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Autore: NeroNoctis    05/05/2017    0 recensioni
Julian è un ex cacciatore di streghe che ha scelto di non intervenire più nel mondo sovrannaturale. Dopo che una Banshee ha sterminato la sua famiglia e lui stesso ha causato il coma della persona a lui più cara, ogni cosa ha perso valore e i sensi di colpa lo divorano ogni secondo che passa.
Tuttavia, l'arrivo di una misteriosa figura stravolgerà nuovamente la vita dell'uomo, che sarà messa alla prova da oscure presenze, echi del passato e segreti che potrebbero cambiargli ancor di più la vita, o distruggerla per sempre.
Genere: Dark, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Contro ogni previsione, Julian era caduto vittima dell'abbraccio di Morfeo, svegliandosi solo diverse ore dopo, o almeno era quello che credeva. Era difficile stabilire il passare del tempo quando ti trovavi rinchiuso tra quattro mura, anzi, tre mura e delle sbarre di metallo. 

L'uomo aveva un sapore metallico in bocca, avrebbe pagato per bere qualcosa... nah, si sarebbe accontentato anche di un semplice bicchiere d'acqua. Si voltò nella direzione di Jo, notando che la ragazza non era presente. Si alzò, sputando sul pavimento per tentare di placare quel gusto orribile e passò in rassegna l'intera cella. Niente, della ragazza nemmeno l'ombra. Probabilmente gli Angoni l'avevano presa e la cosa non lo rincuorava neanche un po'.

Julian si avvicinò alle sbarre di metallo, chiudendo le dita attorno ad esse e sentendo la superficie ruvida per vie delle imperfezioni e della ruggine. Strattonò con tutta la forza che aveva in corpo, conscio che era un azione inutile, ma gli sembrava la cosa più logica da fare in quel frangente. Sospirò, imprecando sottovoce, poi si voltò e si sedette fissando davanti a sé, completamente assorto nei suoi pensieri.

Era forse la sua fine? Sarebbe tutto finito così, in una cella? Prigioniero di un gruppo che combatteva i Cacciatori e che, probabilmente, minacciava il mondo intero? Di certo quando pensava alla sua morte, non era questo quello che vedeva. Aspirava a qualcosa di diverso: una vita lunga e tranquilla con sua moglie, magari una vecchiaia vissuta in una casa isolata dal mondo e con loro due seduti davanti la porta di casa a contemplare la natura, mentre i nipotini giocavano spensierati e sorridenti.

Poi la sua famiglia cessò di esistere e Julian imbracciò nuovamente le armi per farsi giustizia... no, per vendicare i suoi cari. Voleva uccidere quella Banshee che aveva distrutto la sua vita e chissà, forse sarebbe morto in quel tentativo o anche prima, mentre seguiva la pista di quelle Streghe in bilico tra la vita e la morte, quelle Streghe che riuscivano a percepire le anime dei morti e che urlavano in modo disumano.

Invece era lì, chiuso in una cella, con tutti i suoi pensieri vanificati. Una fine così stupida per Julian Sullivan... ma forse era troppo semplice. Suo padre era già stato in quella magione, aveva lasciato degli indizi e una parte di lui sapeva che c'era qualcosa di profondamente oscuro in quei segreti, qualcosa che avrebbe rimescolato tutto. Qualcosa che... forse avrebbe fatto luce sulla morte del padre? Non sapeva perché quel pensiero sfiorò le corde più nascoste della sua mente, ma qualcosa in lui, una vocina flebile e nascosta, gli diceva che forse non tutto era come sembrava.

«Ehm...» una voce tenue fece trasalire Julian che, ancora immerso nei suoi pensieri, non notò neanche l'esile figura che si stagliava dubbiosa dietro le grate. L'uomo fu visibilmente sorpreso di vedere una bambina che reggeva un vassoio di metallo tra le mani e, a giudicare dal tremolio dello stesso, non era nemmeno tanto sicura di perché si trovasse là sotto con quello che probabilmente era un nemico.

