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Autore: PawsOfFire    09/05/2017    4 recensioni
Russia, Gennaio 1943
Non è facile essere i migliori.
il Capitano Bastian Faust lo sa bene: diventare un asso del Tiger richiede un enorme sforzo fisico (e morale) soprattutto a centinaia di chilometri da casa, in inverno e circondato da nemici che vogliono la sua testa.
Una sciocchezza, per un capocarro immaginifico (e narcisista) come lui! ad aggravare la situazione già difficoltosa, però, saranno i suoi quattro sottoposti folli e lamentosi che metteranno sempre in discussione gli ordini, rendendo ogni sua fantastica tattica fallimentare...
Riuscirà il nostro eroe ad entrare nella storia?
[ In revisione ]
Genere: Commedia, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Furia nera, stella rossa, orso bianco'
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 “Capitano...”
Ammiravo il grande lago dinnanzi a me. Sporco e stanco, nutrivo la disperata voglia di ravvivare in quelle acque tiepide le mie membra dolenti. Nonostante il regolamento ci obbligasse a lucidare le nostre divise alla fine di ogni battaglia noi sorvolavamo lietamente su questo emendamento.
Solo qualche cazzone berlinese poteva averlo scritto. Quelli che passano le giornate nelle scantinate blindate a mangiare pernici ripiene, con quei sughi oleosi che colano dalle labbra e che fanno diventare il sangue spesso al solo sguardo...a pasto finito si accorgono della loro bella divisa unta e accidenti! Tieni, serva. Lavami il colletto che devo mangiare tutte le scorte del Reich!
Purtroppo noi questo lusso non possiamo permettercelo, così ci teniamo le nostre divise grigie di sporcizia ed indurite dall’uso.
“Weisz” lo richiamai, prendendo un paio di binocoli per osservare meglio la meraviglia naturale che il paesaggio ci stava regalando.
“Ci siamo persi”
“Non è importante. Piuttosto guardi questo bellissimo lago. Non le viene un’incredibile voglia di farci un tuffo?”
Sbuffò tre volte prima di coprire le mie lenti sventolandoci davanti la mappa sgualcita.
“Dovevamo già essere a Belgorod da un pezzo” obiettò lui, levando quella cartaccia dalla mia vista.
“Si calmi, Weisz. Ora ci diamo una sciacquata ed aspettiamo che qualche ricognitore ci trovi”
“Potrebbe finire male per noi. Potrebbero prenderci come disertori. Io non sono un disertore, capitano!”

Il suo urlo spezzò il silenzio della valle. Fiete iniziò ad abbaiare come uno scemo. Nascosti dall’echeggiare della sua voce potevamo sentire Martin e Klaus rizzare le orecchie al suono della parola a loro più cara.
“Quindi se siamo considerabili disertori...”
“Tanto vale disertare.”
I due si lanciarono un’occhiata eloquente. Sorrisi beffardi si allungarono sui loro volti.
Immediatamente un coraggio leonino si impossessò di loro.
Lungo la nostra compagnia si sparse la voce di una diserzione di massa. Da una ventina di uomini che eravamo sette trovarono la forza di radunarsi ed annunciare la loro stolta decisione. Stavo ancora litigando animatamente con Tom su come procedere quando i magnifici sette si presentarono a petto gonfio e braccia ritte dinnanzi a noi. Klaus da pavido soldato divenne la fiamma ardente della ribellione.
“Compagni!” annunciò, alzando il pugno come un proletario russo.
“Oggi abbiamo deciso di abbandonare con coraggio la dittatura tedesca. Ebbene, prenderemo il primo treno per Mosca dove, una volta arrivati, verremo accolti come eroi. Le vostre lacrime saranno la nostra forza e lotteremo...scusa Joseph, cosa dovevo dire? Ah si, lotteremo dalle nostre tavole imbandite per liberarvi dalla schiavitù!”
Un fragoroso auto-applauso accolse la loro richiesta. Chagall dall’orecchio fasciato rideva con un’inquietante risata polmonare. Gli altri preparavano la fuga sottraendo vivande e beni dalle nostre scarse scorte.
“Però” ammisi, sollevando poco convinto un sopracciglio.
“Se incanalassero il loro impegno nella battaglia come fanno con la diserzione, forse la guerra sarebbe finita ed io sarei a casa a trastullarmi sul letto.”
Quando alla fine decidemmo che l’unica soluzione utile potesse essere aspettare, i sette partirono con i loro malloppi. Decisero a dadi che l’est fosse davanti a loro e ci salutarono, promettendoci di scriverci ogni giorno.
“Cosa direte quando si accorgeranno della nostra mancanza?” chiese Martin, il quale iniziava a non essere davvero convinto del piano.
“Che siete morti. Che i vostri cadaveri sono stati mangiati dai lupi e che le vostre famiglie dovrebbero essere felici di avere un caduto coraggioso per piangere sulla sua memoria”
Klaus rabbrividì. Aveva una moglie e due bimbi che amava alla follia. Valutò inizialmente di cambiare idea ma alla fine il desiderio di fuga vinse sulla ragione e decise che li avrebbe portati con sé a guerra finita.

