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Autore: Sacapuntas    07/05/2017    0 recensioni
Sin dal giorno in cui il suo sangue si è mescolato agli scoppiettanti carboni ardenti, Eric Coulter ha la reputazione di essere il ragazzo più spietato, rude, indifferente e gelido della suo nuova Fazione. La sua fama lo precede, ma la cosa non sembra disturbarlo minimamente, e si gode i suoi vantaggi da Capofazione in completa solitudine. Ma a volte basta solo una parola di troppo, un profumo particolare e due grandi occhi ambrati per stravolgere e riprogrammare la mente di qualcuno.
Sentitevi liberi di aprire, leggere e, se la storia vi appassiona, lasciare una recensione, mi renderebbe davvero felice!
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 14 - Riunione di famiglia



L'aria notturna è gelida, ma io lascio che il vento mi colpisca in pieno petto, respirando il dolce profumo dell'erba umida, soltanto per provare l'elettrizzante sensazione si un'indomabile libertà. Solo poche volte ho l'onore di condividere uno dei vagoni del treno con Elizabeth e, ogni volta che succede, una scossa di adrenalina mi fulmina ogni neurone e annulla qualsiasi pensiero che mi passi per la testa.
In lontananza, l'entrata posteriore della Residenza degli Intrepidi riflette la luce della luna. Mi avvicino al portellone del treno, pronto a lanciarmi sull'erba fresca e ritornare con calma nel mio appartamento: per la prima volta dopo tanto tempo, mi sento davvero esausto.
"Aspetta." Elizabeth mi afferra per un braccio e mi blocca prima che io possa saltare oltre il portellone del convoglio. Il treno continua la sua inarrestabile corsa, e il retro della Residenza degli Intrepidi diventa solo un ricordo distante e inafferrabile.
Siamo stati in giro per la città per pochi minuti, dopo essere saliti sull'Hancock, giusto il tempo per una passeggiata, ma adesso è davvero tardi e il rientro è praticamente obbligatorio. E se qualcuno avesse bisogno di me? E se vedessero che sia io che Elizabeth manchiamo dai nostri letti? Non sarebbe sicuramente considerata una mera coincidenza, dannazione.

Vedo la grande porta di emergenza sfrecciare via dal mio campo visivo, il suo bagliore metallico svanisce nell'oscurità più sinistra. Fantasico, ed ora?
Non possiamo fare il giro della Residenza per saltare nell'oscura voragine che ha usato Elizabeth il primo giorno: la rete usata per l'accoglienza degli iniziati è stata smontata e, a meno che non vogliamo sfracellarci sulla pietra, noi Intrepidi dobbiamo usare l'entrata principale -oppure quella di servizio per non essere scoperti, nel nostro caso-. E dal momento che ora queste opzioni non sono più disponibili perchè la ragazza mi ha impedito di saltare, sospiro frustrato: non voglio aspettare che il treno faccia di nuovo il giro della città per tornare al punto di partenza.
Mi volto leggermente infastidito verso la mia ragazza, che ora mi sta guardando con quei suoi grandi occhi luminosi che ora sembrano quasi azzurri, grazie alla luna che inonda il suo viso di una pallida luce argentea.

Elizabeth mi fa sedere per poi posizionarsi a sua volta su di me, senza distogliere lo sguardo dalla mia espressione sempre più perplessa.
La Candida intreccia la sua mano alla mia e se la porta alle labbra, lasciando un bacio delicato sulle mie nocche prima di parlare.

"Voglio che tu mi ascolti attentamente adesso. Non essere arrabbiato con me, perchè c'è una ragione se ti ho impedito di saltare." alza lo sguardo dalle mie labbra ai miei occhi e sbatte le palpebre, come risvegliata da un sogno. "La nostra meta è un'altra."
"Ovvero?" per qualche motivo, penso che mi voglia portare alla quercia sotto la quale mi ha dato il suo primo bacio. Poi, però, la sua risposta mi colpisce come un pugno allo stomaco.
"Al Quartier Generale degli Eruditi. Andremo da mia sorella. Ho bisogno di spiegazioni."
La mia schiena, appoggiata alla parete del treno e coperta solo da una leggera felpa nera, comincia a inumidirsi di sudore.
"No." lascio andare la sua mano, e un'espressione severa -e forse anche spaventata- mi fa aggrottare le sopracciglia e schiudere la bocca per lo stupore. Non metterei mai piede nel Quartier Generale degli Eruditi, non dopo un anno di assenza. Non dopo che i miei genitori non si sono presentati nella Giornata delle Visite. "No, non ci andrò."
"Va bene, non sei costretto a venire. Ma io vado. E mi è sembrato giusto avvertirti, piuttosto che sgattaiolare fuori dal dormitorio e andarci senza fartelo sapere."
"E non hai preso in considerazione il fatto che forse non ti ci avrei mandato da sola?"

Lei mi guarda, il sopracciglio alzato unico segno della sorpresa che le ha acceso lo sguardo.
"No? Non mi aspetto che tu non mi permetta di fare qualcosa, sai, com'è." risponde gelida, quasi offesa, ridendo senza divertimento.
"Non è questo che intendevo."
"Ah no?" il suo tono di voce è intriso di pungente sarcasmo.
"No!" la afferro per le spalle, le mie parole sono un ringhio a pochi centimetri dalle sue labbra. "Lo sai che rischi l'arresto, vero? O una condanna per insubordinazione? Lo sai, Elizabeth? Pensi che io voglia vederti in una cella oppure per strada insieme agli altri Esclusi?"
"Certo che non lo penso! So che rischio tutto. Ma so anche che noi Intrepidi veniamo considerati i protettori della città, i suoi guardiani. Senza di noi, ci sarebbe il caos. Abbiamo, di conseguenza, dei... Come dire... Dei privilegi. Ergo, posso fare questo ed altro senza rischiare un bel niente."
La guardo come se avesse appena parlato in una lingua a me sconosciuta, gli occhi spalancati e la bocca incapace di emettere alcun suono.