«Ti sei persa?» chiese Julian, non riuscendo a fare a meno del suo solito sarcasmo che a volte veniva fuori nelle situazioni più inopportune, soprattutto quando era rivolto ad una bambina che avrebbe voluto trovarsi ovunque tranne che in quel posto sporco ed umido insieme a qualcuno che avrebbe voluto evitare ad ogni costo. Ma la cosa che più disgustava l'uomo era una: come si poteva mandare una bambina da un prigioniero?

«No» sussurrò lei, avvicinandosi alle grate di metallo e ruggine «ho qui il tuo pranzo... spero che tu abbia fame...» la sua voce tremava e la cosa, per qualche assurdo motivo, fece sentire Julian a disagio. 

«Si, si ho fame» si limitò a rispondere lui, non distogliendo lo sguardo dagli occhi marroni di lei. Erano grandi, ma lo sguardo era comprensibilmente indeciso. Ciocche di capelli castani si posavano delicatamente sulle spalle della bambina, che nonostante tutto erano dritte e decise. Che buffa contraddizione.

«Hai paura?» 

Lei scosse la testa, in un modo così deciso che Julian sorrise. Forse non era paura, più timore, ma c'era qualcosa in lei che gli piaceva. «Come ti chiami?»

«Emily»        

Julian decise di avvicinarsi ad Emily, che si irrigidì leggermente, cosa che l'occhio allenato del Cacciatore notò. Una volta afferrato (quasi a fatica) il vassoio, lo esaminò scrupolosamente: una fetta di pane che sembrava essere vecchio di qualche giorno, una sostanza che somigliava alla lontana a del purè di patate e... cosa diavolo era quella cosa? Una sostanza scura, informe... cibo per cani? Forse era la cosa più plausibile.

«Avete dei cani qui?» chiese, non distogliendo lo sguardo da quella... cosa. Giurò di aver visto del movimento sospetto in quell'accozzaglia di roba scura, ma forse era solo la sua immaginazione, o almeno così sperava. La bambina, intanto, scosse la testa, cosa che aggravò le teorie di Julian che si ritrovò costretto a pensare che si trattasse quasi certamente del cervello di un ghoul, dato che ormai i ghoul andavano così tanto di moda anche nel mondo reale. 

L'unica cosa vagamente umana in quel vassoio era la bottiglietta d'acqua, ancora chiusa e non manomessa, l'uomo fu rallegrato dalla cosa e si rese conto di avere una gran sete, in quanto alla fame beh, forse poteva resistere ancora un po', o al limite poteva provare a masticare le grate, unendo la fuga al semplice cibo. 

Emily fissò per qualche secondo Julian, dopodiché si voltò ed iniziò a camminare verso l'uscita, lasciando quello strano prigioniero in balia del cibo preparato dai migliori cuochi della magione degli Angoni. In quanto a Julian, beh, si sforzò enormemente di mettere qualcosa sotto i denti, ovviamente tutto escludeva la misteriora poltiglia scura, così afferrò del pane, lo spezzò quasi a fatica e lo immerse nel presunto purè, mandando giù quel boccone che non sapeva assolutamente di nulla.


Passò circa mezz'ora e il rumore di piccoli passi riecheggiava nuovamente nelle celle, attirando l'attenzione di Julian che vide Emily arrivare a grandi falcate e con qualcosa in mano. La bambina si posizionò di fronte alla cella, porgendo qualcosa all'uomo che, incuriosito, accettò. Tolta la carta da quel misterioso oggetto, pensò di essere finito in paradiso. I suoi occhi stavano guardando un vero panino! Emily fece lo stesso, guardando Julian e sorridendo. La classica intesa da panino, pensò Julian. Pensò anche che quella bambina dovesse essere un angelo per avergli portato del vero cibo e restare lì, a condividere il momento tra un morso e l'altro.

