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Autore: AlenGarou    08/05/2017    0 recensioni
Pennington Mansion era buia e derelitta; una costruzione ormai morta da tempo, soffocata dal sangue e dalle ceneri del suo stesso passato. Del suo florido corpo non rimaneva altro che un labirinto di corridoi silenziosi e decadenti, marciti dal tempo e dall’usura. Ogni tanto la dimora gemeva, emanando qualche tetro scricchiolio; assestava le sue stanche e logore membra ricercando un riposo a lei proibito. Nonostante la misera fine che l’aveva soggiogata, all’interno delle sue ossa rimbombavano ancora i loro mormorii; flebili, infidi… supplichevoli. Malgrado i numerosi ospiti che ancora ricevevano, nessuno era stato in grado di dar loro una risposta, di dar loro una voce. Esseri senza guscio e senza alcun potere, venivano semplicemente ignorati.
Anno dopo anno, la loro agonia continuava inesorabile. Quell’incubo perdurava, mascherato da innocente gioco di un’infanzia a loro rubata. Fino a quel giorno. Fino alla notte di Samhain.
Fino a che lei non arrivò.
La casa si ridestò dal suo sogno; loro si risvegliarono e il male, che assopito aveva pazientemente atteso nel cuore oscuro di quella dimora, ritornò alla vita.
Eppure lei non gli diede alcun credito. Perché mai avrebbe dovuto temere quel male?
Genere: Dark, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Bonus: la prima volta che la vidi

 

 

 

 

 

 

 

 

La vita è composta da attimi, questo è assodato. Malgrado ciò, nel corso della sua breve ma alquanto rocambolesca vita, uno in particolare l’aveva sempre incuriosito, sebbene non l’avesse mai provato in prima persona. L’incontro con l’anima gemella. Ebbene sì, lo trovava persino divertente; da scompisciarsi dalle risate, soprattutto nel sentire le storie di chi ne aveva incontrate un bel po’ di “anime gemelle”, al punto da poter gestire un cimitero di buon senso. Per non parlare delle diverse vedute. Un ragazzo l’avrebbe definito come “un caso”, “un incidente di percorso” o “qualche birra di troppo”, mentre le donzelle avevano una visione prettamente cinematografica di tale evento. Espressioni come “magico”, “emozionante”, “ineguagliabile” erano solo un misero contorno di ciò che in realtà accadeva nelle loro menti. Tempo che rallenta? Presente. Sviolinata fuori campo? A discrezione della persona. Pioggia battente che non riesce a raffreddare i lombi roventi? Per chi si aspetta del gran sesso dopo il cambio scena ci può stare. Drammi a palate dopo il primo scambio di sguardi? Una necessità morale, dato che non esisterebbe la storia altrimenti!

Eppure, a dispetto dell’opinione comune che lo inquadrava come un collezionista di mutandine realizzate col filo interdentale, Ren non rientrava in nessuna delle due categorie, malgrado gli piacesse pensare di avere ancora una sfumatura rosa e romantica nel suo cuore rinsecchito. Almeno, era questo ciò che pensava. Poi aveva avuto la geniale idea di “cogliere l’attimo” e tutto era cambiato. No, il suo incontro con l’anima gemella non aveva avuto nulla di magico e di certo non era stato un caso, dato che se l’era andata a cercare. Eppure sapeva benissimo come definirlo. E tale definizione si trovava su tutti i manuali di diritto penale sotto la dicitura: “tentato omicidio”. Il suo, per l’esattezza.

Ma come ogni storia d’amor e d’odio, vendetta e desiderio, che si rispetti, era giusto andar con ordine e ricordarsi in seguito di cancellare la cronologia del browser, oltre che lavarsi le mani.

La scuola era appena ricominciata, incombendo su di lui come una noiosa seccatura di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Ragion per cui, come ogni anno, si era limitato a non farsi vedere, conscio del fatto che sia lui, sia i professori, la pensavano allo stesso modo: “Quel ragazzo è senza speranza”. Lui ci pisciava sopra alle loro aspettative. Aveva ben altro da fare invece di perdere tempo a frequentare lezioni noiose che non gli sarebbero servite a nulla, benché meno a istruirlo. Quei poveri idioti non potevano far altro che spiegargli nozioni di cui era già a conoscenza. Ma quell’anno sarebbe stato diverso, perché c’era una novità dell’aria. Si trovava nel vecchio parco da skate quando ne ebbe la conferma. Disteso sopra a una delle pedane più alte, con una sigaretta rollata tra le labbra e una lattina di birra scadente posata accanto a lui, se ne stava bellamente a pensare ai fatti propri quando delle risate sguainate catturarono la sua attenzione. Alcuni dei suoi tirapiedi erano ritornati dalle lezioni, spettegolando a proposito di una ragazzina da poco arrivata in città e iscritta al primo anno. Un mostro, da come la rappresentavano. Un appellativo strano per loro, da sempre impegnati a selezionare le ragazze più facili e carine dei vari corsi, sebbene alla fine si accontentassero della prima che ricambiava le loro moine. Inizialmente seccato da quei pettegolezzi, si ritrovò infine ad ascoltarli per l’intero pomeriggio, assorto come un bambino davanti ai programmi rating R. E quello fu solo l’inizio. Man mano che i giorni trascorrevano, le loro storie incominciarono a stuzzicare sempre più la sua curiosità, fino ad assumere la forma di una fastidiosa pulce nell’orecchio. E così, dopo due settimane di gossip, Ren aveva creato nella sua mente una precisa immagine dell’oggetto del suo interesse; non gli rimaneva altro da fare che scoprire con i propri occhi quanto si fosse avvicinato alla realtà.

