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Autore: Sophja99    10/05/2017    4 recensioni
Sono ormai passati milioni di anni dal Ragnarok, la terribile sciagura che ha provocato la morte di quasi tutti gli dei e le specie viventi e la distruzione del mondo, seguita dalla sua rinascita. Grazie all'unica coppia di superstiti, Lìf e Lìfprasil, la razza umana ha ripreso a popolare la nuova terra. L'umanità ha proseguito nella sua evoluzione e nelle sue scoperte senza l'intercessione dei pochi dei scampati alla catastrofe, da quando questi decisero di tagliare ogni contatto con gli umani e vivere pacificamente ad Asgard. Con il trascorrerere del tempo gli dei, il Ragnarok e tutto ciò ad essi collegato divennero leggenda e furono quasi dimenticati. Villaggi vennero costruiti, regni fondati e gli uomini continuarono il loro cammino nell'abbandono totale.
È in questo mondo ostile e feroce che cresce e lotta per la sopravvivenza Silye Dahl, abile e indipendente ladra. A diciassette anni ha già perso entrambi i genitori e la speranza di avere una vita meno dura e solitaria della sua. Eppure, basta un giorno e un brusco incontro per mettere in discussione ogni sua certezza e farle credere che forse il suo ruolo nel mondo non è solo quello di una semplice ladruncola.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo trentuno

Døkkr Vargr


Silye si sedette su una roccia, circondata da cespugli e un intrico di rami, tanto grande che dovette stare attenta perché i suoi ricci non finissero impigliati tra di essi. Avevano camminato solo pochi minuti, giusto il tempo di arrivare fino all'estremità del bosco di Hoddmímir, esattamente all'inizio di esso.

Quando Vidar le aveva detto di fermarsi, lei inizialmente aveva protestato poiché, a suo parere, avevano percorso ben poca strada e la capitale era ancora lontana, ma, dopo che lui le ebbe spiegato che era per riflettere sulla strada da prendere, lei accolse la sua decisione. Il ragazzo aveva quindi tirato fuori dalla bisaccia un foglio di carta leggermente rovinato ai lati e sgualcito; doveva essere rimasto a lungo chiuso nella sua borsa e questo doveva averlo danneggiato.

«Cos'è?» aveva chiesto la ragazza, allungandosi per guardare cosa vi fosse scritto. Rimase stupita invece nel vedere disegni di alberi, montagne e case tutte in miniatura. Erano stati riprodotti in modo maniacale e con estrema cura, quasi come le raffigurazioni del suo libro delle völve.

«Una mappa» disse, quando Silye era già arrivata a capirlo. Riconobbe la sua casa, il bosco di Hoddmímir, che occupava gran parte del regno e che arrivava fino ai monti Hlekker e, ancora più in alto, ai ghiacciai Kala. Intorno e sotto alla foresta, invece, stavano disseminati i vari villaggi, molti dei quali non conosceva nemmeno, come quelli che si trovavano ai confini più lontani del regno. Per contro, avrebbe saputo ripetere a memoria ogni abitazione, strada e bottega di quelli in cui più e più volte era andata a rubare, come Vél, Býl, e Bǿnir.

«Non so se sia meglio passare per Dugr e ripercorrere il corso del fiume Net o per Bǿnir, il bosco di Lundr e infine Trúar per raggiungere la capitale Gudir. Il problema della seconda opzione è che non potremo abbeverarci con l'acqua del fiume e noi non abbiamo abbastanza riserve. Dovremo per forza fermarci in qualche osteria.»

«Per me non è un problema» affermò Silye, sedendosi accanto a lui. «Anzi, credo che sia meglio passare proprio per il bosco; ci offrirà una migliore protezione.»

«E allora vada per Bǿnir» disse Vidar, piegando di nuovo la cartina e riponendola nella bisaccia.

