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Autore: Ayr    05/05/2017    4 recensioni
"Ivory, a quanto pare sei riuscito a distinguerti per abilità, coraggio ed un pizzico di fortuna in mezzo a quella turba di guerrieri grandi il doppio di te, e sei anche riuscito a prevalere su di loro. Ciò significa che sei il migliore tra questi e che sei colui che è destinato a compiere la missione» il tono della sovrana si era fatto improvvisamente grave e serio, facendo preoccupare l'elfo, «Ciò che sto per chiederti è molto pericoloso e potrebbe anche essere considerato tradimento, se prima di questo non ne fosse già stato compiuto un altro: mia sorella, dopo l'ultima visita, mi ha sottratto una cosa a me molto cara, nella speranza che non mi accorgessi della sua assenza... Si tratta di uno specchio"
Quando Ivory sentì quelle parole uscire dalle labbra della Regina Rossa, pensò ad uno scherzo di cattivo gusto: come poteva uno specchio essere oggetto di una tale contesa?
Ma nulla è come sembra, e anche lo specchio non è una semplice superficie riflettente, bensì un oggetto pericoloso e affascinante, che ammalia e promette di realizzare i più profondi desideri di un uomo...a caro prezzo
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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III

«Che intenzioni hai?»
«Mi sembrava ovvio: vengo con te!»
«Sei impazzito! Perché dovresti venire anche tu?» Ivory gettò uno sguardo sconcertato allo zaino mezzo pieno di Brandbury. Quando era tornato a casa dopo essere stato dall'armaiolo, l'aveva trovato intento a fare i bagagli, per due.
«È un viaggio pericoloso, Brand, e la Regina ha incaricato me!» sbottò, «Non si tratta di una scampagnata, di una gita in montagna: devo attraversare due regni, e le montagne sono infestate da leoni e orsi e tigri, per non parlare dei briganti e dei malintenzionati che si trovano lungo le strade!»
«Ma potrei esserti utile!» replicò l'altro, «Sono un medico e proprio perché il viaggio è pericoloso, potresti avere bisogno di me.»
«Mi hai insegnato le tecniche principali e più semplici, Brand, riuscirò a cavarmela anche senza un cerusico appresso.»
Ivory non aveva alcuna intenzione di mettere in pericolo il fratello coinvolgendolo in un viaggio lungo e periglioso. Lui era abituato al freddo, agli stenti e ad affrontare belve feroci o briganti; ma Brand aveva sempre vissuto in quel villaggio, immerso tra i libri e le erbe, e non aveva idea di come sopravvivere all'infuori di quelle quattro mura sicure.
«Non puoi venire con me» cercò di blandirlo, «non sei abituato a questo genere di cose, rischieresti solo di mettere in pericolo la tua vita.»

Brandbury era il fratello maggiore, quello più giudizioso e prudente, e quel comportamento era così insolito per lui: prima di allora, mai si era impuntato nel voler imbarcarsi in qualcosa che fosse esplicitamente pericoloso, e Ivory si domandò il motivo di una tale insistenza e ostinazione.
«Mi sono stancato di vederti partire, senza sapere se saresti tornato!» esclamò il giovane all’improvviso, cogliendo l’altro di sorpresa, «Sei il mio unico vero amico, il mio unico affetto, l'ultimo che mi sia rimasto: mamma è morta ormai da anni e papà non si è mai fatto vedere, non ho mai avuto altri fratelli o altri parenti all'infuori di te. Permettimi di venire con te, solo per questa volta!»

