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Autore: Rosmary    03/05/2017    10 recensioni
(Questa storia partecipa come edita al contest Chi ben comincia è a metà del prologo indetto da BessieB sul forum di EFP)
È il primo Natale dalla fine della seconda guerra magica: un'eredità inaspettata regalerà ai protagonisti un rifugio lontano dagli odori insopportabili della morte, in cui ogni cosa sembra divenire nuova e possibile.
"Hermione delle volte pensava che vi fosse qualcosa di profondamente sbagliato in quel bisogno, ma spaventata allontanava il pensiero da sé all’istante e s’imponeva di dimenticarlo."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Weasley, Fred Weasley, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Fred Weasley/Hermione Granger, Ron/Hermione
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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II
Sapevano di vita, annusavano l’errore


 
Quale fosse e se esistesse la differenza tra giusto e sbagliato, Hermione lo aveva chiesto spesso a se stessa nel corso della sua giovane vita. La prima volta che s’era posta quella domanda aveva undici anni e la professoressa McGranitt era appena andata via da casa Granger: aveva scoperto di avere dei poteri che i suoi genitori non avevano – “sei speciale, Hermione,” le aveva detto quella donna dal cipiglio severo, e lei si era chiesta se essere speciale, diversa da mamma e papà, fosse giusto o sbagliato. L’amicizia con Harry le aveva poi messo dinanzi sin dalla tenera età il dilemma della scelta: giusto o sbagliato infrangere le regole per scovare un assassino, giusto o sbagliato stregare a insaputa di tutti la pergamena dell’Esercito di Silente, giusto o sbagliato modificare la memoria dei propri genitori – tanti, troppi, interrogativi. E malgrado in ogni occasione avesse fatto la sua scelta, il seme del dubbio non l’aveva mai abbandonata completamente.
Da quando la guerra era finita, però, scegliere tra giusto e sbagliato era stato molto più semplice e lei, desiderosa di serenità, aveva messo via la questione. Tuttavia, c’era qualcosa nell’aria festosa e familiare della baita di zia Muriel che in quei giorni aveva costretto Hermione a ricominciare a porsi quella domanda. Il qualcosa era un formicolio alle mani, una morsa allo stomaco, dei peli drizzati, un calore sparso in tutto il corpo… Un insieme di reazioni fisiche ed emotive che s’impadronivano di lei quando una persona le parlava, si avvicinava o la guardava anche solo di sfuggita – giusto o sbagliato? Sbagliato, si diceva, assolutamente sbagliato. Ma quando ripeteva a se stessa sbagliato non poteva fare a meno di tremare all’idea che la sua vita era stata segnata da scelte catalogate dalla morale come sbagliate: sbagliato infrangere le regole per scovare un assassino, sbagliato stregare a insaputa di tutti la pergamena dell’Esercito di Silente, sbagliato modificare la memoria dei propri genitori – eppure, aveva compiuto ognuna di quelle singole azioni, assieme a tante altre reputate egualmente sbagliate. Quando quella consapevolezza s’impadroniva di lei, Hermione fissava il proprio riflesso e in silenzio ammoniva se stessa: no, sbagliato, punto, punto e basta.
 
“Hermione, posso?”
 
La ragazza non fece in tempo a rispondere che Ron entrò nella camera riservata a lei e Ginny, così si limitò a sollevare la testa dal cuscino e a sorridergli. Lui, chiusa la porta alle proprie spalle, raggiunse in poche falcate il letto e temporeggiò in piedi, fissando un po’ Hermione, un po’ il soffitto e un po’ le proprie scarpe.
 
“Puoi sederti, se vuoi,” disse lei, facendogli posto. “O… o sdraiarti…”
 
Le guance arrossate di Hermione rilassarono Ron, che si sentiva meno insicuro all’idea di non essere l’unico nervoso e in imbarazzo in quella stanza. Così le restituì il sorriso e si distese accanto a lei, stringendole una mano nella propria; avrebbe voluto baciarla e stringerla a sé, ma quando erano soli si sentiva sempre impacciato e sperava fosse lei a prendere l’iniziativa, proprio come faceva Lavanda, ma Hermione era più rigida di lui e questo faceva sì che avvicinarsi richiedesse sempre qualche indugio.
 
