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Autore: Duncneyforever    08/05/2017    1 recensioni
Estate, 1942.
Il mondo, da quasi tre anni, è precipitato nel terrore a causa dell'ennesima guerra, la più sanguinosa di cui l’uomo si sia mai reso partecipe.
Una ragazzina fuori dal comune, annoiata dalla vita di tutti i giorni e viziata dagli agi che l'era contemporanea le può offrire, si ritroverà catapultata in quel mondo, circondata da un male assoluto che metterà a dura prova le sue convinzioni.
Abbandonata la speranza, generatrice di nuovi dolori, combatterà per rimanere fedele a ciò in cui crede, sfidando la crudeltà dei suoi aguzzini per servire un ideale ormai estinto di giustizia. Fortunatamente o sfortunatamente non sarà sola e sarà proprio quella compagnia a metterla di fronte ad un nemico ben peggiore... Se stessa.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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È trascorsa una settimana dall'accaduto, ma ancora non sono riuscita a riprendermi del tutto, sia fisicamente che psicologicamente. Solo adesso mi rendo conto di aver avuto paura di Schneider per la prima volta... Mai prima di quel giorno avevo realmente temuto il suo sguardo o il suo corpo; sfrontatamente lo avevo sfidato, provocato e innervosito con il mio fare da ragazzina irresponsabile, senza pensare alle ripercussioni che avrei potuto riscontrare. Sono stata così stupida da credere di poter scorrazzare liberamente sul terreno di guerra senza poi ritrovarmi a terra in una pozza di sangue, come ho potuto... 

Se non fossi già così dolorante mi prenderei a schiaffi da sola.

- Komm züruck zu mir Fried. Torna da me. - Il suo nome sfugge dalle mie labbra come un fievole sussurro, fievole come il ricordo dei bei momenti trascorsi insieme, i soli bei ricordi che possiedo dal momento in cui sono " approdata " in questi anni difficili, straziati dall'odio e dalla paura. Sento terribilmente la mancanza di Friederick, il tedesco dagli occhi dolci in grado di farmi sorridere anche nelle situazioni più difficili; mi manca accarezzare il suo viso dai lineamenti delicati, affondare le dita tra i suoi soffici capelli color grano, coccolarlo con tenerezza per poi addormentarmi tra le sue braccia forti e gentili. Mi manca tutto di Fried, il mio Fried, l'amico più speciale che abbia mai avuto. 

Andrea, invece, è una persona particolare, criptico e misterioso, un po' come il signor Darcy di orgoglio e pregiudizio; lo conosco ancora da poco, ma sembra provare sentimenti più profondi di quanto non voglia rivelare, seppur la sua figura tenebrosa non tradisca il senso di irrequietezza che sembra logorare il suo animo nei momenti di solitudine. In tal proposito posso giurare di aver visto un velo di malinconia e tristezza nei suoi occhi scuri il giorno in cui sono stati celebrati i funerali di Fausto, il povero interprete perito ingiustamente sette giorni orsono. Andrea non versò lacrime, ma fu l'unico dei presenti ad esserne davvero dispiaciuto, se vogliamo escludere la moglie rimasta vedova e i cinque figli, di cui tre ancora piccoli. Io fui costretta ad andare e mi vergognai della mia quasi indifferenza: ovviamente mi dispiacque, ma non riuscii a provare nient'altro e, ancora adesso, ne sento il rimorso. 

- Buongiorno, raggio di sole. - Proprio lui, in questo momento ( appoggiato allo stipite della porta ) riesce finalmente a distrarmi e, per questo, di buon grado, ricambio il saluto. 

- Detesto dovertelo dire Sara, ma sarebbe meglio che ti vestissi adesso e, ancor meglio sarebbe, se indossassi qualcosa di elegante, perché tra tre ore si terrà un pranzo molto importante all'ambasciata tedesca e " purtroppo " siamo invitati anche noi. - 

- Vorrai dire che tu sei invitato... Io non c’entro nulla, lo sai. - Rispondo, ributtandomi stancamente sul letto e infossando la testa sotto il cuscino. Andrea vorrà perdonarmi se confessassi di non avere la benché minima intenzione di andare a quel pranzo e, ancor più, di non avere alcuna intenzione di rivedere quel mostro dai capelli rossi di nome Rüdiger. 