I due si ritrovarono seduti sul pavimento, divisi solo dalle grate di metallo. Julian stava masticando quel cibo così squisito che non sapeva neanche cosa ci fosse con esattezza all'interno. Aveva riconosciuto dell'ottima carne speziata, con lattuga e salsa, ma era troppo preso dalla situazione per analizzare minuziosamente l'interno. Emily, dal canto suo, mangiava tranquillamente e scambiava qualche parola col prigioniero.

«Quindi Emily» fece Julian, parlando con la bocca semi-piena «cosa ci fa una bambina come te in questo posto così... umido?»

«Non sono una bambina» tuonò lei, da dietro le grate. Il suo sguardo voleva sicuramente apparire minaccioso, ma il fatto che avesse il mento sporco di senape aromatizzata distruggeva un po' gli intenti di lei.

«Quanti anni hai? Non sei una bambina, stupiscimi»

«Dodici» rispose lei, addentando nuovamente quel panino.

Julian si ritrovò a sorridere «Okay, ragazzina»

Emily sembrò più entusiasta di quell'appellativo, anche se non del tutto. Voleva sentirsi un'adulta e, forse in parte e nel profondo del suo cuore, lo era già. Gli raccontò un po' la sua storia, quello che aveva passato. Era cresciuta in quella magione, insieme agli Angoni ed era a tutti gli effetti un vero e proprio membro. I suoi genitori erano degli ex cacciatori che avevano disertato dall'Enclave e per questo finirono uccisi, il fatto che persero la vita di fronte a lei, beh, era qualcosa di orribile. Così si ritrovo lì, da sola, senza una famiglia e in balia di sè stessa, trovandosi costretta ad adeguarsi alle regole degli Angoni. Pian piano iniziò a familiarizzare un po' con tutti, anche durante gli addestramenti, per poi ritrovarsi a svolgere mansioni piuttosto semplici, come il portare cibo ai detenuti. 

Julian rimase in silenzio durante quel racconto, smise addirittura di mangiare, concentrandosi un punto indefinito del muro. Quella storia gli ricordò così tanto il suo passato... addestramenti, famiglie guerriere e tragedie. Ma lui ormai era adulto e aveva imparato a convivere con il dolore, lei... lei era ancora una bambina. Nonostante volesse dimostrarsi adulta, forte e sicura di sé, Julian sapeva che Emily era fragile, insicura e così tante altre cose che non riusciva nemmeno ad immaginare. Una dodicenne non doveva vivere in quel modo, lei avrebbe dovuto essere a scuola, uscire con gli amici, ricevere rimproveri dai genitori e fare tutto quello che spetta ad una bambina, ma no, la vita per lei aveva scelto diversamente. Erano uguali e questo lo fece stare tremendamente male.

«Emily!» Tuonò una voce da lontano, voce che divenne via via più forte e profonda. Un uomo, con la tenuta degli Angoni, si fermò di fronte a quello strano spettacolo, fissando in silenzio i due che erano ancora seduti sul pavimento. «Cosa stai facendo?» chiese, con una voce che tradiva una certa rabbia.

«Niente...» rispose lei, abbassando lo sguardo, mentre quell'uomo si avvicinava e la portava via, sotto lo sguardo di Julian che si scontrò, in modo prepotente, con quello dell'Angone. Passarono diversi minuti, poi l'uomo tornò. 

«Hai intenzione di portare via anche me?» chiese, sorridendo in modo sarcastico, ma l'Angone non parve apprezzare molto quella domanda. Passò una mano tra i corti capelli castani, mentre il suo sguardo azzurro esaminava ogni centimetro di Julian, in modo sospetto ed accusatorio, misto a disprezzo ed odio. Un quadretto niente male.

«Chi tace acconsente! Oppure il tuo silenzio è uno di quelli che non promettono nulla di buono?» aggiunse, infine.

«Sta lontano da lei» 

«Beh, io sono in una cella, è complicato in ogni caso avvicinarmi a lei»

«Penso di essere stato abbastanza chiaro, Cacciatore» detto ciò, l'Angone si allontanò da Julian, per poi fermarsi qualche passo dopo, portando l'indice all'orecchio sinistro e chinando il capo «Si. Ne è sicura? Ricevuto» detto ciò si voltò, fissò per qualche secondo il prigioniero per poi avvicinarsi alla cella «Il Capo vuole vederti.»   