"Noi Capofazione godiamo dei privilegi! Noi possiamo introdurci nelle altre Fazioni, noi possiamo permetterci di uscire di notte dalla Residenza, noi possiamo chiedere di parlare con qualcuno appartenente ad un'altra Fazione!" grido, quasi fuori di me, mentre continuo a puntare un indice verso me stesso, sperando di rendere il messaggio più chiaro.
"Bene! Questo implica la tua fondamentale presenza in questa missione!" sorride lei, in nessun modo toccata dal mio tono alterato di voce.
"Maledetta ragazzina." sibilo mentre mi trascino le mani sul viso, disperato.
"Sono solo un anno più piccola di te, ragazzino." mi prende per i polsi e li blocca contro la parete metallica, prima di chinarsi e mordermi il labbro inferiore. "E poi, non vuoi conoscere la mia fantastica famiglia? O, almeno, una parte di essa?"
"Non in queste circostanze. È notte fonda e tu dovresti essere nel tuo dormitorio. Di certo non darei una buona impressione, dal momento che sono stato io a permetterti di fare tutto questo."
"Ti ho già detto che non devi permettermi proprio nulla, non dipendo da nessuno e non ci tengo a seguire gli ordini di qualcuno che crede di essermi superiore. E mia sorella lo sa." mi stampa un bacio sulle labbra, lasciandomi andare i polsi. "Forza, andiamo. Sfruttiamo questi nostri privilegi da Intrepidi."

                                                                                               ***

"La vuoi sapere una cosa? Voglio dire, io apprezzo la sconfinata sete di conoscenza degli Eruditi, e li adoro per la loro curiosità e voglia di sperimentare. Ma d'altra parte... In un certo senso non li ho mai sopportati. Mia madre era un'Erudita, prima di trasferirsi ai Candidi, e non faceva altro che ricordare la sua Fazione come una delle migliori. Intelligenza di qui, intuizione di là. Ecco perchè li ho esclusi subito alla mia Cerimonia." incrocia le braccia, tenendo lo sguardo fisso di fronte a lei. "Non ho bisogno di vantarmi della mia intelligenza: ferisce le persone stupide."
"Quindi non hai scelto gli Eruditi perchè non volevi far sentire inferiori le persone meno intelligenti di te?" alzo lo sguardo verso la mia mastodontica ex-Fazione, che si staglia contro il cielo notturno.

Le finestre più alte dell'edificio riflettono le stelle lontane, ed un grande occhio, simbolo della sete di sapere degli Eruditi, ci fissa da sopra l'entrata a vetri della Fazione. Elizabeth si è fermata prima di entrare, contemplando con distaccato disprezzo la gigantesca costruzione dove centinaia di scienziati continuano le loro ricerche anche di notte.
"No, semplicemente preferivo gli Intrepidi, non sono fatta per star ferma e studiare pagine e pagine di libri dai titoli impossibili da leggere. E poi, un uccellino mi ha detto che il Capofazione degli Intrepidi era un figo assurdo, come rifiutare l'offerta?" mi fa l'occhiolino e sorride.

Una risata mi gorgoglia in gola, mentre un tiepido imbarazzo mi scalda le guance. Non sono ancora abituato ai complimenti.
"Bene, andiamo. Divertiamoci un po'." Elizabeth si sfrega le mani e, a passo pesante e deciso, entra nell'enorme atrio del Quartier Generale, una grandissima sala dalla forma quadrata, il parquet in legno di betulla e le pareti bianche.
Sul lato sinistro, dietro un bancone di legno dalla forma semicircolare, siede un paffuto ragazzo sulla ventina, i capelli castani laccati all'indietro e un completo blu scuro sbottonato sulla camicia bianca.
Alcuni Eruditi, vestiti tutti allo stesso modo, corrono da una parte all'altra, tenendo stretto in grembo faldoni con grandi etichette numerate oppure importanti documenti svolazzanti.
Molti di loro si voltano verso di me e di Elizabeth sfoggiando le loro espressioni più confuse e spaventate, scambiandosi sguardo timorosi e lasciandosi sfuggire di mano scartoffie o penne. Il ragazzo grassoccio del bancone, invece, non sembra accorgersi della minaccia che gli sta per piombare addosso, anche conosciuta con il nome di Elizabeth.
L'unico rumore udibile è quello delle cinghie dei nostri stivali, che tintinnano ad ogni passo sovrastando con prepotenza il chiacchericcio dei lavoratori, che va scemando sempre di più, lasciando spazio ad un inquetante e teso silenzio.

La Candida non sembra turbata dal fatto che tutti gli attenti occhi degli Eruditi siano fissi su di lei ma, conoscendola, probabilmente è un ostacolo che sta ignorando.
I suoi pesanti stivali neri conducono Elizabeth davanti al bancone, dietro il quale il ragazzo non ha ancora alzato gli occhi dal suo computer fisso.
"Voglio parlare con Julia Ride." appoggia i gomiti sul ripiano di marmo bianco, lasciando che la sua voce profonda e sicura rieccheggi da una parte all'altra dello smisurato atrio della Fazione, dove ormai ogni segno di frenesia è stato spazzato via dalla piccola tempesta arrogante dai capelli bruni.
Ride, Ride, Ride.... Dove diavolo ho già sentito questo cognome?

