Ed eccomi ancora una
volta a pubblicare una one-shot.
Non sarei qui se non
fosse per la mia carissima amica
(amica di una vita, ci tengo a precisare!) che, recentemente, è passata al
ruolo di beta personale. Perché sì,
dopo l’investitura ufficiale durante "Il
peso delle nuvole", ha deciso (di sua spontanea
volontà, giuro!) di seguirmi anche in questo insano esperimento. In realtà, per
questo pairing devo ringraziare proprio lei che, un giorno
ad una fiera, mi ha messo la pulce nell’orecchio: ci ho pensato per un po’ e
poi mi sono lasciata totalmente trasportare da questa ship
un po’ insolita nel fandom italiano. Insomma, se non
fosse per lei il testo seguente non esisterebbe.
Quindi, grazie per le correzioni, per le
dritte, per tutta la fatica che hai fatto, per avermi sopportata e per essere
mia amica da così tanti anni che ho smesso di contarli.
E per tutti voi che
leggete, spero sia di vostro gradimento. Ci vediamo in fondo per alcune
precisazioni,
M.
L’ultima luna
“Tornerò da te, fosse l’ultima cosa che faccio”
Sir Leon socchiuse gli
occhi per un attimo, trasse un respiro profondo ed accartocciò la pergamena con
le dita coperte dai guanti di pelle nera. Sentì lo stomaco attorcigliarsi su se
stesso e dovette appoggiarsi con le mani al grosso tavolo di legno.
Gwaine
se ne era andato senza salutarlo. Sapeva che Merlin aveva lasciato il castello
qualche ora prima per una missione segreta. Nessuno si era, però, degnato di
avvertirlo che Sir Gwaine sarebbe andato con lui. Per
proteggerlo.
Si morse le labbra, il
biondo, tenendo il capo piegato in avanti e sentendo le gambe tremare
leggermente. Non poteva pensare che non lo avrebbe mai più rivisto. D'altronde,
all’alba sarebbero partiti per Camlan dove avrebbero
combattuto la loro ultima battaglia nel tentativo di sconfiggere i Sassoni e la
crudele Morgana.
Erano cavalieri ed erano
nati per combattere con onore ed orgoglio, per difendere la loro gente, il loro
re, il loro regno, eppure dopo tutti quegli anni di onorevole carriera trascorsi
al servizio dei Pendragon ancora non si era abituato
alla morte. E il solo pensiero di poter perdere le persone che amava…
Con un gesto nervoso
scacciò via quel pensiero, come avesse potuto toccarlo e frantumarlo contro il
muro, farlo scomparire dalla propria mente. Magari.
Alzò gli occhi chiari ed
intensi verso la finestra delle sue stanze, la luna era alta nel cielo: le
regalò un sorriso sperando potesse arrivare al suo Gwaine.
Leon sapeva che, ovunque egli fosse, avrebbe guardato la luna e lo avrebbe
pensato. In una maniera assolutamente poco romantica, magari bruciandosi un
lembo del mantello nel fuoco scoppiettante e per poi scoppiare a ridere. Era
già successo altre volte, tutti i cavalieri di Camelot
sapevano quanto fosse goffo.
All’interno della stanza,
invece, la fiamma tremolante della candela illuminava i bagagli essenziali per
il viaggio. La spada che aveva lucidato e affilato per tutto il pomeriggio,
dopo aver adempiuto agli ordini del giovane Re Arthur. Il mantello rosso Pendragon, ripiegato con ordine sulla sedia di legno. La
cotta di maglia. Alcune pergamene arrotolate sul tavolo. E, infine, sul
pavimento gli stivali da battaglia.
Si sedette sul letto con
aria stanca e preoccupata: nessuno gli aveva detto dove fosse diretto Merlin.
Lo stesso Arthur non ne aveva la minima idea e non pareva essere disposto a
parlarne. Merlin lo aveva abbandonato, pensava lui, eppure Leon era sicuro che
sotto sotto non fosse così. Nessuno avrebbe potuto lasciare solo il re di Camelot.
