Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    03/05/2017    5 recensioni
Il Gaiking, il Drago Spaziale e il loro equipaggio vagamente multietnico, erano i protagonisti di un anime degli anni settanta che guardavo da ragazzina. Ho leggermente (okay, molto più che leggermente...) adattato la trama alle mie esigenze, con momenti ispirati ad alcuni episodi e altri partoriti dai miei deliri. E' una storia d'amore con incursioni nell'avventura. Una ragazza italiana entra a far parte dell'equipaggio e darà filo da torcere allo scontroso capitano Richardson, pilota del Drago Spaziale. Prendetela com'è, con tutte le incongruenze e assurdità tipiche dei robottoni, e sappiate che io amo dialoghi, aforismi, schermaglie verbali e sono romantica da fare schifo. Tra dramma, azione e commedia, mi piace anche tirarla moooolto per le lunghe. Lettore avvisato...
Il rating arancione è per stare dal canto del sicuro per alcune tematiche trattate e perché la mia protagonista è un po' colorita nell'esprimersi, ed è assolutamente meno seria di come potrebbe apparire dal prologo.
Potete leggerla tranquillamente come una storia originale :)
Con FANART: mie e di Morghana
Nel 2022/23 la storia è stata revisionata e corretta, con aggiunta di nuove fanart; il capitolo 19 è stato spezzato in due capitoli che risultano così (secondo me) più arricchiti e chiari
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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~ 27 ~ 
PIUTTOSTO CHE AMMETTERLO…
 
 
Quando Pete riprese i sensi, era immerso nella penombra di una stanza che non era l'infermeria del Drago: era a terra, nella clinica annessa alla struttura del Centro. La luce che filtrava dalle strisce della tapparella abbassata lo informò che era giorno fatto, forse da un pezzo, ed era comunque sufficiente per ferirgli gli occhi, o meglio, l'occhio: il sinistro. Il destro era bendato e se lo sentiva gonfio, con la pelle che tirava sul sopracciglio; sicuramente gli avevano dato un paio di punti.
Quanto al braccio sinistro, era coperto da una medicazione piuttosto estesa che tamponava lo squarcio e immobilizzato da un semplice tutore di tela, ma sentiva la ferita bruciare e altri punti tirare: di certo più di un paio; non osò pensare a quanti potessero essere. I medici dovevano avergli dato una ripulita, poiché indossava una t-shirt bianca e un paio di calzoni da tuta grigi, di cotone leggero. Si accorse che faticava a muovere anche il braccio destro e, girando appena la testa, vide il trespolo di acciaio con appesa un grossa sacca di plastica, contenente del liquido trasparente, e il tubicino che da essa finiva sotto a un cerotto applicato nella parte interna dell'avambraccio.
"Meraviglioso, una flebo" si disse scocciato.
Poi si rincuorò pensando che, almeno, non gli stavano facendo una trasfusione di sangue: in fin dei conti, sembrava solo soluzione fisiologica, probabilmente con l'aggiunta di una buona dose di antibiotici e analgesici. Ma quanto aveva dormito? Per quel che capiva, avrebbero potuto essere due ore come venti: aveva completamente perso la cognizione del tempo. Gli faceva male la testa… si sentiva suonato come… come diceva, Briz? Come una canzone di Michael Jackson.
Richiuse l’occhio; l'unica cosa che la sua mente gli mostrò fu la ragazza svenuta tra le sue braccia, pallida da far paura, con il rivoletto scarlatto che le colava dal naso, la ciocca di capelli candidi e la canottiera turchese chiazzata dal sangue di entrambi.
– Briz… – disse con la voce bassa, resa rauca dalla gola secca e infiammata.
– Vuoi smetterla di preoccuparti per Briz, ridotto come sei? – disse la voce di qualcuno, che emerse dalla penombra, facendosi più vicino: Bunta. Accanto a lui c'era il dottor Daimonji.
– Ehi, Capitano Richardson – gli disse sommessamente lo scienziato – Hai preso una bella batosta, stavolta: il dottor Watanabe ha detto che hai rasentato il rischio di una trasfusione, ma per fortuna sei giovane e forte.
Pete deglutì faticosamente, sentendo la gola bruciare, e chiese di nuovo:
– Dov'è Briz?
– È a pochi metri da qui, nell'altra stanza.
– Come sta? Mi ha salvato la vita, Doc! Voglio vederla!
– Ma vi siete messi d'accordo? Sono praticamente le stesse parole che ha detto lei di te, quando ha ripreso i sensi. No, non puoi vederla, non dovete muovervi, per ora. Ma in definitiva, credo che stia meglio di te.
– Ma allora… Voglio dire, le ferite, la connessione, il sangue dal naso e… qu-quei capelli bianchi…? Mi è letteralmente crollata tra le braccia!
– Beh, – intervenne Bunta, cercando di alleggerire la tensione che avvertiva nell'amico – a te è andata meglio: a me sei crollato tu, fra le braccia! E per quanto l'universo femminile ti possa considerare un bell'esemplare, ti assicuro che io ne avrei fatto a meno: non sei esattamente il mio tipo, e sei pure pesante!
