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Autore: Himenoshirotsuki    04/05/2017    5 recensioni
[Seguito di "Fuoco nelle Tenebre"] [La stori è un pausa un mesetto, ma non sospesa. Finisco Fighting Fire e riprendo ad aggiornare!]
Dopo gli ultimi eventi, il destino di Esperya sembra ancora più incerto. Lyssandra muove i fili da dietro le quinte, Mirya e i bambini sono rintanati ad Alabastria, mentre Ledah è stato catturato. Sembra che il ritorno di Aesir e della sua era dell'oscurità sia inevitabile, ma c'è ancora qualcuno che si oppone, qualcuno che ha pagato un prezzo di sangue per diventare ciò che è. Con un nuovo corpo e un solo anno a disposizione, Airis dovrà adempiere al suo compito di Guardiano affinchè i drow e il dio dell'oscurità non facciano di nuovo piombare Esperya in un caos di morte e distruzione.
Battaglia dopo battaglia, incontro dopo incontro, in un lungo viaggio attraverso lande desolate e città e regni meravigliosi, Airis scoprirà così i dettagli di una macchinazione destinata a cambiare le sorti del mondo, ma, soprattutto, la verità sul suo passato, una verità che potrebbe distruggerla.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Guardiani'
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Fuoco 2

9

Nelle profondità degli abissi

Girarono per porto Eamone per buona parte del pomeriggio, per poi cenare in una locanda in una via del Quartiere d'Avorio, dove consumarono un brodo di pesce un po' troppo speziato. Airis rimase sempre in disparte, limitando al minimo indispensabile i suoi interventi nella conversazione tra Hallende e Arghail. L'unica discussione che ebbero, se così poteva essere definita, fu un battibecco davanti a un mercante d'armi, un tian dalla pelle bruna e il naso a patata, che si risolse con un acquisto da parte del comandante e un'occhiata torva da parte di Airis quando le mise in mano la spada e l'arco che aveva comprato per lei.
All'imbrunire si avviarono verso il molo dove la nave di Torvir li attendeva per la partenza. Là trovarono uno dei marinai che Airis aveva visto quel pomeriggio. Se ne stava appoggiato vicino alla murata, con una spada in bella vista appesa alla cintura e una sciarpa nera che gli copriva parzialmente il viso, lasciando scoperti solo gli occhi giallo-verdi come quelli di un gatto.
Non appena li vide, li squadrò da capo a piedi con uno sguardo freddo, analitico. Quando Arghail arrivò sotto la luce fioca della lanterna, l'uomo assottigliò lo sguardo e lo studiò per un lungo momento, prima di fargli cenno di seguirlo a bordo.
Si salutarono lì, Hallende li abbracciò e augurò loro buon viaggio. Airis lasciò loro un po' d'intimità, allontanandosi quanto necessario affinché potessero sentirsi liberi di parlare. La chierica le aveva detto che, non potendo prendere nessuna licenza, sarebbe partita con la prima nave militare disponibile, possibilmente quando il tempo fosse stato un po' meno instabile.
Salparono meno di mezz'ora più tardi. Il freddo quella notte era intenso e tagliente e il vento che soffiava dal mare si insinuava sotto le vesti, gelando le ossa e cibandosi del calore corporeo come una belva feroce.
Arghail si strinse nel mantello e, dopo essersi guardato intorno, andò verso prua alla ricerca di Torvir. Airis, invece, con un sospiro sconsolato passeggiò sul ponte finché non trovò un punto appartato. Si appoggiò alla balaustra e contemplò l'acqua nera come l'inchiostro, su cui si riflettevano a intermittenza le luci delle lanterne della nave. Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dallo sciabordio, un suono che da sempre fungeva da balsamo per la sua anima e i suoi pensieri, permettendole di schiarirsi le idee. Il sospetto che Hallende e Arghail le nascondessero qualcosa non le dava pace. Non avrebbe dovuto stupirsene, in fin dei conti anche lei non aveva raccontato tutta la verità. Però c'erano troppe cose che ancora le sfuggivano. Nella trama complessa degli eventi di Esperya, che ruolo avrebbe avuto, o aveva avuto, Arghail? Perché quell'uomo, il Guardiano nella casa della Cenere, le aveva detto di farlo diventare re? E Hallende, in tutto questo, cosa aveva a che fare? Era una pedina importante da collocare sulla scacchiera o un semplice pedone sacrificabile?
