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Autore: Christine Enjolras    07/05/2017    0 recensioni
Marius Pontmercy, sedici anni, ha perso il padre e, nel giro di tre mesi, è andato a vivere con il nonno materno, ora suo tutore, che lo ha iscritto alla scuola privata di Saint-Denis, a nord di Parigi. Ora Marius, oltre a dover superare il lutto, si trova a dover cambiare tutto: casa, scuola, amici... Ma non tutti i mali vengono per nuocere: nella residenza Musain, dove suo nonno ha affittato una stanza per lui dai signori Thénardier, Marius conoscerà un eccentrico gruppo di amici che sarà per lui come una strampalata, ma affettuosa famiglia e non solo loro...
"Les amis de la Saint-Denis" è una storia divisa in cinque libri che ripercorre alcune tappe fondamentali del romanzo e del musical, ma ambientate in epoca contemporanea lungo l'arco di tutto un anno scolastico. Ritroverete tutti i personaggi principali del musical e molti dei personaggi del romanzo, in una lunga successione di eventi divisa in cinque libri, con paragrafi scritti alla G.R.R. Martin, così da poter vivere il racconto dagli occhi di dodici giovanissimi personaggi diversi. questo primo libro è per lo più introduttivo, ma già si ritrovano alcuni fatti importanti per gli altri libri.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Joly

La giornata era finita. La tensione rimasta dal pranzo era tale che nessuno dei ragazzi aveva tentato di scrivere qualcosa sul gruppo: Joly aveva pensato che magari Courfeyrac sarebbe intervenuto, ma forse nemmeno lui se l’era sentita questa volta, oppure qualcosa doveva averlo fermato. Lui e Bossuet si erano sentiti per tutto il pomeriggio, ma dagli altri poche notizie. Bossuet gli aveva scritto di aver provato a contattare direttamente Enjolras e Grantaire: dal primo aveva ricevuto qualche risposta rassicurante, del tipo “Tutto bene”, “Mi spiace per quanto è successo: adesso sono più tranquillo”; dal secondo nessun messaggio, ma da quanto sapevano nemmeno Bahorel era riuscito a parlare con lui. Joly aveva preferito contattare Combeferre per vedere se lui e Courfeyrac avessero risolto qualcosa, ma la sua risposta era stata piuttosto ambigua e Joly non sapeva fino a che punto avrebbe potuto chiedere chiarimenti: Combeferre non era tipo da farsi spazientire da domande insistenti o curiosità, ma quando si trattava di Enjolras restava spesso sul vago e gli altri ragazzi sapevano che questo era voluto. Del resto Joly lo capiva: aveva visto Bossuet fare la stessa cosa quando si trattava di tutelare la sua privacy, perciò sapeva che in qualche modo Combeferre stava proteggendo quella di Enjolras, il che Joly lo trovava più che giusto. Chi erano loro per invadere la privacy altrui? Anche Joly era un ragazzo molto riservato, quindi capiva fin troppo bene cosa voleva dire per Enjolras tenersi per sé ogni segreto e ogni ricordo, pur non conoscendone l’identità.

Al termine delle lezioni i ragazzi si ritrovarono nell’atrio d’ingresso. Quando anche Marius fu arrivato all’appello mancava solo Enjolras, ma il lentigginoso ragazzo dovette ricordare ai suoi compagni che il loro leader avrebbe dovuto recarsi da Javert alla fine delle lezioni, così Feuilly disse al resto del gruppo che lo avrebbe accompagnato a casa lui. Combeferre disse che lo avrebbe aspettato lì, così avrebbe avuto il tempo per occuparsi dei volantini per la manifestazione, proponendo a Feuilly di dargli una mano: l’apprendista custode accettò e i due si recarono assieme in biblioteca. Bahorel si guardò intorno e, non vedendo Grantaire, chiese agli altri se qualcuno lo avesse visto: Joly ricordò di averlo intravisto uscire dal portone poco prima che si riunissero tutti nell’atrio; il robusto ragazzone scosse il capo sospirando e si congedò, correndo fuori dalla scuola per raggiungere Grantaire. Rimasti in cinque nell’atrio, Courfeyrac propose di fare ritorno a casa e lasciare che ci pensassero Combeferre e Bahorel a far ragionare i due litigiosi ragazzi.

Arrivati alla residenza, Joly aveva notato Bahorel sdraiato sul divano del soggiorno, ma di Grantaire non c’era nemmeno l’ombra. Il ragazzo aveva acceso la televisione, ma sembrava non la stesse guardando: i suoi occhi dorati parevano fissare il vuoto, segno che Bahorel era parecchio sovrappensiero.

