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Autore: TheLoneDarkness    07/05/2017    1 recensioni
Il Sangue di Drago è ormai leggenda, Skyrim non è più quella di un tempo, l'orgoglio nord è sopito ormai, ma non distrutto. Saewen è una ragazza che vive a Solitude, sembrerebbe una comune ragazza, se non presentasse tratti tipici di Aldmeri e Nord. Sebbene la ragazza non sia una nord, trascorre molto tempo a immaginare le storie del passato, ascoltare leggende sul Sangue di Drago e a sembrare una nord. In un clima di tensione tra Impero e Thalmor, ribellioni e il ritorno di alcuni draghi, quale ruolo avrà questa fanciulla? E soprattutto, quale legame ha con Alduin e il Sangue di Drago?
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Si avvicinò di nuovo alla bandiera. Lei era nata trenta anni dopo gli eventi del sangue di drago e della guerra civile, dieci anni dopo la seconda guerra, perciò non aveva mai visto la Skyrim di un tempo, non conosceva le leggende e la cultura di quel paese, che gli Aldmeri avevano messo a tacere. Quello che conosceva, lo sapeva per aver ascoltato alcuni bardi nelle taverne, ma non era certo che quello che raccontavano fosse vero: ormai il sangue di drago era diventato una leggenda e le sue gesta erano state talmente cantate da essere in parte inventate.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alduin, Altri, Vilkas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Destinazione - 
 
 



Al bivio, imboccarono la via per il Riften. Saewen ancora pensava a cosa era accaduto alla tomba del drago mentre saliva con fatica la ripida salita. Voleva chiedere informazioni a qualcuno, anche a Seorith se era necessario, ma non ne aveva il coraggio. Non voleva attrarre l’attenzione: aveva paura che potesse accadergli qualcosa. Certo era che la frase dello jarl era ambigua e anche un po’ inquietante. Pareva che lì tutti avessero il sospetto che lei fosse stata qualcuno che non sapeva evidentemente di essere, o di possedere qualcosa che non sapeva né avere né padroneggiare.
Ansimò, affaticata per la lunga salita. Era sera, dovevano necessariamente accamparsi.
Trovarono un luogo adatto dopo la salita: alla loro sinistra, gli alberi formavano uno spiazzo brullo davanti a un lago. Le montagne all’orizzonte, illuminate solo dalla pallida luce della luna, erano forme sensuali e affascinanti.
Saewen si avvicinò al lago, e sfiorò l’acqua con la mano destra.
“ Attenta ”, la avvertì Seorith, comparso dietro di lei. “Ci sono certi pesci qui che possono mangiare la tua candida mano”
Saewen rise.
“ Sono forse quelli che compravo al mercato?”
“Non credo”, rispose Seorith, non notando il tono canzonatorio della ragazza, “Sono velenosi. Fanno venire l’ulcera allo stomaco. O almeno, così dicono”
“ Stavo scherzando. Io e un mio amico ci divertivamo a cacciarli con un bastone appuntito “
“ Che coraggio”, commentò sarcastico il ragazzo, “ Ad ogni modo, dovresti tornare indietro. È davvero pericoloso qui”
Saewen sbuffò, ma non ubbidì. Si sedette alla riva del lago, osservando quell’orizzonte stupendo.  Seorith non faceva che ripeterle cosa avrebbe dovuto fare.
“Taci. Se vuoi rimanere qui fa’ pure, ma stai zitto. Devo riflettere”.
Non poteva non pensare a cosa era accaduto poco prima,  quando era salita sulla tomba del drago. Quel richiamo era stato davvero strano. Che i draghi la avessero sempre attratta, non era una novità. Si era sempre seduta sulle torri di Castel Dour a guardare il cielo, nella speranza che un drago lo solcasse. Tutte le persone avrebbero temuto questo evento, ma lei in qualche modo, lo desiderava. Voleva vedere un drago, cavalcarlo, e chissà, ucciderlo. Saewen l’ammazzadraghi. Suonava bene. O meglio, Saewen la Dovakhin, Saewen la sangue di Drago. Avrebbero avuto tutti paura di lei, anche Seorith. Forse avrebbe dovuto indagare di più sul suo passato: sapeva chi era sua madre, ma non conosceva l’identità del padre. forse, conoscerlo, avrebbe risolto qualche questione. O forse no? E poi c’era ancora l’interrogativo della sua compravendita.
