso degli ultimi eventi, spaventato da quelli futuri, certi ed incerti, e lasciarlo trasparire era stato più che naturale, sentimenti che ben si addicevano a qualcuno che aveva passato gli ultimi mesi "segregato in buco schifoso". Abbracciare il più grande era stato decisamente meno semplice, ma dopo un attimo di smarrimento Kibum aveva valutato lo stato pietoso dei suoi abiti infangati e la possibilità di rovinare il completo lussuoso dell'altro fin tropo allettante. Sapeva che Heechul ne sarebbe stato disgustato. Certo aveva intenzione di recitare la sua parte, ma non per questo intendeva rendere ad Heechul la vita semplice.
Avrai la tua bambola perfetta, ma sarà anche capricciosa e viziata, pensò trattenendo un sorriso subito smorzato dalle immagini e dalle emozioni contrastanti delle ultime ore.
Come poteva essere accaduto tutto in così poco tempo? Erano passate ventiquattrore dall’ultima volta che aveva fatto l’amore con Jonghyun, eppure ora era tutto finito.
Sospirò.
Il giovane smise di massaggiargli il capo ed inizio accuratamente a sciacquarlo. Non appena ebbe finito, Kibum gli fece segnò di allontanarsi e, con un inchino, il giovane sparì oltre il prezioso paravento che nascondeva il bagno del principe da occhi indiscreti.
A Kibum non era mai piaciuto avere troppa gente intorno, nemmeno i servi.
Uscì dall'acqua, si asciugò ed iniziò a vestirsi, nel mentre qualcuno bussò e la porta s'aprì. Solo una persona poteva permettersi ed avere l’ardire di bussare senza attendere il permesso di entrare.
-Spero che tu sia rilassato -, esordi Heechul facendo il suo ingresso.
Kibum si morse il labbro inferiore, bloccandosi di colpo con gli abiti in mano. Guardò il paravento per valutare se fosse sufficientemente spesso da impedire all'altro di sbirciare la sua figura, ma nonostante la pesantezza del materiale Kibum si sentì gli occhi dell’altro addosso. Inizio a vestirsi velocemente.
-Bummie?-
Il tono di Heechul risuonò carico d’aspettativa, ma anche scocciato per non aver ottenuto immediata risposta.
-Il bagno mi ha fatto bene-, s’affrettò a dire Kibum.
I passi del più grande risuonarono lievi sui tappeti e Kibum s'infilo in fretta e furia una camicia di cotone e dei pantaloni lunghi sino al polpaccio, prese un asciugamano ed iniziò a frizionarsi i capelli mentre scivolava oltre il paravento, trovandosi così a pochi metri dall’altro.
Heechul lo studiò attentamente, infastidito da quegli ultimi movimenti repentini che il suo udito aveva ben colto, tuttavia si rilassò non appena incontrò la figura elegante dell’altro. Coperto da quegli abiti bianchi e sottili, Kibum appariva quale una figura eterea fluttuante nella penombra della stanza ed Heechul non poté fare a meno di concedersi un sorriso. Lanciò uno sguardo fugace al giovane servo che aveva giudicato tanto simile al principe ma che ora, di fronte a Kibum, appariva irrimediabilmente sciatto e sgraziato. I suoi muscoli si contrassero in un’espressione disgustata.
Devo essere stato cieco o disperato, pensò Heechul.
La semplice vista del giovane lo infastidì e gli fece segno di uscire dalla stanza. Non appena lui e Kibum rimasero soli tornò a volgere la propria attenzione al più piccolo.
Kibum si finse indifferente e lanciandogli delle occhiate di sottecchi continuò a frizionarsi la chioma corvina. Non aveva un’idea precisa di ciò che passava per la mente di Heechul, ma la semplice idea di essere rimasto solo con lui lo fece fremere. Gli sembrava di essere come uno di quei piccoli volatili colorati racchiusi in una gabbia dorata per il semplice diletto altrui, perché era così che l’altro, ormai, lo guardava da tempo.
Alzò gli occhi su Heechul, meno intimorito e più curioso di capire cosa davvero si celasse oltre quegli occhi che sembravano bruciare. Un tempo erano stati diversi e Kibum rammentava molto bene che non l’avevano sempre guardato in quel modo.
Heechul gli sfilò la salvietta e passò una mano tra i suoi capelli che subito s'asciugarono. Kibum si umettò le labbra quando un leggero tepore lo avvolse, prima che un brivido gli percorse la spina dorsale. Heechul era troppo vicino.
-Sei hai freddo devi solo chiedere-, disse il più grande sfiorandogli il viso.
-Ora non ho freddo -, rispose Kibum con una punta di stizza nella voce. Scivolò di lato rivolgendo al più grande uno sguardo distratto.