Ritornare a scuola rappresentò solo l’inizio della fine. La sua entrata in scena creò come al solito il giusto scalpore. Le ragazzine del primo anno lo fissarono a bocca aperta e con gli occhi sognanti, perse in chissà quali universi rosa. Non si poté dire lo stesso delle loro compagne più grandi. Gli rivolsero i soliti sguardi schifati, nonostante fosse ben consapevole di quanto desiderassero delle ripetizioni di anatomia “pratica” dopo le lezioni. Per quanto riguardava i maschioni alfa tutti steroidi e crema per i brufoli che setacciavano i corridoi come predatori, non gli sarebbe dispiaciuto rimarcare il proprio territorio, ma aveva una missione da compiere e non doveva distrarsi. Incominciò dunque la sua ricerca attraverso le aule, i corridoi, la mensa… E non ne cavò un ragno dal buco.

Della misteriosa ragazza non c’era traccia.

Certo, il karma si stava divertendo alle sue spalle e comunque non sapeva quali lezioni frequentasse. Eppure, essendo un pluriripetente decorato, doveva pur avere un corso con lei essendo bloccato allo stesso livello. Alla fine del primo giorno si ritrovò a essere un fascio di nervi e nemmeno quello seguente ebbe fortuna, finché…

Lui e la presidenza avevano da sempre avuto un rapporto difficile. Tutti questi tira e molla, tutte queste strusciatine, eppure nessuno dei due era pronto per una storia seria. Per fortuna c’era Doris a fare da intermediario. La piccola e corpulenta donna ispanica non si stupì nel vederlo entrare nell’ufficio con il suo solito sguardo da cane rabbioso e si limitò a rivolgergli un pigro sorriso. «Passata una bella estate, Rennis?»

«Nah, purtroppo le mie giornate sono noiose e tetre se non posso ammirare il tuo splendido viso, mi amor.»

Come previsto, la segretaria emise una risata civettuola. «Oh, se le lusinghe potessero portarti in alto saresti già un dirigente, piccolo diavoletto. Il semestre è appena incominciato e, non solo inizi già con le assenze, ma ti becchi persino una punizione. E per cosa? Per aver incominciato una rissa con quei gradassi della squadra di rugby?» Lo sguardo che la donna gli lanciò era simile a quello di una madre delusa e inviperita allo stesso tempo. Non che lo sapesse per esperienza…

«Qualcuno deve pur insegnarli a placcare come si deve» sentenziò lui con un’alzata di spalle, infilando le mani nelle tasche dei jeans e dondolandosi sui talloni. «Allora, cos’hai oggi per me dolcezza?»

«Buone notizie. Dovrai solo fare l’inventario del laboratorio di Chimica, ma…» Stava già per dimostrare la sua stizza nel dover compiere un lavoro così noioso, quando la donna lo anticipò. «…Non sarai da solo. A quanto pare avrai una giovane donzella a farti compagnia» terminò la donna.

Questa sì che era bella.

«Una ragazza?» chiese scettico, afferrando il foglio che Doris gli stava porgendo dall’altra parte del bancone.

«Oh, sì. Non hai sentito?» Lo sguardo di Doris s’illuminò per la possibilità di fare ciò che rendeva le sue giornate meno uggiose: spettegolare. «A quanto pare c’è stata una lite tra due ragazze del primo anno. Brutto affare. La più piccola ha spaccato il naso a quella biondina inviperita che mi ha stressato in questi giorni per sapere delle selezioni per le cheerleader. Uhm… Leyla Gray, se non ricordo male. La notizia però mi ha lasciato perplessa: passavano parecchio tempo insieme quelle due. Un’amicizia così breve… Si vede che non era destino.»

Ren si limitò a bofonchiare, ma la sua mente stava già elaborando quelle preziose informazioni, in preda a una sorta di euforia. E se fosse… lei? Troppo preso dai suoi pensieri, non si accorse del lieve fruscio che emise la porta quando si aprì alle sue spalle. Fu solo grazie all’espressione di Doris, dapprima stupore e poi un disagio così palese da costringerla a distogliere lo sguardo, che si girò e il tempo incominciò a rallentare finché non la vide. O meglio, la notò quando abbassò lo sguardo, dato che lo scricciolo che gli comparve davanti raggiungeva a fatica il suo petto.

E… ne rimase profondamente amareggiato.

