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Autore: DarkYuna    07/05/2017    0 recensioni
"Inarca le sopracciglia, livida in viso, sta per dare sfogo alla furia e il malcapitato è il sottoscritto. Se è in fase premestruale posso iniziare a scrivere il mio necrologio. Migé avrebbe potuto cantare al funerale o magari Linde, un’Ave Maria Heavy Metal, con chitarre distorte e voci roboanti."
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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15.
 
*Sto sfiorando piano il mio dolore,
si muove lento come il mare
*









 
La neve ha smesso di scendere un paio di giorni fa, al suo posto uno scrosciante temporale ha reso le strade un vero attentato alla vita dei cittadini finlandesi. Almeno il fracasso degli spalaneve è cessato e la notte ho ripreso a chiudere occhio.
Picchietto la fronte sul vetro freddo ed umido della finestra, sembrerebbe una giornata vuota, atona e solitaria, come ne ho vissute a bizzeffe nel passato, se non fosse che il soggiorno è stipato da otto persone, incluso me.
L’umore funereo non è mai stato al massimo della sua forma come adesso, va di pari passo con il tempo invernale.
 
 
Prendo un profondo respiro, nella mente ho un groviglio disomogeneo di pensieri che fanno a pugni gli uni con gli altri, mi volto verso i miei dubbiosi ospiti che se ne stanno in silenzio ad attendere.
 
 
Mio padre è seduto sulla poltrona verde alla mia sinistra. Ha sempre amato sedersi lì, accavallare le gambe e riscaldarsi al caminetto. Di solito lo accende lui, oggi è spento e freddo, come tutto in questa torre.
Mia madre è in cucina a preparare il caffè, Jesse e Seppo sono dall’altra parte della stanza ottagonale, il primo ha il cellulare in mano. Linde fuma pacato, Burton è chiuso in un silenzio serafico e, la persona più difficile da convincere a presenziare oggi è stato proprio il mio migliore amico.
Amelia verrà in un secondo momento, non appena finirò di raccontare il sisma che ha sconvolto la mia vita, voglio presentarla a coloro che sono più importanti.
Attendo che mia madre porti il vassoio in metallo con una manciata di tazzine blu e un grossa caffettiera fumante, l’aroma caldo si diffonde in tutta casa in un istante. E mi ricorda lei, il mio dolce angelo.  
 
 
Nessuno pare abbia capito il motivo che li ha condotti qui, tranne Migé forse ha intuito qualcosa, per questo ha un cipiglio scuro che gli arriccia le sopracciglia in un’espressione evidentemente contrariata.
Li guardo in faccia uno ad uno e poi do il via alla giostra degli orrori.
 
 
<< Non c’è un modo delicato che io possa usare per dirvi il perché vi ho voluto vedere qui tutti insieme oggi. Avrei prima potuto avvertire la mia famiglia e poi tutti gli altri, ma già non sono in grado di affrontare il discorso con me stesso, figuriamoci se posso ripeterlo con calma singolarmente. >>. Mi stacco dalla finestra chiusa, faccio qualche passo adiacente al muro in mattoni rossicci, che fa parte della costruzione originale della torre, prima della ristrutturazione totale. << Come qualcuno sa, ho conosciuto una ragazza che sto frequentando da un po’ di tempo. >>.
 
 
Migé, quello che credo essere il mio migliore amico, schiocca la lingua al palato per interrompermi. Non riesce a frenare la lingua.
<< Una ragazzina che ha quindici anni meno di te. >>, confessa furente e la patata bollente fa il giro di indignazione sui volti dei presenti. In un attimo è un susseguirsi di borbottii stupiti, alcuni indignati, domande a cui non ho intenzione di rispondere. La confusione mi innervosisce, perché non è questo che volevo dire, non me ne frega un cazzo della sua età, non più ormai.
Migé, traditore, figlio di un cane!
Mia madre è perplessa, crede che questa situazione possa danneggiare la mia persona. Si avvicina per estraniarsi dalla baraonda, ma mi allontano di colpo e al centro della stanza perdo le staffe. Mio padre è certo che sono la vittima di una presa in giro bella e buona.
 
 
<< Basta! >>, grido talmente tanto, che quasi mi sembra udire  i vetri delle finestre tremare. << Se dovete farvi cogliere dall’isteria di massa quando lei verrà, allora lì è la porta, andatevene! >>. Indico perentorio il portone nero. Non accetto repliche, non meritano di sapere null’altro se si stanno fermando all’apparenza.
 