Si prese la testa tra le mani: tante domande e quasi nessuna risposta. E intanto il tempo passava, uno stillicidio inesorabile che non faceva altro che angosciarla.
- Stai bene? - le chiese Arghail, strappandola alle sue elucubrazioni.
Si era appoggiato all'impavesata e la osservava da sotto il cappuccio, il viso leggermente arrossato e le palpebre socchiuse sulle iridi viola.
- Sì, sto bene. Come mai qui? Pensavo fossi andato a parlare con Torvir. -
- È stato di poche parole. - sbuffò, intrecciò le dita e allungò le braccia nel vuoto, spostando la sua attenzione sul mare.
Nessuno dei due disse niente per un po'. Airis si focalizzò sul via vai dei marinai in coperta, ascoltando distrattamente gli ordini impartiti dall'uomo che li aveva attesi sul molo e da una donna dalla pelle olivastra e le trecce bionde.
In un attimo mollarono gli ormeggi e la nave si staccò, lasciandosi il porto alle spalle. La Signora dei Mari si tuffava tra le onde velocissima, leggiadra e fiera come un albatro. Gli spruzzi arrivavano quasi fino a loro, bagnando il sartiame già umido. Al richiamo della donna bionda, cinque marinai sulla prua accorsero e cominciarono a sollevare dei cordoni, facendo ruotare i pennoni di legno per mantenere le vele ingrossate e tese.
- Lo so cosa stai pensando. - sospirò Arghail, senza incrociare il suo sguardo.
- Da quando leggi nel pensiero? -
- Non ho ancora questa facoltà, ma vedrò di svilupparla al più presto. - nella sua voce vibrò una nota di divertimento, - Diciamo che tu, in ogni caso, non ti sei curata di nascondere il tuo disappunto. -
- Non è disappunto, è solo questione di fiducia. -
- Non riesci proprio a fidarti di noi, eh? -
“Fosse solo questo.”
In realtà c'erano una miriade di interrogativi e incognite, e più cercava di risolverli più la verità sembrava sfuggirle. E poi c'era il tempo, il suo scorrere implacabile a torturarla. Cyril le aveva detto che tra sei settimane Lysandra avrebbe avviato il rito per riportare in vita Aesir e ormai non era sicura di riuscire a impedirlo. Strinse i pugni e si morse le labbra, obbligandosi a mantenere il sangue freddo. Non doveva permettere al dubbio, all'angoscia e allo sconforto di farsi strada nel suo cuore.
“Ho ancora un debito con te, Ledah. Non pensare di andartene senza che io l'abbia pagato.”
- È complicato da spiegare. - esalò in tono mesto.
Arghail annuì, come se si fosse aspettato quella risposta. Il mugghio delle onde riempì il silenzio e il rollio della nave li distrasse per un po'. Ma dopo qualche minuto Arghail tornò alla carica.
- Come mai hai deciso di arruolarti? -
La guerriera si spostò una ciocca nera sfuggita alla treccia e seguì con gli occhi la parabola discendente di un gabbiano, che, con grazia, si posò su una delle sartie. Quando un marinaio gli si avvicinò per scacciarlo, l'uccello cacciò un grido e si librò di nuovo in aria.
- Come mai ti interessa? -
- Girano molte voci su di te. Molti addirittura sostengono che tu sia la figlia illegittima del Generale Lullabyon. -
- Hanno una gran fantasia a credere che ci sia un legame di sangue tra me e lui. -
Arghail rise sommessamente, scuotendo la testa: - Sì, è quello che ho sempre pensato io. -
- Non oso immaginare cos'altro dicano. - sbuffò e, arresa, gli lanciò un'occhiata in tralice, - Va bene, risponderò alla tua domanda, a patto che poi tu faccia lo stesso. -
- Non c'è molto da sapere su di me. - ribatté lui, sorpreso e confuso.