“Harry e Ginny?” chiese Hermione.
 
“Li ho lasciati soli.”
 
“Hai fatto progressi!”
 
Ron abbozzò un sorriso colpevole. “Non proprio, però... insomma… se neanche mamma e papà si lamentano che si appartino, non posso mettermi a urlare… Poi parliamo di Harry, Harry è il meglio che potesse capitare a Ginny.”
 
“Lo dici solo perché è il tuo migliore amico.”
 
“Beh, sì,” ammise lui. “Ma meglio Harry che un altro. E comunque non sono qui per parlare di Harry e mia sorella.”
 
“No?”
 
Ron scosse il capo, si sollevò di poco dal materasso e si voltò verso di lei, sovrastandola quanto bastava perché potesse arrivare alle sue labbra. Hermione ricambiò il suo bacio e strinse tra le dita della mano destra la stoffa del maglione di lui, invitandolo ad avvicinarsi. Ron, incoraggiato dalla reazione della ragazza, si calò di più su Hermione e smise di temporeggiare, intenzionato a dimostrarle quanto tenesse a lei e soprattutto quanto la desiderasse. 
Dalla fine della guerra ad allora, era stato un continuo riscoprirsi e conoscersi in maniera diversa. Erano stati amici per così tanto tempo che delle volte, in situazioni più intime, un imbarazzo inspiegabile prendeva il sopravvento e scacciava via ogni ombra di romanticismo o passione – come se avessero condiviso troppo per reinventarsi amanti. Hermione, più cerebrale di Ron, diceva a entrambi che fosse solo questione di tempo: tra loro era sempre stato tutto lento e macchinoso, quindi non c’era da stupirsi se anche come coppia erano meno disinibiti di altri. Tuttavia, la verità che Hermione taceva persino a se stessa era che per quanto amasse Ron – lei amava Ron, sul serio – non riusciva a sentirsi attratta sino in fondo da lui. Attrazione, passione, adrenalina erano tutte sensazioni assenti in massa quando baciava il suo fidanzato, e più si stringeva a lui più un campanello d’allarme le intimava di fermarsi – fermarsi perché non provava ciò che avrebbe dovuto provare.
 
“Ron, ci stanno chiamando…”
 
“Ignoriamoli.”
 
“Vuoi che mio padre ti trovi sdraiato su di me?”
 
Ron sgranò gli occhi e arrossì di vergogna al solo pensiero. Svelto si scostò da lei e si alzò in piedi, mentre Hermione faceva altrettanto.
La voce di Jean Granger, proveniente dal piano di sotto, smise di chiamarli solo quando la strega urlò stizzita che di lì a breve avrebbero raggiunto tutti nella sala da pranzo per il cenone. Gli ospiti della defunta zia Muriel, infatti, non avevano dovuto attendere molto il ventiquattro dicembre. Complice il ritardo forzato, il ventitré era volato via tra bagagli da disfare, stanze da ripulire e preparativi di ogni tipo. Hermione e Ginny avevano aiutato Molly in tutte le faccende, mentre a Jean era stato proibito qualsiasi lavoro – “mia cara, tu e tuo marito siete nostri ospiti, non vi permetterò neanche di affatturare uno gnomo!” aveva affermato calorosa la signora Weasley poco dopo l’arrivo alla baita, costringendo Hermione a tradurre in babbanese il monito ai perplessi genitori. Fleur e Bill, con sommo disappunto della famiglia di lui, avevano scelto di trascorrere le vacanze natalizie in Francia – “dopo la guerre non sciamo tornoti dai miei jenitori, mi mancano, William”, e Bill aveva accondisceso. Percy e Charlie, invece, avevano disdetto ogni impegno per raggiungere la famiglia la mattina della Vigilia. Per Hermione era stato un vero toccasana avere tante faccende da sbrigare e molte persone con cui relazionarsi, perché questo aveva ridotto ai minimi storici il tempo libero per riflettere sulla nottata trascorsa in compagnia di Fred, quel Fred che da quando la baita s’era popolata aveva fatto il possibile per ignorare Hermione.
Quando Ron giunse in sala da pranzo assieme alla fidanzata, Scott Granger scoccò un’astiosa occhiata in direzione del giovane Weasley, che tossicchiando s’allontanò da Hermione e corse a prendere posto accanto a Harry, sulla cui “sopravvissuta” testa pendeva lo sguardo minaccioso di Arthur, probabilmente meno tollerante di quanto credesse il figlio nei riguardi di Harry e Ginny appartati.
 