“Ho troppe domande per la testa”, pensò la ragazza.
“A volte il sonno porta consiglio. E poi domani dovremo intraprendere un lungo viaggio”, disse Seorith.
Saewen si voltò verso di lui.
“ Mi stavi leggendo nel pensiero!”, esclamò interdetta.
“Può darsi”
“Non può darsi! È così! Se un gran maleducato, faccia-coperta!”
“ Mi stavo solo allenando nella telepatia”
Su tutte le furie, Saewen tornò indietro a cercare Kiytald. Lo trovò seduto davanti a un falò.
“ Quello”, protestò Saewen, indicando Seorith che la seguiva pigramente, “Ha cercato di esercitarsi con la Telecunesi su di me!”
“Telecpatia”, la corresse Seorith.
“ Temo gli sia stato ordinato”, disse Kiytald, “Da me. Adesso va’ nella tua tenda, avanti. Ti verrà spiegato tutto a tempo debito”
Saewen fece una smorfia. Almeno aveva ammesso che c’era qualcosa da spiegare.
Ubbidì. Di certo, nella sua tenda, nessuno le avrebbe letto la mente, o almeno così sperava.
 
Il giorno dopo si incamminarono in quello che era un sentiero che attraversava un boschetto poco fitto di abeti. Non incontrarono alcun nemico, ma Saewen si dilettò nell’osservare una piccola volpe costeggiare la strada, stranamente per nulla impaurita da quelle persone. C’era un leggero venticello che faceva ondulare la lunga chioma degli alberi. Saewen si strinse a sé, si stava facendo freddo, eppure non c’era la neve. Pensandoci, aveva visto pochi luoghi senza neve: a Solitude c’era praticamente tutto l’anno, anche d’estate. D’inverno, invece, il fiume si gelava, e alcuni ragazzi si divertivano a pattinare sul ghiaccio. Lei non aveva mai provato, aveva avuto sempre paura. D’altra parte, spesso aveva sentito la notizia di bambini che erano affogati o morti di ipotermia  a causa del cedimento del ghiaccio. Trovava quel paesaggio privo di neve allegro e spensierato, come se fosse immerso in quel clima estivo che a sud recava caldo e voglia di vivere. La neve, invece, le incuteva pace e tranquillità. Sulla neve poteva ritrovare se stessa, quando era troppo triste o affannata, e forse in quel paesaggio non ci sarebbe riuscita.
Poco più in là trovarono una segherie. Mentre attraversavano il ponte, Saewen osservò l’acqua frangersi sulla ruota del mulino che serviva a fornire cibo ai lavoratori, che interruppero subito il loro lavoro per  inchinarsi di fronte allo jarl.
 “La segheria più importante del Falkreath, nonché l’unica”, spiegò Kiytald.
Quindi erano già nel Falkreath, probabilmente da quando avevano abbandonato i territori con gli ultimi sprazzi di neve. La capitale quindi doveva essere molto vicina.
Si incamminarono per il sentiero tranquillamente: non parevano esserci nemici all’orizzonte. Saewen ascoltò deliziata il cinguettare degli uccellini e si rese conto che in quella parte di Skyrim c’era davvero poco freddo rispetto a Solitude. Se ne rese conto anche nei giorni a venire, mentre proseguivano calmi il viaggio.
Arrivarono ad un bivio, e presero la strada a destra. Secondo Kiytald mancava poco. Ormai Saewen si era abituata al clima e alla compagnia di quei personaggi, ma il pensiero di cosa era accaduto alla tomba del drago continuava ad assillarla. Il rapporto con Seorith non si era modificato, ma la ragazza aveva imparato a tollerare il mago e ad apprezzarne le qualità magiche, anche se non mancava mai di ricordargli che aveva più riserva di magicka di lui.
 “Eccoci a casa!”, gridò ad un certo punto un giovane soldato, voltandosi a sinistra.
Saewen guardò in quella direzione. Sotto di loro si vedevano alcuni tetti di paglia e case di legno. Non era una grande città, anzi, sembrava un paese. Saewen ne rimase delusa. Era abituata a Solitude, alle sue costruzioni di pietra, alla magnificenza di Castel Dour, al porto, alle vie gremite di persone. Invece, almeno a vederla dall’alto, Falkreath pareva quasi un paesino di campagna, le case quasi catapecchie. Era molto piccola come città, la poteva vedere tutta da quella montagna. Se il soldato non avesse urlato quelle parole, avrebbe pensato di essere vicina a un paesello di provincia.