-Ho fame.-
Prese posto sul divanetto di fronte al tavolo che era stato adibito per il suo spuntino e fece scorrere lo sguardo sui vassoi colmi di dolci, rendendosi conto di essere davvero affamato. Il suo stomaco brontolò. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva toccato cibo? Gli sembrava un’eternità. Bhe, non avrebbe dovuto fingere di essere affamato.
Il suo stomaco brontolò di nuovo ed Heechul rise prendendo posto sulla poltrona di fronte a lui.
Kibum sbuffò ed arricciò il naso, rivolse un’occhiata sottile all’altro e poi prese una fetta di torta. Era buona, soffice, dolce...senza che se ne rendesse conto si era già avventato sulla seconda fetta, sui biscotti, intervallando ogni boccone con sorsi di tè caldo e del tutto ignaro dalle occhiate di disapprovazione, ma anche divertite, che l’altro gli stava rivolgendo.
Heechul accavallò le gambe e posò il meno sul dorso di una mano, il gomito puntellato sul ginocchio. Valutò attentamente l’atteggiamento del più piccolo, indeciso se rimproverarlo per quei modi poco consoni al suo rango o limitarsi a godersi la scena. Dopotutto era solo una momentanea fame insaziabile, Kibum non poteva di certo essersi inselvatichito sino a quel punto, no?
Fosse così ci sarà più lavoro da fare del previsto, valutò tra sé.
-Devono averti affamato, non è vero? – disse.
-Non mangio da più di un giorno -, fece Kibum addentando un altro biscotto. -Non ho mai avuto così fame in vita mia.-
Heechul sorrise e si versò del tè. Sorseggiò lentamente studiando Kibum. Non lo vedeva da mesi e a lungo aveva agognato quel momento, tuttavia gli sembrava che il tempo si fosse fermato a quell’ultima sera a Soul, per poi essere ripreso a scorrere da lì.
Mentre prendeva un’altra fetta di torta, Kibum sbirciò il più grande valutando come comportarsi e tentando di anticipare le sue mosse. Doveva rendere i suoi mesi di prigionia credibili, su questo non vi erano dubbi. Certo non poteva raccontare assurdità, ma quanto meno rendere palese il proprio disgusto per i Ribelli. Fu lo stesso Heechul ad offrigli l’appiglio per procedere in quel senso.
-Spero che a parte affamarti non ti abbiano fatto del male. –
Kibum alzò occhi sul più grande e ripose la tazza di tè che stava sorseggiando. Corrugò appena la fronte passando in rassegna il significato di quella domanda. Non era certamente così sciocco da credere che l’apprensione dell’altro fosse sincera e sentita. Certo, forse dal punto di vista di Heechul lo era, ma Kibum sapeva bene che dietro a quell’interesse nei suoi confronti si celava interessi molto più personali. Non era incondizionata.
-No -, disse, -non sono così sciocchi, sapevano quando fossi prezioso. Sono l’erede al trono, dopotutto. –
La frase uscì dalle sue labbra altezzosa e composta, regalandogli un sorriso d’approvazione da parte di Heechul.
-Naturalmente. –
Naturalmente anche Heechul lo sapeva molto meno. Il lord i Busan si accarezzò il mento.
-Hanno passato mesi a domandarsi come usarmi -, proseguì Kibum. -Bhe non hanno concluso molto. Quando poi è arrivato il riscatto hanno iniziato a litigare tra loro, li ho sentiti, non sapevano se accettare. Ma sono avidi. Si riempiono la bocca di giustizia, ma sono solo dei banditi e nulla di più. -
Heechul annuì, pensoso. - Hai scoperto qualcosa su di loro, il loro nascondiglio…-
I muscoli del viso di Kibum furono sul punto di contrarsi in un’espressione furente, ma s’impose di tenere a freno le proprie emozioni. Solo la mano che stringeva con forza sul manico della tazzina tradì i suoi reali sentimenti. Kibum sapeva bene cosa si celava oltre quella domanda apparentemente fatta nell’unico interesse di riscattare il principe stesso.
Jonghyun, rifletté Kibum tra sé, è lui che sta cercando. Ma io non ti permetterò di fargli del male.
Con il trono di Chosun a portata di mano e Kibum ad Haehawn nulla poteva arrestare l’ascesa di Heechul. Probabilmente, nella mente del più grande la semplice esistenza del fratellastro rappresentava l’unica nota dolente. Il neo fastidioso del quale desiderava sbarazzarsi per evitare di correre rischi.
Kibum strinse non forza il manico della tazzina che tremolò. La ripose.