 
Linde ha seguito la faccenda in silenzio, non si è unito al cicaleggio stolto, ha preferito osservare e tirare le somme per conto suo.
<< Non è della sua età che vuoi parlarci, giusto? C’è dell’altro? >>. Così come era stato l’unico a darmi un buon consiglio, ora era l’unico a capirmi come nessuno mai.
 
 
Schiarisco la voce, non so se voglio portare Amelia tra di loro, per quanto possa essere forte e tener testa alle persone che compongono il mio mondo, in fondo è come gettare un agnello coperto di sangue in una gabbia di leoni famelici. Non so se voglio. Non so se voglio parlare della sua malattia, non so se voglio condividerla con loro e di conseguenza il mondo intero.
È fragile, delicata, ed è mia!
 
 
<< Due mesi. >>, rotolano fuori le parole e perdo tono nel dirlo. << Solo due mesi. >>. Nessuno capisce: ovvio! Nemmeno io capisco, adesso che lo sto dicendo di nuovo, le frasi mi si spaccano nel cervello e sono di nuovo sul punto di scoppiare, ma a piangere stavolta.
 
 
<< In che senso “due mesi”? >>, incalza disorientato Burton.
 
 
Stringo i pugni, tiro su con il naso, mi gira la testa e nelle orecchie ho un concerto di fischi.
<< Sono i mesi che le restano da vivere. >>, alla fine riesco a dirlo, ma non ci credo, mi sento pazzo, è come se stessi raccontando una balla colossale perfino a me stesso. Però è così, le notizie sconvolgenti sono quelle che più fatichiamo ad accettare, le rigettiamo, le neghiamo a noi stessi, tuttavia è impossibile sfuggire alla realtà. Alla fine ci devasta sempre.
Stavolta non fiata nessuno, nessuno ha il coraggio di rompere il silenzio desolante in cui vivo imprigionato da un paio di giorni, ora non sparano sentenze a casaccio sulla mia Amelia. Hanno smesso di credere che mi stia usando, per chi sa quale scopo malvagio.
 
 
<< Cosa vuoi che facciamo per questa ragazza? >>. Mio padre è il primo a parlare accondiscendente. Ha la mia stessa faccia di quando l’ho scoperto in ospedale. Vorrebbe abbracciarmi, ma tra uomini fatichiamo a dimostrarci affetto in maniera plateale, specialmente tra un padre troppo espansivo e un figlio così burbero.
Una barriera invisibile ci separa da tempo.
 
 
<< Trattatela bene, ma non compatitela, non lo sopporterebbe. Fatelo per me: è davvero importante. È una brava persona e sento di volerle molto più che bene. Voglio che questi ultimi due mesi siano i più belli, spensierati e felici della sua vita. >>. Non sono calmo, è solo una maschera, una delle tante. L’orgoglio mi tiene in piedi, anziché lasciarmi trasformare in un fantoccio inanimato, che non sa fare altro che piangere a dirotto.
 
 
<< Preferisci posticipare l’uscita del cd? >>, chiede Seppo con tatto, le occhiaie si son fatte di colpo più pronunciate, il colorito giallognolo e mi fissa come se riuscisse perfettamente ad indossare i miei panni, però non mi invidia affatto.
 
 
<< Volevo già parlartene. >>.
 
 
Lui annuisce energico, scuote le spalle ed è completamente d’accordo.
<< Nessun problema, parlo io con quelli dell’etichetta discografica. Qualcosa mi inventerò. >>.
 
 
<< Perché non ce ne hai parlato prima? >>. Mia madre è costretta a sedersi. È pur vero che non conosce Amelia, ma conosce me, sa che questa situazione mi sta uccidendo, stavolta non può alleviare il mio dolore in alcun modo.
 
 
Scrollo le spalle, metto le mani in tasca e mi avvicino di nuovo alla finestra.  Il mio sguardo non incontra quello di Migé. Mai. Da una parte sono adirato e dall’altra sono ferito come mai prima d’ora. Il colpo basso che mi ha sferrato non verrà facilmente perdonato, ancor meno dimenticato.  Sono una persona che porta rancore.
 
 
<< L’ho scoperto da poco, mamma. >>. Per evitare di farmi soffrire maggiormente, ha tentato di lasciarmi. Non ce l’ha fatta, così come non ce la faccio io a stare lontano da lei. È quasi un concetto contro natura.
Non riesco ad accettare che presto ci penserà la vita a farmi stare lontano da lei, per sempre. Non riesco a darmi pace. Non riesco più a respirare.
Sto sfiorando piano il mio dolore, si muove lento come il mare, penso a lei… e adesso lo avverto chiaramente lo squarcio che si è spalancato sul cuore, non ero riuscito neppure a scorgerlo fino a quel momento. Ne avverto i contorti che minacciano di allargarsi spietatamente, il sangue che sgorga abbondante, un veleno corvino che si mischia con esso ed intossica il corpo, il cervello e soprattutto l’anima. A volte smetto di ragionare, perché la pazzia dilaga selvaggia, non posso far altro che riflettere. Non ci credo, ma so per certo che è vero.
 