- Questo lascialo giudicare agli altri. -
Arghail sospirò e si grattò il mento, dubbioso. Il vento gli gonfiava il cappuccio, scoprendo i capelli scompigliati e le occhiaie scure. Lanciò un'occhiata alle proprie spalle, come per assicurarsi che non ci fosse nessuno a origliare la loro conversazione, poi assentì.
- Comincio io. - sentenziò la ragazza, mentre raccoglieva i ricordi e cercava le parole giuste, - Fin da bambina ho sempre desiderato diventare un Cavaliere. I bardi, con le loro storie sul valore di questi uomini, mi affascinavano molto. pPoi c'era mio padre, il mio vero padre, che era un soldato e spesso era occupato al fronte nord, quindi non lo vedevo quasi mai. Le uniche testimonianze della guerra erano quelle dei cantori che di tanto in tanto sostavano nel mio paese. -
- Da dove vieni? -
- Un agglomerato di case a sud di Esperya, non penso tu nemmeno lo conosca. - si strinse nel mantello, più per nascondere la smorfia amara che per reale bisogno, - Mia madre non era granché d'accordo, secondo lei avrei dovuto imparare a cucinare, fare il bucato, prendere marito e, infine, trovare una casa da un'altra parte, magari in una città dove sarebbe stato più facile vivere, soprattutto per me. Io non ne volevo sapere, ovviamente. Nonostante mia madre mi sgridasse, ormai avevo le idee chiare. Mio padre non si è mai dimostrato contrario, anzi. Non era raro che prendesse in giro mia madre ricordandole quanto fosse pestifera alla mia età. Forse pensava che crescendo avrei cambiato idea da sola, chi lo sa. -
Il vento era diventato ancora più freddo e gli ordini alle loro spalle si susseguivano rapidi. I marinai correvano da una parte all'altra del ponte, intenti a lascare e cazzare le sartie in modo che le vele perdessero o catturassero le correnti.
Lo sguardo di Airis si perse oltre l'orizzonte, nel ricordo di un'assolata giornata estiva.
- Alla fine, mia madre mi prese da parte e mi spiegò come stavano le cose: la guerra non era un gioco, quello che i bardi raccontavano non era neanche lontanamente simile alla realtà. Mi disse che se avessi deciso di proseguire su questo cammino, avrei incontrato molte più difficoltà perché ero una donna. Non so per quale ragione, ma quelle parole, al posto di demoralizzarmi, mi convinsero ancora di più a intraprendere la strada per diventare un Cavaliere. Volevo che la guerra finisse, che la gente non dovesse più soffrire e che tutti potessero avere la possibilità di realizzare i loro sogni, indipendentemente dal sesso o dal ceto sociale. Ero certa di poter fare la differenza. -
- Ti sei mai ricreduta? -
- Ho risposto alla tua domanda, ora tocca a te. -
- È comunque inerente a ciò di cui stai parlando. Se vogliamo essere pignoli, non bisognerebbe nemmeno conteggiarla come un'altra domanda. -
La guerriera scosse la testa e abbassò le palpebre. Rivide uomini in catene, cadaveri sfregiati fino a rendere irriconoscibili i volti, elfi catturati mentre tentavano di scappare e poi messi al rogo, bambine e giovani donne stuprate in modi così violenti che in seguito i loro grembi non avevano potuto svilupparsi in modo normale, neonati uccisi a colpi di martello la cui unica colpa era quella di possedere il sangue del nemico nelle proprie vene. A tali immagini di morte si sovrapponevano quelle delle giornate passate con suo padre a imparare a cacciare e a tirare di spada, oppure Luthien in festa, il profumo zuccherino dei dolcetti appena sfornati e il ballo tra le braccia di Ledah, il suo calore, il modo in cui l'aveva guardata attraverso la maschera; o ancora le risate di Melwen e Zefiro, le premure di Myria, le parole cariche di speranza di Copernico.
