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Nelle profondità degli abissi
Girarono per porto Eamone
per buona parte del pomeriggio, per poi cenare in una locanda in una
via del Quartiere d'Avorio, dove consumarono un brodo di pesce un po'
troppo speziato. Airis rimase sempre in disparte, limitando al minimo
indispensabile i suoi interventi nella conversazione tra Hallende e
Arghail. L'unica discussione che ebbero, se così poteva
essere definita, fu un battibecco davanti a un mercante d'armi, un tian
dalla pelle bruna e il naso a patata, che si risolse con un acquisto da
parte del comandante e un'occhiata torva da parte di Airis quando le
mise in mano la spada e l'arco che aveva comprato per lei.
All'imbrunire si avviarono verso il molo dove la nave di Torvir li
attendeva per la partenza. Là trovarono uno dei marinai che
Airis aveva visto quel pomeriggio. Se ne stava appoggiato vicino alla
murata, con una spada in bella vista appesa alla cintura e una sciarpa
nera che gli copriva parzialmente il viso, lasciando scoperti solo gli
occhi giallo-verdi come quelli di un gatto.
Non appena li vide, li squadrò da capo a piedi con uno
sguardo freddo, analitico. Quando Arghail arrivò sotto la
luce fioca della lanterna, l'uomo assottigliò lo sguardo e
lo studiò per un lungo momento, prima di fargli cenno di
seguirlo a bordo.
Si salutarono lì, Hallende li abbracciò e
augurò loro buon viaggio. Airis lasciò loro un
po' d'intimità, allontanandosi quanto necessario
affinché potessero sentirsi liberi di parlare. La chierica
le aveva detto che, non potendo prendere nessuna licenza, sarebbe
partita con la prima nave militare disponibile, possibilmente quando il
tempo fosse stato un po' meno instabile.
Salparono meno di mezz'ora più tardi. Il freddo quella notte
era intenso e tagliente e il vento che soffiava dal mare si insinuava
sotto le vesti, gelando le ossa e cibandosi del calore corporeo come
una belva feroce.
Arghail si strinse nel mantello e, dopo essersi guardato intorno,
andò verso prua alla ricerca di Torvir. Airis, invece, con
un sospiro sconsolato passeggiò sul ponte finché
non trovò un punto appartato. Si appoggiò alla
balaustra e contemplò l'acqua nera come l'inchiostro, su cui
si riflettevano a intermittenza le luci delle lanterne della nave.
Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dallo sciabordio, un
suono che da sempre fungeva da balsamo per la sua anima e i suoi
pensieri, permettendole di schiarirsi le idee. Il sospetto che Hallende
e Arghail le nascondessero qualcosa non le dava pace. Non avrebbe
dovuto stupirsene, in fin dei conti anche lei non aveva raccontato
tutta la verità. Però c'erano troppe cose che
ancora le sfuggivano. Nella trama complessa degli eventi di Esperya,
che ruolo avrebbe avuto, o aveva avuto, Arghail? Perché
quell'uomo, il Guardiano nella casa della Cenere, le aveva detto di
farlo diventare re? E Hallende, in tutto questo, cosa aveva a che fare?
Era una pedina importante da collocare sulla scacchiera o un semplice
pedone sacrificabile?
Si prese la testa tra le mani: tante domande e quasi nessuna risposta.
E intanto il tempo passava, uno stillicidio inesorabile che non faceva
altro che angosciarla.
- Stai bene? - le chiese Arghail, strappandola alle sue elucubrazioni.
Si era appoggiato all'impavesata e la osservava da sotto il cappuccio,
il viso leggermente arrossato e le palpebre socchiuse sulle iridi viola.
- Sì, sto bene. Come mai qui? Pensavo fossi andato a parlare
con Torvir. -
- È stato di poche parole. - sbuffò,
intrecciò le dita e allungò le braccia nel vuoto,
spostando la sua attenzione sul mare.
Nessuno dei due disse niente per un po'. Airis si focalizzò
sul via vai dei marinai in coperta, ascoltando distrattamente gli
ordini impartiti dall'uomo che li aveva attesi sul molo e da una donna
dalla pelle olivastra e le trecce bionde.
