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Autore: Elena Ungini    08/05/2017    0 recensioni
L’agente speciale Steve Rowling lavora da due anni al Progetto A.I.R.E.S.S., con lo scopo di risolvere casi legati al mondo del paranormale. UFO, streghe, vampiri e affini sono all’ordine del giorno, per lui. Nel bel mezzo di un’indagine, si ritrova fra i piedi la giornalista Livienne Parrish, venticinquenne avvenente e disordinata. Nonostante l’odio atavico che Steve prova nei confronti dei giornalisti, è costretto a collaborare con lei, mentre gli intrighi, intorno a loro, si fanno sempre più fitti e pericolosi. Ma il pericolo più grande, per Steve, sono gli immensi occhi verdi di Livienne…
Genere: Avventura, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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UFO
 
Filadelfia, Martedì 16 maggio 2000
 
L'aria calda di maggio faceva pensare all'estate, ormai alle porte. Livienne uscì da casa decisa a trovare un buon articolo per il giornale e, pensando di chiedere aiuto a Steve, si diresse al distretto dell'FBI dove lui lavorava. Aveva già provato, senza alcun successo, a rintracciarlo in ufficio, a casa e sul cellulare, ma sembrava introvabile. Chissà a cosa stava lavorando, si chiese, mentre raggiungeva le scale che portavano al piano superiore. Le salì, percorse il corridoio, si fermò di fronte alla porta dell'ufficio di Steve e bussò. Nessuno rispose. Provò di nuovo e non ottenne risposta. Abbassò la maniglia, ma l'ufficio era chiuso a chiave. Evidentemente, Steve non c'era. Che stesse risolvendo qualche caso importante? Livienne decise di scoprire dov'era andato. Salì un altro piano di scale, percorse un nuovo corridoio e raggiunse la zona dove risiedeva la "sezione narcotici", andando dritta all'ufficio dell'agente Dennis Parrish. Quando varcò la soglia lo trovò seduto alla scrivania, che osservava pensosamente il video del computer.
“Ciao, Dennis”, lo salutò.
“Livienne! Che ci fai qui?”, chiese, sorpreso, alzando la testa e fissandola.
“Sono passata a salutarti. Lo trovi così strano?”
“A dire la verità, sì: è la prima volta in due anni che vieni a trovarmi sul posto di lavoro”.
“Veramente, ero venuta a cercare Steve Rowling”, ammise lei.
“Lo immaginavo. Livienne, dovresti stare alla larga da quel tipo: è piuttosto eccentrico e si occupa di cose molto strane e pericolose”.
“Non è poi così eccentrico e anch'io mi occupo di cose strane, ora. Per l'appunto: Been dice che se non troverò un articolo decente entro la fine del mese, incaricherà Cris di scrivere al posto mio. Per questo ero venuta da Steve: lui è sempre impegolato in qualche faccenda paranormale. Sai per caso a cosa sta lavorando adesso?”
“No, non ne ho idea”.
“Sai almeno dov'è andato?”
“Non so nemmeno questo. E, per quel che ne so, faresti bene a non cercarlo”.
“Andiamo, Dennis! Smettila per una volta di fare il fratello maggiore! Non ho bisogno della tua protezione! Ho bisogno del tuo aiuto. Devo sapere dov'è andato Steve”.
“Io sono tuo fratello maggiore!”
“E allora aiutami a trovarlo”.
Dennis sbuffò:
“È molto importante per te?”
“Sì”.
“Dimmi la verità, Livienne. Che c'è tra voi due?”, chiese, a bruciapelo.
“Solo una sorta di complicità operativa, credo. Niente di più. Anzi... lui non mi sopporta gran ché”.
Il fratello annuì, poi le disse:
“Ora vediamo”.
Digitò qualcosa sul computer e controllò le linee aeree.
“È partito stamattina in aereo, diretto ad Augusta, nel Maine”.
“Non mi sai dire di più?”
“Ci provo. Ma non ti garantisco niente”. Sì alzò dalla sedia e uscì dalla stanza:
“Aspettami qui”, disse, sulla porta. “E non toccare niente!”
Livienne gli lasciò voltare l'angolo, poi si sedette al computer e, con un paio di trucchi che aveva imparato da un amico, che le permisero di eludere le password, si inserì nell'archivio dati dell'FBI e digitò il nome di Steve Rowling. Apparve tutta la documentazione su di lui: c'era persino la targa della sua autovettura e, in parte a questa, c'era uno strano asterisco. Un altro asterisco era posizionato accanto al numero di cellulare di Steve. Livienne digitò il numero del cellulare sul computer. Lo schermo si fece buio, facendola preoccupare: non voleva che suo fratello si accorgesse che aveva utilizzato il suo computer. Ci volle qualche secondo, poi apparve una foto satellitare, rappresentante una cartina geografica del Maine, sulla quale campeggiava un piccolo bollino rosso, situato sul paese di Kingfield. Livienne sentì i passi di Dennis nel corridoio e si affrettò a cancellare ogni cosa. Dennis entrò nella stanza e le sorrise:
“Mi dispiace, Livienne. Non ne so nulla di più. Donald non vuole sbottonarsi”.