“Buona Vigilia a tutti e soprattutto ai nostri graditi ospiti!” affermò sorridente Molly, stemperando con del buon cibo la contrarietà dei due padri.
 
L’intera serata e una parte della nottata trascorsero in allegria e serenità. Tra vivande e regali, la guerra sembrava così lontana da essere impalpabile. Nessuno, tuttavia, aveva avuto abbastanza coraggio da ricordare a voce alta i caduti, eppure Ginny aveva dovuto raggiungere Harry e stringerlo in un abbraccio lungo minuti quando, allo scoccare della mezzanotte, aveva tirato fuori dalla tasca dei pantaloni una foto regalatagli da Remus che ritraeva Remus stesso, Sirius, James e Lily l’ultimo giorno di scuola – “Minus?” “Peter ha scattato la foto. Aveva un brutto raffreddore quel giorno e non voleva essere fotografato con il naso rosso.” “Posso tenerla?” “Devi tenerla, Harry. È l’unico regalo che posso permettermi, temo.” “È anche il più prezioso. Grazie.”, una conversazione, quella, che sembrava appartenere a un passato più che remoto; Harry aveva fatto di tutto per convincere Andromeda Tonks a trascorrere il Natale con loro, ma la donna aveva rifiutato e, irremovibile, non aveva accondisceso neanche quando il ragazzo le aveva fatto notare che a Teddy sarebbe piaciuto essere circondato da persone.
 
“Sì, zia Muriel aveva buon gusto.”
 
Hermione si voltò di scatto e, colta in flagrante, pensò bene di smettere di fissare quella grossa cornice sul caminetto che custodiva una vecchia foto di Fred e George poco più che undicenni.
 
“Credevo fossi fuori a giocare con la neve,” disse lei.
 
Fred si strinse nelle spalle, dando uno sguardo alla finestra chiusa dalla quale si intravedevano i profili dei fratelli e di Harry. “Non mi andava.”
 
“Come mai?”
 
“Ho freddo. E la tua scusa qual è?”
 
“Chi ti dice che mi occorra una scusa?”
 
“Intuito.”
 
“Ho freddo.”
 
Fred sorrise sghembo e Hermione pensò che sarebbe stato molto saggio uscire e raggiungere Ron oppure andare in cucina e unirsi agli adulti che giocavano a carte babbane, come espressamente richiesto da un Arthur Weasley eccitato come un bambino. Eppure, non fece né l’una né l’altra cosa, anzi temporeggiò lì, in piedi dinanzi al camino del lussuoso salotto di zia Muriel, a pochi passi dal divano dove lei e Fred avevano dormito durante quell’unica notte solitaria. Fu proprio fissando il divano che le tornò alla mente la “caramella della verità” che avevano testato assieme e la confessione ambigua del mago circa una ragazza sbagliata che gli interessava molto – come allora, una morsa che somigliava tanto a gelosia prese ad attanagliarla.
S’accorse con una punta di fastidio che Fred se ne stava zitto e immobile a osservarla, come se studiasse le espressioni del suo volto o, chissà, riuscisse a scovare quelle verità che Hermione negava anche a se stessa.
 
“Come mai non parli più?” chiese allora lei.
 
“Sto riflettendo.”
 
“Su cosa?”
 
“Sui gatti.”
 
“I gatti?”
 
“Precisamente, sul tuo gatto.”
 
“Cosa vuoi fare al povero Grattastinchi?” domandò preoccupata.
 