“Bahorel?” aveva cercato di attirare la sua attenzione Joly, avanzando nella sala comune tenendo per mano il suo ragazzo. Bahorel si era girato di scatto, come si fosse appena svegliato, e li aveva osservati avanzare verso di lui.

“Ehi” aveva detto con voce leggermente delusa, tornando a fissare il televisore e cambiando canale. Joly si girò confuso verso Bossuet: quell’accento di delusione nel tono della sua voce gli fece pensare che forse si aspettava di vedere qualcun altro. Bossuet sembrò non sapere cosa dirgli: avanzò portandosi in linea con lui e portò la mano che prima stringeva quella di Joly al fianco del suo ragazzo.

“Aspettavi qualcun altro?” intervenne Bossuet mentre tirava Joly dolcemente verso di sé.

Bahorel non si voltò e continuava a passare di canale in canale senza sosta quando disse: “Diciamo che lo speravo. Non perché siete voi due, non fraintendetemi… solo che speravo che QUALCUNO uscisse dal cubicolo…”

“Pa… parli di Grantaire?” gli chiese Joly tirandosi leggermente in avanti verso di lui.

“Bingo! Il signorino ha deciso di chiudersi in camera e di rimanere lì ad ubriacarsi in solitudine! Maledetto alcolizzato! Quando si butta giù così non lo sopporto proprio!”

Joly si girò nuovamente d’istinto verso Bossuet e notò che anche il suo ragazzo aveva fatto lo stesso: loro sapevano perché Grantaire era così abbattuto, ma Joly si chiese se Bahorel ne fosse al corrente oppure no. Bossuet probabilmente capì a cosa stava pensando e gli fece spallucce, quindi Joly pensò che fosse meglio non rischiare di rivelare la cotta di Grantaire: per quanto a lui e a Bossuet sembrasse ovvia, magari con gli altri ragazzi Grantaire stava riuscendo a mantenerla segreta, perciò non volle mettere a rischio il segreto e fu certo che Bossuet avrebbe fatto lo stesso.

“Abbiamo anche discusso” riprese Bahorel attirando nuovamente l’attenzione della coppia: la sua voce suonava quasi apatica. “Sapete come sono fatto: i metodi dolci non funzionano secondo me. Ho cercato di farlo ragionare a modo mio, ma lui non mi ascoltava. Ci siamo insultati per un po’, poi ha smesso di rispondermi e io mi sono spazientito. Volevo evitare di picchiarlo e me ne sono andato!” Come finì di spiegare, il ragazzo spense il televisore, lanciò il telecomando sul tavolino e si alzò in piedi sospirando, facendo uscire in quei piccoli gesti tutta la rabbia che si stava tenendo dentro. “Credo che mi farò una passeggiata, se non vi spiace.”

“Ci mancherebbe!” disse Bossuet lasciandolo passare.

I due ragazzi osservarono Bahorel recuperare la larga felpa verde bottiglia che aveva lasciato sullo schienale di una sedia, indossarla e scendere le scale, poi si guardarono negli occhi per qualche istante: Bossuet sfoderò un sorriso molto dolce, ma Joly non riuscì a ricambiarlo, quindi distolse lo sguardo. Percepiva ancora lo sguardo di Bossuet su di sé quando sentì la sua mano passargli lungo il braccio destro fino a prendere il suo polso; Joly alzò lo sguardo e vide che Bossuet lo stava osservando ancora con lo stesso sorriso di prima. “Che ti prende?” gli chiese fissandolo con quei due profondi occhi color cioccolato.

“Niente…”

“Conosco quello sguardo triste: so che c’è qualcosa.” Joly non rispose: non gli andava di parlarne. “Andiamo” aggiunse Bossuet carezzandogli una guancia e a Joly venne istintivo tornare a guardarlo negli occhi. “Che cosa c’è che non va?” gli chiese sorridendogli e addolcendo lo sguardo.

“Io…” iniziò Joly abbassando nuovamente lo sguardo: accidenti a Bossuet a e quegli occhi dolci! Quando lo guardava così poteva convincerlo a fare qualsiasi cosa! “Io non posso fare a meno di dispiacermi per Grantaire… io lo capisco!” Detto questo alzò lo sguardo e vide che Bossuet sembrava perplesso, quindi si spiegò: “Io non riuscirei mai a sopportare che tu mi parlassi così! Ci starei malissimo, esattamente come lui adesso!”