- No, non mi sono ricreduta. Ho solo capito che bisogna possedere davvero molta determinazione per cambiare le cose. - mormorò flebilmente, per poi riscuotersi e raddrizzare le spalle, - Ora è il tuo turno. -
- Prego, sono pronto. -
- Uhm... raccontami dei tuoi genitori, di com'erano e di come ti hanno cresciuto. -
Il comandante si irrigidì e, quando Airis lo spiò, lo scoprì con i pugni serrati. Sapeva di aver toccato un tasto dolente, ma quelle informazioni le servivano. E per quanto dolorosi potessero essere i ricordi, sapeva che le avrebbe risposto.
- Hallende ti ha già anticipato qualcosa? -
- Più o meno, ma vorrei sentire tutta la storia dall'inizio. -
Improvvisamente, uno dei marinai sbraitò qualcosa e indicò nel mare, richiamando l'attenzione di tutti gli altri, che, incuranti dei rimproveri feroci dei due sovraintendenti, corsero alla paratia. Airis abbassò lo sguardo e rimase a bocca aperta nel vedere degli ippocampi dal manto blu e azzurro nuotare veloci accanto alla nave, mantenendosi perfettamente affiancati. Saltavano e si tuffavano come in un gioco, nitrendo ogni volta che un loro compagno si inabissava per poi riemergere vicino alla chiglia o in fondo al gruppo, gli zoccoli palmati che fendevano l'acqua e la luna che argentava la criniera d'alghe color pervinca.
- Non li avevi mai visti? - domandò divertito Arghail.
Airis negò a bocca aperta, incapace di distogliere l'attenzione dallo spettacolo che si stava svolgendo sotto i suoi occhi.
- Li ho solo scorti durante alcune attraversate, ma non si sono mai avvicinati tanto. -
- Infatti, di solito sono molto più timidi. - commentò una voce sconosciuta dietro di loro.
Si girarono giusto in tempo per vedere l'uomo che li aveva fatti salire a bordo affiancarglisi. Una semplice bandana gli copriva gli ispidi capelli neri e il cappotto gli sfiorava gli stivali ad ogni passo. Solo quando fu abbastanza vicino si abbassò la sciarpa, scoprendo dei denti sporgenti simili alle zanne di un cinghiale.
Airis, incredula, sbirciò in direzione di Arghail, ma nei suoi occhi non colse alcun un cenno di sorpresa.
- Davkar, non dovresti far tornare i tuoi uomini al lavoro? -
Davkar fece un gesto annoiato con la mano, come se volesse scacciare una mosca fastidiosa.
- Per qualche minuto possono godersi la visione di questi animali. Il vento è a nostro favore e stiamo precedendo con una velocità di sette nodi. Torvir non si lamenterà, te lo assicuro. - si appoggiò alla balaustra e si sporse per guardare meglio, - Inoltre, anche io sono curioso, non li ho mai visti così da vicino. -
Anche l'attenzione di Airis venne di nuovo calamitata dagli ippocampi. Un cucciolo con la cresta membranosa invece che di crini sollevò il muso e la fissò. Aveva occhi neri e liquidi, con lunghe ciglia setose. La guerriera ebbe la strana impressione di averlo già visto da qualche parte, soprattutto quando l'animale cercò di coinvolgere Arghail e nitrì finché non si accorse di lui. Si scrutarono fino a quando il capobranco non saltò fuori dall'acqua, per poi immergersi ancora insieme a tutti gli altri e scomparire alla vista.
Airis rimase a guardare le onde che si infrangevano contro lo scafo, stupefatta e al contempo scossa per la sensazione che aveva provato. Fu la risata divertita e bonaria di Davkar riportarla con i piedi per terra, una risata gradevole che mal si sposava con l'aria truce tipica di tutti gli ibridi di orco.
- Scusami, ma hai fatto una faccia così buffa! Un po' ti capisco, anch'io la prima volta mi sono meravigliato, però con questo vento ti consiglio di tenere la bocca ben chiusa, altrimenti ti ritroverai la lingua cosparsa di sale. - la stuzzicò.
Airis non reagì, fece solo spallucce. Non aveva molta voglia di parlare, non con lui almeno. Davkar dovette intuirlo perché, prima che Arghail potesse intervenire, li salutò frettolosamente.
- Sono tutti così propensi alle chiacchiere su questa nave? - domandò, senza nascondere il sarcasmo.