 

 

«Hai fame?» chiese Lily, mentre armeggiava con qualche arnese in cucina e cercava diversi ingredienti. Il suo modo di fare era così disinvolto che Gideon pensò che non era nuova a cose del genere, e sicuramente amava il mondo culinario, cosa che il Vampiro non poteva certamente dire, lui era più propenso a mangiare (e sbranare persone) ma di fatto a preparare qualche piatto... beh, era negato.

«Mi stai proponendo di affondare i miei canini sul tuo collo?» scherzò lui, ma con un tono di voce che fece trasalire la ragazza, il fatto che Gideon si era estremamente avvicinato a lei e aveva finito la frase sussurrandole proprio sul collo non aiutava di certo, tuttavia Lily tentò di non tradire la sua tensione. 

«Non...» sussurrò, tentando si spostarsi dal ragazzo che, ancora sorridendo, teneva le labbra a pochi millimetri dalla pelle di lei. Riusciva a sentire il sangue scorrere nelle vene e quel profumo particolare che emanava lei, un misto di sapone e vaniglia, misto a qualcosa di buono. 

«VAI VIA!» urlò di scatto lei, voltandosi e schiaffeggiando Gideon che, colto alla sprovvista, rimase immobile. Non aveva certamente intenzione di morderla, tanto meno di fare altro, perché allora quella reazione? Cosa aveva fatto di così sbagliato? Uno scherzo finito male. «Non volevo spaventarti» rispose lui, guardando negli occhi lei e notando qualcosa di strano, come un oscuro dolore che stringeva in una morsa velenosa quella ragazza. 

Non poteva certamente immaginare che quella ragazza che profumava di così buono non aveva un buon rapporto con quel genere di cose, quella vicinanza così provocatoria seppur scherzosa e altre cose che potevano ricondurre ad un contatto fisico un po' più particolare. Quando da bambina senti sulla tua pelle dei tocchi di uno zio che vuole ben altro da te, beh, non è facile crescere. Non è facile fidarsi degli altri e non è facile approcciarsi con le persone del sesso opposto, soprattutto con il sesso in generale, lei, che da quel momento in poi, aveva guardato con sospetto chiunque e non aveva neanche mai baciato un ragazzo, facendo comunque credere il contrario a tutti, compreso Cam, per illudersi di avere una vita normale e non marchiata da quel segreto così viscido.

«Vattene» ripetè lei, stavolta abbassando lo sguardo con Gideon che rimase immobile per qualche secondo. Era probabilmente la prima volta che veniva trattato così, beh, almeno la prima volta che non aveva intenzioni particolari. Decise di voltarsi e iniziare a camminare verso l'uscita, senza sapere neanche il perché. Non era quel tipo di ragazzo che prendeva ordini, non era qualcuno che ascoltava facilmente, ma c'era qualcosa in quella situazione che lo convinse, qualcosa in Lily che gli sfuggiva, un fardello così grande da superare persino il suo, probabilmente.

Si ritrovò in strada, sotto il cielo stellato di Newport. Le vie erano quasi deserte, eccezion fatta per un auto che lo superò, illuminandolo in modo fastidioso con quei fari così abbaglianti. L'aria odorava di natura, smog e cibo, mentre il rumore dei suoi passi e il rombo del motore dell'auto in lontananza erano gli unici suoni che lo accompagnavano. Guardare Main Street così vuota lo intristì, non sapeva bene il perché, o forse si sentiva in quel modo semplicemente per quanto accaduto prima? Non sapevo dirlo con certezza.