 
<< Sei sicuro che non possa essere curata? >>, prova Jesse. La sua voce è più vicina di quanto mi aspettassi. Grava un a mano sulla mia spalla e prima di mostrare il mio volto, asciugo con il pollice la lacrima che è sfuggita al controllo.
 
 
<< No. Sono tornato in ospedale con lei, le analisi sono chiare. Ha smesso di curarsi da quando ha scoperto che non c’è niente da fare. >>. È stato un strazio che avrei preferito risparmiarmi, eppure continuo a sperare in un miracolo, per questo ho così tanto insistito. Bramavo che il dottore dicesse che si era sbagliato, che c’è ancora speranza, che lei sarebbe guarita, ma non è stato così.
Lei muore.
Io sopravvivo.
E il cuore si spezza maggiormente.
Sorprendente come il cuore possa spezzarsi in così tante parti, senza che nessuno possa notarlo, sentire la carne lacerarsi, la sofferenza gridare straziante. Accade tutto in completo silenzio, però è il caos.
Devo sforzarmi per rimanere impassibile, deglutisco più volte, ricurvo le sopracciglia ed ispiro, funziona poco, mantengo la padronanza sulle emozioni.
È una processione di asserzioni di circostanza, cliché abbastanza ovvi, tutti si avvalgono della facoltà di pronunciare luoghi comuni che sono vuoti, non posso pretendere oltre, non possono guarirla, non sono in grado di farla restare con me. Non ne hanno il potere.
 
 
<< Vuoi che consultiamo altri dottori? >>, chiede mio padre. Si alza in piedi, tocca il mio braccio e non riesce ad infondere il coraggio che vorrebbe. << Magari c’è ancora qualcosa da fare, che non è stata presa in considerazione? >>.
 
 
Ci spero, anche se la speranza è proprio una gran puttana!
<< Ti farò avere le analisi prima che ve ne andiate. >>, non faccio in tempo a concludere la risposta, il bussare scandito sul portone d’ingresso interrompe la conversazione tragica.
 
 
Due “toc toc” distanziati e poi tre tutti insieme: è Amelia.
 
 
In una situazione normale, sarei stato felice… certo lo sono, ma è una felicità abbattuta, che non può durare, che mi lascia l’amaro in bocca.
<< Via quelle facce da funerale, vi prego. Fingete… >>, gesticolo incontrollato. Che devono fingere? Li ho già sconvolti abbastanza, come possono fingere? << … fingete qualcosa. >>,  termino desolato ed arreso e sono già un passo fuori dalla stanza.
 
 
È strano che Amelia non abbia già iniziato a chiamarmi a gran voce, solitamente mi affibbia quegli adorabili nomignoli che, ben presto, mi sono reso conto non poterne fare a meno.
Dietro la porta c’è una figura pallida, grandi occhi del grano, i capelli bagnati di doccia. Indossa un lungo maglione grigio, leggins neri e stivali color fumo. Quell’abbigliamento mi ricorda la prima notte che ci siamo incontrati, non le rende giustizia, il corpo è velato da abbondanti strati di tessuto, come se volesse coprirsi dal mondo intero. È zuppa dalla testa, ai piedi.
Sembra trascorso un secolo.
Non è più la ragazzina impertinente, terzo dan, sempre pronta a schiaffeggiarmi e a fare chiare allusioni sessuali. Non è più lei.
Deve soffrire più di quanto mostra, e mi assomiglia anche in questo: attrice provetta nell’offuscarlo.
Porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio, tiene le braccia incrociate, come se stesse morendo di freddo.
Il solo vederla mi tocca il nucleo pulsante del cuore, come un pugnale rovente che si infilza nella carne viva. È di una bellezza che si marchia a fuoco dentro di me, una sirena che mi devasta, riesco a scorgere la dolcezza che cela ai più… e poi, con un agghiacciante spasmo al centro del petto, capisco. Non sono più annientato dentro.
C’è riuscita.
La amo.
La amo così tanto da restarne scioccato.
La amo e la amo ancor di più, perché non ho più tempo per amarla.
Sono fottuto.   
 