Leon ebbe un brivido
quando pensò che, invece, Gwaine sì, lo aveva
abbandonato lì, lo aveva lasciato indietro. Dentro il suo cuore sentiva che non
era la verità, che era solo un momento di debolezza che lo portava a puntare il
dito contro il proprio compagno e detestarlo. Nascose il viso tra le mani, i
morbidi ricci che scivolavano in avanti, la schiena curva e le dita strette tra
delle ciocche bionde.
Sarebbe stata una lunga
notte, solo in quelle stanze.
*
La battaglia incombeva.
Il viaggio era stato lungo ed i cavalli erano stremati. Si era preso
personalmente cura del proprio mentre i soldati più giovani approntavano
l’accampamento. L’aria era tesa ed il sole tramontava lento dietro la collina.
Sarebbe stato inutile negare di non aver trascorso le ultime ore a pensare a Gwaine e alla sua assurda missione venuta fuori all’ultimo,
un attimo prima di partire. E a quel dannato biglietto che gli aveva lasciato.
Si sedette sul tronco
tagliato con la propria spada e lì cominciò a lucidarla: splendeva già, era
vero, ma era l’unico compito che riusciva a farlo smettere di pensare e lo
faceva rilassare. Non seppe nemmeno lui quanto tempo passò, ma si era fatta
sera; i cavalli, legati agli alberi qualche metro più in là, nitrivano
pacificamente ed una leggera brezza arrivava da nord.
“Solo tu puoi passare
l’ultima notte sulla terra a lucidare la spada” fece una voce alle sue spalle e
Leon pensò di essersi assopito davanti al fuoco e stare sognando. Si voltò di
scatto, così in fretta che sentì una fitta al collo. Ma poi un brivido caldo
gli scivolò lungo la spina dorsale, sotto la cotta di maglia.
“Gwaine”
mormorò con gli occhi chiari spalancati.
“Sir Leon” fece mezzo
inchino l’altro, con quella dannata faccia da schiaffi che Leon voleva solo
baciare. I metri che li dividevano si azzerarono ed i loro corpi cozzarono in
un abbraccio senza fiato. Leon lo strinse fino quasi a fargli male, così forte
da desiderare di perdere il respiro tra le sue braccia.
Subito dopo, le mani si
mossero veloci sulle sue spalle, lo controllò con occhio critico toccandogli le
braccia, i fianchi, guardandogli le gambe per assicurarsi che non fosse ferito.
“Sto bene, Leon, non ti
preoccupare” disse Gwaine con voce morbida
stringendogli il braccio e, sentendo che la sua stretta veniva ricambiata, gli
si scaldò il cuore.
“La tua spada…”
“…l’ho donata a Merlin.
Io so difendermi anche a mani nude” fece con aria piena di sé. Quella che
solitamente faceva alzare gli occhi al cielo all’altro.
Ma poi i due cavalieri si
sorrisero mentre il vento faceva gonfiare i mantelli, le loro mani si
incontrarono e le dita si intrecciarono.
“Se avete finito di
corteggiare la vostra spada, Sir Leon, ritiriamoci per l’ultima notte.”
Il biondo soffiò una
risata e, dopo averlo guardato – i capelli scuri che gli ricadevano sul viso,
le spalle larghe, le labbra che mille volte aveva baciato e tante altre avrebbe
voluto baciare – lo precedette verso la tenda al limitare del bosco.
Non sarebbe stato solo ad
aspettare l’alba.
*
I due cavalieri stavano
sdraiati in silenzio, spalla contro spalla. Differentemente da altri
dell’esercito, il Re aveva messo loro a disposizione – e a pochi altri come
Percival – una tenda per far sì che gli uomini a lui più fedeli potessero
passare una notte – in qualche modo – più confortevole. Leon aveva finito di
dare indicazioni ai cavalieri che sarebbero rimasti di vedetta e si era
ritirato per godere delle ultime ore con l’uomo che amava.