- Di solito no, evidentemente la presenza di una donna che non sia quella dispotica di Kyra li istiga. - fece un lieve cenno in direzione della ragazza che urlava ordini al fianco di Davkar, - Sai, gli aggettivi “aggraziata” e “delicata” non le si addicono molto. -
- Se stai cercando di deviare dal nostro argomento di conversazione principale, ti avviso che stai fallendo miseramente. -
- Non ci ho mai davvero sperato. - sospirò e si fece di nuovo serio, - Allora, dov'ero rimasto? -
- Non hai mai cominciato. -
Arghail si umettò nervosamente le labbra. Quando levò lo sguardo su di lei, Airis intravide una profonda tristezza.
- Non so esattamente chi siano i miei genitori. Mio padre e mia madre mi hanno trovato abbandonato sulla porta di casa loro, alla vigilia dell'equinozio di primavera, e da quel giorno mi hanno cresciuto come un figlio. Con gli anni ho iniziato a farmi delle domande, perché gli altri bambini mi additavano come “bastardo” o “figlio di nessuno” e non ne capivo il motivo. I miei genitori hanno provato a nascondermi la verità, fino a quando una sera mia madre non mi ha fatto sedere davanti al fuoco per raccontarmi tutto. Da una parte è stato liberatorio. Avevo sempre sospettato qualcosa, tra me e loro non c'era quasi nessuna somiglianza, ma mi ero sempre detto che era una coincidenza, una mia paranoia nata dagli insulti che mi rivolgevano. Sapere la verità è stato come prendere una boccata d'aria fresca, anche se sul momento il mondo mi è crollato addosso assieme alle certezze che mi ero costruito. -
- Dev'essere stato doloroso. -
Arghail sbuffò e fece una smorfia, poi infilò la mano sotto il mantello e tirò fuori un anello d'oro legato a una semplice cordicella a mo' di collana.
- Questa è l'unica cosa che i miei veri genitori mi hanno lasciato. Non ho nessun ricordo legato a loro. Però nemmeno mi interessa cercare informazioni, non più. -
- Hai mai provato a fare delle ricerche per scoprire la loro identità? -
- Sì, è stata la mia ossessione per molti anni, ma purtroppo si è rivelato come cercare un ago in un pagliaio. L'unica certezza che avevo era che appartenevano a una famiglia dell'aristocrazia e che qualcuno dei miei antenati si chiamava Elisewin. -
Le si fece più vicino, tanto che le loro spalle si toccarono, e rigirò l'anello tra le dita mostrandole l'iscrizione all'interno, le lettere morbide ed eleganti vergate nell'oro ancora brillante.
- Ho cercato a lungo, ma non ho mai trovato nulla, nemmeno nelle genealogie delle famiglie nobili più antiche della capitale. Alla fine ho rinunciato e ho deciso di andare avanti, senza più guardare indietro. -
- Allora perché lo hai ancora? -
- Non lo so. Ogni volta che provo a liberarmene, c'è qualcosa che mi ferma. So che potrebbero sembrare le parole di un pazzo, ma è come se... come se sentissi di doverlo custodire. -
Si sistemò la collana sotto il mantello e tornò a contemplare il mare, che sulla linea dell'orizzonte pareva gonfiarsi come se li volesse inghiottire.
Airis, dopo tutto quello che le era accaduto, ormai non si stupiva più di nulla, perciò l'esistenza di un anello magico non la turbava più di tanto.
- Hallende cosa ne pensa di questo? - buttò lì, nella speranza di riuscire a estorcergli qualche altra informazione, ma il sorriso furbo del comandante fu sufficiente a farle capire che la conversazione era finita.
- Avevamo detto una domanda ciascuno, Generale. Se desideri sapere di più, dovrai rispondere ad altre mie domande. - le soffiò all'orecchio.
Lei si ritrasse appena, scoccandogli un'occhiata di sfida.
- Sei salvo, per questa volta. -
- Ci vuole ben altro per farmi cadere in trappola. -
- Prima o poi tutti commettono degli errori. -
- Forse, ma non stasera. È stata una conversazione appassionante, magari ne potremo avere altre durante il viaggio. - ghignò, e subito dopo sbadigliò.