In un attimo mollarono gli ormeggi e la nave si staccò,
lasciandosi il porto alle spalle. La Signora dei Mari si tuffava tra le
onde velocissima, leggiadra e fiera come un albatro. Gli spruzzi
arrivavano quasi fino a loro, bagnando il sartiame già
umido. Al richiamo della donna bionda, cinque marinai sulla prua
accorsero e cominciarono a sollevare dei cordoni, facendo ruotare i
pennoni di legno per mantenere le vele ingrossate e tese.
- Lo so cosa stai pensando. - sospirò Arghail, senza
incrociare il suo sguardo.
- Da quando leggi nel pensiero? -
- Non ho ancora questa facoltà, ma vedrò di
svilupparla al più presto. - nella sua voce vibrò
una nota di divertimento, - Diciamo che tu, in ogni caso, non ti sei
curata di nascondere il tuo disappunto. -
- Non è disappunto, è solo questione di fiducia. -
- Non riesci proprio a fidarti di noi, eh? -
“Fosse solo questo.”
In realtà c'erano una miriade di interrogativi e incognite,
e più cercava di risolverli più la
verità sembrava sfuggirle. E poi c'era il tempo, il suo
scorrere implacabile a torturarla. Cyril le aveva detto che tra sei
settimane Lysandra avrebbe avviato il rito per riportare in vita Aesir
e ormai non era sicura di riuscire a impedirlo. Strinse i pugni e si
morse le labbra, obbligandosi a mantenere il sangue freddo. Non doveva
permettere al dubbio, all'angoscia e allo sconforto di farsi strada nel
suo cuore.
“Ho ancora un debito con te, Ledah. Non pensare di andartene
senza che io l'abbia pagato.”
- È complicato da spiegare. - esalò in tono mesto.
Arghail annuì, come se si fosse aspettato quella risposta.
Il mugghio delle onde riempì il silenzio e il rollio della
nave li distrasse per un po'. Ma dopo qualche minuto Arghail
tornò alla carica.
- Come mai hai deciso di arruolarti? -
La guerriera si spostò una ciocca nera sfuggita alla treccia
e seguì con gli occhi la parabola discendente di un
gabbiano, che, con grazia, si posò su una delle sartie.
Quando un marinaio gli si avvicinò per scacciarlo, l'uccello
cacciò un grido e si librò di nuovo in aria.
- Come mai ti interessa? -
- Girano molte voci su di te. Molti addirittura sostengono che tu sia
la figlia illegittima del Generale Lullabyon. -
- Hanno una gran fantasia a credere che ci sia un legame di sangue tra
me e lui. -
Arghail rise sommessamente, scuotendo la testa: - Sì,
è quello che ho sempre pensato io. -
- Non oso immaginare cos'altro dicano. - sbuffò e, arresa,
gli lanciò un'occhiata in tralice, - Va bene,
risponderò alla tua domanda, a patto che poi tu faccia lo
stesso. -
- Non c'è molto da sapere su di me. - ribatté
lui, sorpreso e confuso.
- Questo lascialo giudicare agli altri. -
Arghail sospirò e si grattò il mento, dubbioso.
Il vento gli gonfiava il cappuccio, scoprendo i capelli scompigliati e
le occhiaie scure. Lanciò un'occhiata alle proprie spalle,
come per assicurarsi che non ci fosse nessuno a origliare la loro
conversazione, poi assentì.