Il ragazzo corpacciuto non risponde, ed Elizabeth comincia a battere nervosamente un'unghia sul bancone, a ritmi regolari e rapidi. "Sei forse sordo?"
"No, sono tremendamente impegnato." risponde senza staccare gli occhi dal computer. "Se potesse gentilmente aspettare..."
"Io non aspetto."
"Allora non mi lascia altra scelta che chiamare la sicurezza, signorina..."
"Signorina Elizabeth Ride, sorella della miglior dottoressa della quale questa insulsa Fazione possa godere. Quindi, gentile..." abbassa lo sguardo sul cartellino appeso al completo del ragazzo, che ora sta alzando lentamente lo sguardo, offeso da tanta arroganza. "...Ewan, muovi il culo e chiama mia sorella."

Quando Ewan incontra i grandi e famelici occhi della Candida, la sua espressione muta repentinamente. Ora le sue guance paffute tremano per il terrore e dalla sua bocca socchiusa non esce che un soffocato gemito di sorpresa. Attribuisco questa reazione a due possibili motivi: o Ewan è rimasto colpito dalla bellezza e dalla delicatezza del viso di Elizabeth, così in contrasto con il suo atteggiamento minaccioso e indisponente; oppure la Candida si è fatta una certa reputazione anche qui.
Entrambi le opzioni sono possibili.
"Ho bisogno di un mandato ufficiale." balbetta infine il ragazzo, spingendosi gli occhiali sul naso rotondo, mentre il suo sguardo inizia a scendere dagli occhi di Elizabeth alle sue labbra, al suo collo, sempre più giù.
"Sono io il suo mandato." intervengo "E guarda caso sono anche un Trasfazione Erudito, e so perfettamente che giocherellare con il computer al posto di lavorare significherebbe il licenziamento. Quindi, Ewan, sbrigati, se ci tieni al posto di lavoro."
"O alla vita." precisa la ragazza al mio fianco. "Che ne dici, Eric, sarebbe in grado di sostenere una lotta corpo a corpo?"
"Non lo so, Elizabeth, dovremmo provare." incrocio le braccia al petto, assumendo così una posa più minacciosa, e sfoggio un sorriso tagliente.

Ewan emette un verso che è un misto fra un gridolino disperato e una richiesta d'aiuto, poi prende la cornetta, e la fa cadere maldestramente un paio di volte prima di comporre un numero a tre cifre. Quando mette giù il telefono, il suo sguardo guizza da me ad Elizabeth.
"È al sesto piano, nel laboratorio di medicina. Non potete sbagliare." ci informa il ragazzo, asciugandosi il sudore delle tempie con un fazzoletto di stoffa.
"In caso contrario, torneremo da te. E fidati, non sarà per ringraziarti." la ragazza gli fa l'occhiolino.

Ewan deglutisce e fissa a bocca aperta Elizabeth mentre si allontana dal bancone per dirigersi all'ascensore, dividendo la folla di Eruditi al suo passaggio. Sto per seguirla, quando mi accorgo dello sguardo che il ragazzo sta rivolgendo al posteriore della piccola Candida.
Sbatto un pugno sul marmo, catturando di nuovo l'attenzione di Ewan, che ora mi guarda con gli occhi spalancati e lucidi di lacrime,
"Giù gli occhi dalla mia ragazza." mi sporgo oltre il bancone e lo afferro per il colletto, ringhiandogli contro. "Mi hai sentito, palla di lardo?"
Ewan annuisce velocemente più volte, ed io lo lascio andare con uno strattone, raggiungendo poi Elizabeth. La ragazza mi rivolge uno sguardo interrogativo.

L'idea di poter diventare un ragazzo geloso e protettivo non mi ha mai neanche sfiorato da quando ho intrapreso questa relazione: mi fido di Elizabeth e della sua lealtà nei miei confronti, quindi tecnicamente non dovrei preoccuparmi. Invece lo faccio, specialmente quando vedo un paio di occhi di troppo che fissano la mia ragazza, con la quale ho fatto i salti mortali per avere il rapporto che abbiamo adesso.
Lo sguardo di Ewan mi ha fatto perdere la calma così velocemente che, quando passo davanti alla fila degli spaventati e indifesi Eruditi, non posso fare a meno di avvicinarmi ad uno di loro e spingerlo contro i suoi compagni.
La povera vittima lancia un grido acuto, mentre gli altri gli impediscono una rovinosa caduta prendendolo per le braccia.
Sorrido, e lancio un ultimo sguardo intimidatorio a Ewan.

"Che hai fatto?"
"Messo in chiaro alcune cose." la prendo per un braccio e me la trascino dietro nel grande ascensore. Premo il bottone e, non appena le porte metalliche si chiudono, lasciando molti sguardi estrerrefatti dall'altra parte di esse, mi avvento contro le labbra della Candida. La prendo per i fianchi e la sollevo, appoggiando la sua schiena contro lo specchio che riflette i miei occhi chiari, affamati di attenzione e passione.
"A cosa devo questo gesto?" dice in un sospiro mentre incrocia le gambe dietro la mia schiena. Le accarezzo le cosce, studiando con attenzione la sua reazione per capire se vuole che smetta oppure no. Ma i suoi occhi tradiscono le mie stesse emozioni, una trepidante attesa e un indomabile desiderio. "Be', ci metteremo un po' prima di arrivare al sesto piano, no?"
"Non così tanto, in realtà."
"Allora sbrighiamoci, stiamo perdendo tempo."