- Non vorrai mica lasciarmi solo in mezzo ai mangia patate - sorride ironicamente, facendo sorridere anche me, prima di farmi scuotere con altrettanta ironia la testa;

- un uomo grande e grosso come te che ha paura di quattro nazisti isterici? - Faccio per deriderlo quando mi sento portar via il lenzuolo; mi sfugge un grugnito molto poco femminile quando percepisco il leggero spiffero del vento sulla pelle esposta delle gambe e del collo, mentre lui sghignazza in tono scherzoso.

- Adesso vedremo se avrai ancora voglia di chiamarmi " debole " - e, detto ciò, strappa via dalle mie braccia anche il cuscino e quasi mi butta giù dal letto tirandomi per una caviglia. 

- Così non è valido! - Brontolo, nascondendo un leggero sorriso e cercando di rimettermi a letto. Mi aggrappo al materasso con tutta la forza che possiedo ma lui, irremovibile, mi afferra per i fianchi con le sue mani forti e gelidissime ( per motivi a me ignoti ) costringendomi a schiodare le unghie dalle lenzuola. Lui si sporge in avanti vittorioso - come la mettiamo adesso? - 

- Taci, imbroglione - bisbiglio, con un'espressione corrucciata e - ammetto - un po' divertita sul viso. D'un tratto, però, la porta socchiusa viene aperta dalla donna delle pulizie che, con un verso di disapprovazione, guarda impietrita la scena. 

- Non è come pensate! - Mi affretto a spiegare, rossa come il grembiule della ragazza. Accidenti! Perché tutti devono sempre pensar male? Non so neanche perchè stia negando l'evidenza quando, effettivamente, tremo come una foglia, schiacciata sul materasso da un uomo che mi stringe per i fianchi. È chiaro che salti subito a conclusioni affrettate.

- Seh - sussurra in risposta, soffermandosi scetticamente sulla scena per qualche secondo, prima di uscire dalla stanza. 

- Guarda che sono troppo vecchio per lei! - Le va dietro Andrea, divertito dalla situazione.

- Tu e le tue manacce! - Lo rimprovero, imbarazzata, alzandomi dal letto e strofinando con le mani i punti in cui mi aveva toccata. 

- Dai su, non è poi la fine del mondo e... Comunque... Verrai con me a quel fottutissimo pranzo, vero? - 

- Ok, ok, hai vinto... Ma non ti azzardare mai più a toccarmi con quelle mani freddissime, chiaro? - 

- Cristallino! - 

Due ore. Dopo due ore finalmente sono pronta: non indosso un bel vestitino fru fru, bensì una canotta blu, un paio di leggins neri - da ginnastica praticamente - e delle scarpe di tela bianca, il tutto per far innervosire Schneider ovviamente. Non indosso gioielli o accessori di alcun tipo, non ho un filo di trucco ( come sono solita non mettere ) e, per quanto riguarda i capelli, non ho toccato nulla, una spazzolata e via. Io sono così, acqua e sapone, nessuno potrà mai riuscire a cambiarmi, me lo sono sempre promessa questo, e non sarà di certo Rüdiger a farmi cambiare idea. 

Andrea, invece, indossa un completo scuro ed elegante, fin troppo pesante a mio parere e non esito a farglielo notare; 

- è anche per questo motivo che ho deciso di spuntarli, avresti dovuto vederli prima... - mi risponde, sornione, passandosi una mano su ciò che dovevano esser stati i suoi capelli. - Tu invece? Ti sei preparata per la corsetta mattutina? - 

- Non ho intenzione di morire di caldo, a differenza di qualcun altro. - Sposto una ciocca di capelli dal viso e mi avvio verso la porta d'ingresso, presto raggiunta da lui. 