- Comincio io. - sentenziò la ragazza, mentre raccoglieva i
ricordi e cercava le parole giuste, - Fin da bambina ho sempre
desiderato diventare un Cavaliere. I bardi, con le loro storie sul
valore di questi uomini, mi affascinavano molto. pPoi c'era mio padre,
il mio vero padre, che era un soldato e spesso era occupato al fronte
nord, quindi non lo vedevo quasi mai. Le uniche testimonianze della
guerra erano quelle dei cantori che di tanto in tanto sostavano nel mio
paese. -
- Da dove vieni? -
- Un agglomerato di case a sud di Esperya, non penso tu nemmeno lo
conosca. - si strinse nel mantello, più per nascondere la
smorfia amara che per reale bisogno, - Mia madre non era
granché d'accordo, secondo lei avrei dovuto imparare a
cucinare, fare il bucato, prendere marito e, infine, trovare una casa
da un'altra parte, magari in una città dove sarebbe stato
più facile vivere, soprattutto per me. Io non ne volevo
sapere, ovviamente. Nonostante mia madre mi sgridasse, ormai avevo le
idee chiare. Mio padre non si è mai dimostrato contrario,
anzi. Non era raro che prendesse in giro mia madre ricordandole quanto
fosse pestifera alla mia età. Forse pensava che crescendo
avrei cambiato idea da sola, chi lo sa. -
Il vento era diventato ancora più freddo e gli ordini alle
loro spalle si susseguivano rapidi. I marinai correvano da una parte
all'altra del ponte, intenti a lascare e cazzare le sartie in modo che
le vele perdessero o catturassero le correnti.
Lo sguardo di Airis si perse oltre l'orizzonte, nel ricordo di
un'assolata giornata estiva.
- Alla fine, mia madre mi prese da parte e mi spiegò come
stavano le cose: la guerra non era un gioco, quello che i bardi
raccontavano non era neanche lontanamente simile alla
realtà. Mi disse che se avessi deciso di proseguire su
questo cammino, avrei incontrato molte più
difficoltà perché ero una donna. Non so per quale
ragione, ma quelle parole, al posto di demoralizzarmi, mi convinsero
ancora di più a intraprendere la strada per diventare un
Cavaliere. Volevo che la guerra finisse, che la gente non dovesse
più soffrire e che tutti potessero avere la
possibilità di realizzare i loro sogni, indipendentemente
dal sesso o dal ceto sociale. Ero certa di poter fare la differenza. -
- Ti sei mai ricreduta? -
- Ho risposto alla tua domanda, ora tocca a te. -
- È comunque inerente a ciò di cui stai parlando.
Se vogliamo essere pignoli, non bisognerebbe nemmeno conteggiarla come
un'altra domanda. -
La guerriera scosse la testa e abbassò le palpebre. Rivide
uomini in catene, cadaveri sfregiati fino a rendere irriconoscibili i
volti, elfi catturati mentre tentavano di scappare e poi messi al rogo,
bambine e giovani donne stuprate in modi così violenti che
in seguito i loro grembi non avevano potuto svilupparsi in modo
normale, neonati uccisi a colpi di martello la cui unica colpa era
quella di possedere il sangue del nemico nelle proprie vene. A tali
immagini di morte si sovrapponevano quelle delle giornate passate con
suo padre a imparare a cacciare e a tirare di spada, oppure Luthien in
festa, il profumo zuccherino dei dolcetti appena sfornati e il ballo
tra le braccia di Ledah, il suo calore, il modo in cui l'aveva guardata
attraverso la maschera; o ancora le risate di Melwen e Zefiro, le
premure di Myria, le parole cariche di speranza di Copernico.
- No, non mi sono ricreduta. Ho solo capito che bisogna possedere
davvero molta determinazione per cambiare le cose. - mormorò
flebilmente, per poi riscuotersi e raddrizzare le spalle, - Ora
è il tuo turno. -
- Prego, sono pronto. -
- Uhm... raccontami dei tuoi genitori, di com'erano e di come ti hanno
cresciuto. -
Il comandante si irrigidì e, quando Airis lo
spiò, lo scoprì con i pugni serrati. Sapeva di
aver toccato un tasto dolente, ma quelle informazioni le servivano. E
per quanto dolorosi potessero essere i ricordi, sapeva che le avrebbe
risposto.
- Hallende ti ha già anticipato qualcosa? -
- Più o meno, ma vorrei sentire tutta la storia dall'inizio.
-
Improvvisamente, uno dei marinai sbraitò qualcosa e
indicò nel mare, richiamando l'attenzione di tutti gli
altri, che, incuranti dei rimproveri feroci dei due sovraintendenti,
corsero alla paratia. Airis abbassò lo sguardo e rimase a
bocca aperta nel vedere degli ippocampi dal manto blu e azzurro nuotare
veloci accanto alla nave, mantenendosi perfettamente affiancati.