 
<< Ho dimenticato l’ombrello. >>, farfuglia a mo’ di scusante. Il fiato caldo si condensa tra noi due e si disperde nel gelo dell’atmosfera. << E devo aver fatto anche tardi, so che l’appuntamento era per mezz’ora fa, ma è che… >>, non le lascio nemmeno il tempo di capire il perché le ho impedito di parlare, che è già tra le mie braccia e sto annegando nella sua bocca.
È così imperativo il bisogno che ho di lei, che non mi permettere di ragionare razionalmente. La bacio a lungo, è un continuo addio che intossica il sangue e rende ogni contatto una dolce tortura che non vorrei avesse mai fine.
 
 
<< Ehi, ehi, con calma. >>. Tira indietro la testa meravigliata e mi fissa come se le avessi parlato una lingua sconosciuta. Non è abituata ad essere trattata così e non è neppure un mio comportamento abituale, per questo è strano. Mi conosce. << Cosa ho fatto per questa calorosa accoglienza? >>.
 
 
Non la lascio andare, la tengo stretta tra le mie braccia finché mi è possibile.
<< Niente. >>. Poi la butto sul ridere, per evitare che riesca a leggere negli occhi ciò che mi affanno a tacere. << È perché sei arrivata in ritardo. >>.
 
 
Blocca il mio mento tra il pollice e l’indice.
<< La prossima volta che devi mentirmi, cerca di essere più convincente. Se ti applichi bene, magari ci credo. >>, sussurra dolcemente e regala un lieve bacio su una bocca impreparata. << Niente più occhi rossi, okay? Me l’hai promesso. >>.
 
 
<< È solo raffreddore. >>, provo a contraddirla, ed è del tutto inutile. Amelia è perfettamente a conoscenza di cosa si dibatte nell’inferno della mente, è come se potesse sfogliare i contenuti miseri e provasse a renderli meno opprimenti.
 
 
Le labbra si dischiudono, hanno una forma ironica, non ha voglia di parlare della sua malattia, preferisce ridere di me con me. Sente le voci dei presenti nella torre e si zittisce all’istante.
<< Hai ospiti? Vuoi che ripassi? >>. Non vuole essere invadente, impormi la sua presenza e disturbarmi, ma non ha capito che adesso tutta la mia vita ruota attorno a lei e non può ripassare, deve restare.
 
 
Le stringo la mano, strattonandola gentilmente all’interno.
<< Vieni, ci sono persone che voglio presentarti. >>.
 
 
Inarca un sopracciglio, presa palesemente contro piede. Non aveva creduto sul serio quando le avevo detto che volevo che entrasse totalmente nella mia vita. Beh, facevo sul serio!
<< Aspetta, sono un disastro! >>.
 
 
L’attiro veemente e la stringo forte.
<< Sei la ragazza più bella su cui abbia posato gli occhi. >>, bisbiglio con voce bassa e suadente. Picchietto l’indice sul naso all’insù.
 
 
Resta abbacinata da ciò che ho detto, da come l’ho detto e per la maniera accattivante che utilizzo nel contemplarla.
<< Attento Valo, potrei crederci sul serio. >>.    
 
 
Devi credermi sul serio, perché io ti amo.
 
 
È così facile pensarlo, allora per quale maledetto motivo è altrettanto difficile dirlo? Che problemi ho? Non devo rimandare niente, oggi è un dono e l’indomani è un’incognita.  
La bocca si sigilla, non le proferisco quelle parole e me ne pento seduta stante.
 
 
Lascio che conosca la mia famiglia, mio padre, mia madre e Jesse. Sono bravi a fingere, a non far trapelare nulla, ma Amelia mi guarda spesso, con quegli occhi da predatrice che tutto sanno e tutto vedono, e non le ci vuole molto per intuire che ho vuotato il sacco. Se non lo avessi confidato a qualcuno, sarei esploso. Non me ne fa una colpa.
Scambia qualche parola con Seppo e Burton, Linde è affascinato dalla maniera spigliata con cui mi prende in giro, per lui ho bisogno di una ragazza che mi tiene con i piedi ben piantati a terra e non dell’ennesima che mi venera a prescindere. Ho trovato l’avversario giusto, con cui far cadere l’armatura.  
Migé si tiene in disparte, ha preso il posto di mio padre sulla poltrona verde, scruta muto l’intera scena. Spesso lo colgo a fissare me o Amelia, a volte sembra arrabbiato, altre dispiaciuto, non so cosa gli passi per la testa e per ora non lo voglio sapere. Non è il momento di appianare il diverbio, questo è il momento di stare con la mia sirena e nient’altro viene prima.
È impegnata con mia madre, sarà dura concentrare in poco tempo, ciò che sarebbe accaduto in anni, ma ce la sta mettendo tutta, solo per farmi felice. In fondo è ciò che fa ogni madre, per far contento il proprio figlio.
 