Fred rise, decidendo di sedersi sul divano. “Io niente, ma quel demonio peloso ha fatto la pipì sulla felpa di George, quindi, a occhio e croce, credo che George lo ammazzerà entro Capodanno!”
 
Hermione si sedette accanto a lui. “Deve solo provarci,” disse cupa e con la fronte aggrottata nel tentativo di apparire minacciosa. Fred rise ancora di più. “Guarda che non scherzo. Se il tuo gemello torce un solo pelo al mio gatto, si ritroverà schiantato!”
 
“Non è così facile schiantare un Weasley, signorina Granger, soprattutto se si tratta dei mitici Fred e George!”
 
Mitici. Come no!”
 
“Giusto! Per te siamo solo fastidiosi, o sbaglio, signorina Granger?!”
 
“Smettila di chiamarmi a quel modo!”
 
“E perché? Le formalità ti piacciono tanto!”
 
“Idiota!” l’apostrofò lei.
 
“Antica!”
 
“Irritante.”
 
“Saccente.”
 
“Bambino.”
 
“Vecchia.”
 
“Troll.”
 
“Gnoma!”
 
Hermione aprì la bocca per ribattere, ma si ritrovò a ridere come una matta. Gnoma aveva una sua originalità, doveva riconoscerlo. Fred la seguì a ruota, ridendo sino a sentire un forte dolore all’addome. Quando entrambi tornarono seri, s’accorsero di essere vicini quanto quella mattina al risveglio e s’accorsero anche che la situazione fosse molto ambigua e fraintendibile. Hermione umettò involontariamente le labbra, mentre le guance arrossate dalle risa mitigavano il rossore figlio dell’imbarazzo. Fred, estraneo alla vergogna, era soggiogato dal senso di colpa per un’attrazione che, lo sapeva bene, non avrebbe dovuto provare neanche nel più sconsiderato degli incubi.
 
“Non riflettevo sul serio sui gatti prima,” ammise lui.
 
“E… e su cosa?”
 
“Su cosa è giusto e cosa è sbagliato.”
 
“E sei arrivato a una conclusione?”
 
“Sì.”
 
“Qual è?”
 
“È che non posso.”
 
C’era frustrazione nella sua voce, e lei non ricordava d’averlo mai sentito intonare le frasi a quel modo. Ma Hermione non fece in tempo a porgli un’altra domanda – a chiedergli se, per caso, quei pensieri funesti riguardassero la misteriosa ragazza – che lui s’alzò con ritrovato buon umore, come se non le avesse confidato nulla, e si diresse verso il guardaroba, l’aprì e tirò fuori due cappotti, uno lo indossò e l’altro lo lanciò in direzione della ragazza, beccandola in pieno viso.
 
“Fred” gemette lei.
 
Lui sogghignò. “Avanti, Granger, vieni a giocare con le palle di neve!”
 
“Tu sei tutto matto. Ho freddo!”
 
“Ah, quante storie!”
 
E senza darle tempo, di nuovo, di parlare, la tirò su dal divano e se la caricò in spalla come un sacco di patate. Hermione, che rideva, per non dargli altra soddisfazione scalciava e mormorava improperi al rapitore, che ridendo a sua volta la ignorava.
Non appena furono fuori, Ron e Harry si piegarono in due dalle risate, mentre George e Charlie raccolsero in fretta e furia tanta neve e presero a colpire il fratello e la rapita, che caddero in terra dopo una manciata di secondi, ridendo fracidi nella neve. Ginny si unì poco dopo a George e Charlie, abbandonando il proposito di infilare altra neve nel maglione del povero Percy, che malediceva se stesso per aver preferito la compagnia dei fratelli a quella degli adulti – “Ma chi me l’ha fatto fare?” ripeteva ogni volta che la neve lo colpiva, ben conscio di essere la vittima prediletta di tutti.
 
“Hai intenzione di levarti di dosso o restiamo qui tutta la notte?”
 