A Pete sfuggì un sorriso debole e tirato: se Bunta scherzava, era ovvio che Briz stesse meglio.
– Cosa le è successo, Doc? – gli chiese, tentando di mettersi seduto; Bunta lo aiutò a sollevarsi e gli mise un paio di cuscini dietro la schiena, prima di porgergli un bicchiere d’acqua che alleviò la sua gola riarsa.
– Beh, anche lei ha perso parecchio sangue, anche se non quanto te. Ci sto studiando sopra, ma ho bisogno che mi dica di più: appena starà meglio, ne parleremo. Briz ha deciso che, a questo punto, anche gli altri sappiano cosa le accade, di preciso, quando si connette con Balthazar.
– Io… non avrei mai immaginato niente di simile, credevo che cose del genere succedessero solo nei film. È… pazzesco… come quasi tutto quello che la riguarda… – concluse Pete, quasi parlando a sé stesso.
– Ora smetti di preoccuparti per Briz, te l'ho detto: sta abbastanza bene, è solo molto debole per la perdita di sangue e lo stress che il suo fisico ha subito. Adesso vorrei che tutti e due provaste a riposare ancora un po', Toshiro ha detto che ve ne starete qui in osservazione almeno qualche giorno. Tra te e lei, avete addosso un sacco di punti di sutura e pure un trauma cranico ciascuno: il tuo in particolare non è stato da poco; e avete in circolo tanti di quei sedativi, da dormire una settimana.
– A me sembra già di aver dormito due giorni, però ammetto che mi sento ancora molto intontito. Se me lo ordina lei, Doc, ci proverò – si arrese Pete, non troppo convinto, ma comunque tranquillizzato sulle condizioni di Briz.
– Bravo ragazzo; e, per la cronaca, sono solo quattro ore che siete ricoverati qui. Toshiro tornerà più tardi a visitarti.
Pete annuì, chiudendo l’occhio, e Doc e Bunta uscirono silenziosamente. Solo quattro ore… era mattino inoltrato, dunque erano stati via tutta la notte? Gli salì un risolino nervoso. Cavoli, Briz aveva ragione: il tempo passava in fretta, quando ti divertivi!
“Oh, al diavolo, sto cominciando a ragionare come lei!” si disse.
Mollò un sospirone di sollievo, ripensando al fatto che, tutto sommato, la ragazza stesse abbastanza bene. Ma dormire era assolutamente fuori discussione, se prima non fosse riuscito, in qualche modo, a comunicare con lei. E a quel punto gli sovvenne, di colpo, che lui era senza auricolare: glielo avevano preso gli zelani, e, indubbiamente, anche a Briz era stato tolto quando era giunta in infermeria. Quanto al suo cellulare… merda! L'aveva perso sulla spiaggia, quando i pennuti lo avevano aggredito: era sicuramente andato perduto, sepolto chissà dove.
La porta si riaprì piano, e la voce indecisa di Sanshiro interruppe i suoi pensieri; alle sue spalle c'era Sakon.
– Pete, possiamo entrare? Come stai?
– Un po' meglio, grazie, entrate pure. Avete visto Briz?
– Sì – rispose Sakon – È di là, che dice di non volerne sapere di dormire, se prima non parla con te; solo che siete tutti e due senza auricolare e…
– …e il mio cellulare è andato a puttane – brontolò Pete.
– Infatti. Vuoi parlare con lei? – gli chiese Sanshiro.
– Secondo te, sapientone? – gli rispose brusco.
– Tu sei proprio fantastico, sai? Riesci a essere indisponente e antipatico anche quando sei mezzo schiantato! Tieni – disse Sanshiro, allungandogli il suo braccialetto – Midori ha prestato a Briz il ciondolo che le ho regalato: potete tenerli, finché i medici non vi daranno il permesso di alzarvi.
Pete guardò sorpreso l'oggetto d'argento e lo prese, sentendosi un emerito imbecille.
– Grazie… e scusami, se a volte sono così scorbutico. Sei un amico, davvero.
– Sarebbe anche ora, che te ne accorgessi! Ma non fa niente, lo so che sei preoccupato per lei. Avanti, chiamala.
Pete schiacciò la piccola pietra azzurra incastonata nel braccialetto; la voce di Briz rispose quasi subito dalla microtrasmittente.
– Pete! Come stai?
– Per dirla con parole tue, rincoglionito. Come stai tu, piuttosto!
– Mmm… così… come te; mi sembra di aver preso un mucchio di botte.
– Che, così a occhio, è proprio quello che ci è successo, direi. Sei sola?
– No, ci sono Midori e Jamilah, qui con me: il consiglio femminile al gran completo. Pete, non darti pensiero per me, ti prego: va tutto bene, credimi. Solo, senti… la prossima volta che, per qualche strano motivo, avrai voglia di invitarmi a fare una passeggiata al chiaro di luna… avvertimi prima, sulle possibili conseguenze: magari ci penserò su.