“D'accordo, non importa. Troverò altrove il mio articolo”.
“Stai attenta, Livienne. Non si scherza con questo genere di cose”.
“Sì, stai tranquillo. Ciao, fratellone. Stammi bene”.
Si affrettò a raggiungere la fermata dell'autobus, ne prese uno al volo e giunse al suo appartamento. Chiamò l'aeroporto e prenotò un volo per Augusta. Due ore dopo era a Kingfield, nel Maine.
Fortunatamente, la cittadina di Kingfield non era molto grande. Vi erano solo un albergo e una locanda, così, mentre ancora si trovava in taxi, Livienne telefonò alla locanda e trovò subito Steve: alloggiava alla "Little House", nella stanza numero 18. Lei prenotò la 19. Una volta arrivata a destinazione, scaricò il suo piccolo bagaglio e lo depose nella sua stanza, poi bussò alla porta accanto, augurandosi che l’agente non fosse uscito.
Steve era arrivato da poco, poiché la vettura che aveva noleggiato una volta sceso dall'aereo aveva avuto un guasto al motore e si era dovuto fermare lungo la strada, per farla riparare. Una volta giunto a Kingfield aveva telefonato a casa dei signori Questor, con i quali aveva fissato un appuntamento per quella sera, e si era occupato della valigia da disfare. Aspettando l'ora di cena era immerso nella lettura di un giornale locale, quando sentì bussare insistentemente. Aprì la porta, immaginando quasi di trovarsi di fronte la solita giornalista ficcanaso. Alzò gli occhi e sul suo volto si dipinse un'espressione alquanto sorpresa e contrariata insieme: Livienne era di fronte a lui e lo guardava, tranquilla, quasi come se lui l'avesse appena mandata a chiamare.
“Mi vuoi dire che cosa ci fai tu qui?”, urlò, spazientito e deciso a mettere le cose in chiaro una volta per tutte.
“Cerco notizie per il mio giornale, mi pare ovvio”.
“Ora basta, Livienne. Voglio sapere come hai fatto a trovarmi! Nessuno sapeva che ero qui! Nessuno! Neppure il mio capo lo sapeva! Che cosa fai? Mi spii, forse?”, urlò, ancora più adirato.
“Credo che il tuo capo lo sapesse perfettamente, invece”.
“Non è possibile. Ho ricevuto una telefonata, sul mio cellulare, e mi sono precipitato qui, senza parlarne con nessuno”, spiegò, furioso.
Lei fece segno a Steve di non parlare, portandosi un dito sulle labbra. Poi gli infilò una mano sotto la giacca. Lui la fissò, stupito.
“Che cosa stai…”. Ma lei non lo lasciò terminare: le sue labbra si posarono su quelle di lui e lo baciò, mentre con la mano strappava il telefonino dalla tasca interna della giacca di Steve e lo gettava sul letto. Subito dopo, gli tappò la bocca con una mano e lo trascinò fuori dalla stanza. Stupefatto per l'inatteso trattamento, Steve le chiese:
“Ma che ti prende?”
“Scusami: era l'unico modo per farti tacere. Ora stammi a sentire: ti sei mai chiesto come faccio a sapere ogni cosa su di te? Il tuo indirizzo, il tuo numero di cellulare eccetera?”
“Sì, molte volte. E ricordo di averti chiesto spesso spiegazioni in merito, ma tu riesci sempre a evitare di rispondermi!”, rispose, seccato.
“Beh, il fatto è che mio fratello lavora all'FBI, nello stesso luogo in cui lavori tu. Penso che tu lo conosca anche: è l'agente Dennis Parrish”.
“Sì, l'ho già incrociato un paio di volte, ma non sapevo che fosse tuo fratello. Lavora nella squadra narcotici, non è così?”
“Sì. Bene. Questa mattina ti ho cercato nel tuo ufficio, ma non ti ho trovato. Così ho pensato che fossi partito per qualche indagine e mi sono detta: non sia mai che Steve faccia qualche indagine senza di me! Mi sono recata da mio fratello e gli ho chiesto dove trovarti”.
“E lui sapeva dov'ero?”, chiese, incredulo, Steve.
“No. Ha controllato tutti i voli in partenza stamattina da Filadelfia e mi ha solo detto che eri partito per Augusta. Ma non sapeva dirmi niente di più. Evidentemente mi ha visto molto delusa, così se ne è andato via cinque minuti per chiedere informazioni al capo e, nel frattempo, ho controllato i dati che ti riguardano sul suo computer. Accanto al numero di targa della tua auto ho visto un asterisco, e ce n'era uno anche accanto al tuo numero di cellulare. L'ho digitato e ho scoperto dov'eri. È chiaro che ti stanno tenendo d'occhio, Steve. Dici di aver ricevuto una telefonata: il tuo cellulare è sotto controllo, e probabilmente anche la tua auto. Il tuo telefonino è sicuramente collegato a un satellite, e sanno in ogni momento dove ti trovi. Forse contiene addirittura una trasmittente! Per questo ho dovuto agire a quel modo: altrimenti avrei messo in pericolo te, me stessa e mio fratello. Scusa se ho usato un metodo quantomeno poco ortodosso, per tapparti la bocca, ma non potevo permettere che qualcuno scoprisse che avevo avuto quell'informazione dal computer di Dennis”.
