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Autore: Koa__    03/05/2017    10 recensioni
John Watson, un medico reduce di guerra finito nelle Indie Occidentali, cerca di sopravvivere a una vita di solitudine e senza un briciolo di avventura. Un giorno, John fa però un incontro straordinario e del tutto inaspettato. Nella sua monotona esistenza, entrano così Sherlock Holmes, pirata della peggior specie, e la sua stramba ciurma.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Let's Pirate!'
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Il riaccendersi della fiamma di una candela
 


 
John Watson, di musica, non aveva mai capito un accidenti di niente. Considerato che suo padre riteneva che suonare fosse cosa da femmine, non aveva ricevuto un’educazione a proposito. Sua sorella Harrieth era stata invece adeguatamente istruita, le era stato insegnato il clavicembalo e il flauto, ma dati i loro tiepidi rapporti e la scarsità della passione di lei, John non aveva mai azzardato a chiederle di spiegargli il funzionamento di quei buffi tasti neri. Erano ragazzi, poco più che bambini e vivevano in una casa appena fuori Londra e mentre lui trascorreva le giornate chino sui libri, lei s’impratichiva con scale e arpeggi, esercitandosi in attività che detestava. John avrebbe tanto voluto imparare a suonare la tiorba o magari il liuto, dal suono meravigliosamente delicato. La prima volta che ne aveva visto uno doveva avere circa dieci o forse undici anni e, camminando frettolosamente per alcune stradicciole della città, diretto da uno dei pazienti di suo padre, una bella melodia aveva attirato la sua attenzione. Lo sguardo gli era quindi caduto a gruppetto di tre o quattro musici che, al centro di un parco, improvvisavano un concertino per un paio di dame imbellettate. Ma suonare e dilettarsi con simili divertimenti, per Hamish Watson non era cosa da uomini, pertanto quel giorno strattonò via il figlio prima che questi riuscisse a sentire una qualche cosa. Nel corso degli anni a John era capitato di imbattersi in vari suonatori, ma distratto com’era dalla professione medica e dall’esercito, mai aveva realmente prestato attenzione. Quella di certo era la prima volta che sentiva un violino suonato così bene. La melodia era stupefacente, dolce e appassionata al tempo stesso, armonica ma delicata e ricca di sfumature. John ricordava di averne visto uno, tanto e tanto tempo prima. Apparteneva alla giovane Mary Therese Wilkinson, la vergine sorellina del sergente Wilkinson e che John aveva “battezzato” a dovere in un giorno di primavera. L’aveva conosciuta durante un periodo di breve licenza che l’esercito aveva concesso loro al termine di una lunga campagna invernale. In quella prima estate dei suoi venticinque anni, lontano da Londra e dagli affetti più cari, il generoso Frederick Wilkinson aveva pensato bene di invitarlo alla tenuta dei suoi genitori. Una ricca famiglia, la cui residenza estiva era situata nelle terre del sud e che consisteva in ampi giardini ben tenuti e in un castello con centinaia di stanze. Mary Therese, così si chiamava la più piccola delle figlie. Bella, bionda, burrosa, con splendidi boccoli e un bustino che le strizzava tutto quanto per benino. Therese amava la lettura, passeggiare e intrattenere gli ospiti suonando ballate con un pregiato violino cremonese. A dire il vero, John ricordava ben poco di cantate e sonate, o degli studi con i quali Therese lo dilettava nel pomeriggio. Aveva però una perfetta memoria del giorno in cui l’aveva presa contro il tronco di un albero e se si concentrava riusciva a ricordare il percorso che aveva fatto con lei, mano nella mano. Oltre le aiuole del giardino e dopo le fontane, in quel gruppetto di alti alberi e non molto lontano da una panca sistemata accanto all’ansa di un fiumiciattolo, circondato da viole e con profumo delle rose, aveva affondato il viso tra i seni prosperosi di lei, prima di farla sua. Sì, ne aveva un’ottima memoria, anche se probabilmente se ne ricordava tanto bene perché era stato in quel preciso punto che aveva colto anche le grazie della madre. Mrs Wilkinson, trascurata dal marito ma ancora nello splendore dei suoi trentasette anni compiuti, era stata un’amante appassionata ed incredibilmente esperta. No, non ricordava poi molto del violino di Mary Therese e della musica cinquecentesca che andava suonando, ma benediceva tutti i giorni il buon Frederick e la sua generosità.