Il sentiero proseguiva in discesa. Dovevano fare attenzione a mantenere una velocità consona, cosa che a Saewen dava parecchio fastidio: preferiva le salite alle discese.
Trovarono alla destra due menhir ai fianchi di un sentiero che portava a qualcosa che la ragazza non riusciva a vedere: era calata infatti una foschia piuttosto fitta, come quella che di solito invade le paludi.
“Cosa c’è lì?”, chiese a Kiytald.
“Alcune rovine. Non devi avvicinarti, ci sono alcuni spriggan”
“Cosa sono gli spriggan?”
“Entità che dominano la natura. Sono spiriti della foresta, che attaccano i viaggiatori: tendono a vedere come nemici della natura uomini, elfi, orchio e ogni razza. Possono anche farsi aiutare dagli animali, anche quelli non nocivi. Coi loro attacchi aspirano la vita del nemico, in poche parole, se non riesci a sconfiggerli, ti succhiano via tutta la vita. Altrimenti, rimarrai fiacca per un po’ ”, spiegò Seorith.
Saewen osservò stupita quelle rovine. Non si era mai parlato di Spriggan a SAolitude, ma lei non era mai uscita dalla città.
Riuscirono a rivedere la capitale solo tempo dopo. Davanti all’ingresso c’erano due guardie che si affrettarono a salutare con reverenza lo jarl, mentre anche gli abitanti di Falkreath si radunavano nella via principale.
Quando attraversarono la città, tutti bisbigliavano indicando Saewen: era una persona nuova, probabilmente si stavano chiedendo chi fosse quella ragazzina. Nonostante ciò, a Saewen tale comportamento non piaceva. Si sentiva a disagio, e quasi si ricordava di quando molte persone lo facevano anche a Solitude. In fondo, c’era abituata.
Quando entrò nel palazzo dello jarl, lì chiamato Casa Lunga dello Jarl, rimase esterrefatta. Era abituata al grande palazzo di pietra di Solitude, a due piani, ricco di stanze e di arte. Quella, invece, sembrava una rude casa un po’ più grande del solito. Si entrava direttamente nella sala del trono, che era fatta tutta in legno. La stanza era addobbata solo da una testa di cervo e un falò davanti al trono di legno di Siddgeir, sul quale lo jarl si sedette con soddisfazione. Ai lati della stanza c’erano due scale, che portavano a due alloggi. Inoltre, sulla sinistra, v’era un’altra stanza la cui utilità la ragazza non riuscì a comprendere. Sulla destra c’era anche un’altra stanza.
Siddgeir fece un cenno a un’anziana signora, che si avvicinò a Saewen e le disse di seguirla. La ragazza dette un’ultima occhiata a Kiytald e Seorith, poi la seguì. Salì le scale di legno sulla destra ed entrò nella stanza a cui conducevano. Era una camera molto piccola, e la porta era in quello che sembrava mezzo muro, infatti non arrivava fino alla parete. Nella camera c’erano solo un letto, una piccola dispensa, un baule, una scopa e una cassettiera.
“ Il mio nome è Anya e sono la sovrintendente dello jarl. Gli fornisco consigli su come amministrare il regno, anche se in genere lascia a me la responsabilità. Kiytald si occupa del lato militare”
“Io mi chiamo Saewen”
“Questa è la tua stanza, Saewen”, disse la donna, “Domattina, dopo aver sistemato ogni cosa, dovrai presentarti alle undici al cospetto dello jarl. Non ritardare. Nel frattempo, puoi dare un’occhiata alla città. I pasti ti saranno serviti in camera”
Saewen annuì e si sedette sul letto. In effetti, aveva proprio voglia di esplorare la città. Doveva però prima liberarsi di quei vestiti sporchi e puzzolenti. Così aprì la cassettiera nella speranza di trovare qualcosa di consono, e fu sorpresa nel vedere che era piena di abiti. Ne scelse uno color carta da zucchero e lo depose sul letto. Osservò il catino in un angolo. Si stava proprio chiedendo a chi avrebbe dovuto chiedere dell’acqua, quando entrò un servo giovane, tarchiato e anche abbastanza grasso.