“Sarà stato anche un metodo poco ortodosso, ma per niente spiacevole. Vorrei che le donne mi mettessero a tacere più spesso, in questo modo!”
“Non ci contare… è stato un caso fortuito che non si ripeterà tanto facilmente”, rise lei, arrossendo lievemente.
“Ora mi vuoi dire perché siamo qui?”, chiese. Steve ci pensò un istante. Poteva fidarsi di lei? In fin dei conti, a quanto pareva non poteva davvero fidarsi più di nessuno… ma Livienne era diversa. Per qualche motivo che ancora non riusciva a spiegarsi, si rendeva conto che di lei poteva fidarsi incondizionatamente.
“Siamo qui per indagare sulla sparizione di un ragazzo di diciotto anni, avvenuta in circostanze decisamente sospette. Vedi, il fatto è che, circa un mese fa, sono stati fatti in questa zona diversi avvistamenti di quelli che, a detta della popolazione locale, potevano definirsi oggetti volanti non identificati, ovvero UFO. Ovviamente venni qua a indagare, ma lo sceriffo di zona liquidò la questione affermando che coloro che avevano visto gli UFO erano chiaramente sbronzi e avevano scambiato le luci e i tuoni del temporale per dischi volanti. Riuscii comunque a racimolare molte testimonianze, che mi giuravano di avere visto un oggetto a forma di sigaro, con delle luci colorate, sospeso sopra il bosco, sul fianco della collina. Alcuni dicevano di aver sentito un ronzio e di aver notato che i cani e gli altri animali erano molto infastiditi e spaventati dalla cosa”.
“Gli animali si spaventano sempre durante i temporali”.
“Già. Ma l'altra sera non c'era traccia di temporale, eppure la gente ha visto ancora un oggetto volante identico al primo e, questa volta, un ragazzo che si trovava nel bosco, è scomparso. Le ricerche durano da due giorni e i genitori del ragazzo, disubbidendo all'ordine dello sceriffo di non far trapelare la cosa, mi hanno telefonato, per chiedere il mio intervento: sono convinti che la sparizione del ragazzo sia collegata allo strano velivolo e vogliono che sia io a indagare”.
“Perché lo sceriffo dovrebbe avere vietato loro di divulgare la cosa?”
“Quando venni qua, la volta scorsa, mi fece chiaramente capire di non volere cattiva pubblicità per il paese. In parole povere, fece di tutto per cacciarmi via il più alla svelta possibile. Ma, per fortuna, lasciai il mio numero di telefono a parecchie persone, prima di andarmene, e le pregai di avvertirmi, in caso di altre manifestazioni anomale”.
“Bene. Da che cosa cominciamo?”
“Per prima cosa, voglio sapere cosa ci faceva un ragazzo, di notte, da solo, nel bosco. Quindi ho già preso appuntamento con i suoi genitori. Li vedrò questa sera, dopo le nove: non vogliono far sapere allo sceriffo che mi hanno chiamato”.
“Vorrai dire "li vedremo", questa notte! Verrò anch'io, naturalmente”.
“Ora, voglio vederci chiaro in un'altra faccenda. Puoi scusarmi per un po'?”, chiese Steve.
“Certo”. Gli sorrise e, per un lungo istante, Steve non riuscì a staccare gli occhi da quelli verdi di lei.
“Che ti prende?”, lo interpellò la ragazza, divertita dalla sua espressione.
“Niente”, bofonchiò. Lievemente seccato, entrò nella sua stanza, chiedendosi perché le iridi chiare di Livienne avessero quasi il potere di ipnotizzarlo. Scosse la testa, deciso a non pensarci più, e smontò accuratamente il suo cellulare: vi trovò una ricetrasmittente satellitare, esattamente come aveva detto Livienne. Rimontò il tutto, senza toccare la trasmittente, poi lasciò il telefono nel cassetto del comodino e bussò alla porta di Livienne.
“Avanti”, rispose lei.
“Avevi ragione, Livi. Nel telefono c'era una ricetrasmittente. Sono sotto controllo da chissà quanto tempo e non l'avrei scoperto se non fosse stato per te”, fu costretto ad ammettere.
“Che hai intenzione di fare?”
“Tanto per cominciare, mi comprerò un cellulare nuovo”.
“Non puoi semplicemente togliere la cimice?”
“Meglio che la lasci stare: se tolgo la trasmittente ne metteranno un'altra, da un'altra parte. Ma se fingo di non averla ancora scoperta potrò prenderli in giro a mio piacimento, utilizzandola per dare loro informazioni sbagliate”.
“Ottima idea”.
“Ti va di accompagnarmi in giro per negozi?”, chiese lui.
“Certo!”
L’entusiasmo di Livienne lo contagiò e si ritrovò a sorridere, nonostante avesse appena scoperto di essere sotto controllo da parte dei suoi superiori.