Saltavano e si tuffavano come in un gioco, nitrendo ogni volta che un
loro compagno si inabissava per poi riemergere vicino alla chiglia o in
fondo al gruppo, gli zoccoli palmati che fendevano l'acqua e la luna
che argentava la criniera d'alghe color pervinca.
- Non li avevi mai visti? - domandò divertito Arghail.
Airis negò a bocca aperta, incapace di distogliere
l'attenzione dallo spettacolo che si stava svolgendo sotto i suoi occhi.
- Li ho solo scorti durante alcune attraversate, ma non si sono mai
avvicinati tanto. -
- Infatti, di solito sono molto più timidi. -
commentò una voce sconosciuta dietro di loro.
Si girarono giusto in tempo per vedere l'uomo che li aveva fatti salire
a bordo affiancarglisi. Una semplice bandana gli copriva gli ispidi
capelli neri e il cappotto gli sfiorava gli stivali ad ogni passo. Solo
quando fu abbastanza vicino si abbassò la sciarpa, scoprendo
dei denti sporgenti simili alle zanne di un cinghiale.
Airis, incredula, sbirciò in direzione di Arghail, ma nei
suoi occhi non colse alcun un cenno di sorpresa.
- Davkar, non dovresti far tornare i tuoi uomini al lavoro? -
Davkar fece un gesto annoiato con la mano, come se volesse scacciare
una mosca fastidiosa.
- Per qualche minuto possono godersi la visione di questi animali. Il
vento è a nostro favore e stiamo precedendo con una
velocità di sette nodi. Torvir non si lamenterà,
te lo assicuro. - si appoggiò alla balaustra e si sporse per
guardare meglio, - Inoltre, anche io sono curioso, non li ho mai visti
così da vicino. -
Anche l'attenzione di Airis venne di nuovo calamitata dagli ippocampi.
Un cucciolo con la cresta membranosa invece che di crini
sollevò il muso e la fissò. Aveva occhi neri e
liquidi, con lunghe ciglia setose. La guerriera ebbe la strana
impressione di averlo già visto da qualche parte,
soprattutto quando l'animale cercò di coinvolgere Arghail e
nitrì finché non si accorse di lui. Si scrutarono
fino a quando il capobranco non saltò fuori dall'acqua, per
poi immergersi ancora insieme a tutti gli altri e scomparire alla vista.
Airis rimase a guardare le onde che si infrangevano contro lo scafo,
stupefatta e al contempo scossa per la sensazione che aveva provato. Fu
la risata divertita e bonaria di Davkar riportarla con i piedi per
terra, una risata gradevole che mal si sposava con l'aria truce tipica
di tutti gli ibridi di orco.
- Scusami, ma hai fatto una faccia così buffa! Un po' ti
capisco, anch'io la prima volta mi sono meravigliato, però
con questo vento ti consiglio di tenere la bocca ben chiusa, altrimenti
ti ritroverai la lingua cosparsa di sale. - la stuzzicò.
Airis non reagì, fece solo spallucce. Non aveva molta voglia
di parlare, non con lui almeno. Davkar dovette intuirlo
perché, prima che Arghail potesse intervenire, li
salutò frettolosamente.
- Sono tutti così propensi alle chiacchiere su questa nave?
- domandò, senza nascondere il sarcasmo.
- Di solito no, evidentemente la presenza di una donna che non sia
quella dispotica di Kyra li istiga. - fece un lieve cenno in direzione
della ragazza che urlava ordini al fianco di Davkar, - Sai, gli
aggettivi “aggraziata” e
“delicata” non le si addicono molto. -
- Se stai cercando di deviare dal nostro argomento di conversazione
principale, ti avviso che stai fallendo miseramente. -
- Non ci ho mai davvero sperato. - sospirò e si fece di
nuovo serio, - Allora, dov'ero rimasto? -
- Non hai mai cominciato. -
Arghail si umettò nervosamente le labbra. Quando
levò lo sguardo su di lei, Airis intravide una profonda
tristezza.
