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Autore: anonymus_00    09/05/2017    1 recensioni
Newt è un ragazzo di strada, perso nella vita a causa della droga. Thomas è solo, introverso e sperduto nel mondo. Chi dei due sarà il primo a lasciarsi salvare?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Newt/Thomas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Satellite Moments [1]


Dolore. Come un calcio nello stomaco. Anzi, non come.

È un calcio nello stomaco.

Trattenendo un gemito mi porto le mani al ventre. Devo cercare di non dargli soddisfazione, così forse smetterà. Il successivo è ancora più forte del primo.

Non urlare. Non urlare. Non urlare.

Lo ripeto nella testa come un mantra, sperando che possa isolarmi dalla realtà portandomi ad un livello superiore dove il dolore e la paura non esistono. Dove non esiste questa vita: la mia vita.

A volte penso cose terribili. Penso che il desiderio delle persone di avere figli sia puro egoismo: costringono i bambini a vivere in mondo che non capiscono senza possibilità di scegliere, sono strappati dal nulla nel quale galleggiano senza esistere, in un paradosso, per essere precipitati in questo mondo folle.

Se me lo avessero chiesto, se mi avessero chiesto "vuoi vivere?" io avrei risposto: No!

Ma nessuno me l'ha chiesto e per sedici anni non ho vissuto, sono solo rimasto a galla cercando di non toccare il fondo, anche quando gli altri mi ci spingevano, a fondo.

Forse Hamilton ha capito questa mia sofferenza nei confronti della vita, forse questo è il suo modo per cercare di liberarmi dal vincolo della vita. Forse, prima o poi, esalerò l'ultimo respiro sotto i suoi calci e di me non resterà che un involucro vuoto.

Ma anche io, nel mio cinismo, riconosco che morire nel cortile della scuola non sarebbe una fine decorosa. E così stringo i denti e, ancora una volta, cerco di tenermi a galla. A galla sulla vita.

- Basta...- gemo quando credo di sentire una costola incrinarsi. Mi raggiunge un conato di vomito e non riesco a trattenermi, in uno spasmo giro il collo e sputo il sangue che mi è risalito dagli organi menomati.

- Cos'hai detto? Parla più forte, non ti sento. - mi schernisce Hamilton e alcuni ragazzi nel cortile, che si sono raccolti per godere dello spettacolo, si mettono a ridere.

Ormai sono sospeso in una sorta di transe e quello che accade lo vivo come in terza persona: vedo il mio corpo steso a terra sul cemento crepato del cortile, sono piegato in due, la testa incassata tra le spalle, la bocca sporca di sangue esattamente come il naso. Lo zigomo è ricoperto da una macchia violacea. Sono sovrastato dal corpo muscoloso di Hamilton, ma alle sue spalle è comparsa una persona che non avevo sentito avvicinarsi; afferra Hamilton per il collo della giacca sportiva  e lo allontana da me.

- Ha detto: basta. - sibila il prof di chimica fissandolo dritto negli occhi.

Il professor Simmons ha uno sguardo capace di farti desiderare di essere morto, ma Hamilton sembra non notarlo e non capisco se si tratti di stupidità o di coraggio. Opto per la prima ipotesi.

- Tornate tutti in classe ragazzi, lo spettacolo è finito, vaglierò l'ipotesi di mettervi tutti in punizione questo pomeriggio per essere rimasti passivamente a guardare. Siete colpevoli esattamente come il sigor Anders. -

In un attimo il cortile si svuota tra mormorii e altre risatine trattenute a stento.

- Dal preside, muoviti.- ordina ancora il professore a Hamilton spingendolo verso l'ingresso della scuola senza troppi riguardi.

Vorrei restare qui, in questo limbo etereo.

Non esisto. Non esisto. Non esisto.

La mia formula magica è cambiata. È meraviglioso il potere che ho di riuscire a manipolare la mia mente con le parole. Ma il professor Simmons non ne è influenzato e si china porgendomi la mano, spezzando l'incantesimo.