Niente corna insanguinate, niente lingua biforcuta, niente coda da diavolo o zampe caprine… E addio ai suoi sogni perversi. Ora capiva perché non l’aveva adocchiata fin da subito: quella ragazzina era il mix perfetto di elementi che avrebbero fatto ammosciare il desiderio a qualsiasi un uomo. La felpa e i jeans che indossava erano della taglia sbagliata e dai colori deprimenti. Le pendevano sul corpo sfigurandone la figura, rasentando così l’assomiglianza con un sacco di patate. Inoltre, si ostinava a non scostare il cappuccio che le ricadeva sul volto, nascondendo così buona parte dei lineamenti superiori.

Stava per etichettarla come racchia, quando le osservò pigramente il viso cercando di capire quale fosse il suo problema. E fu allora che si accorse della sua ecceità.

I suoi occhi… Erano qualcosa di straordinario e allo stesso tempo inquietante. Glaciali, apparivano così limpidi e profondi che per un istante si sentì affogare in essi, imbrigliato in una fredda morsa. Ren dovette costringersi a non indietreggiare, sebbene in lui fosse partito a sirene spiegate l’istinto primordiale di sopravvivenza. La ragazzina dovette accorgersi del cambiamento nella sua espressione, perché distolse immediatamente lo sguardo. E in quel momento lo vide. Durò solo un istante, qualcosa che molti non avrebbero nemmeno percepito, eppure eccolo lì, a incrinare quella maschera austera. Disagio.

E capì.

Capì il perché dell’esagerazione delle storie che aveva udito e il motivo di quella triste scelta sartoriale. Gli occhi di quella mocciosa erano qualcosa di spettacolare e infido, che sembravano tramortire persino i più coraggiosi, tanto erano in grado di scrutarti fin dentro l’anima. Eppure erano distanti, come se il mondo attorno a lei fosse privo di stimoli. Ma quella era solo apparenza. In realtà lei gli odiava, ecco il perché di quell’abbigliamento poco appariscente. Non voleva essere al centro dell’attenzione che il suo sguardo le garantiva quotidianamente. E ciò gliela fece rivalutare immediatamente. Dovette persino trattenersi dallo scoppiare a ridere come un perfetto idiota.

E sì, era un genio. Avrebbe voluto complimentarsi con se stesso e stringersi la mano.

Senza indugiare oltre, fece un passo avanti, cercando con insistenza d’incrociare di nuovo il suo sguardo. Lei non lo ricambiò. Non si diede per vinto. «Ciao, sono Rennis.»

Silenzio. Sembrava più interessata a osservare l’ufficio che a socializzare con lui. Doris in compenso li stava scrutando incuriosita. Anzi, si stava letteralmente sporgendo dal balcone per avere una visuale migliore.

«Sai» le disse, dato che continuava a ignorarlo. «Ero ansioso di conoscerti. Volevo essere certo che fossi il mostro di cui ho sentito tanto parlare.»

«Rennis!» sbottò Doris esterrefatta. «Non si dicono queste cose a una signorina!»

Lui si limitò a sbuffare. «Signorina? Siamo sicuri che là sotto ci sia una ragazza? È una tale delusione. È dire che sono venuto in questo buco solo per conoscerla.»

«Ma insomma!»

La osservò di sottecchi. Niente. Non si era scomposta. Se le sue affermazioni l’avevano colpita in qualche modo, era un mistero. La sua unica reazione fu quella di rivolgere alla segretaria uno sguardo annoiato.

«Sono qui per la punizione» disse e Ren dovette ammettere che, nonostante tutto, persino la sua voce risultava gradevole.

«Certo, cara. Tu e questo bell’imbusto dovete fare l’inventario del laboratorio di Chimica. Non preoccuparti. Ren ti spiegherà come fare. Dopotutto non è la prima volta che rimane invischiato in un simile castigo...»

La ragazzina prese il foglio che Doris la stava porgendo. Dopo averci dato una veloce occhiata, si limitò a ringraziarla con un cenno del capo e a dirigersi verso la porta. Lasciandolo lì, in piedi, come un allocco.

«Ehi, aspetta! Ciao tesoro, ti chiamo io!» esclamò lui, rivolto alla donna che stava scuotendo il capo con un’espressione divertita sul volto. Uscì nel corridoio giusto in tempo per scorgerla svoltare l’angolo. Dannazione, per avere delle gambe così corte era veloce.

«Ehi, dico a te. La prossima volta potresti anche aspettare!» le urlò dietro.

Silenzio.

«E rispondere.»

Ancora silenzio.

Dovette trattenersi dal fare qualcosa di molto stupido. Ormai si trovava dietro di lei e si ritrovò con insistenza a fissarle la schiena. «Non mi hai ancora detto come ti chiami.»

Senza smettere di camminare, la ragazza si voltò quel tanto che bastava per lanciargli un’occhiata storta.

«Alexander» mormorò seccata.

A quel punto, Ren si ritrovò a sganasciare senza controllo. E tanti saluti all’idea di sembrare serio. «Chissà perché non mi stupisco. Avrebbero potuto chiamarti Hannibal a questo punto» ridacchiò, appoggiandosi con un gomito a un armadietto per riprendere fiato. Con suo grande stupore, lei si fermò.

