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Autore: SheDark    11/05/2017    0 recensioni
Tratto dal testo:
"Luke e Calum, divenuti miei amici per buffe coincide, erano diversi come il giorno e la notte e, proprio come il giorno e la notte che non potevano esistere se non senza l'altro, la mia vita mi era parsa vuota e non potevo più immaginare di poter stare in assenza della loro amicizia.
Volevo bene ad entrambi ma sapevo che avrei dovuto fare una scelta: Luke, il biondo che mi era piaciuto dalla prima volta che l'avevo visto e la cui misteriosità mi intrigava, o Calum, il moro capace di farmi ridere come nessun altro e che si era catapultato nella mia vita rendendola più spensierata?
Sarebbe stato estremamente difficile scegliere... buio o luce?"
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Seconda storia della serie 5 Stuff Of Season (5SOS)
Genere: Comico, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Calum Hood, Luke Hemmings, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '5 Stuff Of Season (5SOS)'
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Inizialmente non fu facile ambientarsi nella nuova casa, e soprattutto nel nuovo quartiere, e mi ci volle una settimana buona per riconoscerla tra tutte quelle vicine.
Una volta scambiai la villetta accanto per la mia: avevo bussato sicura alla porta e, solo dopo essermi trovata davanti una vecchietta ed aver notato un esercito di gatti all'interno, mi ero resa conto di aver sicuramente sbagliato; mi scusai all'istante e lei mi chiese tutt'altro che gentilmente di tenere lontano i miei cani dai suoi amati felini, due di essi che si stavano strisciando sulle sue gambe venose mi soffiarono come a valorizzare le parole della padrona. Me ne andai a gambe levate ripromettendomi che avrei fatto attenzione a non fare più figure del genere, anche se sapevo che non ci sarei riuscita: io e le figure di merda andiamo a braccetto.
Una cosa positiva di quel quartiere era che si trovava abbastanza vicino alla mia scuola e che quindi non dovevo più svegliarmi tre ore prima come succedeva invece alla vecchia abitazione. Inoltre mio padre solitamente mi dava  un passaggio mentre andava al lavoro e, a parte i rari giorni in cui ero obbligata a prendere i mezzi pubblici, arrivavo persino in anticipo.
Il fatto che quel martedì mattino fosse proprio uno di quei rari giorni e che io avessi disattivato la sveglia anziché rinviarla non mi aiutò ad avere un buon risveglio: quando mi accorsi che era piuttosto tardi e che avevo appena cinquanta minuti per essere a scuola mi alzai imprecando ed iniziai ad insultami da sola per essere sempre tanto pigra. Perché il letto diventa così dannatamente comodo la mattina?
Indossai velocemente una schifosa tuta in vista delle prime tre ore di educazione fisica, presi ben due zaini e mi precipitai giù dalle scale, passai dalla cucina per afferrare un pacco di biscotti -la mia colazione- ed uscii dalla porta sul retro. Come se non bastasse, appena arrivata sul vialetto con il fiato corto per aver fatto il giro della casa di corsa, l'autobus mi sfrecciò davanti,  tentai di rincorrerlo sbracciandomi per indurlo a fermasi ma senza risultati, inutile dire quanti santi tirai giù verso l'autista. Sbuffando guardai l'ora sul cellulare constatando che avevo ancora trentadue minuti per arrivare in orario, tornai nel giardino per prendere la mia bicicletta, con lo zaino più pesante con i libri e i biscotti nel cestino mentre quello con la  divisa della scuola in spalle, inforcai il manubrio iniziando a pedalare riuscendo fortunatamente ad arrivare a scuola con solamente cinque minuti di ritardo.


«Ehi Sophie, non abbiamo nemmeno iniziato e già col fiatone?» scherzò Samantha riferendosi alla mia faccia paonazza. Ero consapevole di essere in uno stato pietoso: con le guance rosse ed alcune ciocche appiccicate alla fronte. «Perso il bus stamattina?» commentò sedendosi accanto a me sul pavimento bordeaux della palestra, «Ti ho visto dal finestrino.» ammise con un sorriso dopo che mi fui voltata verso di lei.
Annuii mentre cercavo di sistemare i capelli nell'unico modo in cui la lunghezza e i boccoli mi permettevano: due codini stupidi che non avevano senso di esistere. «Quel maledetto dell'autista non si è voluto fermare.»