Il tono di Fred, suo malgrado, era malizioso oltre ogni dire. Hermione, che si era ritrovata distesa su di lui nel barcollare e cadere, boccheggiò stupidamente, si scostò da lui e, aiutata da Ron corso in suo soccorso, si rimise in piedi. Fred scoccò un’occhiata infastidita, e involontaria, al fratello minore, come ormai gli capitava sempre più spesso. Non avrebbe saputo dire perché il destino gli avesse tirato un tiro tanto mancino, ma era ben consapevole che dopo la guerra, tra la puzza di sangue e le macerie da ricostruire, aveva conosciuto meglio Hermione e s’era accorto che la studentessa saccente del tempo dell’Esercito di Silente era un ricordo lontano e che al suo posto c’era ormai una donna che conosceva abbastanza la vita da saper ridere quando il caso lo richiedeva e stringere i denti, senza piangere né sbraitare, quando intorno tutto sembrava destinato ad andare in frantumi. L’attrazione era scattata un giorno, senza che lui potesse frenarla, e da allora s’era detto che avrebbe dovuto starle alla larga e indirizzare altrove le proprie attenzioni – lei no, lei è di Ron. Tuttavia, in quei pochi giorni festivi non aveva potuto fare a meno di notare che Hermione non fosse affatto immune a lui, e questo aveva allarmato il lato più istintivo, egoista e folle della sua indole – più i giorni passavano, più tenere a bada quel lato diveniva complicato, troppo. George, che conosceva Fred più di quanto Fred conoscesse se stesso, aveva solo scosso il capo e mormorato un “non puoi”.
Fu con quei pensieri che, schivando un colpo penoso di Percy, l’allegro Fred Weasley annunciò a tutti di avere voglia di una doccia calda e rientrò. Hermione, tra le braccia di Ron, lo fissò finché non scomparve oltre la porta d’ingresso della baita.
 
“Vuoi tirargli una palla di neve a tradimento?” domandò eccitato Ron, fraintendendo lo sguardo della fidanzata.
 
“Non essere sciocco, Ron,” l’ammonì lei, senza avvedersi degli occhi chiari di George che, diversamente da quelli del fratello minore, avevano colto l’interesse eccessivo con cui Hermione aveva osservato Fred andare via.
 
*
 
Girarsi e rigirarsi nel letto era una delle cose che più odiava al mondo, fu per quello che tirò via le coperte, infilò le pantofole e un golfino di lana rossa e uscì dalla camera in punta di piedi per non svegliare Ginny. Erano le cinque del mattino, il sole non s’intravedeva neanche e l’intera baita dormiva da poco meno di un’ora. I signori Weasley e Granger erano andati nelle camere da letto pochi minuti prima dei ragazzi – Molly e Jean più che assonnate e Arthur e Scott intontiti dal vino elfico che tra una chiacchiera e un partita a carte si era volatilizzato dalla bottiglia. Percy, infreddolito e irritato con i fratelli, s’era addormentato sbraitando e con un forte dolore alla schiena; Charlie, che condivideva la camera con lui, aveva incantato le pantofole del fratello cosicché si ghiacciassero non appena indossate ed era andato a dormire beato. Harry, Ron e i gemelli avevano semplicemente chiuso le porte alle loro spalle e si erano infilati nei rispettivi letti.
Quando Hermione raggiunse la cucina, quindi, non si aspettava di trovarvi qualcuno. Eppure, alla timida luce di una candela, la ragazza riconobbe il profilo di Fred. Si fissarono tacendo, lei sull’uscio e lui poggiato alla tavola con una confezione di biscotti tra le mani. Nel silenzio il rintoccare delle lancette dell’orologio era assordante, ma Hermione ringraziò quel rumore molesto che senza saperlo sovrastava il rumore indegno del suo cuore in affanno – era un’adrenalina, quella, che sapeva di paura e di sbagliato.
 
“Non dormi?” chiese lui.
 
“Evidentemente no.”
 
“Neanche io.”
 
“L’avevo notato.”
 
“Simpatica anche in piena notte.”
 
Tecnicamente è pieno giorno,” corresse, alludendo all’orario mattutino. Fred si concesse uno sbadiglio impertinente. “Ti annoio?” domandò scherzosa.
 
“Non immagini quanto, Granger!” rispose scherzando a sua volta. La vide sorridere e ghignò impertinente. “Ma quanto ti diverto?!”
 