~

Li salutammo da lontano mentre si avviavano lentamente oltre il lago, in direzione dell’ennesima boscaglia. Per un po’ li osservammo camminare. Poi, quando vennero inghiottiti dal verde, mi lanciai disperatamente in acqua.
Vestito, senza troppi rimoris. I pensieri si dissolsero con noi in quelle acque calme, fluivano come il sudore e lo sporco via dal mio corpo, dalla mia divisa. Sono queste piccolezze che fanno la differenza. Solo quando non le possiedi inizi a sentirne la mancanza. Altri uomini mi seguirono a ruota. Solo Tom rimase imbronciato sulla riva a lanciare le pietre in compagnia di Maik, il quale invece trovava sollievo nella pesca con l’arpione.
Era una giornata calda e meravigliosa. Solo dopo essere rinsavito colsi l’occasione per lustrare la mia divisa. Tutte quelle belle cosine che mi avevano insegnato durante l’addestramento erano pressoché inutili in campo aperto. Non avevo di che pulirle se non le mie mani e l’acqua. Quei pavidi tenentelli non lo hanno mai visto il fronte per sparare tante cazzate.
Maik aveva del grasso che usai per lustrare gli stivali. Maledissi il giorno in cui per avidità riuscii a procurarmene un paio nuovo. Questi erano duri come l’acciaio. Wolfmann mi suggerì di pisciarci sopra per ammorbidire la suola ma preferii evitarlo. Ho ancora una dignità, a sua differenza.
Il suo abbigliamento era tutt’altro che regolamentare. Il cappello da carrista era stato sostituito da un muso di lupo che ricadeva disgustosamente sulla sua fronte e che, con la pelliccia, ricopriva gran parte del suo enorme corpo. Era alto un paio di dita più di me ma aveva la schiena taurina e delle mani che sembravano badili. Nessuno osava richiamarlo più di una volta. Ho visto alcuni sergenti particolarmente feroci diventare docili come agnelli dopo averlo ammonito.
Adesso è anche peggio di quando lo conobbi tre anni addietro: all’epoca ero solo un soldato semplice e lui il peggior caporale mai esistito, dotato di una sociopatia unica nei confronti dell’umanità. Se ne stava sempre in disparte a pulire il fucile, talmente lucido che un giorno ricevette una medaglia alla pulizia. Poi successe qualcosa e da quel giorno iniziò a coltivare uno spietato odio nei confronti del nemico.
“Credo sia una cosa stupida lavarsi” disse mentre, a piedi in acqua, fissava le increspature alla ricerca di un qualche pesce guizzante.
“Credo sia bellissimo invece. Alle donne non piacciono gli uomini che puzzano di merda.”
“Nemmeno agli orsi, Capobranco-Capitano. Un orso è capace di sentire la tua scia se profumi come le chiappe di un neonato...”