Ci presentiamo nel luogo prestabilito con cinque minuti di ritardo ( che noi credevamo essere di anticipo ) e subito qualcuno degli ospiti tedeschi puntualizza la cosa, additandolo come tipico comportamento italiano. Mi limito ad alzare gli occhi al soffitto solo per non mettermi a sbraitare contro i presenti, ma per mia grande sorpresa vedo anche Andrea visibilmente scocciato e lo sento persino brontolare qualcosa a riguardo, certo di non poter essere sentito. Il posto è comunque molto bello, specialmente il giardino all'esterno ha catturato la mia attenzione, ma non altrettanto bello è stato rivedere Schneider, fiero ed impettito nella sua uniforme nera ( decorata da fin troppe medaglie data la sua giovane età ) mentre discuteva con alcuni suoi connazionali e non: sono praticamente corsa via. Adesso sono al fianco di Andrea, che mi ha presentata ad alcuni suoi sottoposti... Credevo potesse andar peggio, invece uno di loro mi è addirittura simpatico. Gli uomini in questione sono ancora dei ragazzi e non sembrano molto interessati alla politica, il che rende l'atmosfera più leggera e piacevole. Mi pongono molte domande, tra cui qualcuna riguardante i miei abiti, i miei leggins in particolare e, francamente, non so nemmeno cosa rispondere; 

- sì.. beh.. c'è un negozio al mio paese in cui li vendono. - A nessuno è mai neanche passata per l'anticamera del cervello l'idea che io possa appartenere ad una realtà differente e futura... Come potrebbero del resto? Perlomeno è plausibile che ci sia un negozio che venda " strani " pantaloni, nonostante io creda che siano stati ideati molto tempo dopo. Credo, tengo a precisare. Non ho mai provato a googlare " leggins " , quindi chi lo può sapere? 

- Comunque sia, ti stanno bene, sai? - Il ragazzo mi strizza l'occhio, sbilanciandosi leggermente all'indietro per constatare meglio quanto detto, ma subito afferrato e rimesso in riga da Andrea. 

- Occhio Lorè, che se ti vedesse il roscio... - 

- Roscio? - Domanda il moro, sbarrando gli occhi.

- Se è per questo puoi anche fissarmi ventiquattro ore su ventiquattro! Lui non è niente per me e, ancor meno, sono io per lui. Insomma, guardatelo! - Indico la scena pietosa, in cui Rüdiger sta chiaramente cercando di abbordare le fidanzate dei suoi colleghi, troppo distratti dallo champagne per intervenire. Senza né arte né parte, oserei dire. 

- Capisco... - Risponde lo stesso ragazzo, inarcando un sopracciglio con disappunto. 

Giunta l'ora di sedersi a tavola, cammino il più lentamente possibile per non permettere a Rudy di sedersi accanto a me di proposito, ma il tentativo fallisce miseramente, poiché il solo posto libero disponibile si rivela essere proprio di fronte a lui. Non mi sono neanche accorta di essere stata sistemata nella sala adibita unicamente agli uomini piuttosto che in quella riservata alle signore. Che ho fatto di male per meritarmi questo?! 

- Che cos...? - Non faccio in tempo a sedermi che già mi sento il peso di venti, forse trenta sguardi addosso. Ma si facciano i fatti loro dico io! Non è che sono stata io ad imbucarmi! 

- Liebe, ho pensato che forse ti saresti trovata meglio qui con me, piuttosto che in una stanza piena di sconosciute! - La sua fastidiosissima voce mi fa provare un tale senso di rabbia... Non voglio proprio guardarlo ma, sfortunatamente, sono costretta a farlo; 

- zum Teufel, Verdammt! / Al diavolo, maledetto! - Sibilo, con tutto il veleno accumulato in questa settimana, prima di assettarmi, senza curarmi di nessuno, sulla sedia più comoda su cui mi sia mai seduta. Il rosso zittisce perchè interrotto dal suono della campanella annunciante l'arrivo della prima portata, io invece saltello sul cuscino su cui sono poggiata, constatandone l'incredibile morbidezza; poi, guardando le sedie dei miei vicini, mi accorgo della notevole differenza tra la mia e le loro;