Asciugandosi le lacrime, la guardò e fu sul punto di scoppiare di nuovo. Alex…ander lo stava osservando con un’espressione che voleva dimostrarsi minacciosa, ma in quel contesto si rivelò piuttosto comica. Sulla sua piccola e carnosa bocca si era formato un broncio non indifferente e, nel notare il lieve spasmo delle sue dita, si rese conto che nemmeno lei non poteva dimostrarsi impassibile a tutto. Tuttavia, ben presto il suo sguardo mutò e diventò più gelido del polo artico. Ren dovette ingoiare la risata che gli stava risalendo su per la gola e si ritrovò a desiderare di scomparire. Se lo sguardo potesse uccidere…

«Muoviti» disse lei senza alcuna intonazione. Poi riprese a camminare, incurante se la stesse seguendo.

Questo gli permise di poterla osservare meglio. Un leggero sorriso gli comparve sul viso. Sì, ne era valsa davvero la pena. Quella ragazzina era interessante, quasi lo intrigava. Era un agglomerato di opposti che a una prima occhiata potevano risultare inconcludenti e non degni di nota, ma da vicino tutto cambiava.

Nonostante il suo aspetto esile e minuto, conteneva in sé un carisma capace di azzittire persino lui. Si nascondeva, eppure camminava a testa alta, la schiena dritta, come se osasse sfidare il mondo attorno a sé a disturbarla e a pagarne le conseguenze. E il suo carattere freddo e scostante… quale modo migliore di stuzzicare il suo interesse? Chissà quale altre reazioni aveva in serbo per lui. Non vedeva l’ora di scoprirlo.

 

Giunsero al laboratorio senza altri incidenti di percorso, o quasi. Ren ignorò i banchi di lavoro e la precedette verso il fondo dell’aula, dove erano allestiti gli scaffali e gli armadi contenenti sostanze all’apparenza innocue e materiale di vario genere. Un bel casino. Sospirò afflitto, udendo la porta chiudersi con un tonfo secco alle sue spalle. Si voltò e rimase immobile mentre Alexander lo raggiungeva, sempre senza incrociare il suo sguardo.

«Allora, da che parte vogliamo incominciare?» le chiese, ritornando a osservare la selezione di oggetti da quantificare.

Alexander non rispose. Non che la cosa lo sorprendesse più di tanto dati i recenti sviluppi, ma quando lei gli si avvicinò e strinse tra le dita un lembo della sua maglietta, si ritrovò spiazzato da quel gesto. In particolare quando lo strattonò leggermente, facendogli capire di assecondarla. Ren deglutì a vuoto, incerto su come reagire: erano soli, lei aveva chiuso la porta e aveva cancellato le distanze, rendendolo improvvisamente nervoso. Ma perché? Le opzioni erano due: o voleva pomiciare -del tutto improbabile- o ucciderlo per le uscite di prima -molto probabile-. Tuttavia, la sua crisi esistenziale terminò nel momento in cui osservò le dita strette intorno alla stoffa, stupendosi di quanto fossero piccole le sue mani. Ciò gli fece quasi tenerezza. Si ritrovò così a seguirla verso l’angolo più lontano dell’aula ma, prima di ritrovarsi con le spalle al muro, Alexander lo lasciò e si allontanò da lui con grandi falcate, fino a raggiungere il lato opposto.

Una volta fuori portata, gli lanciò un’occhiata di sufficienza. «Io comincio da questa parte e tu dall’altra. Mi sembra equo.»

A separarli c’era l’intera larghezza dell’aula.

«Ti hanno mai fatto notare quanto tu sia amichevole?» le domandò, cercando di non lasciar trasparire la stizza che provava in quel momento.

«Tutti i giorni» rispose Alex come se nulla fosse e senza corrispondere il suo sguardo. Ren rimase spiazzato dalla risposta. Non aveva avuto alcuna inflessione sarcastica. Quella ragazza… era socialmente inetta? Non c’erano altre spiegazioni e, chissà come mai, non dubitava del contrario. Rimase a scrutarla per qualche istante, osservandola mentre apriva tutte le ante degli armadi dalla sua metà e incominciava a osservare con attenzione ciò che la circondava, senza però appuntare nulla sul foglio che Doris le aveva dato. Era confuso, così confuso che tra poco si sarebbe colpito da solo. Ma da dove spuntava fuori quello sgorbio? Dal Circo dei Freak? Perché in tal caso avrebbe pagato il suo peso in oro per un biglietto.

«Ma che diavolo stai facendo?» chiese all’improvviso.

«Faccio il quadro generale» gli spiegò lei, come se fosse una cosa ovvia.