“Rischierò la morte, Gerste. Cosa vuole che le dica?” Strizzai la giacca della divisa per far gocciolare l’acqua. Poi la appesi al cannone della Furia ad asciugare. Era tornata di un bellissimo nero carbone.
“Come le aggrada” grugnì. Corrugando la fronte l’uomo tese la lancia di legno dentro l’acqua.
Quando la estrasse portò via ben tre pesci in un colpo solo.
Nudo e baciato dal sole pensai, in un momento di pace, che tutto sommato la vita aveva anche degli aspetti positivi. La pace in quella valle era talmente presente che per un attimo temetti di essere morto e che tutto ciò fosse un meraviglioso paradiso.
Esclusi questa ipotesi solo quando mi resi conto che nessuna cameriera vogliosa mi avrebbe servito arrosto con contorno.
Rimasi a fissare per un po’ Michael e Lukas giocare come dei cretini a rincorrersi e spruzzarsi l’acqua addosso a vicenda. Poi il sonno ebbe la meglio su di me e chiusi gli occhi senza nemmeno accorgermene.

~

“Capitano?”
Accidenti. Quando siamo arrivati era mattino e adesso il sole sta tramontando. Per l’ennesima volta Tom si era preso il gravoso compito di svegliarmi. Sbadigliando rumorosamente mi accingevo a minacciarlo nuovamente di portarlo davanti ad una corte marziale quando mi accorsi della presenza di un nuovo individuo.
“Salve!” Disse, salutando con un ampio gesto della mano.
“Non usate formalità vero? Non mi piacciono queste cose. E poi questo è un luogo fico. Avete buon gusto per perdervi.”
Rispetto allo scorso anno potevamo ampiamente notare i tagli di budget che l’esercito aveva subito ma nessuno si sarebbe aspettato di trovarsi dinnanzi a-
“Chiamatemi Friedrich. Sono un ricognitore. Sono il settimo di dieci figli ed ho diciannove anni. Mangio più cose qua che a casa. Poi ho una bicicletta.”
“E due Panzerfaust”*
“Bingo! Ho anche delle mine anticarro ed una pistola.”

...Dinnanzi ad un ragazzetto dal volto di bambino allegro reduce da una visita d’istruzione. Ci fissava come un imbecille sorridente, mostrando i due incisivi sporgenti e due denti mancanti.
“Vi piace la mia bici? È nuova! Gli altri miei camerata hanno una moto, ma la bici è più figa perché non devi fermarti a fare benzina. Fico no?”
Non valeva il mio ascolto, per cui decisi di voltargli la schiena e rivestirmi. Il giovane, però, non si perse d’animo.
“Ora scrivo che vi ho recuperato e vi guido nella direzione giusta. La vostra mappa è tutta sporca ma non preoccupatevi, prendete la mia. Conosco la strada a memoria. E poi se ho bisogno di aiuto suono il campanello. Drin Drin.”
Per un attimo pensai di stringere la cravatta fino a strozzarmi, ma ero troppo magnifico per morire in questo modo. Allentai il nodo e mi limitai a sbuffare.
“Soldato, mesi di servizio?”
“Due, signore!”
Capii molte cose.Per un attimo quel ragazzo mi ricordò il cecchino miope dalla parlantina inarrestabile. Solo dopo essermi domandato se il suddetto fosse ancora in vita mi rivolsi nuovamente al giovane.
“Partiremo stanotte. Rosoliamoci quei pesci e non pensiamoci più.”