-Sono molto più organizzati di ciò che si dice ufficialmente, ma meno di quanto si sostiene nei salotti privati. –
Si stropicciò le mani fingendo disagio.
-Non ho mai avuto un’idea precisa su dove mi trovassi. Ho visto solo il buco orrendo in cui mi hanno tenuto per mesi. -
Il naso di Kibum s’arricciò con disappunto mentre terminava la frase con vocetta acuta.
-Vuoi fare qualcosa in proposito? –
-Non sono una minaccia. Accettato il riscatto stavano già litigando tra loro per decidere come spartirselo. Dimentichiamoli. -
Doveva fare il modo che Heechul si dimenticasse dei Ribelli, di Jonghyun, di qualunque cosa potesse mettere a rischio le persone che avevano reso quei mesi, seppur brevi, speciali ed irripetibili. Doveva far sì che il più grande catalizzasse tutta la propria attenzione unicamente su di lui, su di loro, e sul torno di Chosun che li attendeva a Soul. Kibum sapeva bene di avere le armi giuste a disposizione, ma era anche consapevole di doverle usare con cautela.
-È stato davvero...- iniziò a dire con un sospiro smorzato da un singulto.
Kibum si portò le mani al viso e singhiozzò. I passi di Heechul risuonarono sul tappeto e Kibum percepì il corpo dell’altro pesare sul divano al suo fianco. Le mani affusolate del più grande iniziarono a giocare con le sue ciocche procurandogli brividi.
-Sei stato un bambino capriccioso e ribelle –disse Heechul con accondiscendenza.
Kibum tirò su col naso e vincendo l’impulso di allontanarsi dall’altro si appoggiò a lui.
-Non avrei mai dovuto lasciare Soul...non avrei mai dovuto lasciare te. –
Heechul si umettò le labbra e fece scivolare un braccio intorno al fianco del più piccolo, mentre con l’altra mano continuava a giocare con i suoi capelli.
-Per una volta siamo d'accordo su qualcosa – sussurrò.
Fece per alzare il viso di Kibum, ma il principe s’alzò scivolando lontano da lui.
Il viso rivolto alla vetrata drappeggiata di velluto blu, la schiena rivolta ad Heechul, Kibum si strinse nelle spalle alla ricerca di un calore e di una sicurezza che solo una persona era riuscita a dargli.
Si morse l’interno della bocca imponendosi di allontanare il pensiero di Jonghyun. Era un lusso, per quanto doloroso, che non poteva permettersi.
Heechul arricciò l’angolo della bocca, infastidito da come l’altro era fuggito dal suo abbraccio, poi si alzò per raggiungerlo nuovamente.
-Lui è morto, vero? Ho sentito delle voci ma non sapevo se credervi -, disse Kibum rompendo il silenzio.
Heechul si bloccò di colpo a pochi passi dall’altro. La voce di Kibum era risuonata estremamente ferma nonostante le proprie parole ed il turbamento di poco prima.
Heechul s’irrigidì. Come avrebbe preso il principe la conferma della morte dell’imperatore? Era una domanda che non si era mai posto, dopotutto tra i due vi era sempre stata indifferenza. Lo raggiunse posandogli le mani sulle spalle.
-È così -, disse facendo aderire la schiena di Kibum al suo petto. -Ti porgo…-
Non ebbe tempo di terminare la frase perché Kibum rispose repentino, quasi in un sibilo infastidito.
-Ho sempre odiato quell'uomo, sono felice di non rivederlo mai più. –
Era vero, lo odiava e per quanto forti quelle erano le parole più sincere che Kibum aveva pronunciato dal momento in cui aveva messo piede ad Haewan.
-Voglio tornare a Soul e seppellirlo una volta per tutte -, disse freddo.
Heechul sorrise tra sé. Anche lui voleva tornare a Soul, ma non per seppellire il defunto imperatore, certo quello sarebbe stato un punto d’inizio. Strinse con più forza le spalle del più piccolo.
-Legittimo. Soul è il tuo posto, dopotutto. –
Infastidito dalle mani di Heechul che lo stringevano possessivo, Kibum si voltò ed appoggiò le mani sul petto del più grande sperando che i suoi movimenti costringessero l’altro a lasciare la presa. Ma fu solo un tentativo inesperto ed impacciato, perché Heechul continuò a stringerlo chiudendolo in una stretta che non sembrava lasciare via di scampo.
-Invierò un messaggio a Soul, così per quando arriveremo sarà tutto pronto. –
Kibum abbassò il capo e si morse il labbro, rassegnato. Se doveva fingere di accettare la compagnia del più grande doveva reprimere l’impulso di prenderlo a calci. Pensò a tutte le volte che si era stretto a Jonghyun. Quelli erano veri abbracci, caldi, sinceri…quelli di Heechul erano molto diversi. Possessivi, incatenanti, sbagliati. Tra le braccia di Jonghyun si era sempre sentito amato e protetto. Tra quelle di Heechul si sentiva in trappola. 