Recuperò dalla tasca una sigaretta, che accese poco dopo. Non era un amante del fumo, ma il fatto di essere sostanzialmente una creatura non proprio umana ed immune alle malattie comuni lo spingeva a sfogarsi anche in quel modo. Il sapore del fumo lo disgustava e lo rilassava al tempo stesso, ricordandogli un po' il suo passato: le strade trafficate da carrozze, i gentleman con il soprabito, il fumo incessante delle fabbriche e dei macchinari che contraddistinguevano la Londra Vittoriana da qualunque altra città. Ricordò un paio di vicende, le leggende che nacquero dopo e poi ricordò lei... buttò fuori il fumo dai polmoni e afferrò nuovamente quella foto che aveva osservato il giorno prima durante l'addestramento: Lucie, la sua Lucie. 

Osservò quella foto per un tempo così indefinito che parve un eternità, affogando nei ricordi dalla quale era possibile fuggire. Ricordi che sommergevano come acqua scura e che impedivano di venirne fuori, tra un boccheggio e l'altro che inevitabilmente avrebbero portato chiunque a fondo. Dei passi alla sua sinistra lo destarono, fin quando non riconobbe Cam che, a passo veloce e deciso, lo raggiunse.

«Cosa hai fatto?» ringhiò lui, con uno sguardo che non assumeva mai. Un misto di rabbia, odio e tensione. Gideon portò nuovamente la sigaretta alla bocca, sputando fumo sul viso di Cameron, che contro ogni previsione non tossì. Era immobile e in attesa.

«Niente» si limitò a rispondere lui, ed era vero. Non aveva assolutamente fatto nulla, aveva soltanto voglia di scherzare un po', per stemperare la stanchezza dell'addestramento di quel giorno. Era il secondo giorno di addestramento sul campo e i fratelli, seppur con qualche difficoltà, sapevano usare la magia. Certo, erano inesperti e non avrebbero mai potuto effettuare incantesimi complessi (cosa che comunque non conosceva neanche lui, non era uno stregone o un mago o chissà che, era semplicemente qualcuno in grado di usare magie, di cui qualche trucco interessante, ma una strega di media potenza probabilmente era migliore di lui) ma procedevano bene. Fino a quel giorno avevano giocato con la magia in incantesimi semplici e brevi, ma il manipolare gli elementi o creare scudi, beh, non avevano mai provato, ma almeno adesso sapevano le basi.

«Niente?» ripetè lui, nervoso «Allora perché mia sorella è scoppiata in lacrime?»

«Non lo so, non so cosa abbia passato e non so cosa nasconda, ma di certo io non ho fatto nulla, aveva solo voglia di scherzare ma non l'ha presa benissimo»

«Scherzare?» Cam alzò ancora il tono della voce, mentre Gideon gettò la sigaretta e si voltò verso qualcosa di più interessante, come il distributore di bibite in lontananza che faceva compagnia ad ogni ospite del motel in cui alloggiavano. Improvvisamente Cam allargò il braccio, colpendo la mano del vampiro e facendogli cadere la foto che aveva in mano, foto che aveva quasi dimenticato di stringere ancora.

«Guardami quando ti parlo!» Gideon si voltò, lentamente. Il suo sguardo mutò in qualcosa di diverso, selvaggio. Afferrò Cam per il collo, sbattendolo al muro dell'abitazione che faceva da sfondo a tutto. 

«Ascoltami ragazzino. Non provare mai più a far cadere quella foto o tua sorella avrà davvero un motivo per piangere. Non venire ad incolpare me per qualcosa che ho non ho fatto, scopri cos'ha lei che non va, perché tutti abbiamo dei segreti, tutti quanti. Tu potrai essere anche gay e pensare di avere il peso enorme della società sulle spalle, ma credimi, tua sorella ha qualcosa di oscuro dentro e tu non hai mai notato niente, quindi invece di aggredire me e commettere errori imperdonabili, torna da lei e rimedia.»

Gideon lasciò la presa su Cam, che cadde e si portò le mani alla gola. Stava per rispondere, ma il bruciore che provava non gli permettè di emettere alcun suono. L'altro si allontanò, recuperando la foto e riponendola delicatamente in tasca, per poi dirigersi verso una meta sconosciuta anche a lui. 

«E il tuo?» riuscì a dire Cam, con voce roca e tremolante «qual'è il tuo segreto?»