«Me ne sono accorta,» rise, «però credo che ti abbia sentito.»
«Oh, ops...» ero mortificata: avrei aggiunto la scenetta alla lmia unga lista delle figure di merda. «Bhe, almeno la prossima volta si fermerà!» iniziai a ridere unendomi a lei.
Da quando abitavamo vicine Samantha si fermava più spesso a parlare insieme a  me e la cosa mi rendeva felice, era una delle poche persone con cui avevo legato a scuola, e forse saremmo diventate buone amiche. Il divertimento durò poco poiché l'insegnate, una donna sulla cinquantina dal fisico palestrato e il taglio mascolino, ci obbligò ad iniziare la lezione con dei giri di corsa della palestra.
«Ti prego: uccidimi!» dissi affiancando Samantha. Non ero mai stata una persona molto atletica.
«Solo se tu poi uccidi me!» commentò anche lei con il fiatone, «Da quanto corriamo? Non ne posso più.»
«Non lo so, ma dieci minuti dovrebbero essere quasi passati. Spero.»
«Todd. Harris. Meno chiacchiere, più gambe.» ci richiamò l'insegnante.
«Prof, quando possiamo fermarci?» chiese la mia amica.
«Quando ve lo dirò io,» disse di rimando la donna, «e visto che avete ancora abbastanza fiato per parlare: ancora altri dieci minuti.»
«Ma ci prende in giro?» sussurrò sconcertata Samantha.
«Quella donna è sadica.» commentai sottovoce.
«Secondo me non scopa abbastanza.» si lasciò sfuggire la mia amica facendomi ridere.
La professoressa (che per fortuna non ci aveva sentito) ci richiamò nuovamente e poi decise di separarci perché parlavamo troppo.


Il resto della giornata non andò meglio: il mio migliore ed unico amico non era venuto a scuola e quindi finii per passare la ricreazione e la pausa pranzo da sola, poi l'insegnante di matematica ricordò alla classe che il giovedì di quella  settimana avremmo avuto una verifica ed io caddi dalle nuvole dato che non me lo ricordavo e non avevo nemmeno idea su che cosa fosse, in fine all'ultima ora mi arrivò un messaggio ma quando provai a leggerlo il professore di letteratura mi vide e me lo ritirò restituendomelo fortunatamente a fine lezione. Per continuare in bellezza aveva anche iniziato a piovigginare ma, dato che non mi andava di abbandonare la bicicletta a scuola per prendere l'autobus (scelta che sarebbe stata decisamente più saggia), decisi che per due gocce potevo resistere, peccato che pochi minuti dopo cominciò a diluviare più forte ed io non potei che pentirmi della mia decisione. Ero indiscutibilmente una cogliona!
Arrivai a casa fradicia ed infreddolita, abbandonai la bici per correre alla porta iniziando a suonare il campanello  assaporando già il calore che avrei trovato all'interno. Aspettai che mia madre mi venisse ad aprire, ma dopo che furono passati alcuni minuti mi insospettii, così presi il cellulare ricordandomi del messaggio ricevuto poco prima in classe: mamma mi avvisava che era dovuta andare al lavoro per sostituire una sua collega e che sarebbe tornata per cena. Feci quindi per prendere le chiavi sicura di averle, cercai nelle tasche e svuotai entrambe le borse, ma di esse nemmeno l'ombra. Baciata dalla sfiga proprio!
A quel punto mi venne in mente un'idea geniale per poter entrare in casa anche senza disporre delle chiavi. Recuperai la bicicletta per posarla nel giardino posteriore e poi mi avvicinai alla porta sul retro analizzando la porticina basculante: se i cani ci passavano perché non potevo farlo anche io?
Prima spinsi all'interno le due borse e poi mi infilai io: feci passare le braccia, seguite dalla testa e poi mezzo busto, ma quando toccò al fondo schiena mi resi conto che quel paio di chili in più -da cui non riuscivo liberarmi- mi impedivano di far passare il resto del mio corpo. Amareggiata  tentai di tornare fuori ma mi accorsi di essere incastrata: non potevo ne uscire ne entrare.