Steve acquistò un nuovo cellulare e Livienne una nuova borsetta, poi tornarono alla locanda, giusto in tempo per la cena. Verso le ventuno e trenta raggiunsero a piedi la casa dei Questor, situata accanto a un bosco di conifere, sul fianco di una collina, in una zona isolata fuori paese. Suonarono il campanello e una donna sulla cinquantina, dal volto scarno e triste, venne ad aprire.
“La signora Questor?”, chiese Steve.
“Sono io”.
“Sono Steve Rowling, agente speciale dell'FBI. Sono qui per indagare sulla scomparsa di suo figlio Archie”.
“Entrate”, disse la donna, guardando incuriosita la ragazza, che non si era qualificata. Probabilmente pensò che si trattasse di una collega di Steve, perché non fece domande a riguardo.
“Come ha avuto il mio numero?”, chiese subito Steve, quando si furono accomodati sulle poltrone di pelle, in salotto.
“Me l'ha dato Allison Ride, la mia vicina di casa. Ha detto che lei forse mi può aiutare. Lei crede all'esistenza degli UFO, non è vero?”
“Di quale UFO sta parlando, signora?”, chiese Steve, senza scomporsi.
“Ma Allison mi aveva detto che lei…”, iniziò a protestare la donna.
“Le aveva detto che avrei creduto a qualunque cosa, signora Questor? È questo che lei vuole che io faccia? Non credo. Vede: io ho parlato un mese fa con Allison, quando avvenne quell'avvistamento. Ora le dirò esattamente quello che ho detto alla signora Ride in quell'occasione: la parola UFO significa "oggetto volante non identificato". Ed è precisamente quello che voi tutti avete visto: un oggetto in volo non ancora classificato, qualcosa di cui non conosciamo la natura e la provenienza. Questo non esclude la possibilità che si tratti di un oggetto veramente extraterrestre, ma non esclude neppure che si sia trattato di un pallone sonda o un nuovo aereo di tipo sperimentale. Potrebbe essere anche stato solo un effetto ottico collettivo, per quel che ne so. Io sono qui per cercare di scoprire che cosa è successo ad Archie, a prescindere da quell'oggetto volante. Ora mi dica come sono andate le cose, per favore”.
La donna, un po' intimorita, iniziò a raccontare:
“Due sere fa Archie era uscito per fare una passeggiata nel bosco. Lo faceva spesso e non era mai accaduto nulla di male. Era una bella serata e non ci preoccupammo quando non lo vedemmo rientrare tanto presto: pensammo che fosse sceso al paese, a bere qualcosa al bar, così mio marito e io ce ne andammo a letto. Però, verso mezzanotte sentii il cane abbaiare forte. Pensai che Archie stesse tornando, ma poi vidi una strana luce entrare dalla finestra. Mi alzai, rendendomi conto che era troppo rossastra per poter essere la luce della Luna, e guardai fuori: rividi l'oggetto della volta scorsa, a forma di sigaro, con delle luci rosse e arancio accese sotto. Era fermo sopra il bosco. Lentamente, iniziò a scendere fino a scomparire dietro la cortina degli alberi. Fu a quel punto che svegliai mio marito: dal bosco si alzava ancora un bagliore anomalo e, pochi minuti dopo, l'oggetto si levò in volo, salendo perpendicolarmente e schizzando via verso il cielo, a una velocità incredibile. Mi creda, signor Rowling: quello non era un aereo. Non ho mai visto niente spostarsi così velocemente! Fu allora che mi resi conto che Archie non era ancora tornato e cominciai a preoccuparmi. Anche mio marito aveva visto tutto ed era preoccupato, così chiamammo lo sceriffo, che ci disse di stare calmi. Si recò lui stesso nelle locande e nei bar del paese alla ricerca di Archie ma quando venne qui da noi, verso le tre del mattino, ci disse che non l'aveva trovato. Da allora non l'abbiamo più visto”.
“Quindi non è stato in paese?”, chiese Steve.
“No. Perlomeno, nessuno lo ha visto. Io credo che lo abbiano preso loro! Me lo sento! So che spesso gli alieni rapiscono della gente per i loro esperimenti… non è così?”, chiese, esasperata.
“Non possiamo ancora dire nulla di certo, signora Questor. Ma le prometto che indagherò, e saranno prese in considerazione tutte le piste. Compresa questa”, la rassicurò Steve.
“Intanto mi dica, per favore, Steve aveva degli amici? Una fidanzata, magari?”
La donna parve titubare.
“Aveva degli amici al paese, ma loro non l'hanno visto. Non sanno nulla di quello che gli è successo. Può darsi che avesse anche una ragazza ma… sa com'è: certe cose non si vanno certo a raccontare alla propria madre…”.
“Capisco. Non le viene in mente nient'altro che possa essere utile ai fini delle ricerche?”, chiese Livienne, intervenendo per la prima volta nel discorso.
“No. Purtroppo no”.
Steve si rivolse al marito della donna, che fino a quel momento era rimasto seduto accanto a loro, seguendo l'interrogatorio in silenzio:
“Lei ha qualcosa da aggiungere?”