- Come ti senti? - lo sguardo duro dedicato a Hamilton si è completamente dissolto, lasciando spazio a due occhi preoccupati e gentili. Dall'aspetto nessuno potrebbe mai dire che si tratti di un professore: Noah Simmons ha venticinque anni ed è appena uscito dall'università. Nonostante l'insperienza è subito riuscito a guadagnarsi il rispetto degli studenti e l'invidia di molti colleghi, oltre ad aver disseminato irrequietezza nella parte femminile del corpo docenti a causa del suo bell'aspetto.

Non si aspetta davvero una risposta. D'altronde come potrebbe sentirsi un adolescente che è appena stato preso a calci a sangue davanti a tutti i suoi compagni? Danni fisici e morali. I primi curabili, i secondi non proprio. Forse con qualche anno di terapia.

- Ne vuoi parlare? -

Scuoto il capo ripetitivamente senza guardarlo. Odio incontrare lo sguardo delle persone. Mi fa sentire vulnerabile, come se già non lo fossi abbastanza.

- Thomas. Lo sai che devo avvertire i tuoi genitori? -

Sembra rammaricato.

Continuo a scuotere il capo.

- La prego non lo faccia.- riesco a mormorare.

- Sono felice che tu non abbia perso la lingua nello scontro. Sai dovresti ricordare di stringere qualcosa tra i denti quando Hamilton ti pesta così, se no rischi di mordertela e e tagliartela. -

Sarcasmo. Rabbrividisco all'idea.

- Ma ovviamente non accadrà più una situazione del genere, vero Thomas? Perchè tu ora verrai nel mio ufficio e faremo due chiacchiere. -

E di cosa dovremmo parlare?

Mio malgrado sono costretto a seguirlo nel suo ufficio.

Lui mi porge un bicchiere d'acqua e lascia che mi ambienti. Non è la prima volta che vengo qui. Solo nell'ultimo mese è la sesta. Mi piace questo posto, è piccolo, ma accogliente, pieno di libri dai titoli stranieri impossibili da leggere. Nonostante la materia che insegna sia chimica mi ha confidato essere un grandissimo appassionato di letteratura.

Quando avvicino il bocchiere alle labbra la pelle spaccata mi brucia, ma cerco di non darlo a vedere e lascio che il liquido mi scivoli giù per la gola, attraversando il mio corpo spezzato.

- C'è qualcosa che vuoi dirmi Thomas? -

Scuoto il capo. Ancora.

- Hai provato a seguire il corso che ti ho consigliato? -

Due settimane fa mi aveva proposto di iscrivermi ad un corso di teatro.

Annuisco.

- E?- mi incalza lui.

- Non mi sono trovato bene. -

- Come pensavo. - sospira lui.

Era stata terribile la lezione. Ci avevano proposto esercizi in cui era necessario mantenere il contatto visivo con gli altri ragazzi e spesso era stato necessario anche il contatto fisico.

Terribile. Terribile. Terribile.

- Lo sai che Hamilton continuerà a infastidirti se gliene lascerai l'occasione?-

- Infastidire mi sembra un po' un eufemismo. - trovo il coraggio di replicare sentendo ancora il sapore del sangue sulla lingua.

- Si, hai ragione. -

Il silenzio che cala nella stanzetta è imbarazzante, mi sento perquisito dallo sguardo del professore ma non ho il coraggio di ricambiarlo.

- Thomas. -

Aspetta che io alzi la testa, ma non lo faccio.

- Lo sai che ci tengo a te? -

Non sapendo cosa rispondere scrollo le spalle.

- Non continuare a farti del male. -

Detto questo mi lascia libero di andare.

Non capisco cosa dovrebbe significare, non sono io a picchiarmi in cortile, sono gli altri a farmi del male. Io esisto e basta. E questo sembra non andare bene a molte persone.