«Magnifico, davvero magnifico! Una fantastica giornata di merda!» commentai sbuffando cercando di prendere il mio cellulare dalla tasca della borsa, nel frattempo Snow e Piggy mi avevano raggiunto nella cucina e mi osservavano incuriositi.
Il mio migliore amico rispose subito, «Adam, ho un problema!»
«Ciao anche a te So, dimmi tutto.»
«Sono rimasta chiusa fuori casa.» spiegai.
«Capito. Se vuoi poi andare da me, la chiave di riserva è nel vaso, lo sai. Ti raggiungo quando ho finito.»
«Grazie, ma non posso. Sono... Stai giù tonto di un cane, smettila!» mi interrompei per gridare a Snow che aveva iniziato a leccarmi la faccia.
«Ti prego dimmi che non hai fatto quello che penso che tu abbia fatto.» commentò il mio amico.
Adam mi conosceva così bene che poteva persino averci azzeccato. «Bhe, dipende. Cosa pensi che abbia fatto?» chiesi innocentemente.
«Hai provato ad entrare dalla porticina per cani e sei rimasta incastrata.» lo disse come se fosse la cosa più semplice del mondo. Come diavolo aveva fatto? Il mio silenzio fu preso come una risposta positiva, «Oh mio dio, l'hai fatto veramente!» la risata fragorosa del mio amico mi raggiunse e dovetti allontanare il cellulare per non assordarmi.
«Smettila, non è divertente!» lo ammoni, in realtà in altre circostanze avrei riso sicuramente anche io. 
«Scusa Sophie, però devi ammettere che è memorabile come cosa. Ma come ti è saltato in mente?» commentò continuando a ridere.
Sbuffai alzando gli occhi al cielo, «Puoi venire ad aiutarmi?»
«Cosa? Mi spiace, ma...»
«Ti prego! Ti sto implorando in ginocchio!» ed effettivamente lo ero veramente, «Non posso rimanere così fino a stasera.»
«Sai che sarei accorso subito solo per poter fare una foto e poterti poi ricattare.»
«Grazie mille, bell'amico!» ironizzai.
«...Ma sono dal dentista e tra poco è il mio turno, non posso proprio andarmene.» si interruppe un attimo, «Ecco: tocca a me. Ciao Sophie, e buona fortuna!»
«Contavo su di te!» gli gridai prima che spegnesse la chiamata. Ed ora che faccio?
Lasciandomi sfuggire varie maledizioni continuai a tentare di liberarmi ma purtroppo con scarsi risultati: avevo avuto una pessima idea!
Sentii il campanello suonare e non potendo andare ad aprire rimasi in silenzio, poco dopo qualcuno iniziò chiamarmi e io non sapevo se gioire sperando in un'anima gentile che mi avrebbe salvato da quella situazione imbarazzante o se continuare a fingere di non esserci per evitare un'ulteriore figuraccia (per quella giornata ne avevo già fatte abbastanza). Non dovetti scegliere dato che avvertii il cancelletto del giardino cigolare e poi dei passi percorrere il perimetro della casa avvicinandosi.
«Sophie, sei in casa?»
«Samantha? Oh Sam, grazie al cielo sei tu!» se mi avesse aiutato senza fare commenti a riguardo sarebbe stata un'amica perfetta. «Sono qui!» dissi muovendo le gambe per attirare la sua attenzione.
«Sophie... che ci fai lì?» chiese sconcertata, mi accorsi che tratteneva a stento  le risate ma non potevo biasimarla: quella scena era davvero comica.
«Fingevo di essere un cane,» cercai di sdrammatizzare provando anche a ridere, ma ne uscì una mezza risata nervosa «però sono rimasta incastrata.»
«Oh ok,» aveva capito che stavo mentendo ma non fece domande, «aspetta che ti aiuto.»
Samantha mi prese per le caviglie ed iniziò a tirare mentre io cercavo di renderle l'azione più semplice spingendomi indietro con le braccia facendo pressione sulle mattonelle della cucina. Dopo un paio di tentavi e varie imprecazioni da parte di entrambe riuscimmo finalmente a liberarmi, sedute sul lastricato ancora bagnato dalla pioggia che aveva smesso di cadere ci guardammo in faccia iniziando a ridere.