 
oOoOo



L’idea che Sherlock Holmes fosse in grado di far danzare le note a quel modo, scatenò in John una viva e sincera curiosità, oltre a contribuire alla nascita di certe fantasie non troppo caste. Erano tanto vividi, quei sogni, che poteva dirsi certo del fatto che chiunque sarebbe stato in grado di carpire la natura dei suoi pensieri. Ci provò davvero a mantenere il controllo e a un dato momento chiuse persino gli occhi, tentando di assaporare la musica in tutta la sua più meravigliosa essenza mentre provava a mettere da parte alcune delle sconcezze che stava rimuginando e che vedevano Sherlock completamente nudo, premuto contro all’albero maestro. A malapena riuscì a scacciare l’immagine prima che divenisse eccessivamente spinta o che il corpo prendesse a far da sé più del necessario. Badò all’eco del violino, concentrandosi su di esso, alle note rimate e cadenzate, bellissime nel loro rincorrersi e che una dopo l’altra componevano un canto armonioso. Non se lo sarebbe mai aspettato, che il terrificante pirata bianco, l’incubo delle navi mercantili delle Indie Occidentali, potesse avere un tocco delicato e un animo così sensibile. Indubbiamente ricordava di aver visto lo strumento tra libri e carte gettate alla rinfusa un po’ ovunque nella cabina del capitano, ma più che credere che sapesse realmente suonare aveva ipotizzato che potesse trattarsi del bottino di una razzia. Pensandoci, gli pareva di ricordare che un qualcuno tra i pirati avesse borbottato un qualcosa a proposito, ma non sapeva davvero dire chi fosse e ora, a dispetto delle sciocche convinzioni che s’era fatto oltre che di una fastidiosa disattenzione, Sherlock Holmes stava suonando.
«Questa è nuova» mormorò Victor dopo che la melodia fu cessata e un’altra, del tutto differente, riprendesse subito. Il prete si tirò quindi a sedere, sporgendosi oltre il bordo del letto come a volersi alzare. «Deve averla appena composta» proseguì, divenendo più pensieroso e prendendo a fissare con una certa insistenza le ombre del corridoio, che s’intervallavano a coni di luce giallastra provenienti dalle lampade. Li guardava con eccessivo interesse, a dire il vero c’era persino il fantasma di un dubbio in lui, come se stesse tentando di acciuffare una sorta di risposta ai propri tormenti.
«Scommetto tutto quello che ho, dolcezza, che l’ha scritta per te» se ne uscì nuovamente, e questa volta azzardando a un’occhiata divertita, di un tipo giocoso e non cattivo. Per meglio dire, non pareva dilettarsi nel prenderlo in giro come spesso aveva fatto. Ebbe l’impressione, guardandolo meglio, che avesse lanciato un’esca in attesa di pescare un qualcosa di più consistente.
«Non dire idiozie» borbottò un John, questa volta assolutamente convinto di aver ragione. Al contempo e in perfetta contraddizione con se stesso, distolse la vista e si mise a fissare il pavimento. Non pensava che fosse possibile; insomma, il capitano che componeva per lui? Era ridicolo anche il solo pensarci. Del tutto impossibile. Eppure, l’idea gli scaldò il petto, facendo appena palpitare il cuore di felicità. Sedare simili sentimenti e ignorare le continue e ripetute provocazioni (più o meno volute) di quel dannatissimo prete, diventava sempre più difficile e tanto che John arrivò persino al punto di voler scappare via. A fermarlo fu la ragione e quel pizzico di sensatezza ancora rimastogli. Si trovava su una nave e non sarebbe potuto andare da nessuna parte, qui non c’erano passeggiate da fare per fuggire alla noia o angoli di una foresta selvaggia nei quali nascondersi. Doveva affrontare lo scoglio e doveva farlo prima d’impazzire del tutto o, peggio, prima di far capire all’intero equipaggio de la Norbury di essersi drammaticamente e irrimediabilmente innamorato del capitano.