“Mi chiamo Asbel”, si presentò il ragazzo, “E sono il vostro servo personale. Se avete bisogno di qualcosa…”
“Oh…”
Saewen non aveva mai avuto un servo. Non sapeva nemmeno cosa avrebbe potuto chiedergli o meno.
“Potresti riempirmi il catino d’acqua, per favore?”, chiese. Non doveva dimenticarsi la gentilezza.
Il servo arrossì.
“Sì, signora. Ah, e… prego”
Forse nessuno gli aveva mai detto grazie o lo aveva trattato con gentilezza, e Saewen lo comprendeva bene. Nemmeno lei era stata mai trattata con particolare affabilità.
“Senti, Asbel, quando avrò finito di lavarmi e mi sarò vestita, mi potresti far visitare la città? Vorrei saperne di più, ecco”
Al ragazzo si arrossirono le orecchie, e Saewen si chiese perché. balbettò un sì e quasi fuggì via.
Saewen fece spallucce. Certo che le persone erano davvero strane.
Si spogliò e si specchiò nell’acqua. Amava farlo. Osservò il suo corpo, di cui andava particolarmente fiera, poi iniziò a lavarsi. Era da troppo tempo che non aveva potuto farlo. Si stava proprio rilassando, quando qualcuno aprì la porta che la ragazza si era dimenticata di chiudere all’improvviso. Saewen urlò, insieme all’altra persona, e inciampò sul catino, cadendo per terra. cerò di coprirsi meglio che poteva con le braccia ma non fece a meno di diventare paonazza.
“ Nessuno ti ha insegnato a bussare?”, gridò a Seorith.
“Lo jarl… m-mi ha ma… aveva ma-mandato a dirti che…”, balbettò il mago.
“ Dovevi bussare, vattene via!”
Il mago esitò un poco, poi se ne andò.
“ Domattina hai udienza presso lo jarl”, le disse da dietro la porta.
“Lo so! Ora vattene!”
Saewen non udì alcun rumore, perciò pensò che il mago fosse rimasto fuori dalla sua camera. Magari poteva vedere attraverso i muri. Cercando di non pensarci, Saewen si alzò e sospirò osservando la pozza d’acqua sul pavimento.
Fortunatamente, aveva finito di lavarsi.
Si asciugò in fretta, poi indossò i vestiti e aprì la porta. Seorith non c’era, era dall’altra parte al tavolo alchemico. Saewen gli lanciò un’occhiata infuocata che il mago non vide.
Trovò Asbel davanti al portone principale.
Uscirono, e la foschia impedì loro di vedere bene.
Sulla destra la ragazza vide un montone dormire beatamente sul sentiero: a Solitude tutti gli animali erano rinchiusi in una recinzione ed era impossibile fare incontri simili. Asbel, però, svoltò a sinistra e la condusse poco più in là, davanti all’insegna della costruzione rigorosamente in legno con tetto di paglia davanti a loro.
 “Questa è la locanda ‘Il solenne intruglio’. Sono amico del proprietario, è un uomo davvero simpatico. A volte mi regala delle bottiglie di vino”
“Non ho mai bevuto vino”, ammise la ragazza.
“Non sai cosa ti perdi. Comunque forse è meglio non iniziare”, e qui si rabbuiò, “Perché poi non sai più quando finire”
Saewen non indagò su quelle parole, ma rimase in silenzio. Non era opportuno chiedere il perché di quella frase a una persona che non conosceva.
Continuarono a percorrere un poco il sentiero, che era formato non più da lastricato ma da travi di legno. A fianco della Casa lunga dello jarl c’era un altro edificio molto grande rispetto agli standard di quella città, dotato anche di balcone. Come spiegò Asbel, quella era la caserma ed era lì che viveva Kiytald insieme agli altri soldati. A fianco della caserma c’era una piccola palizzata che dava accesso al cortile d’allenamento. Saewen osservò i soldati colpire i manichini con spade corte o con archi abbastanza rudimentali. Probabilmente quelle forze armate non potevano sconfiggere quelle dello Haafingar.
Davanti a loro, il sentiero terminava su quello che sembrava un ponticello di legno coperto da una tettoia. Saewen ci salì seguita dal compagno.