Ren scosse la testa e si mise all’opera, nonostante volesse perdere tempo in modo da studiarla meglio. Lavorarono in silenzio per qualche minuto. O per ore, difficile a dirsi. Ren non era mai stato un tipo paziente, ragion per cui iniziò a parlare del più e del meno, infastidito e annoiato dalla piega che avevano preso gli eventi. Non gli importava se lei rimaneva zitta e chiusa nella sua bolla antisociale fatta di odio e lacrime di bambini, poteva benissimo intrattenere da sé una conversazione. E così fece. La tempestò di domande, per lo più riguardanti la sua vita e su come si trovava nella loro città, per poi rispondersi da sé. Andò avanti per un po', intontendosi da solo con le sue stesse chiacchere, finché Alex non sbatté qualcosa su uno scaffale, facendolo voltare nella sua direzione.

Non riuscì a trattenere un sorriso divertito. «Qualche problema?»

«Sta… zitto» sbottò lei, la fronte aggrottata come se avesse mal di testa. «Sei terribilmente irritante.»

«Mi dispiace, Alexander» soppesò il suo nome con una nota ironica nella voce. «Ma stiamo scontando una punizione e il tuo gradimento a tale attività è del tutto irrilevante.»

Lei si voltò lentamente. Da sotto il cappuccio, i suoi occhi brillavano di rabbia mal celata. Doveva proprio averla infastidita. Si ritrovò a sorridere ancora di più.

«Senti, voglio solo finire l’inventario e tornarmene a casa. Non m’interessa conversare. Né con te, né con nessun altro. Benché fare amicizia» ammise lei.

Ren inarcò un sopracciglio. «Vai al liceo. Dovrai per forza parlare con qualcuno prima o poi.»

«Questo si chiama effetto collaterale.»

«O socializzare.»

«O perdita di tempo. I rapporti interpersonali sono così… inutili» sibilò in fine.

Ren alzò un sopracciglio. «Strano, credevo che per costruire un rapporto servissero due persone. E da quel che vedo hai una coda di ammiratori in attesa di un tuo autografo.»

Altra occhiataccia. «Tranquillo. Non sono interessata.»

«Non stavo parlando di me.»

Questa volta, lo sgorbio si voltò verso di lui con un’espressione annoiata.

«Ok, forse è così. Ma mi conosci così bene da dirlo con certezza?» Non riuscì a evitare una nota curiosa nella propria voce. Sapeva che in quelle quattro mura i pettegolezzi viaggiavano alla velocità della luce, eppure non si era mai soffermato a pensare che, come lui aveva saputo della sua esistenza, Alexander avrebbe potuto sentire le storie che circolavano sul suo conto. E non tutte erano vere, intendiamoci. Ma era divertente e proficuo far credere agli altri che non aveva remore nel picchiare cuccioli e rapinare vecchiette indifese.

«Ho sentito parlare di te. E capisco come ti senti, riguardo la delusione intendo.» Con sua grande sorpresa, Alexander si voltò nella sua direzione, inclinando il capo con fare pensoso. Rimase in silenzio per qualche istante, scrutandolo con estrema attenzione, finché sul suo viso non comparse l’ombra di un sorriso ironico. Chi l’avrebbe mai detto, era capace di fare quella smorfia senza rischiare una paralisi. «I teletubbies incutono più timore di te, bad boy.»

«Sì, su questo non posso darti torto» esclamò Ren con un’alzata di spalle, per poi gongolare. «Ma dimmi di più, sono curioso di sapere che idea ti sei fatta sulla mia persona.»

L’espressione di Alexander divenne di nuovo apatica. Senza esitazione, ritornò a osservare gli scaffali. «La mia idea? Penso che sia fortemente necessaria una riforma del sistema scolastico. È alienante pensare che a un individuo della tua reputazione, che non ha il minimo rispetto per quest’istituzione, venga dato il permesso di gironzolare per questi corridoi, sprecando così non solo il suo tempo, ma anche quello degli insegnanti. Vengono già sottopagati per permettere a un branco di marmocchi senza alcuna prospettiva di uscire da qui con la vacua speranza di andare al college, non hanno bisogno di uno come te. Sei una delusione su tutti i fronti. Sfrutti a tuo vantaggio una figura sociale senza averne i requisiti giusti e pensi ogni cosa ti sia dovuta. Per quel che mi riguarda, sei solo una perdita di tempo. Esattamente come questa punizione. Quindi, abbiamo finito con i convenevoli e possiamo tornare all’inventario?»

Ren ci mise qualche momento a riprendersi dal torpore che l’aveva soggiogato. «Wow. Sono senza parole…»

«Magari» la udì bofonchiare.

«… Mi sarei accontentato di lusinghe e del tuo numero di telefono, ma grazie del complimento.»

Alexander sussultò. Si girò a osservarlo e rimase sorpresa nel vederlo sorridere divertito. Certo, il suo cuore sanguinava arcobaleni e polvere di stelle nell’udire che per lei era solo “una perdita di tempo”, ma era riuscito a farle perdere la pazienza, il che poteva essere considerato come un suo traguardo personale.

Dopo qualche momento di stallo, Alexander scosse il capo e prese il foglio dell’inventario, incominciando a catalogare con precisione e velocità tutto ciò che aveva trovato nella sua metà. Dopodiché gli si avvicinò a passo di marcia e gli schiaffeggiò il documento contro il petto senza nessuna delicatezza.

«Ho finito» sentenziò. «Tu puoi occuparti del resto.»