“Molto poco, a dire il vero.”
 
“Certo, certo. È per questo che quando sei con me sembri vittima di un ridi-che-ti-passa!”
 
“Un che?”
 
Ridi-che-ti-passa, uno dei Tiri Vispi Weasley di maggior successo! Lo mastichi per due minuti e ridi a crepapelle per un’ora intera!”
 
“Ma è orribile, si soffoca!”
 
“È esilarante!”
 
Hermione portò gli occhi al cielo. “Come no,” considerò sarcastica. “I vostri prodotti dovrebbero essere illegali.”
 
“Hai ragione, Hermione, penso lo stesso anche della mia bellezza!” scherzò, ammiccando in sua direzione.
 
Hermione lo guardò senza dir nulla, schiaffeggiata dalla propria mente, malsana, che aveva concordato con Fred. Non voleva dirlo, eppure lo disse: “Posso chiederti una cosa?”
 
“Dimmi.”
 
Hermione morse le labbra, le schiuse, le serrò di nuovo e ancora le morse. Fred la fissava incuriosito, ma qualcosa gli suggerì di non invogliarla a parlare, così tacque, senza però andare via o smettere di osservarla. Lei avvampò accorgendosi di quello sguardo, ma a sua volta non riuscì ad allontanarsi da lì, ad essere saggia e fuggire via da quella che, ormai a se stessa non poteva negarlo, era un’attrazione nata senza educazione né morale e cresciuta a sua insaputa, tra uno scherzo, una conversazione e un battibecco. Non aveva neanche ben chiaro cosa volesse chiedergli – forse… forse perché era sveglio, oppure chi fosse quella ragazza sbagliata… forse era Fleur… oppure chiedergli… cosa? Non lo ricordava più –, così taceva. E più taceva più si avvicinava. Si ritrovò a un passo da lui senza che l’avesse voluto. Il capo chino e gli occhi scuri fissi sulla confezione di biscotti la facevano somigliare a una sonnambula in trance. Fred, messi via i dolci, le cinse i gomiti con le mani e la obbligò a guardarlo in volto – quel lato istintivo, egoista e folle della sua indole s’era impossessato di ogni centimetro del suo corpo e macchia della sua coscienza.
 
“Cos’è che non puoi?” chiese lei a voce bassa.
 
Lui, a cui la vita aveva offerto in dono poca saggezza e ancor meno autocontrollo, sibilò “Questo,” contro le sue labbra e la baciò come non avrebbe dovuto né potuto fare in nessuna vita che gli fosse appartenuta. E non si stupì affatto quando lei artigliò la stoffa del suo maglione e si strinse a lui, ricambiando un bacio che sapeva di vita, ma puzzava terribilmente d’errore. Gemette contro le labbra di lui quando Fred, usando quel tavolo come appoggio, vi si sedette su trascinando Hermione sulle proprie gambe, costringendola a stringergli i fianchi tra le ginocchia. E fu lui a gemere quando lei, stanca della stoffa del maglione, insinuò le dita sottili al di sotto di quella, sfiorandogli la pelle ghiacciata.
Quando, minuti più tardi, dei passi che percorrevano veloci le scale allarmarono i due ragazzi, il golfino di lei era a terra assieme al maglione di lui. Si allontanarono scambiando un ultimo frettoloso bacio. Hermione uscì dalla cucina con ancora tutti i capelli in disordine e le guance arrossate, George le scoccò un’occhiata di rimprovero prima di fissare muto il gemello che, ancora seduto sul tavolo, aveva la testa tra le mani – sbagliato.
 
 
 


NdA: è trascorso davvero troppo tempo dall'ultimo aggiornamento, né so dire quando arriverà il prossimo. Ma questo capitolo si è scritto da solo e ho voluto pubblicarlo. Mi dispiace avervi lasciato in attesa e mi dispiace non aver risposto ancora alle recensioni, cosa che farò al più presto. Spero che, qualora questa storia abbia ancora un lettore, questo lettore non resti deluso dal secondo capitolo. Un bacio e alla prossima
   
 
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