«Dove hai preso quella mappa?» chiese la ladra, incuriosita. Non esistevano molti libri e fogli come quello di Vidar e i pochi che si potevano trovare a Midgardr erano costosi e accessibili solo ai più ricchi. Arild era riuscito a rubarne qualcuno e tramite quelli le aveva insegnato l'alfabeto e perlomeno a leggere i testi più facili, ma sempre con qualche difficoltà.

«L'ho trovata ad Asgard. È vecchia di diversi anni. Deve averla comprata da un umano uno degli dei che sono ancora in vita come me. Forse anche Baldr.» I suoi occhi incontrarono quelli di lei. «Come mai ti interessa tanto?»

«È solo che... Non ho mai avuto l'opportunità di vedere sul serio l'assetto del regno. Insomma, conosco i suoi tratti generali, ma solo per sentito dire. Non avevo mai visto Midgardr nella sua interezza. Mai attraverso la carta, figurati se l'ho vista dal vivo.»

Si rese conto di quanto dovesse sembrare stupida agli occhi di Vidar, un dio che nella sua vita doveva aver visto milioni di cose. Insomma, non conosceva nemmeno il suo stesso regno, e dire che era anche una veggente, con il dono di poter vedere anche gli eventi e i fenomeni lontani nel tempo e nello spazio. Eppure, nello sguardo di Vidar non c'era alcun segno di sprezzo o altezzosità. «Forse un giorno avrai la possibilità di vederla. Ti auguro davvero di renderti conto della bellezza di cui sei circondata» disse, guardandosi intorno come a sottintendere di stare parlando dell'intera Midgardr.

Lo spero pensò Silye, abbassando lo sguardo per evitare quello di Vidar. Era in quei frangenti che si rendeva conto dell'enorme abisso che li divideva. Lui un dio ultracentenario, un eterno ragazzo, mentre lei un'umana con la patetica capacità di vedere il futuro, del tutto inutile dato che non stava portando i suoi frutti e che ancora non riusciva a controllarla e sfruttarla.

Silye si riscosse da quei pensieri. Non era il momento di soffermarsi a riflettere sulle loro esistenze, non quando li attendeva un lungo e difficoltoso viaggio. Si alzò insieme a lui e imboccarono la strada che portava al villaggio.


Fecero una sola tappa a Bǿnir, dove arrivarono all'alba e rimasero per poco, giusto il tempo di comprare qualcosa al mercato cittadino da tenersi da parte per il resto del viaggio. Quindi oltrepassarono senza problemi Bǿnir e il bosco di Lundr che lo circondava, spesso utilizzato dai cacciatori dei villaggi vicini per andarvi a caccia, non avendo il coraggio di entrare in quello di Hoddmímir. Silye quasi non era abituata a vedere un bosco tanto piccolo, praticamente nulla rispetto alla foresta in cui aveva vissuto gran parte della sua esistenza. Nonostante fossero lampanti le differenze, come soprattutto negli alberi, più bassi rispetto a quelli di Hoddmímir, in quel bosco si sentiva bene, più di quanto potesse in un qualsiasi villaggio. Probabilmente, se avesse potuto tornare indietro al momento in cui aveva deciso di declinare la richiesta di sua zia Astrid di andare a vivere da lei, avrebbe lasciato tutto invariato, senza cambiare la scelta che aveva fatto.

Quasi le dispiacque dover lasciare il bosco e la sua tranquillità, ma dovevano proseguire il viaggio se volevano arrivare a Gudir il prima possibile.

Camminarono tutto il pomeriggio lungo le terre e le pianure deserte che li dividevano dal villaggio, dove giunsero al tramonto. Trúar era una cittadina ben più grande e popolosa di quelle che circondavano Hoddmímir, poiché là risiedevano diverse famiglie nobili per la vicinanza a Gudir. Tra le due città, infatti, si frapponeva solo un piccolo bosco e di solito a Trúar vi si recavano gli aristocratici durante il periodo estivo per allontanarsi per un po' dalla vita di corte e della capitale e per godersi la campagna. Ora, però, era inverno e con ogni probabilità avrebbero trovato la città quasi deserta.