«Credimi, lo conosco meglio di quanto conosca me stesso» gli rispose Victor, annuendo con vigore e assumendo nello sguardo una certa serietà. John proprio non riuscì a dire che cosa fu di preciso a convincerlo a dargli ragione, magari era la totale assenza di scherno e divertimento nelle pieghe della voce o forse lo sguardo, ora divenuto più serio. Ovviamente stava dicendo il vero, per quanto pazzesco. Perché Sherlock aveva composto un brano per lui? Lo aveva fatto così, come un poeta preso dall'ispirazione ma non direttamente coinvolto, oppure allo stesso modo in cui un uomo innamorato scrive quartine alla propria bella? Avrebbe cantato per lui sussurrandogli parole d’amore da sotto un balcone? E se così era, c’erano forse delle implicazioni romantiche in quel suo gesto? In pratica, Sherlock era innamorato di lui? Cielo, se così era… Non doveva pensarci, anche se era dannatamente complicato sedare le emozioni e se a ogni respiro gli pareva d’impazzire, questo era il momento meno adatto. Lo voleva vedere. Ora e adesso, avrebbe così troppo desiderato alzarsi da dove stava, correre nella sua cabina e baciarlo con passione. Non lo fece, per fortuna la grandezza di una simile rivelazione lo paralizzò lì dove stava. A salvarlo, poco dopo, fu padre Trevor che già aveva ripreso a parlare e che pareva seriamente intenzionato a svelargli ogni cosa.
«John!» Gli si era rivolto pronunciando il suo nome, forse per la prima volta da che si erano incontrati non lo aveva chiamato con un odiosissimo soprannome. Comprese la serietà dei suoi intenti proprio grazie a quello e fu allora che nella confusione sentimentale che era costretto ad affrontare, per la prima volta da che erano rimasti soli, sollevò il viso in sua direzione. Quel ghigno di scherno che indossava al pari di una seconda pelle, era del tutto scomparso. Al suo posto c’era un sorriso, dolce e sereno, mai visto su di lui e uno sguardo colmo d’affetto.

«Conoscere Sherlock per come lo conosco io, significa riuscire a cogliere sentimenti profondi da un battito di ciglia» esordì, a voce bassa e fioca, ma ferma e decisa. «So molti dei racconti che circolano sul suo conto e posso dirti che pur avendo un fondo di verità, in nessuna di esse si riesce a comprendere l’animo del pirata bianco. Come faccio a sapere che quella musica l’ha scritta per te? Naturalmente non me lo ha detto, ma è differente la maniera in cui suona. Io… non te lo so spiegare, semplicemente lo sento e sono certo che se vorrai restare con noi, col tempo imparerai anche tu a capire le differenze. Devo dirtelo, non accade spesso che componga per qualcuno, anzi non succede praticamente mai, ma ti posso assicurare che c’è del sincero sentimento tra le note che ho sentito e che è più confuso di te. Vedi, suonare lo aiuta a pensare e ora sta cercando di capirti, perché per lui sei un mistero tanto quanto l’isola sulla mappa che ti porti appresso.» Ancora, Victor Trevor scrutava le ombre del corridoio, notò John mentre ne studiava gli atteggiamenti compassati e poco costruiti. Evitava di guardarlo negli occhi e tanto che s’era forzatamente spostato altrove, quasi a voler celare quella parte di sé ben più assennata. Come se si vergognasse, ecco o quasi esistessero due lati di una medesima persona e laddove uno era farfallone e sempre disposto a giocare, quest’altro aveva come un velo di amarezza in viso.