- strano - penso ad alta voce - sei stato tu, non è vero? - 

- Non dirmi che preferivi sta seggiola... - Risponde, sorridendo, facendo così sghignazzare anche me con la sua pseudo battuta ( cosa che certamente non poteva sfuggire al tedesco ). Al contempo, però, mi viene servito un bel piatto di pasta, invitante al punto di farmi ignorare completamente le occhiatacce del rosso per farmi concentrare unicamente sul pasto; a quanto ricordo, è trascorso molto tempo dall'ultima volta in cui ho mangiato l'amatriciana, ma confesso di ricordarne perfettamente il sapore... Qui manca un po' di sale per i miei gusti ( io ne aggiungo sempre tanto ) ma il soffritto è davvero ben amalgamato e con estremo piacere noto la presenza del guanciale al posto del bacon che sono soliti usare al mio paese, su al nord. Lasciando stare le recensioni da critica michelin, farei volentieri i complimenti allo chef a fine pasto. 

- Buono vero? - Mi da una leggera gomitata Lorenzo, il ragazzo che ho conosciuto prima. 

- Sì, molto, ma pensi che ai " turisti " teutonici piacerà? Ho trascorso due settimane in Polonia e qualche giorno a Berlino e, credimi, in tutto quel tempo non ho mai visto neppure l'ombra di un piatto di pasta; ho dovuto affidarmi ad un ragazzo, un'ebreo tedesco per assaggiarne un pochino. A mio parere ci odiano, ma non vogliono dir nulla per via del patto stipulato tra le nostre nazioni - sussurro, lasciando basito il mio vicino di tavola. Mi sono dovuta anche mordere la lingua per non pronunciare il nome di Ariel, il prigioniero dalla stella gialla a cui farei mille complimenti, a discapito di tutti coloro che non riescono a vedere oltre le apparenze.

- Standartenführer, parlateci del vostro sistema concentrazionario... Sapete, sono giunte delle voci, secondo le quali i prigionieri verrebbero gettati in pasto ai cani - esordisce un uomo sulla quarantina, dopo aver spazzolato la sua abbontante porzione di bucatini, dando inizio ad confuso vociferare di sottofondo, tra mormorii in italiano, in tedesco e in dialetti vari ed incomprensibili. 

- E chi sarebbero i portatori di tali voci? - Gli occhi plumbei del colonnello saettano stizziti verso l'uomo all'altro capo del tavolo, iperscrutandolo in silenzio. La sua rigida compostezza riesce a camuffare il suo fastidio, ma non la sua profonda curiosità in tal proposito; il suo voler scovare a tutti i costi i " traditori " per poi punirli come ( non ) meritano. 

- Non saprei dire, Herr Kommandant, mi è stato detto da amici che a loro volta erano stati informati da conoscenti vari e così via. Personalmente ritengo possano esser stati alcuni giudei fuggiti dalla Germania e nascosti in Italia sotto mentite spoglie - spiega il signore paffuto - anche se le voci fossero vere, per quanto brutale possa esser considerato, sarei ben felice di liberarmi di quei parassiti. - Scende il silenzio nella sala, tra occhiate generali di approvazione o di perplessità, sul viso di Schneider si apre un sorriso sottile, quasi diabolico, che preannuncia già la falsità delle sue future parole; 

- Lor signori vogliano credermi, se affermassi che iniziative del genere non vengono assolutamente considerate...Mmh... - 

- Routine? - Sospiro, cercando di dar un senso alla cazzata... Frase, sì, volevo dire frase, del rosso. - E no, non riesco a trovare una parola italiana per " routine " al momento, quindi non fissarmi così, come se avessi parlato in sumero. Abitudine forse? Abitudinarie, la parola che forse ha più senso in quel contesto. - 

- ...Abitudinarie nei nostri campi di lavoro. - Così dicendo, termina la frase, facendo finta di nulla. - L'indisciplina viene punita come ritenuto necessario, seppur la morte del detenuto non sia necessariamente ricercata; certamente gli eventi di cui avete sentito parlare, che voi definite brutali, trattasi di fenomeni... - 

- Sporadici?! - Intervengo per la seconda volta, esausta di sentire le sue bugie e ansiosa di tornare a casa. La cosa più deludente è il fatto che i presenti credano alle sue parole, senza dubbio. 