E, di fatto, forse anche perché erano arrivati proprio nell'ora in cui tutti si erano ormai rintanati a casa per mangiare con le loro famiglie, vennero accolti da un silenzio innaturale e quasi spettrale, che regnava sulle strade del paese. Gli unici rumori che si potevano sentire provenivano dai piani alti degli edifici, in cui si trovavano le abitazioni, mentre il pianterreno era riservato alle botteghe e ai locali mercantili, ora tutti chiusi. Le vie erano illuminate solo dalla fioca luce proveniente dalle finestre e dai palazzi, poiché il sole era già tramontato da un pezzo.

«Ci fermiamo alla prima locanda che vediamo» ripeté Vidar, mentre si guardava intorno alla ricerca di un'insegna o qualsiasi cosa che segnalasse la presenza di un'osteria.

«Lo so: me l'hai già detto prima di entrare a Trúar» ribatté la ladra.

«È solo per assicurarmi che tu abbia capito e che ti sia tolta di testa qualsiasi strana idea.»

«Tranquillo, non ho alcuna intenzione di mettermi a rubare. E poi non ci guadagnerei nulla a quest'ora del giorno. Insomma, guarda: questo villaggio sembra abbandonato.»

«Intendi che non merita che i suoi cittadini siano derubati da te perché non è abbastanza popoloso? Devi perdonarlo se non è all'altezza...»

«Idiota» disse Silye, già pronta a nuove frecciatine e liti, ma, quando si voltò a guardarlo, si accorse che lui stava ridendo. Non era un sorriso canzonatorio o vagamente sprezzante, bensì uno genuino, come solo rare volte aveva avuto la fortuna di guardare. Detestava ammetterlo, ma le piaceva vederlo sorridere, osservare il modo in cui gli si illuminava il viso e gli occhi ambra mentre lo faceva.

Distolse subito lo sguardo, imbarazzata da quei pensieri. Ma cosa le stava succedendo?

«Guarda» disse Vidar all'improvviso, indicandole un locale poco più avanti, su cui capeggiava un'insegna con su scritto Døkkr Vargr¹. «Quella dovrebbe essere un'osteria.»

«Sì. Andiamo.» Da fuori sembrava deserta, il luogo perfetto in cui passare tranquillamente la serata, poiché alle loro orecchie giungevano solo voci e suoni attutiti, ma, quando aprirono la porta e fecero il loro ingresso, si accorsero che in realtà la locanda era pienza zeppa di gente. Era come essere entrati nel caos più totale, con persone, la maggior parte già ubriache a quell'ora ancora non troppo tarda, a chiacchierare o urlare contro gli altri. Molti giocavano a carte e non mancavano liti e zuffe con chi aveva barato o vinto tutto il denaro degli altri giocatori; a un lato un musicista suonava un'incantevole melodia con il fiato, circondato da un gruppo di persone rapite da quel canto armonioso. L'attrattiva, però, non erano solo il cibo e il liquore, che, eppure, scorrevano e passavano a volontà tra i clienti, ma le prostitute, che giravano per la stanza nei loro abiti succinti, cercando di abbordare gli avventori, soprattutto quelli ubriachi e più accondiscendenti. Oltre che locanda, quello doveva essere anche un bordello.

«Dove siamo finiti?» domandò Silye, esterrefatta. Era stata milioni di volte in botteghe e locande, per approfittare del disordine che si creava nella notte per rubare dalle persone più distratte o troppo sbronze per accorgersene, ma mai in un bordello.

«Se lo stai chiedendo a me, in un posto meraviglioso» disse Vidar, soffermandosi sulla profonda e generosa scollatura di una donna, che, passando loro davanti, lanciò uno sguardo lascivo al dio.

«Tieni a freno i bollori, dobbiamo ripartire tra meno di un'ora» lo avvertì la ladra.

«Posso fare in fretta. Sarò svelto come un fulmine» provò Vidar.