«Sembri averlo studiato da vicino, il capitano intendo.» John riprese a parlare dopo minuti di silenzio, una quiete interrotta soltanto dagli scricchiolii del legno e dal gocciolare lieve della cera della candela, che poco a poco grondava nella bugia. Lasciandosi cadere indietro contro lo schienale duro della sedia, si mise a osservare il proprio interlocutore e questa volta con maggior attenzione. Victor non aveva fatto altro che abbozzi di discorso e pronunciata qualche parola, senza però arrivare al punto. Eppure si stava rabbuiando vistosamente mentre ora annuiva in maniera impercettibile. Che cosa avesse scatenato tanto dispiacere, davvero non ne aveva idea. Però lo vedeva, e c’era, e quasi stonava su di quel viso che fino ad allora aveva mostrato allegria e spensieratezza. E faceva assurdamente male, rendendolo partecipe ai tormenti di uno sconosciuto. Un qualcosa forse di legato al passato, turbava padre Trevor ed era un sentimento malinconico e triste che si palesò anche nei gesti. Lo vide cadere indietro, buttandosi nuovamente tra le coltri di quel letto morbido e dopo essersi parzialmente coperto il volto con le mani, quasi a voler celare il proprio dolore, prese a parlare.
«Mi sento sempre in debito nei suoi confronti e non soltanto perché mi ha salvato la vita, quella volta in Francia, ma per ben altre ragioni. Se lui oggi è su questa nave, solo e infelice, se ha lasciato ogni cosa a Londra e non ha mai avuto nessuno nella propria vita (nessuno da amare anche fisicamente), è colpa mia. John, anima viva su questa nave è a conoscenza di ciò che sto per dirti, tranne che Lestrade e anima viva dovrà saperlo.»
«Hai la mia promessa» annuì vigorosamente e mettendosi quasi sull’attenti, diritto sulla sedia come se fosse ancora sotto le armi e stesse prendendo ordini da un superiore. «So mantenere i segreti. Fidati, è forse l’unica cosa che sono riuscito a fare nella mia vita, a parte farmi sparare. Che cosa è successo?» gli domandò infine, indugiando appena. «Tu gli hai spezzato il cuore?» azzardò quindi, permettendosi di oltrepassare quel muro di decoro e buona educazione che ancora li divideva. Che Sherlock se ne fosse innamorato da giovane, ma che fosse stato poi rifiutato in virtù del fatto che Victor preferiva le donne? O perché condannato a una vita monastica? Era piuttosto probabile che si trattasse di un qualcosa di simile, anche se reputava assurdo che pur essendosene invaghito un tempo, adesso il capitano lo avesse preso con sé e accettato a bordo. In casi del genere, chiunque non proverebbe amarezza o, comunque fosse, non tenterebbe di star lontano da una persona che tanto ha fatto soffrire? Possibile che capitan Holmes fosse diverso anche in questo? Inoltre c’era una certa confidenza tra loro, Victor era espansivo tanto da baciare e toccare con disinvoltura. No, si disse, doveva esserci dell’altro. Altro che non vedeva. Altro che, pur sforzandosi, faticava a cogliere.