Nel sentir parlare di passeggiata al chiaro di luna, Sanshiro e Sakon si guardarono stupiti; nella stanza di Briz, Midori e Jami fecero lo stesso, ma loro due nemmeno se ne accorsero.
– È stata la mia fortuna, averti chiamata dalla spiaggia e che tu abbia visto tutto dalla telecamera, decidendo cosa fare senza pensarci troppo. Evidentemente, a volte, seguire l'istinto ha i suoi vantaggi: mi hai salvato la vita, Briz.
– Sì, capirai che gran salvataggio, ne sei uscito più massacrato di me! Posso dire la stessa cosa a te: ti sei beccato quel raggio tagliente nel braccio perché non mi arrivasse dritto in faccia… e poteva andarti persino peggio: pensi che potrò mai dimenticarlo? È già la seconda volta che tu, salvi la pelle a me.
– Anche tu, allora: la prima è stata quando sei riuscita a svegliarmi dall'ipnosi coi tuoi metodi… alternativi.
Sakon e Sanshiro, a quel punto, fecero per andarsene, poiché sembrò loro che il dialogo tra i due stesse assumendo un tono molto personale, ma un’occhiata di Pete fece loro capire che potevano rimanere e così Sanshiro si sedette sulla sedia, e Sakon rimase in piedi di fronte a lui, appoggiato alla ringhiera ai piedi del letto, ascoltando la conversazione che riprese una piega leggera.
– Ah, bello… lo hai fatto perché me lo dovevi? – ridacchiò Briz.
– Anche, ma non solo: chi mi avrebbe portato fuori di lì e combattuto con Balthazar, se tu fossi morta? – ribatté Pete sullo stesso tono.
– Dunque è per questo che ti sei fatto maciullare, eh? Me lo ricorderò! – disse Briz, proseguendo lo scherzo. Poi divenne più seria: – Ogni  volta che chiudo gli occhi, vedo del sangue. Dappertutto, a schizzi, a secchiate…
– Anch’io, ora che ci penso… Ne abbiamo lasciato davvero tanto, sulla nave di Zhora, e nella carlinga e nell’ascensore di Balthazar…
– Ah, davvero, guarda… sembrava che avessero scannato il porco!
– Ecco, hai reso l'idea, come sempre – rispose Pete, divertito.
Sanshiro e Sakon da una parte, e Midori e Jami dall'altra, ridacchiarono mentre gli altri due tornavano di nuovo più seri, anche se solo per un attimo.
– Vorrei vederti – disse Pete, a voce bassa – ma me lo hanno proibito… e mi hanno attaccato a una dannata flebo! 
– Anche a me, ma forse stasera me la levano. In ogni caso non sarei un bello spettacolo: sono bianca come una mozzarella e, tra i punti che mi hanno dato al braccio e alla gamba e questi orribili capelli, devo ancora decidere se somiglio di più alla moglie di Frankenstein o a Crudelia DeMon.1 
– Ah-ah! Qui se c'è uno che somiglia a Frankenstein, sono io, con i punti sul sopracciglio.
– Ce ne vuole, per farti somigliare a Frankenstein, biondone! – rise lei.
– Almeno quanto a te per sembrare Crudelia.
A quel punto anche a Sanshiro venne da ridere, e gli altri lo seguirono; sebbene i ragazzi fossero in una stanza e le ragazze nell'altra, si sentirono tutti e sei molto vicini. Pete e Fabrizia si rassicurarono di nuovo sulle loro condizioni e, dopo un altro paio di scambi scherzosi, chiusero il contatto promettendosi di riposare.
– Chi è Zhora? – chiese Sakon, incuriosito.
– Ti prego, lascia perdere; magari lo racconterà Briz, un giorno, quando ci saremo tutti. Conoscendola, saprà rendere la storia interessante e, forse, persino divertente, nonostante tutto.
– Allora, a proposito di Briz: quando ti deciderai a dirglielo, Pete? – gli chiese Sanshiro.
– Dirle cosa?
– Che ti sei preso una cotta devastante per lei.
Il tono del giovane era di un candore totale, come se avesse detto la cosa più ovvia e normale del mondo. Pete lo guardò con un'espressione talmente incredula e con l'occhio sano talmente spalancato, che per poco Sanshiro e Sakon non scoppiarono a ridere.
– Io non mi sono preso un bel niente proprio per nessuno! Ti sembro il tipo? – fu la risposta quasi ringhiata.
Sanshiro, con una vena di sarcasmo, non si diede per vinto.
– Tu non sembri il tipo per un mucchio di cose, poi si scopre che invece lo sei, eccome! Ma andiamo, è perché è la tua migliore amica, che la inviti a passeggiare sulla spiaggia al chiaro di luna?