Fece per andarsene, ma Ren l’afferrò per un braccio. «Aspetta! Come sarebbe? Non puoi aver…» Il suo sguardo cadde sulle sue annotazioni e si rese conto che aveva per davvero finito di annotare la sua metà.

«Sei intelligente…» mormorò basito.

«Si chiama memoria eidetica. Allora, posso…»

Non terminò la frase. Ren avvertì dei rumori provenienti dalla porta e si concentrò verso quella direzione. Attraverso il vetro, notò due ragazzi intenti a spiarli. No, si rese conto dopo aver seguito il loro sguardo: stavano guardando lei. Alexander sussultò, voltandosi verso di loro con un’espressione che Ren si augurò di non veder mai rivolta a lui. I loro scocciatori furono presi alla sprovvista, al punto da inciampare su loro stessi mentre se la davano a gambe, ridendo e schernendo la ragazzina ad alta voce. Nell’udire tale frasi poco galanti, Ren si ritrovò a sospirare. «Doris mi ha detto quello che è accaduto. Hai scelto d’inimicarti la persona sbagliata e questo è il risultato.»

Alexander rimase in silenzio a osservare la porta, per poi scrollare spalle. «Non m’interessa.»

«Dovrebbe invece. Non conosco bene Leyla, ma ho sentito molte cose sul suo conto. L’ho persino incontrata ad alcune feste quest’estate, mentre saggiava la fauna dell’istituto per prepararsi al suo primo giorno. Chissà se c’è l’ha ancora con me per non aver… Ops, si stava parlando di te. Giusto. Ma immagino che nei prossimi giorni non si farà altro. Chissà quali storie…»

«Tutte cavolate» sbuffò lei. Con sua sorpresa, incominciò a rigirarsi tra le mani la catenina che portava al collo. Era nervosa? Ren fece per sondare il terreno, quando Alexander lo anticipò.

«Posso raccontarle io una storia. Una favoletta che parla della classica ragazza che si trasferisce in una nuova città e non conosce nessuno. Chiusa in se stessa, ha difficoltà ad ambientarsi nella sua nuova scuola, dove si sente sempre giudicata e presa di mira. Finché non conoscerà amiche fantastiche che alla prima occasione la derideranno in pubblico. La parte succosa però rimane il ragazzo. Il belloccio di turno che tutte desiderano, ma che per qualche strana ragione è interessato alla nuova arrivata, al punto da scombussolarle la vita. E indovina un po’?» Si bloccò, smettendo di tormentare la collana. Quando si rivolse a lui, non c’era segno dell’ostilità mostrata fino a poco fa, solo una ammirevole fermezza. «Alla ragazza non importa. Né ha bisogno di struggersi per certe stupidaggini. Lascerà parlare quegli adolescenti in piena crisi ormonale fino allo stremo perché tanto avrà cose ben più importanti di cui occuparsi.»

«Già» commentò lui, sebbene non stesse capendo più nulla. Si stava riferendo a lei, a una sua conoscente o alle protagoniste dei romanzi scritti dalle sue coetanee? «Potrebbe essere la ragazza incasinare la vita del belloccio… per una volta» sussurrò lui, per poi rivolgerle un sorriso, che venne ricambiato con un’espressione disgustata.

«Rick, per favore. Vorrei uscire da questa punizione senza dovermi far controllare la glicemia.»

Ren sussultò, come se l’avesse colpito in pieno. «Rick???» sbraitò offeso.

Alexander strinse le labbra, pensosa. «Ronald?» riprovò.

Fu il suo turno nell’osservarla rabbioso. «Mi chiamo Rennis, o Ren! Hai appena detto che hai quella strana memoria eppure sbagli il mio nome!»

«Ricordo quello che vedo, genio. Non mi pare tu abbia una targhetta addosso. Come se memorizzare nomi servisse a qualcosa…»

Seccato, Ren decise di prendere la situazione in mano. «Direi che è ora di rimediare.»

Ignorò il suo sguardo confuso e, appoggiandosi al bancone dietro di loro, girò il foglio dell’inventario in modo da scriverci sopra il suo nome.  Con tanto di didascalia e dedica. Rennis: il gran bel tenebroso che ti condurrà in un magico mondo di meraviglie. E molte altre cose. Troppo pomposo? E dire che si era trattenuto. Una volta terminato, lo sollevò orgoglioso di sé prima di voltarlo verso lo sgorbio, in modo che potesse memorizzare cotanta meraviglia.

Alexander osservò il foglio. Poi lui. E di nuovo da capo. «Wow» esclamò apatica dopo un profondo silenzio. «Grazie per avermi appena rovinato l’esistenza.»

«Prego.» Ren sorrise gongolando. «Ora assocerai il mio nome a…»

«…Idiota.»

«Il gran bel tenebroso o…»

«…Egomaniaco.»

«L’uomo dei tuoi sogni proibiti o…»

«…Depra…»

«Ok, direi che abbiamo chiarito la nostra posizione comune. Tuttavia, ancora un punto ci tiene lontani.»