«Ho fatto qualcosa di ben peggiore che spezzargli il cuore» negò questi, vistosamente e anche con una certa disinvoltura «io l’ho visto consumarsi, spegnersi come la fiamma di una candela il balìa del vento e non ho fatto nulla per aiutarlo.» John rimase attonito a fronte di quella dichiarazione, la confusione che dimorava nella propria mente era palese dagli occhi fissi al pavimento e che non nascondevano affatto un grappolo di domande. Non aveva idea di come un essere umano potesse spegnersi, ma invece che obiettare, rimase in silenzio. Qualche istante più tardi, il falso prete riprese a parlare: «Sherlock è figlio di una casata titolata che discende da una delle più antiche famiglie d’Inghilterra, hanno terreni e tanto denaro che ci sfameresti tutte le Indie per decenni. Suo fratello Mycroft è consigliere personale della regina e suo padre prima di lui era un confidente del Re in persona, prima che si ritirasse nel sud del paese assieme alla moglie. I primi anni della sua vita, Sherlock li trascorse nella tenuta degli Holmes, a nord di Londra, assieme a sua sorella e a suo fratello maggiore, ma mentre gli altri due mostravano d’essere sufficientemente in salute, lui cresceva poco. Era troppo magro, troppo minuto, deperito e aveva le guance scavate e un colorito pallido che pareva un morto, ma più di tutto era irrequieto e nonostante il fisico debole, mostrava un’attività fuori dal comune. I medici consigliarono una cura rinvigorente che però non sortì alcun effetto e quando fu evidente che avrebbe seriamente rischiato la vita, sua madre decise di non dar retta a nessun pomposo dottore e, senza dir nulla a nessuno, nemmeno alla famiglia, prese suo figlio e lo portò in Francia.»
«Ma certamente» intervenne John, sicuro di quanto stava per affermare e ben sapendo che in molti non la pensavano alla sua stessa maniera «la vita all’aria aperta, il sole e un clima più mite di quello inglese favoriscono la buona saluta. È stata una scelta saggia, portarlo via dalla brughiera. Anche se non capisco perché proprio in Francia, non ci sono mai stati rapporti sereni e non è certamente il primo posto in cui un inglese andrebbe fare della villeggiatura.»
«Mrs Holmes intratteneva da anni rapporti epistolari con una sua lontanissima cugina con la quale era cresciuta, e che considerava al pari di una sorella. Quella cugina sarebbe mia madre, lei fu felice di ospitarli.»
«Aspetta, aspetta» lo interruppe a voce forse eccessivamente alta e preoccupandosi subito di abbassare la voce perché spaventato dalla prospettiva di aver svegliato qualcuno, tanto che si affrettò ad alzarsi a chiudere la porta prima di riprendere, sussurrando: «Voi due sareste cugini?» No, era impossibile. Doveva averlo preso in giro perché non c’erano somiglianze di alcun genere, né particolari fisici in comune. Come aveva fatto a non capire che tra loro c’era una parentela? Questo spegneva le sue idee sul fatto che fossero stati amanti? Decisamente no, non risolveva nulla.
«Sì, anche se molto alla lontana» annuì Victor, alzando le spalle. «Inizialmente rimasero con noi per circa un anno, dopodiché i medici ritennero che il bambino si fosse rinforzato abbastanza e lui e sua madre fecero ritorno in Inghilterra. Tornavano tutti gli anni quando arrivava la bella stagione, e quelle estati… Oh, John ho visto Sherlock spegnersi e non ho potuto far nulla. Non ho fatto niente.»
«Cosa intendi?»
«Da bambino era un entusiasta, qualsiasi cosa lo eccitava ed emozionava. Aveva una curiosità innata e una sete di conoscenza difficile da sedare, sicuramente grande tanto quanto la sua intelligenza. Mamma Holmes sosteneva che tutti i suoi figli avevano una mente acuta, in grado di imparare con facilità qualsiasi materia. Tuttavia, Sherlock era diverso rispetto ai fratelli. Non era pigro e indolente come Mycroft, non desiderava eccellere a tutti i costi come sua sorella; a lui non importava di dover fare una bella figura o di doversi necessariamente mostrare agli altri come il migliore. Era affascinato dalla natura, dalla musica, dal corpo umano così come da qualsiasi altra materia. Ricordo giornate intere trascorse nel bosco a caccia di insetti e animali, sarebbe stato capace di inseguire una formica per delle ore senza accorgersi dei morsi della fame o del tempo che passava. Ovviamente assimilava concetti con una rapidità che aveva dell’incredibile. Un esempio? Essendo stato io destinato alla vita ecclesiastica, fin da bambino fui introdotto agli studi teologici e del latino. Studiavo da tempo gli autori romani e le declinazioni quando conobbi Sherlock. Lui era in grado di comprendere concetti difficili e di farli propri, al punto che il mio istitutore ne era quasi spaventato. E non solo di latino ti sto parlando, ma anche di greco e delle scienze, francese e tedesco. Non leggeva libri, lui li divorava! A sette anni conversava meglio di quanto non sapesse fare un adulto e mostrava di possedere non solo una dialettica spiccata, ma anche un’abilità molto personale nel mettere in difficoltà gli altri. Era in grado di fregare il nostro maestro senza che questi se ne accorgesse.» La voce di Victor si dissolse in un niente e quel discorso, di certo ancora incompleto, si concluse con una risatina lieve. Un sentimento più vivo e giocoso, ma ancora velato di malinconia, dimorava nei suoi occhi ed era proprio quella nostalgia a sorprendere John più qualsiasi altra cosa. Avrebbe davvero dovuto concedergli un attimo in più di tempo, qualche minuto per riprendersi. Non lo fece e non per cattiveria, ma perché la curiosità era diventata invadente e impossibile da gestire. Ancora troppe erano le domande irrisolte e i tanti nodi da sciogliere.