– Sì, Sanshiro, proprio per questo! Doc ci ha obbligati a lavorarci sopra dei mesi, per arrivarci. Era una bella serata, non ci vedevamo da un po' e volevamo fare due chiacchiere, è proibito? O sei anche tu di quelli che non credono che un uomo e una donna possano essere solo amici? – rispose Pete, chiedendosi perché diavolo si sentisse in dovere di dare all'amico tutte queste spiegazioni.
– Okay, – proseguì Sanshiro imperterrito – quindi è sempre perché siete amici, che nella carlinga di Balthazar, prima di scendere, avete passato un tempo interminabile a limonare come due sedicenni in piena tempesta ormonale!
Il cuore di Pete perse un paio di colpi e credette di aver sentito male; se lo scopo di Sanshiro era stato quello di scioccarlo, c'era perfettamente riuscito. Deglutì rumorosamente, un vero e proprio gulp da fumetto, prima di provare a parlare.
– Ma che co… Che ne sai… Tu… – cominciò tre frasi, non ne finì una.
– Beh, il commento di Briz è stato piuttosto chiaro – fece l'amico – Qualcosa del tipo: "Wow, per avere il cuore di ghiaccio, baci che è uno spettacolo"! 
Questa volta, l'ineffabile Capitano Richardson rimase letteralmente senza parole e lo fissò, bocca aperta e occhio sgranato; quasi come Sakon, che guardò anche lui Sanshiro chiedendosi come potesse sapere una cosa del genere. Sanshiro si portò una mano all'orecchio destro.
– L'auricolare: quello di Briz era ancora acceso. Noi li avevamo spenti tutti, quando siete atterrati dentro al Drago, dopo avervi detto che venivamo a prendervi perché ci sembravate messi maluccio; tranne il mio, per avvertirvi che io e Bunta stavamo arrivando ai piedi di Balthazar ad aspettarvi. E l’ho lasciato acceso perché, arrivati lì, mi sembrava che ci steste mettendo troppo a scendere e temevo ci fosse qualcosa che non andava. Ma poi ho capito che invece… le cose andavano, altroché, se andavano!
Pete avvampò, cosa decisamente inusuale per lui e, incurante della flebo, si portò la mano destra alla fronte, facendola poi scivolare lungo la faccia, con un sospiro quasi comico. Si riprese rapidamente e guardò Sanshiro con il suo solito atteggiamento indifferente, ma l'amico continuò a tormentarlo.
– Fra l'altro mi sono chiesto… Sì, insomma, a me non è mai capitato…
– Non ti è mai capitato cosa, sentiamo! – esclamò Pete, esasperato.
– Di farne svenire una con un bacio! Cosa diavolo fai, tu, alle donne?
Sakon scoppiò a ridere, mentre Pete, rispondendo a Sanshiro, cercava di mantenere un'espressione irritata, senza peraltro riuscirci troppo.
– E tu quanto sei cretino, da uno a dieci? Dodici, tredici? – gli chiese, accorgendosi, suo malgrado, di aver appena usato un’altra battuta di Briz – E comunque, visto che ti sarai spudoratamente ascoltato anche tutto il resto, saprai senz'altro cosa ci siamo detti. Era solo un bacio: un modo come un altro per essere sicuri che fossimo ancora vivi. Fine.
– Sì, vai convinto, Pete, che ci crediamo tutti! Persino Yamatake è  certissimo che tra voi ci sia del tenero!
– Oh, ma sicuro, è risaputo che gli Armadi Quattro Stagioni sono esperti di affari di cuore! – esclamò Pete, sarcastico.
A quel punto intervenne Sakon.
– Facciamo il gioco della verità, Pete: per una volta, sii sincero con noi… e con te stesso.
Pete lo squadrò da sotto in su con l’occhio buono, sollevando il relativo sopracciglio, con un'espressione che era tutta un programma. Il gioco della verità? Alla loro età? Che gli prendeva, a questi due? Che poi, poteva capire Sanshiro, che si divertiva a sfotterlo ogni volta che ne aveva occasione, ma Sakon…?
– Ma da che parte stai tu? Sei diventato l'avvocato del diavolo? – gli chiese.
– In questo caso sì. Credo che Sanshiro abbia ragione, e non solo lui.
– Oh, Dio! Tu quoque, Brute!2 – sospirò Pete, sentendosi un tantino tradito, mentre Sakon proseguiva.
– Bene, ora che hai fatto sfoggio della tua cultura di latino, andiamo avanti. Parlavamo di verità: dimmi qualcosa che ti piace di Briz. Tralasciando l'aspetto fisico, naturalmente, che quello lo sappiamo già che ti piace un botto.
Pete guardò entrambi gli amici e decise di arrendersi, altrimenti non se li sarebbe più tolti di lì. La richiesta di Sakon era fin troppo facile: cosa gli piaceva di Briz? Aveva un mucchio di risposte.