- ... Sporadici, non sono inclusi nel nostro programma di concentramento. - Vorrebbe un applauso adesso? Davvero un bel discorso, peccato non vi sia una sola cosa vera in tutto ciò che ha detto. Abbasso lo sguardo, sbuffando, con gli occhi velati di lacrime al ricordo dei corpi sfibrati, intrappolati con il fango fino ai polpacci, nelle stesse buche scavate al mattino e riempite di nuovo alla sera; un lavoro inutile eseguito al solo scopo di far ammalare i prigionieri, per poi mandarli a morte nelle camere a gas. Affondo il coltello nella bistecca appena servita con un dolore nello sguardo tale da essere notato da alcuni dei presenti, Rüdiger compreso. 

- Qualcosa ti turba? - 

- Nulla, assolutamente - nauseata dal suo finto tono preoccupato, mi alzo da tavola, dirigendomi verso il giardino a passo svelto; mi siedo all'ombra di un salice e, sovrastata da una deliziosa grata fiorita, mi avvicino al glicine, prendendo tra le mani un grappolo di fiori violacei e annusandone il profumo dolce e delicato. All'improvviso, però, mi sento trascinare all'indietro con violenza e sono costretta a strappar via il bel fiore, così deturpandone la curata composizione.

- Was wolltest du machen? Volevi rovinarmi con il tuo perbenismo del cazzo?! - Mi sbraita contro, con il viso contratto e gli occhi d'inferno, talmente incattiviti da farmi accapponare la pelle, alchè ammutolisco all'istante, spalancando gli occhi impauriti. 

- Rispondi, Cristo Santo! - E, detto ciò, mi agguanta la mandibola con le dita, come a volermi far aprire a forza la bocca. 

- Credevo davvero potessi essere diverso... Invece sei un mostro, soltanto un mostro! Mi vergogno di essermi fidata di te anche solo per un'istante! Cosa ti dà più fastidio, dimmi: il fatto che io trovi Andrea una persona molto più piacevole di te, o il fatto che io abbia desiderato confessare tutto ciò che ho visto ad Auschwitz? E poi, piantala con questa farsa; la mia lingua tu la parli meglio di me! - Per quanto ho detto, ricevo un ceffone in pieno viso. Come in un flashback, cado a terra piena di paura, tentando di trattenere le lacrime per non dargli questa soddisfazione. Mi rialzo subito, stringendo i pugni per il dolore e porgendogli l'altra guancia; 

- colpiscimi bastardo! Avanti, che aspetti?! Sai solo prendertela con i più deboli per sfogare le tue insulse frustrazioni! - Grido come una pazza furiosa, mandando a farsi benedire i buoni propositi di questa mattina, permettendo ad una lacrima di mescolarsi con il sangue fuoriuscito dalla ferita e reggendo il suo sguardo, fiera come un'amazzone senza paura.

Che pena deve provare nei miei confronti! 

Persino Schneider, il freddo e spietato Schneider, esista un istante, prima di lasciar perdere e svanire tra i pioppi, cozzando con tutto ciò che trova sul suo cammino. Codardo, penso tra me e me... Fa tanto il gradasso, ma non ha neppure il coraggio di finire ciò che ha iniziato... Mi asciugo la guancia con il dorso della mano, rannicchiandomi in un cantuccio e raccogliendo tra le mie braccia il fogliame strappato via, estirpato proprio come la parte più timida e paurosa di me. Non riesco neppure a tremare quando uno scalpiccio di passi si fa sempre più vicino; mi limito ad avvicinare ancor più le ginocchia al petto e a volgere lo sguardo in alto per vedere, con mia grande sorpresa, un uomo decisamente alto, con un piattino di torta tra le mani. 