«Quand’è che ha cominciato a cambiare?» gli chiese, quasi frenetico. Doveva sapere tutto quanto perché quelle poche e sparute informazioni in realtà non avevano fatto altro che confermare certi suoi sospetti. Il capitano era un nobile ed era intelligente, tutti particolari del pirata bianco che aveva intuito fin dal primo incontro Antigua. Di certo era ovvio che non aveva discendenze popolane, ma che era stato istruito ottimamente e in più di una materia. Già dalla cura del corpo e delle mani, ma anche dal modo in cui parlava, forbito e non rozzo, chiunque ne avrebbe dedotto facilmente i natali.
«Venivano da noi all’arrivo della calda stagione» riprese Victor poco dopo, spezzando il fruire delle riflessioni di John. «Purtroppo, però, più il tempo passava e più si avvicinava il giorno del mio noviziato. A quindici anni sarei entrato in convento e affidato ai monaci, successivamente e dopo una lunga meditazione (Tzè! Come se avessi avuto una qualche scelta), avrei deciso se prendere o meno i voti. Sebbene Sherlock sapesse qual era il mio destino, quando arrivò il momento si rifiutò di accettarlo. Smise di mangiare e bere, si rinchiuse nella propria stanza per giorni, minacciò di voler venire con me e dovetti pregarlo io di smetterla di comportarsi in quel modo. Lo fece, ora della fine riuscii a convincerlo che grandi cose lo aspettavano, ciò di cui non mi resi conto era che forse in lui un qualcosa aveva già cominciato a incrinarsi.» Si fermò nuovamente, indugiando appena e deglutendo rumorosamente quel qualcosa che gli aveva annodato la gola e reso la voce più fioca e gli occhi velati di lacrime. Doveva esser doloroso ricordare certi particolari del passato, specialmente se si trattava di un destino crudele e infame.
«Non lo rividi se non diversi inverni più tardi, Sherlock aveva appena compiuto diciassette anni e ci incontrammo in Inghilterra. L’abate del mio convento venne invitato dalla famiglia Holmes alla loro tenuta per concordare un certo affare con Mycroft, di cui non ho mai saputo la natura. Il mio superiore, conoscendo la nostra parentela, mi concesse di seguirlo. Fu allora che mi resi conto che il bambino vivace e curioso che persisteva saldamente nella mia memoria, in realtà non esisteva più. Non c’era entusiasmo nel suo sguardo, né eccitazione. I suoi occhi erano tristi e i modi scontrosi e incattiviti, bellicosi, come se la sua intera vita fosse una sfida. La gioia di vivere che di lui tanto avevo amato, si era spenta e al suo posto c’era qualcosa di differente. Era cambiato, ora desiderava eccellere e primeggiare. Era in continua e costante competizione con i fratelli, li provocava e scherniva, amava mettere in mostra le abilità che aveva assunto nel violino o nello studio, ma non solo, considerava chiunque altro come un idiota e non degno di rispetto e stima. Mi duole ammetterlo, ma il mio più caro amico, il mio Sherly era diventato uno stronzo odioso, un insopportabile figlio di puttana. Sai? I suoi genitori mi piacevano, erano severi ma gentili e non sono mai stati realmente cattivi. Nessuno della famiglia ha mai voluto il male di Sherlock, ma nonostante ciò ognuno di loro ha contribuito a ucciderne spirito. A iniziare da sua madre e suo padre che lo trascuravano e che non si preoccupavano di dimostrargli affetto o ancora da Mycroft che lo ignorava, poiché ambiva a ben altro che alla sua compagnia. Tutti non fecero che aggravare il suo già brutto carattere, riuscirono farlo sentire sempre più solo, e rifiutato, come se non valesse la pena amarlo. Da anni mi ripeto che il peggiore fra loro sono proprio io, se ci fossi stato sarebbe cresciuto meno infelicemente.»
«Oh, ma non puoi davvero fartene una colpa. Tu stesso non eri che un bambino e con un destino ben più drammatico del suo, che avresti mai potuto fare?» replicò John, come a volerlo rassicurare.
«Potevo impuntarmi e mettermi contro mio padre, rifiutarmi e dire che la vita monastica non faceva per me, ma sono stato un vigliacco e il risultato è che la più fragile creatura su questa terra, è cresciuta rifiutata e incompresa. Nessuno lo ha mai capito davvero, il suo cuore era troppo selvaggio e fin tanto svelta la sua mente. Dicevano che era insano e soltanto perché amava fare esperimenti di alchimia o sezionare animali e insetti per vederne le interiora. La servitù si era convinta che fosse posseduto dal demonio e dato che mangiava poco e dormiva ancora meno, credevano che si nutrisse delle ceneri del camino. Come un diavolo. Lo sai che Sherlock è stato vestito da sua madre fino ai vent’anni? Non perché fosse incapace o viziato, ma perché qualsiasi ragazzo gli proponessero come valletto, lui lo terrorizzava a morte e questi scappava via a gambe levate. A rompere questo precario equilibrio, giunse la goccia che fece traboccare il vaso. Aveva ventuno anni quando gli venne presentata la sua sposa. Era stato promesso in matrimonio fin dalla nascita (particolare che lui aveva pensato bene di rimuovere dalla memoria) con una giovane che non conosceva e che non avrebbe di certo mai amato. Sherlock ha sempre preferito gli uomini e la virilità maschile, le giovani dame le trovava solo odiose e quella Molly o come diavolo si chiamava, era la peggiore di tutte. Non che fosse brutta, in effetti era ingroppabile, ma aveva quella faccia da martire che nemmeno Gesù Cristo in croce! Io c’ero, John, quella volta. Già avevo i voti e mi fu concesso di uscire per poter assistere alle celebrazioni per il matrimonio, su spinta di Mycroft, il quale ritenne che la mia presenza fosse fondamentale affinché le cose andassero a buon fine. Oh, Molly era tutta eccitata e le bastò davvero poco per innamorarsi di Sherlock, anche se credo tu possa capirla. Però, Cristo Santo… lui la odiava! Al pensiero rido ancora adesso: cambiava stanza quando lei entrava e fuggiva se la incrociava nei corridoi. Oh, dolcezza, non mi ero mai divertito tanto in tutta la vita. Comunque, successe proprio quel giorno, che la nostra esistenza cambiò radicalmente. La sera prima della cerimonia di nozze diedero una grande festa, il giovane rampollo degli Holmes sarebbe stato presentato alla società a fianco della sua fidanzata ufficiale. Il guaio, non certo per noi, fu che non ci arrivammo mai. Sherlock venne da me poco prima dell’inizio dei festeggiamenti e mi disse che voleva fuggire, che aveva pronte le bisacce, il violino e due cavalli, uno per me e uno per lui. Voleva andare via dall’Inghilterra e mi disse ci pensava da anni, che sapeva bene cosa fare, dove andare e come per nascondersi. Disse che quella era la migliore delle occasioni e che per vivere la vita che volevamo, non avremmo avuto altre opportunità. Aveva intenzione di diventare un pirata, come Barbarossa di cui aveva sentito narrare le gesta. Lui voleva solcare i sette mari, depredare le navi e andare alla ricerca di tesori perduti, ma che non si sarebbe mosso da lì senza di me. Disse che non valeva la pena, se io non ero al suo fianco.»