- Non so esattamente chi siano i miei genitori. Mio padre e mia madre
mi hanno trovato abbandonato sulla porta di casa loro, alla vigilia
dell'equinozio di primavera, e da quel giorno mi hanno cresciuto come
un figlio. Con gli anni ho iniziato a farmi delle domande,
perché gli altri bambini mi additavano come
“bastardo” o “figlio di
nessuno” e non ne capivo il motivo. I miei genitori hanno
provato a nascondermi la verità, fino a quando una sera mia
madre non mi ha fatto sedere davanti al fuoco per raccontarmi tutto. Da
una parte è stato liberatorio. Avevo sempre sospettato
qualcosa, tra me e loro non c'era quasi nessuna somiglianza, ma mi ero
sempre detto che era una coincidenza, una mia paranoia nata dagli
insulti che mi rivolgevano. Sapere la verità è
stato come prendere una boccata d'aria fresca, anche se sul momento il
mondo mi è crollato addosso assieme alle certezze che mi ero
costruito. -
- Dev'essere stato doloroso. -
Arghail sbuffò e fece una smorfia, poi infilò la
mano sotto il mantello e tirò fuori un anello d'oro legato a
una semplice cordicella a mo' di collana.
- Questa è l'unica cosa che i miei veri genitori mi hanno
lasciato. Non ho nessun ricordo legato a loro. Però nemmeno
mi interessa cercare informazioni, non più. -
- Hai mai provato a fare delle ricerche per scoprire la loro
identità? -
- Sì, è stata la mia ossessione per molti anni,
ma purtroppo si è rivelato come cercare un ago in un
pagliaio. L'unica certezza che avevo era che appartenevano a una
famiglia dell'aristocrazia e che qualcuno dei miei antenati si chiamava
Elisewin. -
Le si fece più vicino, tanto che le loro spalle si
toccarono, e rigirò l'anello tra le dita mostrandole
l'iscrizione all'interno, le lettere morbide ed eleganti vergate
nell'oro ancora brillante.
- Ho cercato a lungo, ma non ho mai trovato nulla, nemmeno nelle
genealogie delle famiglie nobili più antiche della capitale.
Alla fine ho rinunciato e ho deciso di andare avanti, senza
più guardare indietro. -
- Allora perché lo hai ancora? -
- Non lo so. Ogni volta che provo a liberarmene, c'è
qualcosa che mi ferma. So che potrebbero sembrare le parole di un
pazzo, ma è come se... come se sentissi di doverlo
custodire. -
Si sistemò la collana sotto il mantello e tornò a
contemplare il mare, che sulla linea dell'orizzonte pareva gonfiarsi
come se li volesse inghiottire.
Airis, dopo tutto quello che le era accaduto, ormai non si stupiva
più di nulla, perciò l'esistenza di un anello
magico non la turbava più di tanto.
- Hallende cosa ne pensa di questo? - buttò lì,
nella speranza di riuscire a estorcergli qualche altra informazione, ma
il sorriso furbo del comandante fu sufficiente a farle capire che la
conversazione era finita.
- Avevamo detto una domanda ciascuno, Generale. Se desideri sapere di
più, dovrai rispondere ad altre mie domande. - le
soffiò all'orecchio.
Lei si ritrasse appena, scoccandogli un'occhiata di sfida.
- Sei salvo, per questa volta. -
- Ci vuole ben altro per farmi cadere in trappola. -
- Prima o poi tutti commettono degli errori. -
- Forse, ma non stasera. È stata una conversazione
appassionante, magari ne potremo avere altre durante il viaggio. -
ghignò, e subito dopo sbadigliò.
“Puoi contarci.”
- Buonanotte, Arlena. - la salutò, poi alzò il
viso e inspirò a fondo corrugando le sopracciglia, - Vedi di
non fare troppo tardi. C'è molta umidità
nell'aria, sta arrivando una tempesta. -
- Va bene, rimango qui solo un altro po'. Buonanotte. -
Un banco di nubi più nere del cielo si stava addensando
sopra le loro teste, prendendo in ostaggio la luna e le stelle.