Brandbury sollevò lo sguardo dal baule in cui stava rovistando, e ciò che l'elfo lesse negli occhi del fratello lo sconvolse: tra le iridi turchine erano racchiusi un dolore straziante e una preoccupazione indicibili, sedimentatisi lentamente negli anni, che si erano avvinghiati alla sua anima e avevano steso la loro patina scura su quello sguardo sempre sorridente e luminoso, adombrandolo. Quegli occhi così carichi di tristezza e apprensione lacerarono l’elfo e lo fecero sentire ancora più in colpa; la supplica del fratello gli strinse il cuore, ma per quanto comprendesse la sua sofferenza e la sua frustrazione, così come Brand non voleva perdere Ivory, quest’ultimo non poteva permettersi di perdere il fratello: non sarebbe mai riuscito a sopportare la sua assenza, il ricordo di lui sarebbe stato troppo straziate e l’accoglienza calorosa, che gli riservava ogni volta che tornava dopo una campagna, sarebbe stata una mancanza troppo grande e troppo dolorosa. Brand rappresentava un porto sicuro a cui tornare dopo essere stato trascinato in lungo e in largo dalle correnti e strapazzato dai venti impietosi; era l’unico punto fermo e sicuro della sua vita movimentata e incerta, era un faro, una guida e una roccia a cui aggrapparsi nei momenti di difficoltà, ma anche un focolare domestico presso cui riposarsi e sentirsi amato…Non si sarebbe mai perdonato se fosse successo qualcosa a Brand, a maggior ragione se lui ne era la causa e avrebbe potuto evitarlo, e preferiva di gran lunga saperlo depresso ma vivo e al sicuro, piuttosto che accanto a lui e costantemente in pericolo.
«Non voglio rischiare di perderti, come non lo vuoi tu» mormorò l’elfo, sperando che l’altro capisse e accettasse la sua scelta, anche questa volta, sebbene a malincuore.
«Non voglio rimanere, non più» si imputò, invece, Brandbury, «Ho vissuto per troppo tempo questa situazione ed è diventata insostenibile: tu non hai idea dell'angoscia, della preoccupazione e del terrore che provo ogni volta che ti vedo partire; devo ingerire quantità esorbitanti di passiflora per riuscire a dormire la notte...Sono distrutto!»
Ivory non sapeva come replicare: non voleva che Brandbury venisse con lui, ma d'altro canto quel cocciuto di suo fratello si era intestardito a voler venire con lui.
Improvvisamente un’idea balenò nella sua mente: sarebbe stata una mossa meschina e crudele, ma era l'unico modo per evitare che il fratello lo seguisse.

«Va bene» concesse alla fine, «Partiremo domani mattina, all'alba. E sappi che se non ti sveglierai non ti aspetterò e rimarrai qui.»
Un largo sorriso piegò le labbra sottili del ragazzo, illuminandogli il viso.
«Grazie» mormorò, mentre finiva di preparare lo zaino.
Ivory sorrise a sua volta, ma il piano che aveva appena ideato rese il suo sorriso più amaro e triste.
Quella notte aspettò che Brandbury si addormentasse e non appena sentì il suo respiro farsi lento e regolare, sgusciò silenzioso e svelto come uno spettro fuori dalla porta, portandosi dietro lo zaino pronto che era stato lasciato all'ingresso. Si sentì un ladro e un traditore, ma si disse che era per una buona causa e che Brandbury avrebbe capito.
La luna stendeva una cortina d'argento sui tetti di legno delle casupole; non erano molte ma erano tutte ben mantenute e ordinate, segno che quel villaggio per quanto modesto, non fosse così povero, e che i suoi abitanti potevano permettersi di far riparare un tetto. Era un luogo tranquillo e pacifico, in cui Ivory si sentiva a disagio e rinchiuso, come in una gabbia, abituato agli accampamenti e ai campi di battaglia, molto più vasti e frementi tanto nell'attesa quanto nell'azione, pregni dell'odore di sangue, sudore ed eccitazione, con l'aria perennemente carica e un'atmosfera sempre tesa o rimbombante di grida, imprecazioni e incitazioni. Era il luogo perfetto per Brandbrury, invece, ugualmente pacifico, tranquillo e silenzioso, dedito allo studio e alla riflessione, abituato a comodità che in un viaggio come quello erano assolutamente impossibili da ottenere o anche solo da immaginare.