 
Uso una scusa qualsiasi e tiro via Amelia dalla baraonda dove l’ho catapultata, sorbirsi famiglia e amici di un uomo che sta frequentando da poco, beh, non deve essere facile, anche se è perfetta perfino in questo.
In cucina il vocio concitato giunge ovattato e riacquistiamo un briciolo di intimità. Amelia li ha conquistati tutti e ne sono estasiato. D’altronde non poteva essere diversamente, se c’è riuscita con me, che sono un caso disperato, con gli altri è stata una passeggiata.
 
 
Tra le mani ha la tazzina con il caffè, soffia solo sul liquido scuro, però non lo beve: è persa in un pensiero segreto. È accanto alla finestra.
 
 
<< Sei così silenziosa. >>, noto amaro, mi sistemo meglio sulla sedia e accendo una sigaretta. Temo che abbia dei ripensamenti, che averle presentato famiglia ed amici in un sol colpo, l’abbia spaventata e adesso cerchi un modo carino per scaricarmi.
 
 
Morde un angolo della bocca e non capisco se è perché le piace quando fumo o perché è preoccupata.
<< Mi dispiace che per colpa mia, tu abbia litigato con Migé. >>, sentenzia ed è incredibile, poiché, anche se è palese che per lei io sia un libro aperto, ero certo di essere un attore più convincente. Povero il mio ego che ne risente continuamente.   
 
 
Espiro velocemente il fumo.
<< Non devi preoccuparti di questo, davvero. Abbiamo litigato un miliardo di volte, appena mi passa lo “scazzo” vedremo cosa c’è da fare e da dire. >>.
 
 
Piega le spalle all’ingiù, poggia la tazzina sul ripiano nero della cucina.
<< È per l’altra, vero? Per quello che ha fatto? È per questo che lui ce l’ha con me? >>.
 
 
Scuoto la testa, tuttavia mentire non porterà da nessuna parte.
<< Lo sbaglio l’ho fatto io. Non sono ciò che si possa definire una “persona semplice”, mi piacerebbe esserlo, ma non è così. Ho fatto del male ad Irina e ne ho fatto anche a Migé… ne sto facendo anche a te. >>.
 
 
Spalanca le palpebre all’inverosimile, sembra sul punto di scoppiare in una nervosa risata.
<< Non dire cazzate, Ville! E non prenderti colpe che non sono tue. >>. Si stacca dal muro e lascia che i piedi la guidino all’interno della cucina, nessuna direzione precisa. << Anche io ho sofferto per amore, che credi? Non sono mica una sprovveduta! Ma non ho mai pensato di togliermi la vita per questo… certo, ho impiegato due anni per riprendermi, poi ho scoperto la malattia ed ho smesso di stare male. Quando decidiamo di agire, siamo noi a deciderlo, nessun altro lo fa per noi. Lei ha avuto scelta, io non ne ho data a te. Semmai, qui, la carnefice sono io. Eppure, benché io dovrei, quando ti guardo, non riesco a sentirmi in colpa di essermi avvicinata a te con l’inganno. >>.
 
 
Ho una fitta acuta di gelosia, non so il perché, tuttavia mi gongolavo nel pensiero di essere il suo primo amore, invece il dolore l’ha macchiata anche in quella sfera.
 
 
Sorrido accondiscendente, spengo la sigaretta nel posacenere e, mentre mi transita davanti, le afferro la mano per fermarla.
Potessi arrestare questo istante per sempre…
<< Se tornassi indietro, vorrei che ti avvicinassi di nuovo a me con l’inganno. Perché tu, quella notte, mi hai cambiato la vita. >>. 











Note:
Sì lo so che pubblico ad orari impossibili, quando tutti dormono ed io no. Ma che volete farci, sono una persona notturna! 
Devo dire che rileggendo questo capitolo, prima di pubblicarlo, ne sono davvero entusiasta, ci sono parti qui e la che suonano proprio bene e che hanno grandi significati, spero che possano piacere anche a voi. 

Mi sono trovata nella situazione di dover infilare in due mesi, ciò che che, di norma, viene fatto in una vita e, non è per nulla facile.Come sempre, c'è molto di me in ciò che scrivo, specialmente nelle emozioni descritte in Ville.  
Il giorno in cui scriverò qualcosa di allegro o comico, sarà l'apocalisse xD 



Ringrazio come sempre chi legge, chi commenta e chi fa il fantasmino. 


La storia può presentare errori ortografici.

Un abbraccio.
DarkYuna   
 
 
  
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