«E tu che hai fatto?»

«Dolcezza, guardati attorno» sbuffò Victor, divertito e ridendo sguaiatamente. «L’ho seguito, ovviamente. Quale prospettiva credi che per me fosse la migliore? Avevamo tutti contro, e lo sapevo. Poco denaro e ancor meno fortuna, ma andai con lui perché di nessuno mi fiderei così tanto, come mi fido di Sherlock Holmes. Andammo in Francia, tanto per cominciare e da lì in avanti incontrammo uno a uno tutti gli uomini che oggi sono su la Norbury. Io mi fermai a Parigi per qualche mese, e fu lì che venni quasi evirato dal conte de Roux. Inizialmente il mio scopo era quello di seminare il tenente Lestrade, che ci stava alle calcagna da che avevamo lasciato Londra (e che suo fratello aveva assoldato per inseguirci) mentre Sherlock andava in Spagna con Angelo e Donovan, per rubare un galeone. Loro ci riuscirono, a me per poco non tagliarono le palle… beh, il resto lo sai già» concluse, roteando una mano con fare annoiato mentre emetteva un sonoro sospiro.

Al termine di quel lungo monologo, John rimase sinceramente inerte per una manciata di istanti, che passò fissando il vuoto davanti a sé. Erano davvero troppe le informazioni che aveva ricevuto e poi snocciolate così, una di fila all’altra, non lo aiutarono a respirare adeguatamente. Quando ebbe ripreso coscienza, evitò di chiedere di Lestrade, del fatto che fosse un tenente e che qualcuno lo aveva a suo tempo assoldato per seguire un giovane nobile e il suo amico prete, scappati entrambi da una festa di matrimonio. Sull’argomento “Greg” sarebbe senz’altro tornato in un secondo momento. La verità era che adesso non riusciva a non pensare alla storia appena sentita, un racconto quasi epico della vita di due uomini che avevano fatto di ciò che erano, della loro forza e intelligenza l’arma migliore. A rifletterci bene, ora molte cose del rapporto che legava Sherlock e Victor erano diventate più chiare, l’intimità che c’era fra loro e quel senso di comunione molto spiccato, lo avevano colpito fin dal primo momento. Sherlock stesso aveva negato che fossero amanti, ma aveva parlato comunque di amore. Che intendesse quello? Che tra di loro ci fosse una fratellanza talmente forte e solida, da essere quasi una sola persona? Un’amicizia tale che non potessero vivere senza l’altro? Avevano avuto tutta la vita per conoscersi, per amarsi e odiarsi e il rapporto che avevano oggi era del tutto indefinibile. Era chiaro che si trattava di un sentimento profondo e molto più forte di quello che lui stesso aveva mai avuto con sua sorella Harrieth, o con chiunque altro.