All'improvviso, nella mente di Airis risuonarono le parole
d'avvertimento di Cyril.
Nei giorni successivi il viaggio proseguì tranquillo, senza
alcun intoppo. Airis spesso si aggirava annoiata per la nave. Qualche
membro dell'equipaggio a volte tentava di attaccare bottone, ma la
conversazione moriva dopo qualche battuta, oppure proseguiva a
singhiozzi finché il marinaio non decideva che aveva di
meglio da fare. Per Airis non era una situazione insolita. Aveva sempre
preferito i fatti alle parole, e quando era stata nominata Generale non
aveva perso il vizio e la reputazione di pessima intrattenitrice. Anche
con i suoi uomini più fidati, con i quali era cresciuta e
aveva combattuto, difficilmente riusciva avere un dialogo che durasse
più di due parole in croce. Mai si sarebbe immaginata di
desiderare qualcuno con cui chiacchierare. Aveva provato a essere
partecipe, come faceva quando era ancora una semplice recluta
nell'esercito, ma ben presto si era resa conto che non avrebbe potuto
condividere nulla con la ciurma di Torvir. Non la conoscevano nemmeno
col suo vero nome, che cosa avrebbe potuto raccontar loro se non bugie?
Le sarebbe piaciuto parlare di nuovo con Arghail, ma il comandante era
sfuggente e nervoso. Airis non sapeva a cosa attribuire quel repentino
cambio di atteggiamento, anche se forse dietro c'era lo zampino di
Torvir, date le occhiate torve che si lanciavano ogni volta che
capitava loro di incrociarsi. Dopo l'ennesimo tentativo di spiegazioni
fallito, la guerriera aveva deciso che non era affar suo e si era
rintanata nella stiva, dove per passare il tempo aveva preso ad
allenarsi. Dapprima si era limitata al solito addestramento, fendente
dritto, sgualembro rovescio, taglio dritto, parata in spazzata dritta e
rovescio, una serie di tecniche concatenate che ripeteva
meccanicamente, concentrandosi sia sulla postura sia sulla potenza con
cui eseguiva ogni colpo. L'esercizio era reso più difficile
dal rollio della nave, ma presto vi si era adattata e aveva imparato
come assecondarlo col movimento di braccia e gambe. Paradossalmente,
non riusciva ad abituarsi alla sua nuova spada, troppo pesante e poco
equilibrata per i suoi gusti.
Durante quei momenti morti, quando il corpo e la mente non erano
abbastanza occupati, i ricordi la coglievano a tradimento, riemergendo
dalla memoria come fantasmi erranti. Ripensava ai primi anni passati
nell'esercito, alle difficoltà che aveva incontrato per
integrarsi e per dimostrare che valeva qualcosa, il fatto di essere una
donna non era un motivo valido per considerarla debole.
Inevitabilmente, rievocava la voce calma e pacata di Felther, la sua
attenta capacità analitica che destava stupore anche nei
soldati più maturi e persino in qualche veterano. Tutti
sapevano che sarebbe diventato il Cavaliere del Drago, così
come suo padre e suo nonno prima di lui, era una carica che quasi si
tramandava nella sua famiglia. Nessuno, tanto meno Airis, aveva capito
il motivo che lo aveva spinto ad avvicinarsi a lei. Era stato
improvviso, inaspettato: prima era seduta da sola a uno dei tavoli
più lontani della mensa, poi aveva percepito una presenza
prendere posto al suo fianco e, contemporaneamente, un forte brusio si
era diffuso nella sala. Era riuscita a cogliere solo qualche
esclamazione sorpresa e il nome del suo vicino: Eigor Felther. Le era
rimasto accanto per tutto il pranzo senza proferir parola, mangiando la
sua razione e aspettando che lei terminasse la propria.
Dopodiché, Airis aveva udito i suoi passi allontanarsi e
confondersi in mezzo a quelli dei loro compagni.
“Eravamo alleati, amici. Come abbiamo fatto ad arrivare a
questo punto?”
Ad un tratto, nell'aria risuonò il fragore di un tuono e
un'onda si infranse contro la nave con una tale forza da far cadere
Airis. Ne seguirono altre, ancora più violente, una furia
liquida che faceva rollare paurosamente il vascello.