Quando il din dell'ascensore ci avvisa che siamo giunti a destinazione, emetto un grugnito infastidito e poso Elizabeth a terra.
"Continueremo la discussione più tardi." mormora, prima che le porte si aprano e un'espressione dura e severa le si formi sul viso delicato. "Hai dei punti validi che mi piacerebbe approfondire."
Rido debolmente. Elizabeth si abbassa il cappuccio della felpa e libera la vampa di capelli scuri che le ricadono morbidi sulla schiena.
La seguo, sotto gli sguardi atterriti degli Eruditi spaventati, che hanno smesso di correre e parlare: ora nei corridoi regna il silenzio più totale.
La tensione può essere tagliata con un coltello, mentre la ragazza si avvicina con passo deciso al laboratorio, seguendo le indicazioni scritte su dei cartelli appesi alle pareti bianche.
"Stanza 414." mi dice indicando uno di questi, tirandomi la manica per attirare la mia attenzione. "Pronto?"
"Lo chiedi a me? È tua sorella, non la mia." le mormoro, fissando in cagnesco chiunque si fermi a guardare Elizabeth un secondo di troppo.

Quando giungiamo di fronte alla porta aperta della 414, Elizabeth si posiziona contro il muro da una parte, ed io dall'altra. Il corridoio dove si affaccia il laboratorio è completamente deserto, al contrario di quelli che abbiamo superato pochi secondi prima.
Entrambi ci sporgiamo, sbirciando all'interno del laboratorio poco illuminato, dove un'elegante ragazza sui vent'anni, vestita con un anonimo camice ed un paio di tacchi blu notte, sta parlando con un attraente ragazzo dai capelli scuri legati in una piccolissima crocchia dietro la nuca e la barba curata.
Il giovane uomo sorride alla dottoressa, che adesso ci sta dando quasi completamente le spalle, ed io mi sto per voltare verso Elizabeth per chiederle se sia lei la famosa Julia Ride con la quale ha tanta fretta di parlare.
Poi, però, la ventenne si volta verso sinistra per prendere un documento da una scrivania, permettendomi dunque di vedere il suo profilo a qualche metro di distanza, e rimango senza parole nel notare l'incredibile, sorprendente, affascinante somiglianza fra Julia e sua sorella Elizabeth Ride.

Due spessi occhiali neri sono poggiati sul suo naso lungo e stretto, e il suo viso -leggermente più paffuto e colorito di quello della sorella minore-, con la luce bluastra dei pannelli delle radiografie davanti a lei, ha un non so che di minaccioso e severo. Ha i capelli che le arrivano poco sotto le spalle, crespi e molto più scuri di quelli della mia ragazza. Porta una collana girocollo, con un minuscolo pendente che riflette la luce fredda del laboratorio.
"È..." comincio, ma Elizabeth, appoggiata allo stipite bianco della porta, la testa che fa capolino da dietro la parete, mi interrompe.
"...di una disarmante bellezza e un'intelligenza al limite dell'umano. Sì, l'ho sentito dire spesso." nella sua voce c'è un lieve accenno di fastidio, come se stesse ripetendo a memoria parole dette e ridette, ma nei suoi occhi, incollati alle sagome dei due dottori nella stanza, non vedo altro che concentrazione e soprattutto stupore, mentre scruta la sagoma scura del giovane Erudito.

"...Volevo dire che siete una la fotocopia dell'altra." farfuglio in risposta e, con la coda dell'occhio, la vedo sorridere timidamente.
Julia sta indicando con un'unghia smaltata un punto preciso del foglio che ha in mano, e l'affascinante dottore le si avvicina per leggere attentamente.
"Lo vedi quel ragazzo?" Elizabeth solleva la mano pallida, piena di lividi e escoriazioni, e punta il dito contro il soggetto in questione. "Si chiama Daniel, Trasfazione Candido, abitava sul nostro stesso pianerottolo, lui e mia sorella giocavano sempre insieme. Mi ha insegnato a suonare la chitarra, o almeno ci ha provato. Ci ho messo un po' a riconoscerlo... Non sapevo avesse scelto gli Eruditi." commenta, infine, con una punta di disgusto sulla lingua. "Daniel avrebbe fatto un figurone fra gli Intrepidi." aggiunge.

"Come fai a sapere che è lui? Non vi vedete da quanto, tre anni?" chiedo io, bisbigliando per non farmi sentire dai due giovani dottori che continuano a discutere, le teste vicine intente a leggere quel documento dall'aria importante.
"Quattro, per la precisione. Ma riconoscerei Daniel ovunque." il tono con cui lo dice accende in me una gelosia lieve, ma che mi provoca comunque una dolorosa fitta allo stomaco. "È sempre lo stesso Candido impacciato e perdutamente innamorato di mia sorella. Ecco, guarda." dice, indicando la mano del giovane "distrattamente" posata sulla schiena della dottoressa. "Daniel ha sempre avuto un'ottima vista, non ha mai dovuto portare occhiali o lenti a contatto, eppure... Guarda com'è vicino al foglio adesso. Cominci a capire? Non ne ha nessun bisogno, vuole soltanto stare il più possibile vicino a Julia. Senza parlare poi degli inutili contatti fisici o dei suoi sorrisi eccessivamente affettuosi."