-Non so cosa farei senza di te -, disse.
Heechul gli prese il viso tra le mani e lo soppesò attentamente, gustando le parole di Kibum. Il più piccolo era ancora scosso, forse a disagio, e Heechul si sentì risucchiato da quegli occhi magnetici che ora cercavano di fuggire dai suoi. Il suo sguardo deviò sulle labbra a cuore del più piccolo. Quante volte aveva sognato di sfiorarle? Infinite, forse. Eppure solo ora riusciva ad ammirarle così da vicino. Erano come una calamita. Il desiderio di farle sue era forte e s’abbassò appena sul più piccolo, ma poi lo lasciò. Non doveva lasciarsi prendere la mano. Sapeva che doveva essere cauto, già una volta Kibum gli era scivolato via tra le dita a causa della sua stessa imprudenza. Quella sera a corte, quando era stato annunciato il loro fidanzamento, Heechul sapeva bene di essersi comportato come uno sciocco. Forse aveva bevuto troppo, oppure era solo l’eccitazione del momento, ma infilarsi nelle stanze di Kibum non era stata una mossa saggia, lo riconosceva. Kibum era un gatto diffidente, guardingo e pronto a scattare sulla difensiva alla prima avvisaglia di pericolo. Heechul sapeva di aver fatto una mossa azzardava e non intendeva ripetere lo stesso errore. Dopotutto, ora aveva tutto il tempo del mondo a disposizione per ottenere il completo favore di Kibum. Doveva essere paziente.
Un tuono risuonò nella notte e Kibum sobbalzò. Heechul rise, mentre l’altro s’aggrappava d’istinto alle sue spalle.
-Hai ancora paura dei temporali? –
-No – rispose l’altro di scatto.
Heechul sogghignò. Il nervosismo del più piccolo era fin troppo palese.
Kibum iniziò ad avvertire le braccia di Heechul intorno a lui sempre più scomode, tuttavia non sembravano accennare a volerlo lasciare andare. Represse un verso frustrato.
-A me non sembra -, lo canzonò Heechul.
-Ho detto che non ho paura. –
Kibum si divincolò. Quanto meno quel battibecco gli forniva la scusa perfetta per scansare Heechul. Tuttavia il più grande lo prese per il polso, tirandolo di nuovo verso di sé.
-Vuoi che dorma con te? Da bambini lo facevamo sempre in queste notti. Rammenti, i temporali estivi? –
Kibum si liberò della presa dell’altro. Ricordava bene quelle notti ed era vero, aveva sempre cercato la compagnia di Heechul in quelle occasioni e il più grande le aveva passate cullandolo finché entrambi non si addormentavano.
Era un altro tempo ed eravamo altre persone, pensò.
-Non siamo più dei bambini. Sono stanco, vorrei dormire -, disse.
Heechul annuì. Non si aspettava di certo una risposta positiva. Sollevò il mento di Kibum e lo baciò sulla punta del naso.
-Come desideri. Buonanotte, mio dolce principe. –
Kibum osservò il più grande uscire dalla stanza e si strinse nelle spalle quando la porta si chiuse davanti a lui. I passi di Heechul lungo il corridoio scemarono, persi in quella notte scura animata dal ticchettare della pioggia sui vetri.
Kibum chiuse la porta a chiave. Un giro, due giri, tre giri, quattro giri…qualunque cosa pur di tenere i propri incubi lontani. Sorrise amaro mentre si coricava nel sontuoso letto a baldacchino. Chiuse gli occhi ed emise un sospiro stanco e rassegnato. Si portò una mano al petto come a trattenere ricordi e sensazioni che stavano fuggendo, scivolando via come l’acqua che, ora, rotolava dalle colline tondeggianti. Di quel mondo perfetto restava solo il ricordo. Schegge di vetro sparse sul marmo, i ruderi di ciò che era. Aveva perso tutto o era solo un momento passeggero? Gli sembrava di galleggiare nel vuoto nero e liquido come un mare inchiostro.
Un lampo tagliò il buio della stanza ed un tuono scosse la notte facendo vibrare l’intelaiatura metallica delle finestre. Si strinse al cuscino. Era freddo.
 
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Se vorrei dedicare due minuti del vostro tempo per lasciarmi un commento ricordo che sono sempre graditi, le opinioni altrui fanno sempre bene a chi scrive ^^
A presto!
 
 
 
 
 
 
 
[1] Haehwan significa luce del sole.
[2] Strumento tradizionale giapponese. 
   
 
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