“No. Posso solo dire che concordo con quello che mia moglie vi ha riferito: quell'oggetto non era un aereo. Era un'astronave, ne sono certo! Così come sono certo che ha rapito mio figlio!”
“Ha una foto recente del ragazzo?”, chiese Steve.
La donna si alzò e prese dallo scrittoio un volantino, che evidentemente i coniugi avevano fatto stampare e distribuire nei paesi attigui: vi era impressa la foto di Archie e anche alcuni suoi dati personali.
“La ringrazio. Ora devo farle un'altra domanda. È una formalità: come le ho detto, devo seguire tutte le piste. Le risulta che suo figlio avesse qualche nemico?”
“No. Credo proprio di no”.
“I rapporti con voi, com'erano? Avevate forse avuto delle liti, recentemente? Qualcosa che poteva spingere il ragazzo ad andarsene di casa?”
“No. Archie è sempre stato un gran bravo ragazzo, ubbidiente e coscienzioso. Ci vuole molto bene. Non avrebbe avuto nessun motivo per scappare di casa”.
“Neppure una scappatella sentimentale?”, chiese Steve.
Di nuovo la donna parve pensarci su, prima di rispondere.
“Come le ho già detto, non sono al corrente di questo. Ma se scoprirò qualcosa, ve lo farò sapere”.
“D'accordo, penso che questo per ora possa bastare. Se vi dovesse venire in mente qualcos'altro, questo è il mio nuovo numero di cellulare. Non chiamatemi assolutamente al numero che vi ha dato la Ride! E non date il nuovo numero a nessuno, in particolar modo non datelo allo sceriffo Cardigan”.
I due coniugi parvero un po' confusi, ma annuirono, prendendo il foglietto di carta che Steve porgeva loro. La mattina seguente, di buon'ora, Steve bussò alla stanza di Livi, che stava ancora dormendo.
“Sveglia dormigliona! Chi dorme non piglia né pesci, né UFO!”
“A quest'ora gli UFO dormono”, bofonchiò lei, alzandosi.
“Sono pronta tra dieci minuti”, aggiunse.
Effettivamente, dieci minuti dopo raggiunse Steve al bar della locanda, dove la stava aspettando. Aveva preso con sé la macchina fotografica e il registratore.
“Sei puntuale”, constatò lui, sorridendole.
“Certo. Che ti aspettavi?”
Indossava dei jeans attillati e una maglietta a maniche corte, stretta e un po’ scollata, che metteva in evidenza il seno prosperoso. Era carina, pensò Steve.
“Vieni. Dobbiamo fare presto, prima che lo sceriffo ci impedisca di lavorare”.
“Non facciamo colazione?”, chiese, contrariata.
“Più tardi. Ora dobbiamo andare”.
“Ma io ho fame!”, protestò. Non le diede retta e si alzò dalla sedia dov’era seduto. Lei lo precedette all’uscita e Steve non poté fare a meno di notare le curve sensuali del suo posteriore, strizzato dentro i jeans. Si obbligò a distogliere lo sguardo da quella vista e l’affiancò, per non essere tentato di guardarla di nuovo. L'accompagnò fino alla macchina che aveva noleggiato e che era parcheggiata dietro la locanda.
“Sali”, le ordinò.
“Posso almeno sapere dove stiamo andando?”
“Andiamo nel bosco. La signora Questor ha detto che questa volta l’UFO è sceso. Se così è, si dovrebbero vedere dei segni del suo passaggio”.
Dopo pochi minuti di strada, Steve parcheggiò la macchina e s'inoltrarono a piedi nel bosco, seguendo un sentiero. Camminavano da circa mezz'ora quando giunsero a una radura.
“Guarda qui!”, esclamò Steve, mostrando a Livienne un’enorme chiazza di erba bruciacchiata, dalla strana forma allungata. Anche le cime degli alberi erano bruciacchiate.
“Prendiamo dei campioni”, la esortò.
Tolse dalla sua ventiquattrore il kit per raccogliere le prove e ne estrasse dei guanti di gomma e dei sacchettini di plastica, dove inserì campioni di terra ed erba bruciata. Livienne, intanto, fece alcune foto agli alberi e alla chiazza affusolata sul terreno.
“Credi che si tratti veramente di un'astronave, Steve?”, chiese lei.
“Non lo so. Siamo qui per scoprirlo. A ogni modo, se qui c'è stato un oggetto volante, qualunque cosa fosse, alla base militare di Loring, situata vicino a Limestone, dovrebbero averlo rilevato sui radar”.
“Andiamo a fare alcune domande alla base?”, chiese lei.
“Possiamo provare, ma dubito che ci diranno cosa è accaduto veramente”.
Raggiunsero la base ed ebbero subito dei problemi per entrare. Alla fine, solo Steve ebbe il permesso di vedere uno degli incaricati a ricevere "il pubblico".
Quando uscì, dall'espressione dipinta sul suo volto Livienne capì subito che le cose non erano andate per il meglio.
“Mi hanno detto che si è trattato di un pallone sonda, che nello scendere al suolo si è incendiato e ha procurato le bruciature nel bosco”.
“Una bella storiella, non c'è che dire!”