~

Maik, dopo aver speso un’interminabile pomeriggio a pescare con l’arpione, ci permise di mangiare i frutti del suo raccolto. Mentre le luci della notte iniziavano a scendere su di noi udimmo un misterioso movimento oltre il bosco, tra le fronde degli alberi.
Satolli come maiali ma riposati come usignoli rizzammo le orecchie. Con un ringhio Maik afferrò il fucile.
“Sento puzza di rossi.” Le sue narici si dilatavano a contatto con l’aria, premendo e catturando i profumi in modo simile a come faceva Fiete. Solo che uno era un cane e l’altro no.
I rumori si fecero più vicini. Potevamo udire distintamente dei borbottii lamentosi.
Afferrammo le nostre armi. Diamine, dovevano essere i soldati peggio addestrati del fronte orientale. Il cane dormiva della grossa, così lo destai con un calcetto.
“Caporale Friedrich von Russland, questo non è il momento per dormire” in risposta il cane si stiracchiò e mi portò un macabro giocattolo che Maik gli aveva regalato. Ho sempre avuto il terrore di sapere cose fosse davvero, quell’affare, ma ho sempre sospettato fosse uno scalpo imbalsamato.
“In silenzio, in posizione” ci dividemmo in quattro gruppi, seminascosti dai nostri carri. Acquattato contro la grossa schiena della Furia, sfilai una granata e la lanciai in direzione del rumore che, ogni secondo, diventava sempre più vicino e distinto. Con questa avremmo dovuto guadagnare il tempo necessario a scavare una buca regolamentare. Tom era abilissimo nello scavare fossati ed in poco meno di cinque minuti lui era nascosto con un favoloso MG** posizionato verso il nemico.
Quando la bomba esplose alte urla si alzarono lungo le linee nemiche. Un’orda di soldati selvaggi uscì allo scoperto, pronti a caricare verso di noi.
Stavamo per abbatterli senza fatica quando qualcuno dei nostri ebbe un momento di esitazione.
“Ehi” disse Michael il pacifista, che si era ovviamente rifiutato di sparare.
“Quelli li conosco”
Con i vestiti ridotti a brandelli, senza provviste ed impauriti, i disertori falciavano a grandi passi il terreno in nostra direzione, implorando aiuto a pieni polmoni.
“Siamo noi, siamo noi!” Klaus goffamente spingeva avanti le sue tozze gambe. Quando raggiunse la riva del lago si inginocchiò in acqua, bevendone lunghe sorsate. Gli altri, stremati come lui, caddero a terra poco dopo averci visto.
Solo dopo aver tirato fuori le lingue dai loro corpi svenuti potemmo dedicarci ai pochi ancora rimasti lucidi.
“Capitano, eravamo...munch...sulla buona strada per arrivare in stazione quando...slurpgnam...da lontano avvistammo qualcosa come cinquecento carri russi leggeri che correvano in nostra direzione “ Klaus, dopo aver ripreso i sensi, si era lanciato verso i nostri pesci divorandone una quantità immensa. Li mangiava a coppie di due, noncurante delle teste e delle spine.
“E siamo scappati più veloci che potevamo. Ma loro ci hanno visto ed hanno iniziato a sparare in nostra direzione! Abbiamo provato a dire loro che eravamo amici ma loro mica hanno capito!”
Martin, dopo qualche minuto di incuria esanime, rinvenne. Lo affiancò nello smaltimento dei pesci e noi, come coglioni, osservavamo il nostro cibo scomparire tra le loro avide fauci.
“Oh si” riprese l’amico, cacciandosi in bocca altra roba “poi Chagall è caduto e per un soffio un carro non se lo portava via!”
“Un gran peccato” aggiunsi, fingendomi interessato alle loro folli vicende.
“Così abbiamo deciso di reintegrarci nell’esercito.”
“Si, si!” proseguì Martin, allegro come un fanciullo.
“Saremo i migliori carristi del fronte orientale! Promesso!”