Avevano fatto l’amore. Si
erano amati con passione, con forza, con il bisogno di sentirsi completi,
incastrati uno nell’altro e poi si erano lasciati cadere sul loro umile
giaciglio, le braccia lungo i fianchi, i respiri ancora affannati, gli occhi
socchiusi e lucidi di soddisfazione, ma il cuore gonfio di tristezza.
Gwaine
piegò una gamba e lasciò scivolare meglio la mano contro quella del biondo, la
strinse percependo il calore della sua pelle. Sentì l’altro ricambiare la presa
e voltarsi a guardarlo: le sue iridi – di quello splendido colore indefinibile
alla luce del sole – traboccavano di sentimento. Gwaine
sapeva che Leon avrebbe voluto dire molte cose, fermo nel mezzo di quel sentiero
che portava al suo cuore. Nella stessa situazione un’altra persona, in quel
momento, avrebbe espresso ciò che provavano, ma Leon si sarebbe limitato a dire
l’indispensabile. Gwaine lo sapeva. E lo amava per
questo.
“L’ultima notte è
arrivata” mormorò Leon mordendosi appena il labbro e il moro seppe che il
significato della sua frase era molto più profondo di quanto paresse. Difatti
decise che avrebbe smorzato la tristezza di quel momento con una battuta alla Gwaine.
“Suvvia, Leon, non starai
per metterti a piangere come una donzella” sorrise alzando un po’ l’angolo
della bocca verso l’alto, i capelli scuri disordinati sul viso. La mano dell’altro
cavaliere si mosse a scostarglieli dalla fronte e poi si chinò a lasciargli un
bacio sulle labbra.
“Non essere sciocco”
rispose piano ricadendo sdraiato al suo fianco e tirando un po’ su la coperta
per proteggere i loro corpi nudi. “Sai, quando questa guerra sarà finita
potremmo decidere di andare via per un po’, ad esplorare il mondo.”
“Già mi immagino le
cronache future: sir Gwaine
e sir Leon alla ricerca della taverna perduta” fece Gwaine
scrivendo nell’aria l’ipotetico titolo. Leon sbuffò una risata e portò un
braccio sotto la testa, i muscoli tesi sotto la pelle lievemente abbronzata, le
lunghe dita dell’altra mano ancora intrecciate a quelle dell’altro cavaliere.
“Dovevo immaginare che la
tua attenzione sarebbe stata focalizzata sulla possibilità di assaggiare
intrugli alcolici in giro per il mondo” fece Leon fingendo un sospiro
rassegnato e scuotendo appena il capo, i ricci biondi che accompagnavano il
movimento lento.
“Qualcuno dovrà pur decretare
la taverna migliore di tutti i regni, ed è un sacrificio che sono pronto a
portare a termine” rispose con aria seria Gwaine, il
dito indice teso per rendere il momento più solenne.
Risero insieme voltandosi
entrambi su un fianco e trovandosi viso a viso. Sir Leon gli passò le dita tra
i capelli tirandoglieli indietro e guardandolo dritto negli occhi scuri.
“Oh, taci…” borbottò
fingendosi seccato, poi si fece serio “In passato, Re Uther mi ha donato un
piccolo terreno vicino ai confini meridionali. Sai, per i miei servigi e la mia
lealtà. Ho cavalcato fin laggiù solo due volte ma è un luogo molto bello, prati
da arare e coltivare, una stalla per gli animali, la possibilità di costruire
una piccola casa e magari produrre del vino. C’è spazio per due, Gwaine. E vorrei che venissi con me.”