«Non provarci nemmeno» lo ammonì Silye, con espressione disgustata, afferrandogli il braccio e trascinandolo verso uno dei pochi tavoli liberi. «Non possiamo perdere tempo e dobbiamo rimanere lucidi.»

Si misero seduti e Silye alzò il braccio per cercare di attirare l'attenzione di una delle cameriere, evidentemente molto impegnate a prendere le varie ordinazioni e a servire i numerosi clienti. Per sua sfortuna, nessuna la notò, tutte troppo occupate a consegnare boccali stracolmi di birra e altri liquori o piatti riempiti di cibo.

«Rimani qua. Vado io ad ordinare» disse Vidar, alzandosi.

Silye annuì. «Ma nessuna distrazione. Se ci metti troppo, vengo a cercarti e, se ti vedo a fartela con una di queste prostitute, ti strozzo con le mie mani» lo avvertì. L'altro rispose con un sorriso, prima di sparire tra la gente presa a fare baldoria e azzuffarsi.

Dovettero passare solo pochi minuti prima che il dio ricomparisse, con due bicchieri tenuti tutti in una mano per i manici e sull'altra un piatto su cui poteva scorgere qualche pezzo di pane e carne.

Vidar si mise seduto e poggiò tutto sul tavolo.

«Sono fiera di te, sei riuscito a resistere alla tentazione.»

«E non è stato facile, perché sono subito stato adocchiato da una decina di donne.»

«Modesto» commentò. «Cos'è?» chiese poi Silye, scorgendo un liquido tra il rosso scuro e il nero nel boccale che il ragazzo le passò. Non aveva mai bevuto liquori, né conosceva molto di essi; a stento ricordava i nomi. In quegli anni aveva avuto mansioni più importanti di cui occuparsi di sbronze notturne nelle locande.

«Assaggia e lo scoprirai» disse, già con il bicchiere alla bocca a trangugiare il liquore.

La ladra lo guardò con aria interrogativa, ma in seguito si decise a provarlo, sebbene il colore non fosse affatto invitante. Se lo portò alla bocca e ne assaggiò un po'. Come inghiottì il liquido, sentì la gola e lo stomaco bruciarle e tossì. «Cos'è questa roba?» chiese.

«Vino. Tranquilla, al secondo sorso sarà più facile mandarlo giù.»

Lei lanciò un'occhiata sospettosa alla bevanda, ma dovette ammettere che il gusto non era male. Ne bevve un altro po' e dopo altri sorsi cominciò ad abituarsi alla sensazione di calore che l'alcolico le infondeva. «Beh, non è male.»

Nel giro di pochi minuti arrivò fino al fondo del bicchiere e se ne accorse con una punta di dispiacere.

«Ne vuoi ancora?» chiese Vidar, anche lui con il boccale vuoto.

Silye annuì. «Beh, i soldi non ci mancano. Quindi, perché no?»

Vidar si affrettò ad andare ad ordinare, mentre la ladra mangiucchiava qualche pezzo di carne. Il dio tornò poco dopo con un'intera brocca colma di vino fino all'orlo.

«Ma sei matto? Perché ne hai preso tanto?»

«Zitta e bevi» affermò, versandole dell'altro vino nel bicchiere.

Silye avrebbe dovuto rifiutare, poiché non era abituata a bere una tale quantità di alcolici, ma quella bevanda era troppo buona per rifiutarsi. E, dopotutto, cosa c'era di male? Si meritava una serata di baldoria dopo tutto quello che aveva passato per dare a Vidar le visioni che tanto voleva.

«Skål²» gridò Vidar, per farsi sentire sopra le urla degli altri avventori, facendo cozzare i loro bicchieri.