“Puoi contarci.”
- Buonanotte, Arlena. - la salutò, poi alzò il viso e inspirò a fondo corrugando le sopracciglia, - Vedi di non fare troppo tardi. C'è molta umidità nell'aria, sta arrivando una tempesta. -
- Va bene, rimango qui solo un altro po'. Buonanotte. -
Un banco di nubi più nere del cielo si stava addensando sopra le loro teste, prendendo in ostaggio la luna e le stelle. All'improvviso, nella mente di Airis risuonarono le parole d'avvertimento di Cyril.
 
Nei giorni successivi il viaggio proseguì tranquillo, senza alcun intoppo. Airis spesso si aggirava annoiata per la nave. Qualche membro dell'equipaggio a volte tentava di attaccare bottone, ma la conversazione moriva dopo qualche battuta, oppure proseguiva a singhiozzi finché il marinaio non decideva che aveva di meglio da fare. Per Airis non era una situazione insolita. Aveva sempre preferito i fatti alle parole, e quando era stata nominata Generale non aveva perso il vizio e la reputazione di pessima intrattenitrice. Anche con i suoi uomini più fidati, con i quali era cresciuta e aveva combattuto, difficilmente riusciva avere un dialogo che durasse più di due parole in croce. Mai si sarebbe immaginata di desiderare qualcuno con cui chiacchierare. Aveva provato a essere partecipe, come faceva quando era ancora una semplice recluta nell'esercito, ma ben presto si era resa conto che non avrebbe potuto condividere nulla con la ciurma di Torvir. Non la conoscevano nemmeno col suo vero nome, che cosa avrebbe potuto raccontar loro se non bugie?
Le sarebbe piaciuto parlare di nuovo con Arghail, ma il comandante era sfuggente e nervoso. Airis non sapeva a cosa attribuire quel repentino cambio di atteggiamento, anche se forse dietro c'era lo zampino di Torvir, date le occhiate torve che si lanciavano ogni volta che capitava loro di incrociarsi. Dopo l'ennesimo tentativo di spiegazioni fallito, la guerriera aveva deciso che non era affar suo e si era rintanata nella stiva, dove per passare il tempo aveva preso ad allenarsi. Dapprima si era limitata al solito addestramento, fendente dritto, sgualembro rovescio, taglio dritto, parata in spazzata dritta e rovescio, una serie di tecniche concatenate che ripeteva meccanicamente, concentrandosi sia sulla postura sia sulla potenza con cui eseguiva ogni colpo. L'esercizio era reso più difficile dal rollio della nave, ma presto vi si era adattata e aveva imparato come assecondarlo col movimento di braccia e gambe. Paradossalmente, non riusciva ad abituarsi alla sua nuova spada, troppo pesante e poco equilibrata per i suoi gusti.
Durante quei momenti morti, quando il corpo e la mente non erano abbastanza occupati, i ricordi la coglievano a tradimento, riemergendo dalla memoria come fantasmi erranti. Ripensava ai primi anni passati nell'esercito, alle difficoltà che aveva incontrato per integrarsi e per dimostrare che valeva qualcosa, il fatto di essere una donna non era un motivo valido per considerarla debole. Inevitabilmente, rievocava la voce calma e pacata di Felther, la sua attenta capacità analitica che destava stupore anche nei soldati più maturi e persino in qualche veterano. Tutti sapevano che sarebbe diventato il Cavaliere del Drago, così come suo padre e suo nonno prima di lui, era una carica che quasi si tramandava nella sua famiglia. Nessuno, tanto meno Airis, aveva capito il motivo che lo aveva spinto ad avvicinarsi a lei. Era stato improvviso, inaspettato: prima era seduta da sola a uno dei tavoli più lontani della mensa, poi aveva percepito una presenza prendere posto al suo fianco e, contemporaneamente, un forte brusio si era diffuso nella sala. Era riuscita a cogliere solo qualche esclamazione sorpresa e il nome del suo vicino: Eigor Felther. Le era rimasto accanto per tutto il pranzo senza proferir parola, mangiando la sua razione e aspettando che lei terminasse la propria. Dopodiché, Airis aveva udito i suoi passi allontanarsi e confondersi in mezzo a quelli dei loro compagni.