“Che ti aspettavi? Che ci dicessero che si è trattato di un UFO?”, chiese amaramente Steve.
“Non ci resta che giocare la carta Apple!”, annunciò lei.
“Apple? Che significa?”
“È il nome in codice di un mio amico d'infanzia, un certo Dan, al secolo uno dei più terribili hacker che abbiano mai solcato i mari di Internet. È da lui che ho imparato a eludere le password. Ma qui ci vuole un professionista”. Livienne estrasse dalla borsetta un cellulare usa e getta e compose un numero. Pochi secondi dopo, Apple rispose.
“Ciao, Apple! Sono Livienne. Avrei bisogno di un favore, se non ti è di troppo disturbo”.
“Dimmi pure, bambola. Che devo fare? Prosciugare il conto di qualche riccone per rifornire la tua carta di credito?”, scherzò lui.
“Niente di tutto questo: dovresti introdurti nel computer della base militare di Loring, nel Maine, e vedere se ti riesce di scoprire qualcosa su un certo avvistamento sospetto avvenuto la sera del 13 maggio 2000, proprio qui vicino. Potresti farlo?”
“È un gioco da ragazzi! Dovrai solo avere un po' di pazienza”.
“Tutto il tempo che vuoi, Apple”.
Livienne tolse la comunicazione e collegò il suo computer portatile a Internet, attendendo. Circa mezz'ora dopo, sul video comparve un file che mostrava chiaramente un avvistamento del genere "non identificato", nel cielo di Kingfield, la sera del 13 maggio 2000.
Livienne scaricò il file su un dischetto, poi lo cancellò dal computer.
“Certo che hai degli strani amici d'infanzia!”, esclamò Steve, fissando il dischetto, entusiasta. Era stupito. Lei gli sorrise, divertita, e Steve sentì qualcosa in fondo allo stomaco, una sensazione che non provava da tanto, troppo tempo.
Nel pomeriggio, Steve e Livienne interrogarono alcuni amici di Archie, che però non avevano la più pallida idea di cosa fosse accaduto al loro compagno. Alcuni di loro avevano visto l'UFO scendere nel bosco e lo descrissero esattamente come aveva fatto la madre di Archie.
Verso sera Steve e Livienne tornarono alla locanda, esausti e delusi: non avevano ancora scoperto alcuna traccia che potesse aiutare a ritrovare il ragazzo. Dopo essersi fatto una doccia ed essersi rasato, Steve si sedette al tavolo da pranzo, attendendo Livienne. All'ora di cena, la ragazza lo raggiunse.
“Allora, a che punto siamo con le indagini?”, chiese lei.
“A un punto morto. Ho spedito i campioni al laboratorio di analisi, ma dovremo attendere almeno due giorni prima di avere i risultati, anche se non credo che cambieranno le cose: se veramente quel ragazzo è stato rapito dagli alieni ci servirà a poco sapere che cosa contengono i campioni che abbiamo raccolto”.
“Ho portato le foto a sviluppare. Saranno pronte domani sera”.
“Sai, c'è una cosa che non mi convince in questa storia: ieri sera, quando abbiamo parlato con la madre di Archie di una probabile fidanzata, mi è sembrata molto vaga sull'argomento, come se stesse nascondendo qualcosa”.
“Anch'io ho avuto la stessa impressione”.
“Eppure, oggi, quando ho rifatto la stessa domanda agli amici di Archie, mi hanno assicurato che lui non ha nessuna fidanzata, e mi sono sembrati sinceri”.
“Già”.
“Forse mi sto solo preoccupando per delle sciocchezze: l'importante ora è scegliere le prossime mosse. Prima o poi dovremo affrontare lo sceriffo e chiedergli che cosa ne sa di tutta la storia”.
Detto questo, Steve si mise a piluccare quello che aveva nel piatto. Non aveva per niente fame. Livienne, invece, spazzolò tutto quello che aveva davanti a una velocità impressionante.
“Vuoi anche il mio?”, le chiese, divertito.
“No, ho mangiato abbastanza... credo”. Steve rise.
“Perché ridi?”
“Ti ho visto divorare tutto quanto nel giro di cinque minuti. Sembravi morta di fame”.
“Ho problemi di ipoglicemia, anche se non gravi. Se non mangio qualcosa mi sento male”.
D'improvviso, la radio che trasmetteva musica nella sala da pranzo della locanda prese a fischiare stranamente, saltando da una stazione all'altra. Subito dopo mancò la corrente elettrica e la stanza piombò nella semioscurità.
“Credo che ci siamo”, annunciò Steve, alzandosi dal tavolo.
Alcune persone nella via si misero a gridare:
“Guardate! Là, nel bosco!”
Steve e Livienne si precipitarono fuori dal ristorante: sopra il bosco, un enorme oggetto metallico, dal colore brunito e a forma di sigaro, si teneva in equilibrio a parecchie decine di metri dal suolo, perfettamente immobile. Livienne corse a prendere la macchina fotografica e il registratore, raggiungendo Steve che l’aspettava alla macchina. La ragazza scattò parecchie foto, poi salì sulla vettura e, insieme, si diressero verso il bosco. Nel frattempo, l'oggetto si era posato fra gli alberi, probabilmente nella stessa radura della volta precedente. Quasi a metà strada, la macchina si bloccò improvvisamente. Steve e Livienne uscirono di corsa, abbandonando la macchina e correndo verso il bosco a piedi ma, prima ancora che raggiungessero i primi alberi, l'oggetto si rialzò in volo, dissolvendosi nel cielo in pochissimi secondi. Anche stavolta Livienne riuscì a scattare alcune foto.