– È coraggiosa e determinata; è dannatamente simpatica: riesce a farmi ridere, e non è poco. È sincera: riesce sempre a dirmi la cosa giusta al momento giusto, bella o brutta che sia… infatti non mi vergogno di confessarvi che mi ha fatto anche piangere, che era persino più difficile. Sa sdrammatizzare ed esorcizzare la paura, trovando qualcosa su cui ridere anche a un passo dallo schiattare, come ci è successo stanotte… Volete sapere altro?
– Sicuro di non aver tralasciato qualcosa? – insistette Sanshiro – Tipo che ha un buon profumo, per dirne una? Perché s’è visto, una volta, quando ti è passata accanto, che hai annusato l’aria. E poi si vede che sorridi con te stesso, quando infila un discorso metà in inglese e metà in italiano, come quando comincia una frase con “Dai, va là”, tanto per dirne un’altra.
– Stai dicendo tutto da solo… e comunque non mi sembrano cose così particolari. Non ho problemi a dire che mi piace anche il suo essere incoerente e casinara. Ve l’ho già detto: a dispetto di come abbiamo cominciato, è diventata la mia migliore amica.
– Facciamo una cosa, allora: dimmi cosa non ti piace di lei. Certamente hai meno da pensarci.
Pete tacque, limitandosi a guardarli irritato e trattenendosi dallo sbuffare.
– Bene – sentenziò Sakon – Credo che quest'ultima risposta stia tutta in un'unica parola: niente. 
Pete distolse lo sguardo e continuò a tacere. Era vero, non riusciva più da parecchio tempo, ormai, a trovare qualcosa di Briz che non gli piacesse; ma non l’avrebbe confessato nemmeno al prete in punto di morte, figurarsi a questi due, che stavano rivelando un insospettabile lato pettegolo, degno di due vecchie comari campagnole!
– Vuoi sapere la mia opinione? – gli chiese Sanshiro a bruciapelo.
– No! – gli rispose l'interpellato in modo deciso – Ma tanto so già che me la dirai lo stesso – concluse rassegnato.
Infatti Sanshiro diede subito il suo lapidario giudizio.
– Sei innamorato perso.
Pete sembrò pronto per sfoderare una delle sue risposte pungenti, ma ci ripensò; quando parlò, il discorso fu alquanto ponderato.
– Adesso mi ascoltate voi due, e aprite bene le orecchie! Briz non è il tipo che s'innamora facilmente, figurarsi di uno come me; è troppo intelligente per fare una stupidaggine del genere. Io men che meno: l’amore è una cosa al di là delle mie capacità e ho ben altro a cui pensare. Posso riconoscere che tra noi ci sia… una certa attrazione fisica: non siamo fatti di legno. Però, Briz non è una ragazza da storie del cavolo! È una persona seria, da quel punto di vista, ha dei buoni princìpi… e le cose tra noi non potranno mai essere diverse da quello che sono ora. Un conto è un bacio dato in un momento di stress emotivo, un altro imbarcarsi in una relazione che sarebbe solo fisica: ho troppo rispetto per lei, per spingermi oltre certi limiti. Volevate la verità: bene, è questa! Spero di essere stato chiaro, perché non voglio tornarci sopra, e che il discorso si chiuda qui, per favore! Cambiando argomento: se c'è una cosa che ho scoperto, stando qui a Omaezaki, è che voi, Dio sa come, siete diventati i migliori amici che io abbia avuto da parecchi anni a questa parte, per cui è giusto che sappiate che ho anch'io un paio d'occhi che ci vedono bene… Beh, insomma, magari non in questo momento – disse sfiorandosi la benda – E comunque, grazie all’amicizia con Briz, mi è tornata in funzione anche un minimo di sensibilità. Sakon, lo so che la storia di Lisa ti ha schiantato, ma sei stato proprio tu a dirmi che ci sono cose, nella vita, che a un certo punto bisogna lasciare andare. Quindi: quand'è che farai un passetto di più con Jamilah, oltre a quel bacetto sulla fronte da fratello maggiore che le hai dato più di due mesi fa? Il rapporto tra me e Briz sarà pure complicato, ma oserei dire che, sotto certi aspetti, tu e Jami siate decisamente più indietro di noi… ed è un peccato, perché voi due, al confronto, avreste certamente più possibilità. Quanto a te, Comandante Tsuwabaki… Beh, probabilmente tu e Midori siete invece parecchio più avanti… O forse no, perché non ci vuole un pozzo di scienza per capire che c'è qualcosa che non quadra, tra voi; non so cosa sia, ma non pretendo di saperlo, a meno che non siate tu, o lei, a volermene parlare. In definitiva… direi che avete una camionata di cavoli vostri da farvi! Ergo, non vi sognate di venire a dare a me consigli sui sentimenti, finché non avrete concluso qualcosa di decente con le vostre donne! E adesso sparite, tutti e due! Probabilmente Doc ha ragione, quando dice che devo starmene tranquillo – concluse, tentando maldestramente di liberarsi di uno dei cuscini; Sakon lo aiutò a trovare una posizione più comoda.