«E sarebbe?» chiese lei con una scrollata di spalle. «No, aspetta. Non m’importa.» Il suo sguardo cadde di nuovo sul foglio e la sua bocca si storse in una smorfia disgustata. «Lo sai vero che dobbiamo riconsegnarli alla fine della punizione?»

«Oh, non preoccuparti. Doris è stregata dal mio fascino. Ma tornando a noi, Hai sbagliato strategia. Stai fornendo a “quei ragazzi senza alcuna prospettiva” i giusti elementi per renderti la vita un inferno. Beh, solo gli anni che passerai qui tra noi poveri mortali che non possono comprendere la tua genialità, ma…»

«Sei stato chiaro, grazie» sentenziò lei, sforzandosi di sorridergli come si fa con i bambini troppo capricciosi. «Ma non ho alcun bisogno del tuo aiuto. Anzi, a dire il vero mi hai già aiutata abbastanza, Rennis.»

«Davvero?» le domandò confuso.

«Certo. Ora so che devo evitarti a qualsiasi costo. Ne va della mia sanità mentale.» Fece per andarsene senza degnarlo di uno sguardo. Ren si tuffò letteralmente per afferrarla per un polso, bloccandola sul posto con sua grande sofferenza. Alexander si voltò per fulminarlo con lo guardo e lui alzò le mani per dichiarare la resa.

«Ascoltami solo un attimo. Ok? Fammi compiere la mia buona azione mensile e poi potrai andartene per la tua strada.»

Alexander soppesò le sue parole, per nulla contenta. Dopo un attimo di esitazione annuì. «Sentiamo questa perla di saggezza. Ho come l’impressione di non avere alcuna scelta in merito.»

Ren le rivolse un grande sorriso. «Molto furbo da parte tua. Dunque, il tuo piano “ignora e conquista” deve essere rivisto. Vada per la parte di sua Asprissima Altezza, ma lasciatelo dire: il tuo aspetto fa pietà. E, prima che tu me lo chieda, ho ragione. Devi far capire a quei caproni con chi hanno a che fare e camuffarti da sacco dell’immondizia non ti aiuterà in questo. Nasconditi, e farai il loro gioco. A meno che tu sotto quella trapunta non nasconda un monociglio, un’acne da cavallo o un neo peloso…»

Prima che potesse rendersi conto della sua prossima mossa, Ren le tolse il cappuccio dalla testa con uno scatto repentino quanto l’attacco di un cobra. Alexander rimase interdetta, quasi spaventata da quel gesto, ma mai quanto lui. Si era aspettato la classica secchiona priva di fascino -occhi a parte-, eppure fu costretto a voltarle le spalle dopo una sola occhiata. L’aula di musica era aperta quel giorno? Perché aveva appena avvertito una stridula sviolinata protrarsi nell’aria. Con il viso in fiamme, Ren dovette compiere uno sforzo inimmaginabile per calmarsi. Alexander… era adorabile. Chi l’avrebbe mai detto? Non solo era intelligente, ma sotto quell’aurea minacciosa si nascondeva uno schianto. E probabilmente non sapeva nemmeno di esserlo. Per un momento fu sul punto di rimangiarsi il suo consiglio. Voleva pregustarsi quella visione senza doverla condividere con altri e… Dei, era lui quello che avrebbe dovuto farsi controllare la glicemia una volta uscito da quel girone infernale.

Qualcuno dietro di lui si schiarì la voce. Fece un respiro profondo e si girò. Alexander lo stava osservando apatica come sempre, sebbene i suoi capelli scuri fossero sparati in tutte le direzioni. Quella visione riuscì a farlo ritornare in sé. Oltre che farlo ridacchiare.

«Era davvero necessario?» gli domandò lei. Notando il suo sguardo, si portò una mano sulla testa e tentò inutilmente di sistemarsi la chioma incriminata.

«No… Cioè, sì. Ora che abbiamo chiarito il punto della questione direi che sistemando la tua immagine potresti far rimpiangere amaramente quegli inetti per le loro offese.»

«Le stesse offese che mi hai rivolto tu nemmeno un’ora fa?»

Colpito e affondato.

«Cercavo solo di stabilire un imprinting» si difese lui, cercando di apparire offeso.

«Sarebbe più divertente farsi sbranare da mamma orsa» sbottò lei, posando le mani sui fianchi. «Allora, posso andare? Il nostro tête-à-tête inizia ad annoiarmi sul serio.»

Niente. Per quanto ci provasse, bastava una sola frase e ritornava al punto di partenza. Non sapeva se essere più irritato o scandalizzato dal fatto che il suo fascino non riuscisse a far presa su di lei. Chissà, magari preferiva i secchioni con i completi coordinati. O forse dovrebbe andare dritto al punto.

«Sei… Incredibile» sbottò esasperato. «Davvero incredibile. Incredibilmente irritante, incredibilmente insensibile, incredibilmente odiosa. Potrei quasi innamorarmi di te per farti dispetto.»

Calò il gelo.