“Ce l'ho fatta, Steve! Sono riuscita a fotografarlo parecchie volte! E ho anche registrato lo strano ronzio che produceva!”
“Fantastico! Ora abbiamo le prove, Livienne!”, esclamò Steve.
Proprio in quel momento, la macchina dello sceriffo si fermò accanto a loro.
“Che diavolo ci fa lei qui?”, chiese, rivolto a Steve, evidentemente riconoscendolo.
“Vengo a caccia di UFO. E non mi dica che quello di prima era un temporale!”
“Andatevene via!”, intimò lo sceriffo.
“No, mi dispiace. Voglio vedere cosa è successo in quella radura”.
Lo sceriffo sbuffò.
“Non se ne parla nemmeno. Ora vi riporto al vostro hotel e poi ve ne andate con il primo aereo”.
“Vuole che faccia venire tutto il dipartimento dell'FBI?”, insinuò Steve, poco accomodante. Questa volta, lo sceriffo dovette cedere. Torce alla mano, i tre raggiunsero la radura, dove lo strano oggetto volante si era posato per la seconda volta. Il buio era opprimente e un filo di bruma aleggiava fra i tronchi degli alberi, rendendo umida l’aria della notte. Steve procedeva per primo, seguito da Livienne, Per ultimo veniva lo sceriffo, brontolando e sbuffando in continuazione.
“Silenzio!”, gli intimò Steve, illuminando qualcosa che si muoveva, nel folto della vegetazione. Una strana sagoma si agitava per terra, mugugnando. Per un lungo istante, Steve si ritrovò a sperare che si trattasse di un alieno. Sarebbe stata la scoperta del secolo, la prova che cercava da tempo.
“Livienne, resta qui”, le sussurrò.
“Scordatelo”, fu la sua risposta, secca e risoluta, mentre percorrevano gli ultimi metri. Si avvicinarono cautamente, illuminando con la luce delle torce la figura distesa. Era umana.
“È Archie!”, esclamò lo sceriffo, incredulo.
Il ragazzo era disteso per terra, chiaramente in stato di shock. Steve lo soccorse. Notò che aveva alcuni strani segni rossi sulle braccia e sulle gambe.
“Chiamo un'ambulanza”, annunciò lo sceriffo.
In breve, il giovane fu portato in ospedale. I dottori fecero subito allontanare Steve, Livienne e anche lo sceriffo:
“Tornate domattina. Ora non può rispondere alle vostre domande”, ordinò il primario, facendoli uscire dal reparto.
Livienne e Steve tornarono a prendere la macchina, che non ebbe problemi a ripartire. Una volta giunti alla locanda cercarono di dormire, senza riuscirci, troppo scossi dagli eventi di quella notte. La mattina seguente si recarono all'ospedale, dove, per prima cosa, appresero dalla signora Questor che suo figlio stava meglio. Ora era possibile interrogarlo.
Entrarono nella stanza e videro il ragazzo disteso sul letto. Nei suoi occhi c'era ancora il terrore che vi avevano già letto la sera prima.
“Allora Archie, ti va di parlare di quello che è successo?”, cominciò cautamente Steve.
“Non ricordo quasi nulla”, rispose lui.
“Prova a dirci il poco che ricordi”, lo incoraggiò Steve.
“Ero nel bosco. Stavo passeggiando, quando ho sentito un ronzio. Ho visto delle strane luci e quella “cosa” è scesa poco lontano da me. Volevo andare via, ma non riuscivo a muovermi. Non so se fossi terrorizzato o se fossero loro, gli alieni, a trattenermi, in qualche modo strano. Alla fine ho sentito le palpebre farsi pesanti e mi è sembrato di volare. Mi muovevo, ma ero sospeso in aria. Poi non ricordo più nulla. So solo che quando mi sono svegliato ho visto voi”.
“Ascolta, Charlie. Noi tutti vogliamo stabilire che cosa realmente è successo. Penso che anche tu lo voglia. Per questo volevo proporti una cosa: c'è un metodo che si chiama "ipnosi regressiva", che può aiutarti a ricordare, o perlomeno fare affiorare sotto ipnosi, appunto, tutto quello che è accaduto. Quando starai un po' meglio, se te la sentirai, potrai sottoporti a quest'esame e così scopriremo la verità”.
“Sì. Voglio farlo”, rispose, risoluto.
“D'accordo, allora. Ci rivedremo non appena ti sentirai meglio. Ora non ti voglio disturbare più: fammi sapere se ti ricordi qualcos'altro”.
“Va bene”.
Steve si fermò nel corridoio a parlare con il primario dell'ospedale:
“Voglio vedere i risultati delle sue analisi: sono un medico”.