Lui e Sanshiro lo avevano ascoltato in silenzio, un po' stupiti di scoprire che Pete li considerasse i suoi migliori amici, e anche che avesse capito così tante cose di loro e delle ragazze. Decisamente il loro capitano, e sicuramente, ora, anche amico, vedeva e comprendeva più cose di quanto mostrasse. Però cominciava ad accusare la stanchezza, non era il caso di infierire oltre, con lui.
Prima di uscire, tuttavia, Sanshiro non riuscì a resistere dal dirgli un altro paio di cose.
– Sul fatto che Briz sia una ragazza seria, non se ne discute nemmeno; e chissà, forse è vero che non è una che si innamora. Però ti vuole bene.
– Lo so: Briz vuole bene a tutti, è troppo buona. Avrebbe offerto una via di uscita anche alla nostra ultima nemica… Un altro aspetto di lei che mi piace, sei contento?
– Pete! Ascolta quel che ti dico e stampatelo bene nella mente, perché stavolta son serio: Fabrizia Cuordileone è la cosa migliore che potesse mai capitarti, l'unica che potrebbe dare un po' di senso a quel casino che è la tua vita! Cerca di non essere tanto stronzo da farla soffrire!
Si interruppe qualche secondo, poi, con la mano già sulla maniglia della porta e a voce più bassa, concluse: – O tanto coglione da fartela scappare.
Pete riuscì solo a concedergli un’occhiata pensosa; Sanshiro fece altrettanto e, con un mezzo sorriso, se ne andò, soddisfatto, per una volta, di aver avuto l'ultima parola con lui, su qualcosa di serio.
Pete si ritrovò a guardare la porta chiusa.
Però! Se i veri amici erano quelli che si dicevano in faccia anche le cose difficili… allora, loro tre, lo erano diventati sicuramente.
 
* * *
 
A Fabrizia sembrò di rinascere, quando l'infermiera – una donnona buona e simpatica, ma bruttina e, alla necessità, severissima – intorno alle dieci di sera le tolse la flebo e le permise di alzarsi, aiutandola per andare in bagno e darsi una rinfrescata. Si era risollevata molto, parlando con Pete, quella mattina: anche se lo aveva sentito lievemente intontito, era contenta di sapere che se la sarebbe cavata senza troppi problemi. Ma, nel pomeriggio, le amiche erano tornate a farle compagnia per un po’ e, a un certo punto, la conversazione aveva preso una piega che non le era piaciuta affatto.
Midori e Jami le avevano detto che, in tarda mattinata, quando l’avevano salutata per lasciarla riposare, passando davanti alla stanza di Pete avevano sentito Sanshiro che raccontava di sapere ciò che era accaduto tra loro nella carlinga di Balthazar.
Briz era stata così costretta a dare alle amiche spiegazioni e giustificazioni, chiedendosi perché si sentisse in dovere di farlo, poi! Jami e Dori avevano fatto le loro belle insinuazioni e tratto le loro conclusioni, sul fatto che fosse totalmente inutile continuare a negare di essere innamorata del loro bel Capitano, e piacevolezze del genere. E niente, alla fine, se aveva voluto pace, aveva dovuto letteralmente cacciarle via tirando loro dietro un cuscino, non prima di aver fatto loro una lunga filippica sul fatto di quanto fosse del tutto fuori luogo che si sentissero in diritto di darle consigli sulla sua vita sentimentale, quando loro stesse erano nel delirio più totale quando si trattava degli uomini di cui loro erano innamorate! Che tornassero su questo argomento, con lei, quando avessero risolto i loro, di casini! Oh, insomma, ma tu guarda le amiche quanto potevano diventare pettegole, a volte!
Quando l’infermiera se ne fu andata, con cautela si alzò di nuovo dal letto e si diresse allo specchio del piccolo bagno: aveva ripreso un po' di colore, e riposare tutto il resto del pomeriggio le aveva ridato un aspetto… beh, non radioso, questo era certo; diciamo accettabile, anche se a momenti si sentiva ancora molto stordita, stanchissima e assonnata. Si ripromise di tornare a dormire dopo poco, ma prima voleva assolutamente fare una cosa.
Aprì piano la porta e, a piedi nudi, uscì in corridoio, zoppicando rasente al muro; cavoli, se tiravano i punti alla coscia! L'infermiera e la dottoressa Mori parlavano sottovoce nell’ambulatorio, le sentiva. Quatta e sinuosa come un gatto, almeno quanto glielo permetteva l’andatura claudicante, aprì la porta della stanza di Pete, entrò e se la riaccostò piano alle spalle.
Pete, ancora mezzo appisolato, si era appena accorto, con sollievo, che l'infermiera gli aveva rimosso la flebo mentre dormiva: non se ne era nemmeno reso conto! Non ricordava di aver mai dormito tanto, e così profondamente, in vita sua; i sedativi che gli avevano somministrato dovevano essere stati calcolati per Yamatake, non per lui.