"E lei?"
"Lei cosa?"
"Lei ricambia?"
"Non credo. Julia mette il lavoro prima di tutto, non si lascerebbe mai distrarre da Daniel." risponde, come se fosse un'affermazione ovvia ma stupida. "Senti, entriamo. Mi si stanno atrofizzando le gambe, stando in questa posizione."
"Ora? Ma stanno parlando!"
"Anche io le devo parlare!" risponde, in un sussurro sibilato fra i denti. "Pronto alla riunione di famiglia, Eric?" sorride poi, i suoi occhi brillano come quelli di un predatore che si accinge ad attaccare la preda.
"Elizabeth, non...!"

Cerco di trattenerla per un braccio, ma lei sguscia via agilmente, evitando il contatto con la mia mano. Impreco, mentre Elizabeth, a passi pesanti e rumorosi, fa il suo trionfale ingresso di scena. I suoi capelli seguono il movimento della sua andatura sciolta e decisa, ed io faccio lo stesso, affrettandomi per non rimanere indietro.
Il laboratorio non è molto grande: sulla destra, quattro scrivanie sono immerse nel buio che domina quasi interamente tutta la stanza, mentre sulla sinistra, appesa alla parete, una grande lavagna è imbrattata da formule e numeri che a me appaiono come una scrittura aliena.
Davanti a noi, le figure della sorella di Elizabeth e del suo spasimante si stagliano scure contro i pannelli delle radiografie, unica fonte di luce insieme alle piccole lampade al neon poggiate sul davanzale della finestra accanto ad essi.

Non appena si accorgono della nostra presenza, i due si girano immediatamente verso di noi, chiudendo gli occhi a fessura per cercare di riconoscere i due sconosciuti che si sono appena introdotti nel laboratorio.
Julia ha un'espressione di pura confusione stampata in viso, che si tramuta poi in furioso terrore non appena riconosce la sagoma Elizabeth.
Daniel, invece, guarda la ragazzina con sorpresa e sembra non notare la mia presenza.

"Chi non muore si rivede!" sta dicendo ad alta voce la piccola Candida, allargando le braccia e riempiendo la sala con la sua voce profonda ora allegra, ma che nasconde un tono minaccioso e sarcastico. "A dirla tutta, ho rischiato la morte parecchie volte, in questi giorni. Quindi siete fortunati." aggiunge poi, quasi rivolgendosi a se stessa.
"Elizabeth!" gridano i due dottori all'unisono, con due toni di voce completamente differenti.
Julia, a quanto pare, non è per niente entusiasta di vedere la sorella, al contrario di Daniel, che ora la sta stringendo in un abbraccio quasi paterno.
"Come sei cresciuta! Ma guardati...! Sei diventata un'Intrepida?!" esclama l'Erudito, tenendola per le spalle. Posso sbagliarmi, ma mi sembra che abbia uno sguardo spento, triste, sarà forse invidioso della vita libera di quelli della mia Fazione?

Daniel mi guarda, finalmente, ed io annuisco, non riuscendo a nascondere un sorriso soddisfatto. Sì, Elizabeth è un'Intrepida, più Intrepida di quanto io possa mai diventare.
"E non dirmi che tu sei Samuel! Non ti vedo da troppo tempo, anche tu sei..." comincia Daniel, ma io lo interrompo, incrociando le braccia sul petto e piantandogli il mio sguardo gelido addosso.
"Non sono Samuel." mi limito a rispondere con voce minacciosa, forse anche offesa.
"Lui è Eric, il mio ragazzo." dice Elizabeth allegramente, e alla parola ragazzo lo sguardo di Julia si accende di rabbia. "Eric Coulter, loro sono Julia Ride e Daniel Wolves. Julia Ride e Daniel Wolves, questo è Eric Coulter. Bello, vero? Ne vado abbastanza fiera. Ma non sono venuta qui per presentarvi il mio fidanzato."

"Tu non dovresti essere venuta qui e basta!" urla Julia, i capelli crespi le ondeggiano sulle guance quando lei gesticola per la disperazione. "È illegale! Potresti essere arrestata o..."
"Accusata di insubordinazione, lo so, datti una calmata." dice, facendo innervosire l'Erudita ancora di più. "E per la cronaca, non è illegale, se è un Capofazione ad accompagnarmi." conclude, dandomi una pacca sulla spalla sinistra e guardando soddisfatta la reazione della sorella.
Daniel sembra un tipo tranquillo, perchè sta guardando la scena con un sorriso stampato sulle labbra, come se il ritorno di Elizabeth fosse l'unica cosa che gli è rimasta impressa in mente.
"Vuoi dire che il tuo fidanzato è il Capofazione Intrepido?! Elizabeth!" Julia sbatte con rabbia la cartella che aveva in mano sulla scrivania accanto a lei, provocando un risolino innocente della sorellina, che guarda la scena trionfante.
"Per la cronaca, è stata lei a baciarmi per prima." mi affretto a dire, prima che la colpa venga in qualche modo scaricata su di me.
Daniel ride, battendo il pugno contro quello di Elizabeth come se fossero due fratelli orgogliosi l'uno dell'altro. Effettivamente, lui e la ragazzina sembrano più legati di quanto lei e la sua effettiva sorella non siano. Il ragazzo accende la luce, ed il laboratorio viene inondato da una luce biancastra che dà alla stanza un aspetto leggermente più accogliente.