“Venga. Glieli mostro”.
“Posso averne una copia?”, chiese Steve dopo averli controllati.
“Trovato qualcosa?”, chiese Livienne, che lo attendeva fuori.
“Penso di sì: vedi qui? C'è una diminuzione dei linfociti e un eccesso di glucosio nel sangue. Sono tutti effetti che possono essere dati dalla prolungata assenza di gravità. Spesso gli astronauti hanno le stesse alterazioni, dopo un viaggio nella spazio. Credo che abbiamo raccolto prove sufficienti. Non appena saranno pronte le fotografie che hai portato a far sviluppare potremo tornarcene a Filadelfia e aprire un caso vero e proprio, così avremo maggior libertà d'azione”.
“D'accordo”.
Ma una volta giunti alla locanda una brutta sorpresa li attendeva: le loro stanze erano state completamente ribaltate: il registratore e la macchina fotografica di Livienne, con tutte le foto che lei aveva scattato all'UFO, erano scomparsi, e così anche i loro soldi spicci. Inoltre, era sparito anche il dischetto con la registrazione fatta alla base di Loring. Ai due non rimase altro da fare che rodersi il fegato e sporgere denuncia contro ignoti.
Quando uscirono dall'ufficio del vice-sceriffo, che aveva raccolto le loro denunce, videro che gli alberi del bosco con la punta bruciacchiata, quelli intorno alla radura dove era sceso l'UFO, erano stati tagliati. Si precipitarono sul posto, dove lo sceriffo stava presiedendo i lavori.
“Che state facendo? Chi vi ha dato l'autorizzazione a tagliare questi alberi?”, chiese Steve, già abbastanza adirato per le prove andate perse e ora letteralmente furioso.
“L'ordine di tagliare questi alberi lo avevamo già da tempo: dovevamo farlo ancora due mesi fa. Quelle bruciature che ha visto, in realtà sono state provocate da un fulmine caduto parecchio tempo fa e da allora avevamo deciso di tagliare questi abeti e castagni e piantarne dei nuovi”.
Steve raccolse alcune foglie degli alberi, che avevano un colore piuttosto giallastro, nonostante le piante fossero appena state tagliate. Le mise in una busta di plastica e disse a Livienne:
“È  inutile restare ancora qui. Torniamocene a Filadelfia”.
Con la speranza che con l'ipnosi regressiva del ragazzo venisse finalmente a galla la realtà su quella faccenda, Steve e Livienne tornarono a casa. Il pomeriggio seguente Steve telefonò alla ragazza, per informarla dei risultati delle analisi svolte sui campioni da loro raccolti:
“Le foglie raccolte sul posto contengono il cinquanta per cento in meno della normale clorofilla”.
“Che significa?”
“Non ne ho idea, ma so per certo che è già successo in casi analoghi. Casi di presunte astronavi aliene scese a terra. Inoltre, non è certo un dato che si riscontra facilmente. Per quanto riguarda il terreno, è risultato leggermente più radioattivo del dovuto, ma non c'è altro”.
“Beh, con tutti questi dati non potranno certo rifiutarsi di farti eseguire un'indagine più approfondita”.
“Ti sbagli. Stamattina Donald è venuto da me e mi ha ordinato di tenermi alla larga da questo caso. Dice che gli sono state fatte pressioni dall'alto. E c'è di più: nonostante la promessa fattaci a Kingfield, Archie ha deciso di non sottoporsi all'ipnosi regressiva. La nostra indagine finisce qui, Livi”.
“Steve, cosa abbiamo scoperto?”, chiese lei, rendendosi conto della gravità della situazione.
“Non lo so, ma è qualcosa di molto, molto grosso!”
La mattina dopo, il fascicolo mensile del City Magazine riportava tutto l'accaduto, compreso il furto della macchina fotografica e delle prove. L'articolo concludeva in questo modo:
“È chiaro che forze superiori, terrestri o extraterrestri che siano, vogliano tenerci all'oscuro di questa nuova, tremenda verità e, per fare questo, non esitano a sottrarre prove, ingannare e forse, persino uccidere. Ma qual è, realmente, questa verità? Ci è stato impedito di scoprirlo”.
Il rapporto che Steve consegnò al suo capo giungeva più o meno alle medesime conclusioni:
“Anche se sono fermamente convinto di aver avuto a che fare con un rapimento da parte di forze extraterrestri, non posso esibire alcun fatto concreto, a sostegno della mia tesi. Vista la reticenza del giovane a sottoporsi a ipnosi regressiva, le uniche prove rimaste in mio possesso sono il campione di terra che ho prelevato nel bosco e che, analizzato, ha mostrato di possedere un valore di radioattività leggermente superiore alla norma, le foglie prelevate dagli alberi, che contengono il cinquanta per cento in meno della clorofilla dovuta, e le analisi del giovane, nonché le foto scattate alla radura e agli alberi bruciacchiati. Ritenendo però queste prove ancora insufficienti ad accertare una qualunque forma di vita di origine aliena e un presunto rapimento da parte di essa, sono costretto ad archiviare il caso 2407, definendolo irrisolto”.
   
 
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