Sentì la porta aprirsi e intravide una sagoma silenziosa intrufolarsi nella stanza. La scena gli ricordò quella della notte precedente, quando era prigioniero sull'astronave di Zhora e aveva riconosciuto Briz dal laccetto rosa fluo dell'anfibio: un'ombra tra le ombre, come stavolta, ma ora il segno distintivo fu la ciocca di capelli che, anche nella semioscurità, risaltava bianchissima.
Il giovane si sollevò, senza staccare lo sguardo da lei, mettendosi seduto; fu soddisfatto di esserci riuscito senza troppo sforzo, nonostante il braccio sinistro immobilizzato. Briz si avvicinò e gli sorrise; senza aspettare un invito si sedette, non sulla sedia, ma sul letto, in modo da poterlo guardare in faccia.
– Ciao, Frankenstein – gli sussurrò, sollevandogli i capelli dalla fronte con una carezza, per osservargli il volto che, attorno all'occhio bendato, era livido e un po' gonfio.
– Ciao, Crudelia – rispose lui allo stesso modo, sfiorando il ciuffo color della neve e notando il pigiama leggero che indossava, con stampati disegnini infantili: orsetti, così a occhio e croce.
– Che ci fai qui, a quest'ora? – le chiese, stupito.
– Ma che domande mi fai? Sei stato tu, stamattina, a dire che volevi vedermi.
– Sì, è vero, ma se la dottoressa Mori ti becca qui, ci sgrida tutti e due; per non parlare dell'infermiera, che è un incrocio tra un velociraptor e un ippopotamo con i baffi.
– Uh, paura, mi fanno! Dopo Zhora, credi che mi potrebbero spaventare loro? Però hai ragione, volevo solo vederti. Adesso ho appurato che stai abbastanza bene, non voglio farti stancare e sto per crollare di nuovo anch'io. Cinque minuti e me ne torno nella mia stanza – disse Briz trattenendo a fatica uno sbadiglio.
– Okay, ma facciamo cinque minuti lunghi? Ti prego – le disse Pete,  con un tono fintamente lamentoso che la fece ridere sommessamente.
– Urca, Capitan Richardson che mi prega… ma quando mi ricapita? Si vede che sei sotto sedativi, eh?
A Pete sfuggì un sorriso, mentre si riappoggiava all'indietro contro i cuscini; Briz si lasciò attirare verso di lui, che le passò il braccio destro attorno alle spalle. Cercando una posizione che non desse noia alle loro ferite, Briz si distese accanto a lui, gli appoggiò una guancia e una mano sul petto e chiuse gli occhi.
– Stai comoda?
– Una meraviglia.
– I nostri amici vogliono metterci insieme a tutti i costi, lo sai? – le disse Pete, con voce assonnata ma divertita, come se fosse l'eresia del secolo; anche lui teneva gli occhi chiusi e parlava sottovoce.
– E se chiunque di loro entrasse adesso, e ci trovasse così, che altro potrebbe pensare? – ridacchiò lei.
– Anche questo è vero… E in più, Sanshiro e Sakon sanno anche che io e te, nella carlinga…
– Shh, – lo interruppe lei – notizia già vecchia: anche Midori e Jamilah lo sanno.
– Ah, ma fantastico, Sanshiro ha fatto un ottimo lavoro, ha scatenato il Gossip del Drago Spaziale! Tanto valeva scriverlo sui muri: “Richardson e Cuordileone pescati a pomiciare senza ritegno”.
– Se ci fossimo presi a parolacce, forse avremmo destato meno stupore – commentò Fabrizia lasciandosi sfuggire un'altra lieve risata, senza cambiare posizione – E comunque, chi se ne frega. Te l'ho già detto, non c’è da ricamarci molto sopra: ci siamo solo baciati, non siamo mica andati a letto insieme!
– Davvero? Perché… non so, magari sbaglio… ma mi sembrava proprio che in questo momento tu fossi a letto con me – disse lui, continuando col tono malizioso.
– Stai sempre a guardare le piccolezze, te – sussurrò Briz – Che poi, scusa, se mai dovesse venirci di nuovo voglia, di un bacio fatto come si deve, dove sarebbe il problema? Io non piangerei… – concluse, sentendosi avvolgere da una piacevolissima sensazione di spossatezza.
Si accorse di non riuscire più a sollevare le palpebre e, lentamente, si lasciò sopraffare dal sonno, cullata dal battito assurdamente lento del cuore di Pete, il quale si ritrovò a pensare che era la seconda volta che Briz gli si addormentava tra le braccia. Certo l'altra, quando erano prigionieri degli Zelani nel Sahara, era stata persino più drammatica. Una vocina si fece viva nel suo cervello e lo prese in giro: "Sì, proprio così, sono già due volte, e ti piacerebbe un bel po' che dormisse tra le tue braccia tutte le notti, e per ben altri motivi!"
Oh, Dio! Si impose di far tacere quel petulante suono.