È la cosa migliore, cercò di convincersi l’elfo, sistemando lo zaino sulla spalla. Ma allora perché si sentiva così male, quasi avesse commesso un’azione turpe e imperdonabile?
Gettò un altro sguardo alla casupola, l’ultimo, e diede il suo silenzioso saluto al fratello ancora addormentato e ignaro dell’inganno. Cercò di scacciare quel pensiero insistente dalla mente e si ripeté per l’ennesima che era la sola cosa giusta da fare.
Con un sospiro iniziò ad avviarsi verso i campi che si aprivano appena oltre la locanda del vecchio Tom: il primo edificio che accoglieva i viandanti con l’invitante profumo del vino speziato e il calore delle risa e dei canti dei contadini che si radunavano lì dopo la giornata di lavoro, oppure l’ultimo che li salutava malinconicamente con la vedova Becky sulla porta stretta nello scialle e un sacchetto di paste dolci in mano, appena sfornate, da sbocconcellare lungo il cammino. A quell’ora della notte, però, la locanda era buia e silenziosa e non c’era nessuna vedova ad augurargli un buon viaggio.
Ivory estrasse da sotto la camicia la bussola che gli aveva donato la regina, fece scattare il meccanismo e il coperchio svelò la mappa luminosa e diafana, il nastro di luce scura indicava la medesima direzione di quel giorno, dalla regina, e puntava stabilmente verso nord.
La sovrana aveva corredato quel dono con uno più macabro ma essenziale: l’elfo si assicurò di avere in tasca la fialetta contenente il sangue della donna, l’unico che fosse capace di azionare la bussola. Questa, infatti, non funzionava sempre e dopo qualche giorno l’effetto del sangue si esauriva e la mappa scompariva, lasciando il quadrante vuoto e freddo come Ivory l’aveva visto la prima volta; per evitare di rimanere senza indicazioni nel bel mezzo dei Giganti di Ghiaccio, la regina aveva provveduto a rifornirlo della linfa per alimentare la bussola, e sotto il suo sguardo sorpreso, aveva praticato un piccolo taglio sul palmo della mano, facendo gocciolare il sangue in quella minuta fiala di vetro e oro, che ora il guerriero stringeva tra le dita, rassicurato dalla sua presenza.
Assicuratosi sulla direzione da prendere, Ivory scomparve, inghiottito dalle brume sfilacciate che aleggiavano sui campi.

La notte scivolava lenta e le stelle ammiccavano, volteggiando lievi nella volta celeste come fanciulle alla festa del Solstizio; per trascorrere il tempo cercò nel cielo le figure immaginarie che gli uomini avevano creato per potersi orientare e per avere una guida anche nella tenebra: la Fanciulla gli sorrideva a est, sciogliendo la sua chioma d'argento verso il Cacciatore che, affiancato dal suo Cane fedele, vegliava sulla danza turbinosa delle Sette Sorelle strette in un abbraccio, ignare della Vipera appostata ai loro piedi e schiacciata dalle zampe del Cane; seguendo il corpo sinuoso della Vipera giunse alla Brocca e al Veggente che aveva incastonata in fronte la stella più luminosa del firmamento, accanto a lui sostavano la Matriarca e il Pastore, mentre l'Ardito cavalcava contro l'Idra e mozzava le sue teste armato di Spada.
Ivory era cresciuto con le storie di quelle figure, sua madre soleva raccontargliele prima di andare a dormire e il ragazzo si imbeveva di quelle immagini siderali e fantasiose, così affascinanti e lontane. Le stelle avevano rappresentato per lui un conforto e una compagnia durante le notti prima della battaglia, quando non riusciva a prendere sonno, o mentre era il suo turno di guardia e passeggiava assorto per l'accampamento, o ancora quando era in viaggio verso casa o tornava al fronte; non mancava mai, in nessuna occasione, di alzare lo sguardo verso il cielo e di ritrovare quelle care amiche pazienti e scintillanti. Le stelle gli ricordavano casa, la madre e il calore dei suoi abbracci, il suono della voce reso flebile dalla malattia, le sue mani morbide e profumate, i suoi dolcetti del giorno di festa e le ore trascorse a rammendare i suoi abiti alla luce del focolare.

Una sera, ormai consapevole della sua imminente dipartita, gli aveva rivelato che chi lasciava questo mondo non lo faceva mai completamente, perché diventava una stella e continuava a vigilare sui suoi cari, osservandoli dall'alto e guidandoli.
L'elfo ogni notte alzava lo sguardo al cielo nella speranza di ritrovare il volto di quella donna caritatevole e immensamente buona che l'aveva accolto e cresciuto.
Brandbury aveva gli stessi occhi di sua madre e ogni volta che il mercenario incrociava per un momento il suo sguardo, aveva come l'impressione di cogliervi un frammento della donna, evanescente e subitaneo. Condividevano anche lo stesso buon cuore e sperava con tutto sé stesso che al fratello non venisse qualche strana idea dettata dalla sua generosità. 
Il suo istinto gli suggeriva che non l’inganno non l’avrebbe fermato, e il suo istinto raramente si sbagliava.

   
 
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