“Aspetta, aspetta!” lo fermò Bossuet facendogli gesto con la mano. “Punto primo: io non potrei mai parlarti così… quindi non pensarci nemmeno! Punto secondo: sai benissimo che se le sta cercando. Insomma… lui non litigava così tanto con Enjolras quando ci siamo conosciuti, ma da un anno ha iniziato a dargli contro per ogni minima cosa, così… dal nulla. Devi ammettere, tesoro, che è un comportamento strano.”

“Sì lo so e capisco che Enjolras si sia spazientito, ma arrivare a dirgli quelle cose…”

“Ehi, ehi…” gli disse Bossuet dolcemente, cercando di calmarlo: doveva aver capito che Joly si stava agitando, e anche parecchio. “Guarda che non lo voglio difendere. Sono d’accordo con te: ha usato delle parole molto dure. Ma io sono sicuro che non le pensasse davvero e che se ne sia già pentito… anzi: vedrai che come arriverà qui andrà a chiedergli scusa. Enjolras è impulsivo e se si arrabbia non riesce a trattenersi, ma non è ingiusto, lo conosci bene anche tu.”

Bossuet iniziò a carezzargli dolcemente il braccio sorridendogli e Joly rimase a guardare i suoi occhi rassicuranti per un po’ prima di tornare a fissare verso il basso. Dopo qualche istante di silenzio, Joly udì Bossuet sospirare e sentì una delle grandi mani passargli sulla nuca e tirarlo verso la spalla del suo ragazzo, da cui Joly riusciva a vedere appena il pavimento oltre il suo cardigan grigio, mentre l’altro braccio passò dietro la schiena e lo tirò verso il suo petto. Joly rimase immobile con gli occhi spalancati per qualche secondo prima di portare le sue mani lungo la schiena di Bossuet fino alle sue spalle e si strinse a lui, facendo sprofondare il viso nella larga spalla. Poi Bossuet iniziò a carezzargli la schiena, gli diede un bacio sulla testa e aggiunse: “Stai tranquillo: sistemeranno tutto!”

“A volte vorrei avere il tuo ottimismo…”

A Bossuet scappò una leggera risata, poi sollevò il viso dalla spalla di Joly e gli disse, gesticolando con la mano che prima teneva sulla sua nuca: “Ma se tu fossi positivo io a cosa servirei, scusami?” Joly si allontanò per poterlo guardare negli occhi, facendo sì che Bossuet portasse entrambe le braccia attorno alla sua vita, e lo vide sorridergli e alzargli un sopracciglio, a cui Joly rispose con un breve risolino: quello sguardo era troppo stupido per non ridergli in faccia. Poi abbassò lo sguardo, portò le mani sul suo petto, passando un dito nella leggera fessura tra i pettorali e infine passò nuovamente tutte le dita della mano destra sul suo petto, come faceva spesso. Bossuet era cresciuto in un’azienda agricola e aiutare i suoi genitori a fare i lavori più pesanti nella fattoria fin da quando era piccolo aveva sviluppato i suoi muscoli senza che facesse palestra: non erano particolarmente grossi e certamente non avevano niente a che vedere con quelli di Bahorel, ma a Joly piaceva sentire sotto le sue mani come scolpivano il corpo del suo ragazzo; insomma… finché a Bossuet non sembrava dispiacere, dove stava il problema?

Joly si intristì improvvisamente, ma si sforzò di continuare a sorridere. “Su… suppongo che farebbe comodo averne lo stesso per quando te ne andrai…” Joly avrebbe tanto voluto non pensarci, ma era più forte di lui: era da quando lui e Bossuet avevano preso assieme la pagella alla fine dell’anno precedente e il ragazzo pelato aveva pronunciato le parole ‘Finalmente ultimo anno!’ che non faceva altro che pensarci; del resto, Joly si era intristito subito, ma allora aveva fatto di tutto per non farglielo notare. Tornati a scuola non era riuscito più a trattenersi: Bossuet era l’unico con cui poteva sfogarsi per ogni cosa e l’unico che riuscisse a farlo stare bene, perciò non riusciva proprio a non parlarne con lui, nonostante sapesse che non era il caso.

Bossuet rimase a fissarlo in silenzio, quasi non sapesse cosa dire. Ad un certo punto si staccò da Joly con un profondo sospiro impaziente e, quando alzò lo sguardo, Joly lo vide osservarlo con occhi quasi severi mettendosi le mani sui fianchi. “Mi sono stancato!” disse sorpassandolo e andando verso il corridoio. Joly non riusciva a capire cosa stesse succedendo e si agitò parecchio nel vedere Bossuet camminare spedito verso la loro stanza. Non sapeva a cosa pensare: cosa poteva mai essergli preso? Vedendo il suo ragazzo sparire dietro alla porta del soggiorno, Joly gli corse subito dietro per cercare di capire che cosa avesse in mente e quando arrivò davanti alla porta della loro stanza la trovò socchiusa e vi sbirciò oltre: Bossuet era in piedi accanto all’armadio di Joly e aveva preso in mano il calendario che vi stava appeso. Joly entrò nella stanza mentre Bossuet ancora lo reggeva a due mani e lo sfogliava.