In realtà non era un ponte, infatti terminava bruscamente. Era tipo un balconcino. Saewen osservò il paesaggio, che sarebbe stato molto più bello se non ci fosse stato un immenso abete davanti a lei. A sinistra poteva comunque osservare una segheria: l’economia del Falkreath, come le spiegò Asbel, si basava sulla falegnameria vista la presenza massiccia di alberi e foreste. Sulla destra, invece, Saewen riusciva a intravedere un sentiero in salita. Era un paesaggio del tutto diverso da quello di Solitude, ma tutto sommato era piacevole.  Certo, dall’angolino sinistro si sarebbe potuto vedere un paesaggio migliore se non ci fosse stata tutta quella foschia.
Tornarono indietro, alla casa lunga dello jarl, poi proseguirono un poco imboccando il sentiero a sinistra, quello che portava all’uscita della città da cui erano entrati. Asbel mostrò con fierezza a Saewen la più grande fattoria del Falkreath, la fattoria Lucesmorta. Poiché la padrona di tale fattoria era la zia del ragazzo, Saewen non credette alle sue parole.
Davanti alla fattoria, sul lato sinistro del sentiero, c’era il fabbro.
"Qui lavora il fabbro della città, Lod. È il figlio del fabbro che qui lavorava ai tempi del Sangue di drago!"
"Ai tempi del sangue di drago?"
"Sì! una volta un drago attaccò la città, ma fu sfortunato: il Sangue di drago era in visita dallo jarl. Allora uscì dalla Casa lunga e lo protesse dal drago uccidendolo con le frecce che proprio poco prima aveva acquistato da Lod", raccontò entusiasmato il ragazzo, cogli occhi che brillavano.
Saewen lo ascoltò a bocca aperta. Quindi Siddgeir aveva conosciuto il Sangue di Drago? Ma era troppo giovane! Come avrebbe potuto? Lo riferì ad Asbel, che sbuffò, annoiato.
" Siddgeir è il nostro jarl, ed è molto potente. Dicono che è nato col dono dell’eterna giovinezza", raccontò.
Saewen non ci credette. Nessuno poteva nascere con quel dono, e comunque stava vivendo troppo per un nord: eterna giovinezza non significa immortalità.
Dopo il fabbro, v’era un emporio, e davanti ad esso un’altra locanda: la goccia fatale.
"Il vino qui è meno buono, nonostante il nome. Ma fanno una buona birra e ci sono molti bardi. Pensa che il Solenne intruglio è una locanda molto recente, hanno anche ampliato l’edificio: prima era un laboratorio di alchimia. Poi è arrivato Seorith e oltre a lavorare a corte vende anche elisir, pietre, amuleti… Dicono che siano migliori di quelli che vendeva l’alchimista del negozio, che quindi è fallito. Io lo conosco per il vino, però. Non mi intendo di pozioni, ma di vini sì", chiosò Asbel.
Asbel affiancò le mura e corse per il campo. Trovarono un grande cimitero immerso dalla foschia.
"Questo è il cimitero di Falkreath"
"Qui giacciono i figli e le figlie del Falkreath", disse un uomo.
"Lui è Steid, il custode del cimitero. È un mio amico", riferì Asbel.
Era amico di un becchino? Che amicizia singolare…
"Saewen…", si presentò a disagio la ragazza.
Il becchino sorrise e fece cenno di seguirlo. La condusse davanti a un’altra costruzione di legno, la cui porta era affiancata da due sculture posizionate su un alto piedistallo: erano a forma di sfera con sopra una sorta di sole. Saewen li riconobbe: erano santuari di Arkay.
Steid la precedette.
"Questo è il santuario di Arkay, dio della nascita e della morte", spiegò.
Saewen conosceva il pantheon degli dei, insegnatole da sua madre, ma non si definiva una credente. Tuttavia sorrise al becchino e fece un cenno di assenso.
"Falkreath ha visto tante guerre e molti figli strappati alla vita. Ho da fare, ma se vorrai tornare qui ti potrò raccontare molto sulla storia del Falkreath. Torna quando vuoi"
Saewen annuì. Steid l’aveva incuriosita. Sarebbe tornata di certo.
"Beh, qui la nostra visita è terminata. Faremmo meglio a tornare alla casa lunga dello jarl. È quasi ora di cena", disse Asbel.
 
   
 
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