*

Quando scendo dal treno il cielo è meno cupo di questa mattina. Siamo a marzo e il clima freddo e piovoso sta lasciando spazio all'aria fresca e al cielo azzurro. Le persone in stazione mi rivolgono sguardi di compassione soffermandosi sui lividi che ho sul viso e sulla camicia a scacchi sporca di sangue. Mi sembra come se io abbia un cartello tra le mani che annuncia a tutti che vengo picchiato a scuola.

Non voglio tornare a casa. Voglio perdermi in questa città e vivere nei passi delle altre persone. Si può capire molto dal passo di una persona: alcuni sono veloci, rapidi, precisi. Persone sempre di fretta, metodiche. Quelli delle persone in ritardo sono ugualemente rapidi ma meno precisi, sono più che altro traballanti e rischiano spesso di inciampare. Poi ci sono i sognatori: camminano quasi sulle punte, con passi leggeri, a volte incrociando i piedi. C'è chi striscia le suole delle scarpe, chi corre, chi saltella. Ognuno trasmette le sue emozioni e le manifesta attraverso quella che sembra la parte meno significante del corpo: i piedi.

Attraverso la piazza e un suono attira la mia attenzione. È una chitarra. Viene da sotto i portici. La musica si diffonde sopra le teste delle persone e si perde in quest'aria tersa. È una musica allegra, ma quando la voce si unisce al suono delle corde percepisco un contrasto: è una voce pulita, candida, ma piena di cupezza e ciò che dice trasmette un profondo senso di solitudine. Resto pietrificato in mezzo alla piazza a sentire questa canzone avvolgere tutti i presenti: quelli di fretta, quelli in ritardo, i sognatori, gli innamorati, quelli delusi...

Who are the people that make you feel alive?

are any of them standing by your side?

are you chasing every sunset?

are you facing every fear?

are you reaching even higher?

when your dreams all disappear? [1]

[...]

Cerco di trovare, con lo sguardo, colui che sta risvegliando qualcosa dentro di me con questa melodia. Quasi mi sembra di essere l'unico a percepire la musica e mi chiedo se non si tratti solo di uno scherzo della mia mente provocato da tutti i colpi presi a scuola. Magari una commozione cerebrale. È così bella, non sarei in grado di immaginare qualcosa del genere.

cause all our lives are just satellite

here and gone like satellite

satellite moments, light up the sky,

satellite moments, just passing by

[...]

Finalmente lo vedo e, per un istante, il mio cuore perde un battito. È un ragazzo. Avrà all'incirca la mia età, ma lo sguardo sembra racchiudere molti più anni di vita, una vita difficile che odora di pioggia e di fango, di sole e di polvere.

I lineamenti sarebbero dolci se non fossero spezzati dagli occhi duri che talvolta si chiudono come se stesse assaporando una nota più lunga delle altre. Come se ne sentisse il sapore estatico sulla lingua. I capelli biondi gli ricadono spettinati sul viso e il corpo è magro e scavato, quasi completamente nascosto dietro la chitarra segnata che fa suonare come mai ho sentito prima. Non è solo musica, è vita che vibra attraverso le corde.

Lui alza lo sguardo e, ferendo l'oceano di persone nel quale sto affogando, incontra il mio.

E io prendo fiato.

Per poi ricominciare ad annegare.

 

NOTE:

 [1] Satellite Moments - Charlie Fink & Luke Treadaway (Dal film "A Spasso con Bob")

 

Angolo autrice

Prima Newtmas che penso e che scrivo, non ho idea di cosa ne verrà fuori. Spero che siate sopravvissuti a questo primo capitolo, vi andrebbe di farmi sapere cosa ne pensate? Mi farebbe piacere :)

Scusate gli errori ma non ho tempo di rileggere, quindi pubblico di getto :)

Spero di tornare presto!

 

   
 
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