“Eravamo alleati, amici. Come abbiamo fatto ad arrivare a questo punto?”
Ad un tratto, nell'aria risuonò il fragore di un tuono e un'onda si infranse contro la nave con una tale forza da far cadere Airis. Ne seguirono altre, ancora più violente, una furia liquida che faceva rollare paurosamente il vascello.
Quando finalmente riuscì a rimettersi in piedi, Airis uscì dalla cabina e si trascinò su per le scale per vedere cosa stesse succedendo. I marinai correvano da una parte all'altra del ponte, eseguendo lesti gli ordini che avevano ricevuti dal nostromo, le cime e i pennoni che sfuggivano al loro comando come farfalle in un tornado.
- Che succede? -
- C'è una tempesta e noi siamo nell'occhio del ciclone! Torna sottocoperta! - le urlò Davkar a gran voce per sovrastare l'ululato del vento.
Un'altra onda li aggredì e la nave si inclinò pericolosamente, facendo temere ad Airis che si sarebbe ribaltata.
- Ditemi cosa posso fare per aiutarvi! -
Davkar la guardò sorpreso, ma bastò un altro colpo per fargli riprendere il controllo. Le intimò di seguirlo, facendosi largo tra il cordame e gli spruzzi che flagellavano il ponte da ambedue le parti. Assieme a una dozzina di marinai, aiutò a lascare le vele e a imbrigliarle ripiegando ampie sezioni di tela bagnata, per poi tesare di nuovo le sartie. Airis sentì un tuffo al cuore quando uno dei pennoni emise un cigolio agonizzante. Nell'oscurità la costa sembrava lontana, troppo.
- Maledizione! Mettersi alla cappa e poi rifugiarsi tutti sottocoperta! Riferite l'ordine, il capitano non vuole vedere nessuno sul ponte dopo la manovra! - sbraitò Davkar, poi puntò i suoi occhi da gatto su Airis, - Va' ad avvisare Torvir non appena abbiamo finito. -
- Sarà fatto. -
L'ordine rimbalzò da uomo a uomo e tutti si affrettarono verso la randa e il fiocco.
- Ammainate le vele! -
Tirarono con forza, combattendo contro la furia del vento, la pioggia battente e l'ondeggiare impazzito del vascello.
- Più forte! -
La voce stentorea di Arghail giunse alle sue orecchie. Airis vide la corda tendersi ancora di più dietro di lei e la vela dell'albero maestro cominciò a chiudersi, in contemporanea con le altre due. Torvir era aggrappato strenuamente al timone, la mascella contratta e i muscoli delle braccia sotto sforzo per non perdere la presa e mantenere la rotta.
- Ci siamo quasi, non mollate! - li esortò Davkar.
L'ultima parola gli morì in gola quando uno squarcio si aprì in una delle vele. L'albero cigolò, così come tutta la struttura e i due pennoni.
- Per tutti gli dei... -
- Non ce la possiamo fare, si porterà via tutta la nave! -
- Che qualcuno salga per tagliare le corde che la tengono! -
- Non andrà nessuno, è un suicidio con questo vento... -
- Silenzio! - berciò Torvir, avanzando verso di loro.
La coda si era completamente sciolta e i capelli bianchi ora gli frustavano incessantemente il viso. Squadrò la ciurma con espressione impassibile, ma il tremolio alle spalle tradiva la sua paura.
- Il timone è fissato sottovento, ma se qualcuno non sale a tagliare quelle maledette corde moriremo tutti! Non possiamo permetterci di perdere un albero per nessuna ragione al mondo. -
- Vado io. - si offrì Arghail.
Airis pensò che gli avrebbe detto di rinunciare, avrebbe mandato qualcun altro. Invece il mezzelfo tirò fuori un pugnale dallo stivale e glielo porse.
- Muoviti. Voialtri finite di ammainare le vele e poi tutti sottocoperta! Mi avete sentito? -
- Io rimango. Se la situazione dovesse complicarsi ulteriormente, tornerò sottocoperta. - disse Airis.