«Sarò diretto» se ne uscì John a un certo punto. «Perché sì, sono più che interessato a lui e c’è una cosa che non ho ancora capito, siete mai stati amanti? Lo siete tuttora? Perché te lo devo dire, questa è la sola cosa che di voi due non ho capito. Ho fatto la stessa domanda al tuo capitano e lui ha tenuto a precisare che non andate a letto insieme.»
«Perché è così. Non c’è mai stato quel tipo di rapporto fra noi. Sherlock… lui è come, è come una parte di me stesso. Non credo che potremmo mai definirci due fratelli, la nostra concezione di “fratello” è Mycroft e magari è proprio questo il problema. Ma se penso alla prospettiva di andare a letto con lui, rabbrividisco. Quindi sì, stai sereno, dolcezza. Io ti do la mia benedizione e sarò disposto a offrirti i miei consigli per conquistare il suo cuore. Riaccendi la fiamma di quella candela, e ti sarò debitore per la vita. Vai, dolcezza e che Dio sia con te.» Detto questo, Victor si levò da dove stava e, sebbene claudicante, scomparve nel corridoio. Senza pensarci oltre, John si alzò con uno scatto e, recuperato il proprio diario, iniziò a scrivere.
 


 
Continua
 
 

 

Note storiche:
-
Quel che Victor dice riguardo a Sherlock e al suo essere magrolino e minuto viene da una cosa che ho visto a Voyager (sì, il programma di Giacobbo! XD) e che ho ritenuto di poter adattare, anche se in parte. Molti bambini di famiglie nobili soffrivano di rachitismo e tanti ne morivano perché (tra le altre cose) venivano tenuti dentro casa e mai fatti uscire alla luce del sole.
-Gli strumenti che cita John sono: clavicembalo, flauto, liuto e tiorba e sono tutti strumenti del periodo rinascimentale e barocco. Il violino esisteva già nel 1600, fu inventato alla fine del ‘500 da Andrea Amati.
-Ho pensato per tre giorni al realismo della musica suonata da Mary Therese Wilkinson. John dice che suona brani del ‘500, ma essendo questa la metà del ‘600 potrebbe sembrare irrealistico, dato che con “rinascimentale” si intende quel periodo che va dalla metà del 1400 fino al primo decennio del seicento. Con l’arrivo di compositori come Claudio Monteverdi, si ha un passaggio alla musica del primo barocco (siamo comunque lontani ancora dai vari Bach e Vivaldi) e a un’evidente cambio di stile, che poi crescerà trovando il suo picco nel primo ‘700. Ho fatto comunque questa scelta perché le novità in campo musicale all’epoca erano all’avanguardia nelle corti reali, dove c’era il maestro di corte o nelle chiese, in cui c’era il “mastro di cappella”. La diffusione delle novità musicali non era immediata come oggi, pertanto ho creduto che in una famiglia agiata, ma non nobile e lontana da Londra fosse più realistico essere meno aggiornati. Tutte le informazioni riguardo la musica vengono da me e dagli studi che ho fatto.


Mi dispiace per le note così lunghe, pensare che le ho persino accorciate! Mi spiace per i fan di Molly, ma non posso negare di essermi divertita da morire a darle questa parte. Nulla, volevo ringraziare chi sta ancora seguendo questa storia e coloro che recensiscono. Alla fine, John comincia a scrivere il diario, cosa che avevo previsto già da alcuni capitoli. A questo proposito, sto avendo la mezza idea di creare una raccolta di scritti tratti da quel diario, che andrebbero in una raccolta a parte, ma ci sto ancora pesando e non ho ancora preso una decisione.
Koa
   
 
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