Alex si era letteralmente pietrificata sul posto, gli occhi sgranati e un’espressione sconvolta in viso. Non solo l’aveva colta alla sprovvista, ma non si era nemmeno accorto di essersi cacciato una fatale situazione. Non aveva per nulla tenuto conto della sua reazione. Le si avvicinò, cercando di capire se stesse bene, quando lei agì con una rapidità sorprendente. Afferrò la prima cosa che trovò sullo scaffale e gliela ruppe in testa senza troppi complimenti. Solo quando udirono i frammenti di vetro tintinnare a terra si accorsero di quello che era appena accaduto. Ren strizzò gli occhi sbalordito, mentre un fiotto di sangue gli usciva dalla ferita causata del vetro che gli era penetrato nel cuoio capelluto. Il suo unico pensiero fu di non voler ricomprare una beuta nuova. Poi crollò a terra.

«Oh» mormorò.

«Oh dei! Mi dispiace!» esclamò Alexander. Sembrava essere ritornata in sé e si era inchinata al suo fianco per controllare il taglio. Con sua grande sorpresa si accorse che era sincera. Beh, una lieve consolazione. Era riuscito a farle provare un’emozione umana solo in punto di morte.

«Tranquilla io…»

«Ora che faccio?» lo interruppe come se non avesse nemmeno aperto bocca. Sembrava presa da qualche turbe mentale che la rendeva nervosa. Era preoccupata per lui? Forse dissanguarsi sul pavimento del laboratorio di Chimica non era solo una perdita di tempo. Stava per sorriderle, quando Alexander continuò il suo monologo. «Avevo promesso a mia madre di non uccidere nessuno all’interno della scuola. Ce la fai a camminare? Potrei portati fuori e lasciarti dissanguare nel parcheggio, lì dovrebbe andar bene. No, aspetta... Fa parte dell’Istituto per caso?»

Ah… Come non detto. «Perché non puoi semplicemente accompagnarmi in infermeria?» le chiese in un sussurro.

«Giusto» esclamò lei, facendosi di nuovo pensosa. Poi, senza lasciargli il tempo di prepararsi mentalmente a ciò che stava per accadere, si sfilò la felpa e gliela premette sulla ferita, cercando di rallentare l’emorragia. Ciò non servì a molto, dato che la sua pressione sanguigna schizzò alle stelle.

Ren rimase allibito. Con lo sguardo fisso sulla maglietta bianca che Alexander indossava, si focalizzò su due punti focali non indifferenti, nascosti a malapena dalla stampa di un vecchio gioco arcade. Dimenticò persino l’incidente. Quella ragazza era stata mandata da qualcuno con l’intenzione di ucciderlo, questo ormai era un dato di fatto. E per farlo non aveva nemmeno dovuto infilzarlo con il ferretto del reggiseno, dato che ne era del tutto sprovvista. Forse non era un brutto modo per morire in fin dei conti.

«Riesci ad alzarti o devo trascinarti per le braccia?» gli chiese poi Alexander, cogliendolo di sorpresa.

«Che?»

«Muovi. Il. Culo.» sibilò lei, cercando di aiutarlo a muoversi. Capendo che non si sarebbe spostato, sbuffò sonoramente e gli schioccò le dita davanti al volto. «Dammi il cellulare.»

«Che?» ripeté lui come un’idiota.

Senza metterci nemmeno un grammo di delicatezza, Alexander lo rivoltò come un calzino. Estrasse il cellulare dai suoi jeans -purtroppo non lo palpò- e si scattò una foto al petto, per poi lanciargli il telefono sotto il suo sguardo sbalordito.

«Bene, ora direi che puoi smetterla di fare l’idiota, sempre se ne sei in grado. Dei, non credevo che fossi un tale fanatico dei giochi arcade. Dato che abbiamo risolto la questione, finiscila di esibire quella faccia da pesce lesso o giuro che ti lascio qui a dissanguarti.»

Il torpore lo abbandonò a poco a poco, ma continuò a osservarla stralunato; questa volta per motivi ben diversi. Socialmente inetta, violenta, dalla lingua tagliente e desiderosa di sporcarsi le mani di sangue. Il cuore iniziò a battergli forte nel petto, nonostante il dolore donatogli dalle frecce di Cupido che l’ornavano come un puntaspilli. Alzandosi in piedi, si appoggiò a lei di peso, nonostante fosse in grado di camminare benissimo sulle sue gambe. Aveva bisogno di sentirla, in un modo che non aveva mai provato prima. Chiuse gli occhi per qualche istante, godendo del calore del suo corpo e inebriandosi del suo profumo. E capì.

Era fottuto.

In ogni senso.

 

 

E quello che accadde in infermeria fu tutta un’altra storia.

 

 

 

 

Come promesso, eccoci qui con il bonus.

Mi dispiace farsi aspettare sempre un’eternità, ma purtroppo liberarsi del blocco non è semplice. Detto questo spero che come lettura vi sia piaciuta. Preparatevi mentalmente al ritorno della sociopatica per il prossimo capitolo :3

Come sempre ringrazio coloro che hanno aggiunto questa storia alle loro liste e recensito.

Alla prossima :3

  
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