"Non solo cambi Fazione, disonorando così l'onore della famiglia, ma hai anche il coraggio di presentarti vestita in quel modo fra gli Eruditi, vestita da Intrepida! Cos'è, hai pure un coltello in tasca?" chiede Julia disperata, passandosi una mano sul viso paonazzo di rabbia.
Elizabeth si lascia cadere con un sospiro divertito sulla sedia girevole posizionata dietro la scrivania, e appoggia gli scarponi sul tavolo con non-chalance. Non ci vuole una sua deduzione per capire che si sta comportando in questo modo per innervosire la sorella. E devo dire che è divertente.

Elizabeth sbatte il suo coltellino pieghevole sul ripiano di metallo, producendo un rumoroso clang che lascia interdetta la sua amata sorellona.
"Ovviamente, noi Intrepidi non andiamo mai in giro disarmati. Sai, Julia, per questo coltellino ho cominciato una rissa. Sono la migliore nel combattimento corpo a corpo e vedessi come mi temono, in quella Residenza." dice con voce studiata e teatrale, osservandosi con attenzione le unghie. "Mamma ne sarebbe fiera. Cos'è questa roba?" chiede poi, curiosa come una bambina, prendendo la cartelletta poggiata sulla scrivania, a pochi centimetri da lei.

"Non è roba che ti riguarda! Maledizione..." Julia si china per strappare la cartella di mano ad Elizabeth, ma fallisce miseramente e grugnisce in segno di disprezzo.
"Trapianti di testa?" esclama la ragazza, improvvisamente affascinata. "Avete delle teste incubate da qualche parte?"
"Sì, una decina." le sorride Daniel, guadagnandosi un tacito rimprovero dalla dottoressa furiosa.
"Cosa vuoi, Elizabeth?" ringhia la giovane donna, ed il sorriso schernitore svanisce dal viso della più piccola. Elizabeth passa il polpastrello sul bordo del foglio che ha in mano, lasciando qualche piccola macchia di sangue sulla carta.
Un silenzio di tomba serpeggia fra i presenti, lasciando presagire una risposta tagliente da parte della Candida.
"Sapere perchè la mia famiglia mi evita. Sapere perchè non siete venuti nella Giornata delle Visite." Elizabeth scosta le gambe dal tavolo e lascia cadere pesantemente gli scarponi sul pavimento di marmo, spostando poi i gomiti sul ripiano e incrociando le dita davanti a lei. "Sapere."
Julia ci mette un po' prima di rispondere, ma alla fine, dopo aver preso un profondo respiro, sibila: "Daniel, lasciaci sole." poi si volta verso di me, e per un attimo, in quello sguardo tanto ostile, rivedo Elizabeth. "Anche tu, esci da questa stanza. Ora."

Qualcosa, come una scossa fulminante, mi attraversa tutta la lunghezza della spina dorsale, ed io rimango immobile per un istante. Julia mi ha appena dato un ordine, ed ora mi sta guardando con rabbia pura condensata in due iridi color nocciola. Non voglio obbedire, ma dovrei, in fondo è un'adulta, e gli adulti vanno rispettati. Ma lascerei Elizabeth sola. Però me l'ha ordinato, ed un ordine andrebbe...
"Eric non va da nessuna parte." sbotta la mia ragazza in mia difesa, avendo letto la paura nei miei occhi. La paura all'obbedienza - sì, mi terrorizza ancora. Almeno ora so che non l'ho superata, senza esser costretto ad iniettarmi il Siero della Simulazione come fa Quattro di tanto in tanto. Quel masochista.
"È una questione di famiglia." Julia marca la parola "famiglia" come un insulto.
"E ora proprio tu mi vieni a parlare di famiglia!" lo stupore e l'offesa sono palesi sul volto dell'Intrepida. "Dov'eri tu quando nostra madre mi lanciava oggetti contro per il puro scopo di sfogarsi? Dov'eri quella volta che mi dovettero portare all'ospedale perchè continuavo a sputare sangue per colpa delle botte di mamma? Dove sei stata tutto questo tempo, Julia?" sbraita "Eric è stato più gentile con me in tre settimane di quanto tu non sia stata in dodici anni. Dodici anni, Julia! È lui la mia famiglia. E ciò che dici a me - lo puoi dire a lui."

Il mio cuore manca di un battito. Ripenso mentalmente alle parole che ha appena pronunciato, beandomi del fatto che le ha dette davvero. Non è soltanto una mia fantasia, non è un sogno, Elizabeth l'ha detto davvero: io sono la sua famiglia, io sono tutto ciò che le rimane.
Non posso impedire che i miei piedi di muovano da soli, portandomi alle spalle della piccola Intrepida. Le poggio le mani sulle spalle, stringendo con delicatezza per infonderle coraggio nell'affrontare sua sorella, anche se so che non ne ha bisogno.
Non distolgo lo sguardo dagli occhi di Julia neanche quando sento le sottili dita di Elizabeth accarezzarmi le nocche, in un silenzioso ringraziamento del mio sostegno morale.
"Che cosa ne vuoi sapere, tu del..." sta per dire l'Erudita, ma Elizabeth si punta un dito sotto il mento, guardando con superiorità la sorella. Quest'ultima interrompe la frase a metà ancor prima che la ragazza parli.
La bocca di Julia si contrae dalla rabbia, e il suo sguardo segue quello della sorellina quando si posa su Daniel, che ha appena superato la soglia della porta.