Il moro si umettò le labbra mentre il cuore si era messo a
battere furiosamente nel suo petto. Non glielo avrebbe mai detto, a Leon, che
si era emozionato per quella proposta – seppur velata – di una vita insieme,
lontano da battaglie ma soprattutto da sguardi indiscreti. Eppure il sorriso
sulla sua bocca un poco tradì l’entusiasmo. Finse di pensarci su, distogliendo
un po’ lo sguardo da quello serio dell’altro cavaliere.
“…però posso assaggiarlo
io, il vino?”
*
Le colline erano
illuminate dalla luce del crepuscolo, il sole andava sparendo dietro gli alberi
della foresta. Il cielo era dipinto di rosso ed arancione, alcune nuvole che
arrivavano da est preannunciavano una serata nuvolosa. Faceva ormai freddo,
soprattutto dopo il tramonto, e lì tirava un vento da tagliare il viso. Proprio
per questo Leon sedeva sul suo giaciglio e si limitava ad osservare l’andamento
della natura dall’interno della casa: quell’anno il terreno aveva dato il
meglio di sé, regalando un ottimo raccolto. Non solo, anche la vendemmia era
stata eccellente e presto sarebbero stati pronti i primi assaggi di vino. Sì,
beh, alla fine Leon si era lasciato incantare da quella proposta di produzione.
Sorrise posando le dita
su un grappolo d’uva che aveva portato dentro casa. Ne accarezzò gli acini, uno
per uno: la forma era perfetta. Sarebbe venuto un vino squisito, ne era certo.
Gwaine
ne sarebbe rimasto pienamente soddisfatto.
In quella casa troppo
silenziosa, Leon si alzò in piedi mentre un chicco d’uva rotolava fino al bordo
del tavolo per poi cadere a terra, sfuggendo al suo controllo.
Quante cose erano sfuggite
al suo controllo, dopo la battaglia. Un susseguirsi di avvenimenti che lo
avevano lasciato smarrito, senza uno scopo nella vita. Si ricordava ancora
quando nella sala reale aveva annunciato – con gli occhi lucidi di lacrime non
ancora versate – che il Re era morto.
Lunga
vita alla Regina, aveva urlato seguito dal resto dei
presenti. Avrebbe voluto lasciarsi andare ad un pianto disperato. In fretta e
furia, la notte stessa, era fuggito da Camelot. Era
scappato, lui, Sir Leon era scappato dal suo passato, ma anche dal suo futuro. Per
giorni aveva cavalcato verso sud, sperando di imbattersi in un gruppo di
sassoni, ancora girovaganti per i boschi. Sperando in uno scontro mortale
affinché il suo cuore calpestato potesse trovare pace.
“Tornerò sempre da te” era stato l’ultimo messaggio di Gwaine, scritto in fretta e furia su una piccola pergamena
mentre si adoperava a lasciare il castello al fianco del fidato Percival, alla
ricerca di Morgana.
L’avevano trovata.
Un grosso peso gli scese
sul cuore mentre la vista si annebbiava e lui si avvicinava alla piccola
finestra.
Tra le lacrime che si erano formate – era sorpreso di
averne ancora, a dire la verità – agli angoli dei suoi occhi chiari, Leon
riuscì a intravedere la luna che spuntava tra le dense nuvole. La osservò e
sorrise.
Sapeva che anche il suo
amato Gwaine avrebbe guardato la luna.
Ma questa volta da un
posto d’eccellenza: il cielo.
Tenderò
la bottiglia all’ultima luce della luna
…e vi vedrò i miei sogni sul fondo.
Fine
Come
avrete notato, la storia si svolge durante gli ultimi due episodi della quinta
serie. Non si tiene conto del personaggio di Eira.
Per
l’ultima frase devo -ancora una volta- ringraziare
la mia carissima -ed efficientissima- beta
che mi ha saputo consigliare e regalare questa perla finale. Quindi, grazie!
Spero
che la one-shot vi sia piaciuta, fatemi sapere che
cosa ne pensate con una piccola recensione (che fa sempre tanto felici
gli autori!),
M.