E ora? Cosa doveva fare con questa piccola pazzoide, che stendeva i nemici a colpi di karate, baciava come un angelo, gli dava praticamente il permesso di rifarlo e gli si intrufolava nel letto per dormire abbracciata a lui? Sanshiro gli aveva detto di non essere tanto stronzo da farla soffrire, né tanto coglione da lasciarsela scappare. Si rese conto che quell'ultimatum, lanciatogli dall'amico, era come un serpente che si mordeva la coda: non aveva soluzione. Non farsela scappare avrebbe implicato una storia seria tra di loro, che l’avrebbe fatta sicuramente soffrire. No, lei aveva già dato, e di certo meritava di meglio: Fabrizia Cuordileone era troppo, per un bastardo problematico come lui.
Restava l'altra alternativa, quella di passare per coglione, che lui preferiva di gran lunga: meglio rinunciare a lei piuttosto che rischiare di farle del male.
E il fatto che fosse pronto a far questo, significava, ormai senza scampo, che doveva arrendersi alla realtà. I suoi amici avevano ragione: innamorato perso era l’unica definizione che si avvicinasse a quel che provava per questa ragazza, che si era quasi fatta uccidere per lui e per la quale era andato vicino a fare la stessa cosa.
Non sapeva quale fosse stato, il momento preciso in cui si era  innamorato di Briz, ma una cosa era certa: era stato molto, ma molto prima, di quel momento. Probabilmente era accaduto in riva al laghetto, quando aveva pianto tra le sue braccia; no, era stato prima, nella cella zelana; o forse quando avevano cantato insieme a capodanno… o quando l’aveva salvata dalla base nemica prendendo Balthazar tra i denti del Drago… Oh, basta! La verità era che si era innamorato di lei almeno una decina volte, o forse anche un centinaio… E se avesse continuato a pensarci, e ad andare a ritroso nel tempo, avrebbe finito per concludere che si era innamorato il giorno in cui aveva incontrato il suo sguardo la prima volta, poco più di un anno addietro.   
Sospirò, stringendola a sé e sfiorandole la fronte con le labbra.
 
Briz-Pete-ospedale
 

"E va bene, bestiolina selvatica: sei riuscita a fondermi il cuore e a farmi perdere la testa… ma piuttosto che ammetterlo con qualcuno, mi faccio impiccare!"
Con quest'ultima ammissione che gli frullava nella mente, anche il Capitano Richardson finì per sprofondare in un sonno pesante, senza per questo mollare la stretta attorno al corpo morbido e caldo di Briz. Almeno, nei sogni, poteva illudersi che fosse davvero la sua fanciullina.
Fu solo diverse ore più tardi, che Briz si sciolse pian piano dall'abbraccio di Pete, stando attenta a non svegliarlo. Accidenti, erano ormai le cinque del mattino! Doveva andarsene, se non voleva venire sorpresa lì da Mrs. Velociraptor, l’infermiera.
Si soffermò un attimo a guardare il ragazzo, alla tenue luce che filtrava dal vetro sopra alla porta: così fasciato e pallido appariva totalmente vulnerabile, sembrava persino più giovane. Si era fatto massacrare per salvarle la pelle… ma non sarebbe mai potuto essere l'uomo della sua vita: lui meritava di meglio. Pete Richardson era troppo, per una pazza incasinata come lei!
Gli accarezzò lievemente una guancia con la punta delle dita, e si chinò a lasciargli un bacio leggero sulle labbra, avvertendo il sapore del disinfettante.
Mentre si sollevava e se ne andava, silenziosa come era arrivata, pensò rassegnata:
"Ti amo, Richardson… Ma piuttosto che ammetterlo con qualcuno, mi faccio ghigliottinare!"
 
> Continua…
 
 
Note:
1 Frankenstein lo sapete tutti chi è, vero? Il mostro di Mary Shelley. Crudelia DeMon, invece, è la cattiva della Carica dei 101 di W. Disney, che aveva i capelli metà neri e metà bianchi. Precisazioni superflue, suppongo.
 
Tu quoque Brute: non credo sia necessaria nemmeno questa, di precisazione, ma per andar sul sicuro… Significa Anche tu, Bruto, ed è una frase attribuita a Giulio Cesare, quando vide suo figlio adottivo Bruto tra i congiurati che lo stavano uccidendo.
 

 
E va bene... cappio e ghigliottina per  'sti due zucconi... 
Ma ditemi voi, io che responsabilità ho? È colpa mia se ‘ste due capocce dure non collaborano e prendono decisioni in autonomia senza consultarmi? Io in un letto insieme ce li ho messi, che altro potevo fare, più di così? (Va be’ giustiziate anche a me, a questo punto… ma con un fucile, che è più veloce).

Vi lascio con un pensiero letto su un foglio attaccato all’armadio di mia figlia, che non so a chi appartenga, (non a me) e che un po’ mi ricorda il taglio di questa storia.

 
“La gente guarda il fisico, io guardo gli occhi.
La gente vuole baciarsi, io voglio abbracci.
La gente pensa al sesso, io penso a dormire insieme.
La gente crede alle promesse, io credo nel tenersi per mano.”

 
  
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