- Eccoti... - Lo vedo poggiare il piatto sulla panchina e sollevarmi, per poi sedersi sulla stessa e adagiarmi sulle sue ginocchia.

- Mi spiace per non averti seguita prima. Credevo volesse solo parlarti... - Sembra davvero dispiaciuto, ma non avrei nemmeno motivo di prendermela con lui, dato che sono stata io a mettermi nei casini... 

- È stato molto dolce da parte tua - confesso, acchiappando quella fetta di " foresta nera " e assaggiandone un pezzettino. - Non ti preoccupare per me. - 

-  Sara... So che quel crucco ha sparato un fracco di puttanate - mi accarezza la guancia ferita, guardandomi dritto negli occhi - ma vorrei sapere cosa accade agli ebrei in Germania, cosa realmente accade. -

- Ho trascorso due settimane in quel campo, sai? - Mi faccio scura in volto, iniziano a tremarmi le gambe e comincia a pizzicarmi di nuovo il punto in cui sono stata schiaffeggiata: - è molto difficile per me accettare il fatto di dover tornare là, nella terra del sangue e dell'odio... Il solo ricordo mi causa dolore. - 

- Liberati, apriti con me - lui mi incoraggia molto, ma non so davvero se potrei riuscire a raccontare... Raccontare ciò che mi sono ricacciata dentro per non gridare, ciò che ho appositamente ignorato per non impazzire, ciò per cui tante volte ho pregato... Pregato che il cielo piangesse le lacrime che non ho potuto versare.  

- Sappi che le voci non sono infondate - mi decido a confessare - tra i molti crimini a cui ho assistito vi sono principalmente stupri ed omicidi, spesso preceduti dalle più efferate torture - iniziato il discorso, racconto tutto nei dettagli più scabrosi: dai crani dei bambini fracassati sulle assi di legno delle baracche, ai prigionieri spinti contro il filo spinato ad alta tensione o fatti sbranare dai cani, alle ragazze violentate dalle SS e uccise poco dopo;

- ho visto dei paralumi costituiti da brandelli di... - Ingoio un boccone amaro, non riuscendo neanche più a parlare per il magone - ...P-pelle. - 

C'erano numeri. Tanti numeri. I loro numeri. Erano cuciti insieme come fossero tessuto. C'erano tedeschi che ridevano. C'era Schneider. Prendeva un sacco pieno di polvere bianca. D'ossa. Le loro ossa. Sottratte dai forni e triturate. La usava per concimare il giardino, diceva. Rideva e scherniva gli ebrei, buoni solo per fertilizzare la terra. C'ero io. C'era il mio tedesco scarso. Ariel capiva tutto. Capiva quella lingua così diversa dalla mia, molto meglio me. Era presente. Moriva dentro e fuori. Piangevo. Facevo finta di non aver visto. Di non aver sentito. Non era vero. Non poteva esserlo. 

Abbraccio Andrea con tutta la forza che ho in corpo, implorandolo di portarmi via, lontano da qui e lontano da lui. Li avevo traditi, dimenticando. 

Come avevo potuto? 

Gemo, insofferente, finchè non sento le sue labbra premute, a sorpresa, sulla mia guancia. A contatto, le lacrime vengono ricacciate e la sua bocca, piccola e sottile, è risparmiata dall'acre sapore del mio rimorso. 

Accade un qualcosa di inaspettato... 

 

 

 

 

Angolino autrice ( il cui formato è stato stravolto da fattori ignoti ): 

Vorrei scusarmi per il ritardo... Ho avuto molti problemi ( scolastici e non ) e, solo ora, ho trovato il tempo di aggiornare la storia...

Spero di esser migliorata in questo lasso di tempo e spero anche che questo capitolo sia "valso" l'attesa - almeno un pochino. -

 In caso contrario andrò in pensione! :)

 

 

 

 

  
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