La ladra mandò giù due lunghe sorsate, ignorando il pizzicore alla gola e al petto che queste le provocarono. Lanciò un'occhiata a Vidar, che finì l'intero boccale nel giro di pochi secondi, con una tale voracità che alcuni rivoli di vino colarono fino al mento, scendendo fino al collo. Silye rimase a fissare la parte di pelle lasciata scoperta dalla maglia e il pomo d'Adamo sollevarsi ed abbassarsi mentre Vidar aveva la testa reclinata indietro, intento a mandare giù il liquido. Si immaginò come dovesse essere toccargli la pelle, sentirla tendersi sotto il passaggio delle sue dita...

I suoi pensieri, però, si bloccarono bruscamente quando lui abbassò di nuovo la testa, sbattendo il bicchiere sul tavolo. Cosa diavolo mi prende? si domandò Silye, colpita dalla reazione che il solo vedere il collo scoperto di Vidar le aveva provocato. Cercò di non pensare a ciò a cui l'aveva portata la sua immaginazione e si affrettò a finire il bicchiere.

«Allora, che ne pensi?» chiese il dio, versando altro vino nei loro bicchieri.

«Che questa roba è davvero buona» disse Silye, sorridendo e bevendone dell'altro. Fino ad allora non aveva mai nemmeno posato lo sguardo su degli alcolici, eccetto in quelli bevuti dalle vittime delle sue ruberie; nelle occasioni in cui era andata in altre locande, non aveva mai preso birra o altri liquori altrettanto forti, perché doveva rimanere lucida e al massimo delle sue facoltà per far riuscire il furto. Ora, però, si sentiva incredibilmente leggera: non aveva nulla ad appesantire la sua mente, nessuna ruberia, né altro. Non doveva pensare a guadagnarsi il denaro sufficiente per vivere; poteva averne quanto voleva, grazie a Vidar e ai suoi lingotti d'oro. In realtà, in quel momento, anche il pensiero delle völve e del suo compito le appariva lontano, insignificante. In fondo, cosa le poteva importare a lei di quelle stupide megere e di Nidhöggr?

All'improvviso scoppiò a ridere. Tra centinaia di persone, quelle idiote sono andate a scegliere proprio me. La ladra più sfortunata dell'intera Midgardr. Stranamente la cosa la divertiva, anziché sconvolgerla.

«Che ti prende?» le domandò Vidar, guardandola con un soppracciglio aggrottato, come se la considerasse una matta.

Lei scosse la testa, ma senza smettere di sghignazzare e continuare a sorseggiare il vino, rischiando di buttarselo addosso.

Silye si guardò intorno, ma si accorse che improvvisamente le grida e le risate degli altri avventori le giugevano come ovattate. Poteva sentirle, ma non chiaramente. Era come se tutti i suoi sensi e la sua mente andassero a rilento. Per certi versi rasentava i momenti immediatamente precedenti ad una visione, solo che in quel caso non giungeva nulla, ma tutto rimaneva smorzato.

In tutta quella confusione, però, riuscì a scorgere in lontananza cinque individui entrare e farsi largo tra la gente, per avvicinarsi al bancone e all'oste. Non sapeva perché li stesse guardando, ma c'era qualcosa in loro, nei loro movimenti e nel modo in cui si guardavano intorno, che le diede un senso di preoccupazione. Gli uomini mostrarono all'oste due fogli, che Silye non riuscì a vedere perché girati, chiedendogli qualcosa. L'uomo rispose indicando proprio verso il loro tavolo. Quelli si voltarono a guardarli e vide alcuni di loro tirare fuori cautamente dei coltelli.

La ladra si girò a guardare Vidar, intento a bere e a gettare a volte lo sguardo verso un gruppo di prostitute. «Guai in vista» mormorò Silye.



¹ Lupo Nero

² Alla salute

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Angolo dell'autrice:

E per la serie "Situazioni improbabili" ecco Silye e Vidar in un bordello e una Silye più sbronza del solito (e anche del dovuto). Chi saranno poi gli uomini che li hanno puntati e cosa avranno intenzione di fare?

Spero il capitolo vi sia piaciuto! Grazie mille a tutti coloro che continuano a leggere!<3

A presto, carissimi!

   
 
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