"...dell'amore?" conclude alla fine Elizabeth, lasciando la bocca socchiusa a fine frase e una finta espressione stranita in volto. "Vediamo un po'... Cosa so dell'amore?"
"Non lo fare, Elizabeth." sibila la dottoressa, mentre si toglie gli occhiali per metterli nel taschino del camice, tenendo puntato lo sguardo su di lei. Ha gli occhi grandi come quelli dell'Intrepida, ma molto, molto, meno espressivi dei suoi.
"Sono sicura che è amore quello che vedo negli occhi di Daniel, quando ti guarda. Come ti sorride mentre gli parli, come rimane entusiasta delle tue scoperte anche se non potrebbe interessargli di meno, come cerca di starti il più vicino possibile... Non mi scomoderò a chiederti se ti sia accorta che ti ha fatto scivolare qualcosa nella tasca del camice, quando ti ha toccato la schiena, ovvio che non te ne sei resa conto." Elizabeth ride senza divertimento. "Pensi davvero che abbia scelto gli Eruditi perchè anche lui sogna una vita con la testa china su un microscopio? Conosco Daniel quanto te, forse anche meglio, e non è mai stato un tipo da libri. Si arrampicava sugli alberi più alti e, quando cadeva, ci riprovava con più impegno di prima. Picchiava tutti i bambini del vicinato quando ti facevano un torto."

"Era solo un bambino iperattivo come tanti altri." sbotta Julia, la voce rotta dal turbinìo d'emozioni che deve star provando in questo momento. Qualcosa in Julia si sta sgretolando, che sia il suo cuore o la sua pazienza, lo ignoro.
Un campanello d'allarme suona nella mia testa. Ho come la sensazione che Elizabeth stia superando il limite.

"No. Oh, Dio, no. Daniel è nato Intrepido. Ma ha voluto abbandonare tutto per seguire te, e guarda che cosa ha ottenuto? Una vita infelice, condannato per sempre ad andare dietro a un'incosciente che mette il lavoro davanti a tutto, anche davanti alla sua stessa famiglia." Elizabeth inarca le sopracciglia e schiude la bocca, sporgendosi in avanti come se stesse sussurrando un segreto. Julia si avvicina, con diffidenza e paura. "Guardati, Julia, guarda come disprezzi il mio essere libera, guarda come disprezzi la mia vita sentimentale. Guardati. Hai reso fiera la mamma, ma a che prezzo?"
"Non è bello studiare le persone, te l'ho mai detto? Non è bello perchè... è come sbucciare una mela fino al torsolo." La voce di Elizabeth mi riprorta a quando, quella notte nel mio appartamento, mi aveva detto che non sopportava il suo modo di sfruttare le debolezze delle persone a proprio vantaggio. Ed è quello che sta facendo ora, perchè l'unica debolezza di Julia è proprio Elizabeth: teme la sua libertà, la sua arroganza, la sua spavalderia, ma anche la sua delicatezza, la sua allegria e la sua maturità decisamente insolita, per una sedicenne.

Sento che dovrei fermare il suo flusso inarrestabile di parole, perciò le stringo le spalle con le mani, sperando che capisca che dovrebbe riflettere prima di parlare, specialmente adesso che Julia è sull'orlo del pianto -o di una crisi nervosa-.
"Va tutto bene, Eric." stringe la mia mano, rassicurandomi con lo sguardo. "Anzi, in realtà possiamo andare. Ho già avuto tutte le risposte."
"Ma non ti ha detto nulla." la guardo sorpreso mentre si alza dalla sedia, degnando Julia di uno sguardo altezzoso prima di dirigersi verso la porta.
"Non ce n'è stato bisogno."
Ovvio che no.

Stiamo per oltrepassare la soglia della porta, quando la voce di Julia ci raggiunge alle nostre spalle, tradendo un'evidente impotenza di fronte all'umiliazione ricevuta dalla sorella minore.
"Da quando hai cominciato a fare così." dice, scrollando le spalle, come se non avesse un altro termine per indicare l'incredibile natura intuitiva di Elizabeth. "Ho voluto evitarti. Tutti noi preferivamo evitarti, anche papà." esita qualche secondo, tormentandosi le unghie. "Non so se tu abbia intuito anche questo, sorellina, ma ho adottato un bambino." alza la voce, facendosi sentire dall'altra parte del laboratorio, sapendo che Elizabeth la sta ascoltando, anche se le sta dando le spalle, le mani entrambe poggiate agli stipiti della porta a bloccarmi il passaggio. Vedo i suoi capelli ondeggiare leggermente, mentre la sua testa si volta quasi impercettibilmente da un lato, come a rivolgere una distratta attenzione a sua sorella. "
Si chiama Nathaniel, ha solo tre anni, ma ho intenzione di crescerlo in modo che non diventi come te."

Le dita dell'Intrepida si stringono attorno al legno, così forte che ho paura si possa rompere qualche falange. Non posso vederlo, ma so che il suo viso è contratto ora in una smorfia di dolore. Dopo pochi secondi si rilassa, alza la testa e, senza voltarsi, dice a voce alta:
"Guarda nella tasca del camice, Julia." la sorella maggiore rimane interdetta le un attimo, poi fa come le viene detto e, confusa, tira fuori dalla tasca una scatoletta coperta di velluto azzurro, colore dominante di questa Fazione. Quando lo apre, uno scintillante zaffiro fa la sua modesta figura in cima ad un anello d'argento, e l'Erudita si deve coprire la bocca con una mano per soffocare un gemito di sorpresa.
"Oh, no... Daniel..." mormora, mentre richiude la scatola e la posa sulla scrivania, coprendosi il volto con le mani.
"Sei sicura di voler crescere tuo figlio secondo il tuo modello? Farlo diventare come te?" finalmente Elizabeth si gira, e noto con sorpresa che anche lei ha gli occhi inumiditi dalle lacrime. "Povero Nathaniel, fallo almeno crescere con dei valori."