Quando finalmente riuscì a rimettersi in piedi, Airis
uscì dalla cabina e si trascinò su per le scale
per vedere cosa stesse succedendo. I marinai correvano da una parte
all'altra del ponte, eseguendo lesti gli ordini che avevano ricevuti
dal nostromo, le cime e i pennoni che sfuggivano al loro comando come
farfalle in un tornado.
- Che succede? -
- C'è una tempesta e noi siamo nell'occhio del ciclone!
Torna sottocoperta! - le urlò Davkar a gran voce per
sovrastare l'ululato del vento.
Un'altra onda li aggredì e la nave si inclinò
pericolosamente, facendo temere ad Airis che si sarebbe ribaltata.
- Ditemi cosa posso fare per aiutarvi! -
Davkar la guardò sorpreso, ma bastò un altro
colpo per fargli riprendere il controllo. Le intimò di
seguirlo, facendosi largo tra il cordame e gli spruzzi che flagellavano
il ponte da ambedue le parti. Assieme a una dozzina di marinai,
aiutò a lascare le vele e a imbrigliarle ripiegando ampie
sezioni di tela bagnata, per poi tesare di nuovo le sartie. Airis
sentì un tuffo al cuore quando uno dei pennoni emise un
cigolio agonizzante. Nell'oscurità la costa sembrava
lontana, troppo.
- Maledizione! Mettersi alla cappa e poi rifugiarsi tutti sottocoperta!
Riferite l'ordine, il capitano non vuole vedere nessuno sul ponte dopo
la manovra! - sbraitò Davkar, poi puntò i suoi
occhi da gatto su Airis, - Va' ad avvisare Torvir non appena abbiamo
finito. -
- Sarà fatto. -
L'ordine rimbalzò da uomo a uomo e tutti si affrettarono
verso la randa e il fiocco.
- Ammainate le vele! -
Tirarono con forza, combattendo contro la furia del vento, la pioggia
battente e l'ondeggiare impazzito del vascello.
- Più forte! -
La voce stentorea di Arghail giunse alle sue orecchie. Airis vide la
corda tendersi ancora di più dietro di lei e la vela
dell'albero maestro cominciò a chiudersi, in contemporanea
con le altre due. Torvir era aggrappato strenuamente al timone, la
mascella contratta e i muscoli delle braccia sotto sforzo per non
perdere la presa e mantenere la rotta.
- Ci siamo quasi, non mollate! - li esortò Davkar.
L'ultima parola gli morì in gola quando uno squarcio si
aprì in una delle vele. L'albero cigolò,
così come tutta la struttura e i due pennoni.
- Per tutti gli dei... -
- Non ce la possiamo fare, si porterà via tutta la nave! -
- Che qualcuno salga per tagliare le corde che la tengono! -
- Non andrà nessuno, è un suicidio con questo
vento... -
- Silenzio! - berciò Torvir, avanzando verso di loro.
La coda si era completamente sciolta e i capelli bianchi ora gli
frustavano incessantemente il viso. Squadrò la ciurma con
espressione impassibile, ma il tremolio alle spalle tradiva la sua
paura.
- Il timone è fissato sottovento, ma se qualcuno non sale a
tagliare quelle maledette corde moriremo tutti! Non possiamo
permetterci di perdere un albero per nessuna ragione al mondo. -
- Vado io. - si offrì Arghail.
Airis pensò che gli avrebbe detto di rinunciare, avrebbe
mandato qualcun altro. Invece il mezzelfo tirò fuori un
pugnale dallo stivale e glielo porse.
- Muoviti. Voialtri finite di ammainare le vele e poi tutti
sottocoperta! Mi avete sentito? -
- Io rimango. Se la situazione dovesse complicarsi ulteriormente,
tornerò sottocoperta. - disse Airis.