~

Quando il sole scomparve dal cielo per lasciare spazio ala flebile luna, partimmo a buon ritmo per raggiungere la nostra meta.
Dovevamo raggiungere una bella cittadina alle porte di Kursk, posticino di contadine ed agricoltori che si narrava ospitasse i migliori vini ed i migliori bordelli della Russia occidentale.
Sapevamo, erano più voci, che si stava preparando qualcosa di grosso, così ci ammassavamo come matti in direzione del grande scontro. Avevamo diversi giorni di marcia davanti a noi ed avremmo dovuto sfruttarli tutti, visto che abbiamo vagato almeno dieci giorni senza meta, offrendoci lunghe e deliziose pause.
Alberi e monti lasciavano spazio ad un’infinita steppa del sud composta da bassi cespugli e desolazione come solo la pianura sa offrire.
Per fortuna furono anche giornate di sole cocente, di quelli che raramente potevamo trovare in questa parte del mondo. Passavo le giornate con la testa fuori dal carro a scrutare l’orizzonte alla ricerca di una qualche minaccia ma, meravigliosamente, non trovammo mai nulla.
Sembrava quasi impossibile. Ogni tanto, di rado, scorgevamo la fusoliera di un aereo russo sfrecciare sulle nostre teste col tipico rumore da macchina da cucire ma, nonostante fossimo completamente scoperti, non si interessarono mai a noi.
Furono giorni interminabili e monotoni ma fu comunque bello viverli perché furono giorni...tranquilli. Ogni tanto sostavamo a bagnarci le gole e fare manutenzione. Avevamo dei turni di sonno dignitosi e nessuno scontro all’orizzonte.
Si, furono dei bellissimi giorni quelli.
Ma quando a metà viaggio incappammo in prossimità di una trincea alleata, il nostro paradiso personale finì praticamente com’era arrivato.
Il sole era svanito dalle nostre vite. Le nubi si erano nuovamente ammassate sulle nostre teste, lasciando che un tagliente e gelido vento penetrasse nelle nostre carni fino a toccare le ossa.
Si presentò a noi un pezzo grosso, un certo Colonnello von Mayer. Aveva l’aspetto di uno che era stato mandato all’inferno dopo aver goduto troppo a lungo della bella vita di caserma. I suoi minuscoli occhi porcini ci scrutavano sopra i baffi unticci che parevano muoversi in assenza di una bocca.
“Ecco i rinforzi!” disse, spronandoci a scendere dalla Furia.
“Signor Colonnello siamo solo di passaggio, noi-
“Non faccia lo strafottente e scenda subito dal carro! “Le vostre divise non sono regolamentari! Siete sporchi come porci! Non siete forse dei bravi soldati servitori della Nazione o forse siete troppo stupidi per pulirvi gli stivali?”
Ci squadrò con disgusto fin quando i suoi occhi non incontrarono la figura di Maik avvolta nel cappotto di lupo. Il colonnello divenne tutto rosso ed iniziò ad accompagnare grosse sbavate alle urla di delirio.
“Non è regolamentare il suo abbigliamento! Si levi immediatamente quell’abominio di dosso!”
In risposta Wolfmann scrollò le spalle con atteggiamento offeso.
“Insolenti! Sono in grado di formare una corte militare seduta stante! I vostri cadaveri penzoleranno dagli alberi prima della nuova alba!
L’uomo trascinò tutti e cinque dentro quella che sembrava una minuscola casetta da taglialegna.
Lo spettacolo che incontrammo fu però incredibile.
La casa, che inizialmente pensavamo fosse stata saccheggiata, si rivelò colma di ogni ben di dio e anche di più. Fummo accolti da una tavolata imbandita. Profumi di cibo caldo si mescolavano al pungente odore di legna umida. Arrosti, spezzatini, patate al forno e cipollotti lambivano i nostri nasi con fare scherzoso ed irrisorio, facendo brontolare i nostri stomaci vuoti ed avidi.
Uomini stretti occupavano quella piccola piccola sala. Riversi a terra come vermi, molti di loro grugnivano ubriachi con gli ampi ventri che toccavano il pavimento. Alcuni, non soddisfatti, continuavano a mangiare come bestie, lambendo i sughi direttamente dai piatti. Erano tutti ufficiali superiori che accidentalmente si trovavano nel posto sbagliato ma che comunque erano riusciti ad ottenere il meglio da questo schifo di guerra.
“Guardate sti bastardi!” Von Mayer ci spinse davanti a loro, sputando copiosamente ad ogni parola.
“Non si comportano in modo regolamentare! Devono essere giustiziati per mancanza di rispetto nei confronti della nazione!”
Nessuno di loro ascoltava le sue parole. Alcuni erano svenuti dal gran bere. Altri latravano per conto loro, noncuranti delle urla del porcino.
Non si accorse della nostra fuga. Lentamente uscimmo dalla casa e risalimmo nel nostro carro.
Quando l’uomo si accorse di noi eravamo già lontani. Affondò un’ultima volta il grugno nel vino prima di cadere a terra sbattendo la testa sul tavolo.


Note:

*
Fucili anticarro. Era piuttosto comune trovarne due equipaggiati nelle biciclette, accanto al manubrio
** Mitragliatrice con treppiedi 

   
 
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