Detto questo, Elizabeth sfreccia via dal laboratorio a passo veloce, ed io devo quasi correre per starle dietro. Ci lasciamo dietro una Julia piangente e una famiglia distrutta.
Nel corridoio incontriamo Daniel appoggiato ad un muro dello stretto androne, lo sguardo fisso sul suo orologio da polso. Non appena ci vede, ci viene incontro, e immediatamente capisce che qualcosa non va.
Ripenso all'anello di fidanzamento, dono di Daniel per la ragazza di cui è innamorato da chissà quanti anni. Guardo Elizabeth, e lei sembra leggermi nel pensiero. Poi, però, si limita a rispondere: "Lascia fare a me, so cosa devo fare."
"Ragazzi, tutto bene? Sembrate scossi. Dov'è Julia? Vi siete chiarite, spero. Anche perchè ho una cosa da chiederle e non vorrei che fosse di cattivo umore..." il bel viso del giovane si tinge di un delicato rosso, mentre un timido sorriso innamorato gli curva gli angoli della bocca all'insù.
Confido in una risposta delicata, da parte di Elizabeth, una risposta matura, un tono di voce comprensivo e affettuoso, qualche consiglio su come...

"Julia non ti ama. Ha adottato un bambino di tre anni di nome Nathaniel per colmare la carenza d'affetto che tu non puoi soddisfare. Trova la tua richiesta di fidanzamento un intralcio nella sua vita, sapeva perfettamente del tuo innamoramento ma l'ha sempre ignorato. È subdola e tu meriti di meglio. Non perdere tempo con lei." detto questo -con un tono di voce che la fa assomigliare ad un robot- gli dà una pacca sul braccio e, con un piccolo cenno del capo, conclude. "Ti aspettiamo fra gli Intrepidi, dove puoi essere te stesso, oppure una persona diversa."
Daniel, inizialmente, non sembra essere capace di articolare una frase di senso compiuto. O di respirare. L'espressione catatonica, lo sguardo sul pavimento, la posizione ingobbita e abbandonata alla disperazione.
"Adesso fa male, lo so. Ma so anche che sei forte. So che lo sei. So che non sei un Erudito. Daniel, io so chi sei. E so che il tuo posto è accanto a me e ad Eric. Troveremo un modo, mi farò arrestare, se necessario. Farò di tutto, qualsiasi cosa, pur averti di nuovo con me, e non perderti mai più. Ti aiuterò, hai un potenziale che non può essere sprecato in un posto come questo."

Daniel alza lo sguardo e, quando lo fa, una determinazione che prima non c'era gli illumina gli occhi, rendendoli ancora più grandi e quasi minacciosi. La sua postura si raddrizza e la sua mascella si serra in un'espressione dura e seria. Fissa lo sguardo su Elizabeth, che è più bassa di lui di almeno trenta centimetri, per poi stringerla in un forte abbraccio che temo possa spezzarle le ossa.
"L'ho sempre saputo, io, che un giorno mi avresti stravolto la vita." farfuglia, la voce soffocata dal tessuto della felpa della ragazza.
Quando la lascia andare, si avventa contro di me, abbracciandomi e dandomi pacche sulla schiena come se fossimo amici da tempo. All'inizio sono confuso e non ho idea di come reagire, poi incrocio lo sguardo di Elizabeth, e ricambio la stretta con altre pacche sulle spalle.
"Quindi sei il mio Capofazione, ora?" mormora divertito.
"Farò di tutto per esserlo." la gentilezza nella mia voce mi sorprende a tal punto da lanciare uno sguardo interrogativo ad Elizabeth, come a chiederle 'Lo sto facendo bene?'. Lei annuisce, e si mette un mio braccio intorno alle spalle non appena Daniel mi libera dal suo forte abbraccio.
"Sei fortunato, lo sai, Eric Coulter?" chiede l'Erudito, indicando Elizabeth con un cenno del capo.

La ragazza ride timidamente, e fa spallucce quando io abbasso lo sguardo su di lei. I suoi grandi occhi si assottigliano, quasi nascondendo le iridi di quel particolare colore dorato, quando un sorriso soddisfatto le illumina il viso.
Una strana sensazione si irradia dalle mie dita fino poi a tutto il palmo, e incuriosito mi guardo la mano. Elizabeth intreccia le mie dita con le sue, stringendole come se ne dipendesse la sua vita. Chissà se è davvero così.
Abbasso lo sguardo sul pavimento, guardando con distrazione le crepe sulle mattonelle di marmo bianco del Quartier Generale, poi lo rialzo su Daniel, che ora mi guarda con un'espressione simile a quella che ha un padre quando vede suo figlio camminare per la prima volta. Forse, in un certo senso, tutto questo potrebbe essere considerato come un primo passo per aprirmi agli altri.
"Sì." rispondo sorridendo alla piccola ragazza al mio fianco. "Sono il ragazzo più fortunato della città."

 

Angolo dell'autrice:

Be', è da un po' che non scrivo qua!
Siamo arrivati al capitolo n.14, e Dio solo
sa quanto mi riempie di gioia vedere
che alle persone piace ciò che scrivo!
Se la storia vi piace, non esitate a lasciare
anche solo una breve recensione: sarebbe
davvero un piacere leggere cosa ne
pensate della storia ed eventuali dubbi
ai quali sarò felice di rispondere!

Tanti abbracci divergenti!

   
 
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