Torvir si abbandonò a un lungo sospiro, ma non
replicò, spostando lo sguardo sulla sagoma di Arghail, che
si stava lentamente arrampicando sull'albero di mezzana. Ogni volta che
trovava una corda collegata alla vela, la tagliava senza esitare. Il
vento faceva svolazzare il mantello attorno al suo corpo e la pioggia
lo inzuppava, tanto da trasformarlo in una specie di frusta. Il
capitano guardava in alto con crescente apprensione, tenendo
sott'occhio la vela. Airis gli stava accanto, anche lei col cuore in
gola.
Quando Arghail giunse all'altezza della vela e tagliò le
ultime corde, il sollievo serpeggiò nei pochi membri della
ciurma rimasti sul ponte.
La nave intanto rollava sospinta dalle onde, si alzava e si abbassava
seguendo il ritmo impietoso del mare. All'improvviso, un'onda
più alta delle altre si abbatté su di loro,
ghermì Arghail e lo trascinò giù,
oltre il parapetto.
- Uomo in mare! -
- Arlena! Arlena, torna qui! - gridò Torvir, non appena la
vide partire correndo verso il punto in cui Arghail era scomparso.
Airis lo ignorò e avanzò schermandosi il viso
dalla pioggia, che penetrava nella pelle come migliaia di aghi
acuminati e gelidi.
“Non può morire! Se è davvero il
prossimo re di Esperya, non posso assolutamente lasciarlo
morire.”
Si sporse dalla balaustra e setacciò la distesa schiumosa in
cerca di Arghail, l'ansia che le annodava lo stomaco. Scorse una mano
allungarsi fuori dal pelo dell'acqua e una testa emergere tra i flutti,
per poi svanire di nuovo, inghiottita dalla furia della tempesta. Si
tuffò senza pensarci due volte.
L'impatto fu terribile. Il gelo le morse gambe e braccia e per
lunghissimi istanti rimase paralizzata col respiro bloccato nei
polmoni. Non seppe nemmeno lei come riuscì ad ordinare ai
muscoli di muoversi. Annaspò chiamando Arghail a
squarciagola, le onde che la sballottavano da una parte all'altra
allontanandola dalla nave. Il buio l'avvolgeva e, per quanto
assottigliasse lo sguardo, non vedeva altro se non acqua e nuvoloni
neri che galoppavano veloci, scontrandosi con un ruggito tonante.
Una mano, la stessa mano che aveva visto prima, emerse poco lontana da
lei e Arghail trasse un profondo respiro per incamerare ossigeno. Aveva
il viso pallido e le labbra violacee, chiari sintomi di ipotermia. Non
appena la individuò, si allungò nella sua
direzione, mentre Airis nuotava verso di lui più veloce che
poteva. Quando lo raggiunse, gli passò un braccio sotto le
ascelle e lo chiamò ancora, nel tentativo di scuoterlo dal
torpore in cui era precipitato e l'aiutasse a rimanere a galla,
perché se si fosse lasciato andare sarebbero morti entrambi.
Stava cercando di girarsi verso la nave, quando un'altra onda li
avviluppò. Vinta dalla fatica e dal freddo, la guerriera
perse la presa sul corpo svenuto di Arghail, la vista si
appannò e le forze l'abbandonarono.
Il fragore di un tuono lo destò di soprassalto. Fuori era
buio e nuvole nere avevano oscurato il cielo stellato, scaricando sulla
terra e sul mare la loro ira. Si alzò lentamente dal letto
di pellicce e si affacciò alla finestra, osservando il
terribile spettacolo all'esterno, la furia della natura che si
abbatteva contro la costa con un boato assordante. Ma non era stato
quello a svegliarlo.
Lei era lì, lo sentiva.
Saltò in piedi e si avvolse nel mantello, i bracciali di
crisoprasio che rilucevano alla luce fioca dei fuochi fatui. Doveva
sbrigarsi, non aveva molto tempo.
Angolo Autrice:
Hello folks!
Come avete visto, la storia ha raggiunto le 50 recensioni! Quindi, come
promesso, si parte col giveawy dove, chi vincerà,
potrà decidere i personaggi e il mondo dove sarà
ambientata la OS che scriverò! Vi lascio QUI
il link della pagina e niente, se avete domande, sapete dove trovarmi!
Un bacione e grazie mille a tutti!
Hime