Gideon si fermò per un attimo, portando la mano all'altezza della tasca, successivamente riprese a camminare, lasciando Cam da solo e dolorante. 


Vaticano, Sede dell'Enclave


Tutto quello che Paul riusciva a sentire era dolore: alla testa, alle mani, agli occhi e in ogni singola parte del suo corpo. Aveva gli occhi chiusi e un sapore amaro in bocca, ma ciò non gli impediva di sapere di essere da qualche parte del mondo completamente sbagliata, in un contesto sbagliato e con le persone sbagliate. Tentò di alzare la testa, fallendo. Intorno a lui dei rumori metallici ed alcuni passi, con uno strano odore di alcol nell'aria. Il tipico odore di ospedale, si disse. Ma com'era arrivato lì? Dio, non ricordava praticamente nulla, solo qualche frammento.

Seppur a fatica, finalmente riuscì ad aprire gli occhi, mettendo a fuoco lentamente quell'ambiente circostante: mura bianche, lettini ospedalieri in fila e... un prete? Okay, forse la botta in testa era stata davvero forte o semplicemente quella era la sua estrema unzione. Aprì la bocca per dire qualcosa ma l'unico suono che uscì fu un rantolo fastidioso.

Il prete che stava nella stanza si voltò subito verso Paul, strabuzzando gli occhi e correndo fuori dalla stanza, inciampando quasi sul bordo del letto. Passarono alcuni minuti e nella stanza entrarono un uomo che indossava una strana divisa e il prete di poco prima «Non ci voleva» sentenziò l'uomo, fissando Paul che non capiva, mentre l'altro annuì, stringendo a sé qualcosa che Paul non riuscì a distinguere «Io...» balbettò il prete «non voglio essere coinvolto in tutto questo, è immorale.» L'uomo accanto a lui sorrise, scuotendo la testa «allora va via, vecchio»

Il prete obbedì a quell'ordine e lasciò la stanza in fretta e furia, mentre l'uomo, rimasto solo con Paul, afferrò un pugnale dalla sua cintura, osservandolo in modo divertito «Vedi Rivers, ti sei svegliato nel momento sbagliato. E' un peccato doverti uccidere adesso, soprattutto perché ho appena lavato le mie bellissime armi»

Bellissime armi? Morire adesso? Cosa diavolo stava succedendo? Dove si trovava? Perché un prete ed un uomo armato volevano la sua morte, in un letto d'ospedale per di più? La testa gli scoppiava e lui ricordava a malapena come fosse finito in quelle condizioni... ricordava Julian, una lotta e poi... il nulla. La cosa peggiore era che non ricordava molto del passato, né di questo Julian il cui nome continuava a rimbombare nella sua testa. Forse era qualcuno di importante o semplicemente la persona che l'aveva infilzato con una spada. Lui non lo sapeva, non sapeva nulla.

Quello che sembrava un assassino in piena regola si avvicinò a Paul, che tentò di dire qualcosa, fallendo ancora una volta. Quel gesto scatenò una profonda risata nell'uomo che, ancora in preda alle lacrime si chinò su di lui. «Se     queste erano le tue ultime parole, mi dispiace non averle capite» detto ciò, alzò la lama sul corpo di Paul e successivamente il viso del ragazzo si tinse del colore scarlatto del sangue.

Ma non era il suo sangue.

L'uomo si accasciò su Paul, con un foro di proiettile sulla fronte e una smorfia di dolore sul viso, mentre qualcun altro si avvicinava al ragazzo. Paul finalmente lo inquadrò: capelli neri come il carbone, leggermente lunghi e spettinati, occhi dello stesso colore e un viso che sembrava averne passate tante. Era vestito con una tenuta nera, alla schiena portava quella che sembrava essere una spada e in mano teneva una pistola, la stessa con cui gli aveva praticamente salvato la vita.

«Ch...chi sei?» sussurrò Paul, mentre il suo salvatore gettava sul pavimento il cadavere.

«Adam Blake, e adesso ti porto fuori di qui»
   
 
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