“Che cosa vuoi fare, René?” gli chiese Joly appoggiandosi allo stipite della porta della camera da letto. Bossuet non alzò neanche lo sguardo: distorse leggermente la bocca e abbassò le mani, portando gli occhi verso il basso, sotto alla scrivania che stava alle sue spalle, davanti alla finestra.

“Se è questo che ti fa stare tanto male,” cominciò Bossuet passando accanto al letto di Joly e sorpassandolo per andare verso la scrivania, “allora dobbiamo sbarazzarcene!” Come finì di parlare, strappò una per una le pagine del calendario, le accartocciò e le buttò nel cestino sotto lo scrittoio. Joly rimase a guardarlo mentre faceva a pezzi i fogli di carta e li gettava uno per uno, apparentemente noncurante della sua presenza. Joly stava ancora fissando il cestino con occhi pieni di confusione, quando davanti a sé vide Bossuet tendergli la mano e sorridergli. Joly esitò un attimo, ma alla fine la prese e Bossuet lo condusse leggermente dentro la stanza, gli mise entrambe le mani sulla schiena e gli disse: “Non ci devi pensare, bimbo: non ci devi pensare nemmeno per un istante. Quel giorno arriverà e non possiamo evitarlo, ma lo sapevamo fin dall’inizio. Non sarà un addio, perché non lo permetterò, mi sono spiegato? Non lascerò che basti la distanza a costringerci a lasciarci. Se tra noi dovrà finire non sarà perché non vivremo più nella stessa camera, chiaro? Sarà difficile abituarsi a non vivere più assieme tutti i giorni? Certo. Sarà triste? Ovviamente! Ma appunto perché faremo fatica, dobbiamo semplicemente goderci tutti i giorni che ci restano da passare assieme, senza tenere il conto di quanti siano. E quando arriveremo all’ultimo giorno ci penseremo sul momento. Ma non starci già male, ok? Non voglio vederti così!”

Joly restò a guardare Bossuet dritto negli occhi in silenzio, quasi sul punto di piangere per la commozione, e alla fine gli sorrise e lo abbracciò, lasciando che Bossuet lo stringesse al petto con quelle braccia robuste. Restarono abbracciati in silenzio per un bel po’, finché Joly non alzò la testa dal petto di Bossuet, gli passò la mano sulla nuca pelata e, posando le braccia sulle sue spalle, disse: “Goderci ogni giorno, eh?”

“Assolutamente sì!”

“E che cosa vorresti fare per goderti oggi?”

Bossuet lo guardò fisso per qualche secondo, poi abbassò lo sguardò verso il petto di Joly, lo strinse ancora di più a sé. “Beh,” cominciò portando le mani sotto la sua schiena, “io avrei dovuto chiederti di aiutarmi in matematica.” Poi portò gli occhi sul viso del suo ragazzo e gli disse: “Ma sappiamo entrambi che alla fine mi sarei distratto… e che avremmo fatto altro…”

Joly guardò quell’alzata di sopracciglia un po’ marcia e, sorridendo, gli disse: “Quindi mi stai proponendo di saltare le fasi?”

Bossuet non rispose subito: si limitò a sorridergli e ad avvicinarsi al suo collo. Quando vi fu abbastanza vicino che Joly poté sentire il suo respiro sulla pelle, Bossuet sembrò quasi esitare e disse: “Vuoi impedirmelo anche oggi?”

“No” rispose Joly senza incertezza. Bossuet tornò a fissarlo negli occhi, con uno sguardo tra l’incredulo e l’esaltato. Joly gli sorrise e aggiunse: “No, oggi non voglio impedirtelo.”

Bossuet rispose al sorriso e non perse altro tempo: iniziò subito a baciare Joly, portò le mani sotto al suo posteriore e lo sollevò, facendo sì che il ragazzo dai capelli castani dovesse aprire le gambe attorno al suo torace. Si guardarono per qualche secondo senza dirsi nemmeno una parola, finché Bossuet non riprese a baciarlo, girò lentamente su sé stesso e indietreggiò con cautela per chiudere la porta sbattendoci contro la schiena.

   
 
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