Torvir si abbandonò a un lungo sospiro, ma non replicò, spostando lo sguardo sulla sagoma di Arghail, che si stava lentamente arrampicando sull'albero di mezzana. Ogni volta che trovava una corda collegata alla vela, la tagliava senza esitare. Il vento faceva svolazzare il mantello attorno al suo corpo e la pioggia lo inzuppava, tanto da trasformarlo in una specie di frusta. Il capitano guardava in alto con crescente apprensione, tenendo sott'occhio la vela. Airis gli stava accanto, anche lei col cuore in gola.
Quando Arghail giunse all'altezza della vela e tagliò le ultime corde, il sollievo serpeggiò nei pochi membri della ciurma rimasti sul ponte.
La nave intanto rollava sospinta dalle onde, si alzava e si abbassava seguendo il ritmo impietoso del mare. All'improvviso, un'onda più alta delle altre si abbatté su di loro, ghermì Arghail e lo trascinò giù, oltre il parapetto.
- Uomo in mare! -
- Arlena! Arlena, torna qui! - gridò Torvir, non appena la vide partire correndo verso il punto in cui Arghail era scomparso.
Airis lo ignorò e avanzò schermandosi il viso dalla pioggia, che penetrava nella pelle come migliaia di aghi acuminati e gelidi.
“Non può morire! Se è davvero il prossimo re di Esperya, non posso assolutamente lasciarlo morire.”
Si sporse dalla balaustra e setacciò la distesa schiumosa in cerca di Arghail, l'ansia che le annodava lo stomaco. Scorse una mano allungarsi fuori dal pelo dell'acqua e una testa emergere tra i flutti, per poi svanire di nuovo, inghiottita dalla furia della tempesta. Si tuffò senza pensarci due volte.
L'impatto fu terribile. Il gelo le morse gambe e braccia e per lunghissimi istanti rimase paralizzata col respiro bloccato nei polmoni. Non seppe nemmeno lei come riuscì ad ordinare ai muscoli di muoversi. Annaspò chiamando Arghail a squarciagola, le onde che la sballottavano da una parte all'altra allontanandola dalla nave. Il buio l'avvolgeva e, per quanto assottigliasse lo sguardo, non vedeva altro se non acqua e nuvoloni neri che galoppavano veloci, scontrandosi con un ruggito tonante.
Una mano, la stessa mano che aveva visto prima, emerse poco lontana da lei e Arghail trasse un profondo respiro per incamerare ossigeno. Aveva il viso pallido e le labbra violacee, chiari sintomi di ipotermia. Non appena la individuò, si allungò nella sua direzione, mentre Airis nuotava verso di lui più veloce che poteva. Quando lo raggiunse, gli passò un braccio sotto le ascelle e lo chiamò ancora, nel tentativo di scuoterlo dal torpore in cui era precipitato e l'aiutasse a rimanere a galla, perché se si fosse lasciato andare sarebbero morti entrambi. Stava cercando di girarsi verso la nave, quando un'altra onda li avviluppò. Vinta dalla fatica e dal freddo, la guerriera perse la presa sul corpo svenuto di Arghail, la vista si appannò e le forze l'abbandonarono.
 
Il fragore di un tuono lo destò di soprassalto. Fuori era buio e nuvole nere avevano oscurato il cielo stellato, scaricando sulla terra e sul mare la loro ira. Si alzò lentamente dal letto di pellicce e si affacciò alla finestra, osservando il terribile spettacolo all'esterno, la furia della natura che si abbatteva contro la costa con un boato assordante. Ma non era stato quello a svegliarlo.
Lei era lì, lo sentiva.
Saltò in piedi e si avvolse nel mantello, i bracciali di crisoprasio che rilucevano alla luce fioca dei fuochi fatui. Doveva sbrigarsi, non aveva molto tempo.

Angolo Autrice:

Hello folks!
Come avete visto, la storia ha raggiunto le 50 recensioni! Quindi, come promesso, si parte col giveawy dove, chi vincerà, potrà decidere i personaggi e il mondo dove sarà ambientata la OS che scriverò! Vi lascio QUI il link della pagina e niente, se avete domande, sapete dove trovarmi! Un bacione e grazie mille a tutti!
Hime

  
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