«Questa cosa rimarrà tra noi!» dissi puntandole l'indice contro fingendo di minacciarla.
«Te lo giuro!» promise facendosi una “X” sulla bocca con le dita. «Però ora mi devi dire che cosa stavi facendo veramente.»
«Sono rimasta chiusa fuori. Il resto penso si capisca da sé.» ammisi alzandomi ed aiutando poi anche lei a fare lo stesso riprendendo a ridere.
«E non ti è passato per mente di venire da noi?»
Giusto, perché non ci avevo pensato? Ah già: sono troppo timida per solo immaginare di scomodare qualcuno. «In verità no. Non volevo disturbare.»
«Ma quale disturbo? Non provare nemmeno a pensarlo!» mi ammonì affettuosamente.
«Grazie.» poi pensai che Sam fosse lì per un motivo, «Come mai mi stavi cercando?»
«Ah già! Per sbaglio nello spogliatoio ho preso la tua maglietta e sono venuta a restituirtela, l'ho posata là.» spiegò indicando il tavolino di ferro alle nostre spalle, sullo schienale di una delle sedie c'era la mia t-shirt nera. Non mi ero nemmeno accorta di non averla presa.
Samantha mi invitò da lei e senza nemmeno aspettare una risposta mi prese sotto braccio per trascinarmi verso casa sua, proprio in quel momento qualcuno ci raggiunse nel giardino.
«Ecco il tuo salvatore che accorre in tuo aiuto:» riconobbi la voce di Adam, «ho anche portato della vasellin...» Il mio migliore amico si presentò esibendo un barattolo che nascose subito dietro la schiena quando si accorse che non ero da sola, notai che era evidentemente deluso nel trovarmi fuori dai guai.
«Ehi Adam, come vedi ho già fatto: e senza il tuo aiuto!» dissi facendo una smorfia che il ragazzo dai capelli rossi ricambiò.
«Samantha lui è il mio migliore amico: Adam Cooper. Adam lei è Samantha Harris: la mia salvatrice.» dissi facendo le presentazioni.
«Stavamo andando a casa mia, ti unisci a noi?» gli chiese Samantha ed io mi meravigliai dell'ospitalità di quella ragazza.
«No, ma ti ringrazio.» reclinò l'invito e si incamminò per poi tornare indietro come se avesse dimenticato qualcosa, «Ti prego dimmi che hai almeno fatto una foto.» chiese alla mia amica.
Sam si morse il labbro con fare colpevole annuendo, ed io mi voltai di scatto fulminandola con lo sguardo. «Scusa Sophie, ma faceva troppo ridere!» La scusai non potendo darle torto.
«Oh ma io ti adoro!» commentò invece il mio amico esuberante come sempre, «Me la passi, vero?»
«Solo con il consenso di Sophie.»
Adam iniziò a fissarmi aspettando una risposta. «È ovvio che è un no.» gli dissi ridendo e ricevendo un dito medio da parte sua, «Anche io ti voglio bene scemo!» commentai mentre si allontanava.
«Anche io matta, ci vediamo domani!»
«Vedi di venire a scuola sta volta!» gli gridai dietro prima che andasse via definitivamente.
 

Appena entrai nella casa di Samantha mi dovetti ricredere sull'idea che mi ero fatta sulle case di quel quartiere che, sebbene fossero identiche all'esterno, non lo erano affatto all'interno, o almeno la sua non lo era. All'ingresso c'era sempre la scala ad L, ma la porta accanto dava su un grande soggiorno, mentre la cucina e la sala da pranzo si affacciavano entrambe sull'ingresso; il piano superiore era invece completamente diverso, c'erano quattro stanze disposte a due a due sul corridoio centrale, l'unica cosa identica era il balconcino che dava sul lato posteriore della villetta.
Samantha mi presentò a sua madre, Rose-Anne, che trovammo nella sala da pranzo intenta ad aiutare il fratellino minore di Sam a fare i compiti, poi mi invitò in camera sua dove mi prestò degli indumenti mentre i miei, che erano ancora umidi di pioggia, si asciugavano su un termosifone.
«Che stavi facendo?» chiesi notando dei libri aperti sulla scrivania.
«Studiavo matematica, o almeno, ci provavo. Non è proprio una delle mie materie preferite.» ammise.
«Come ti capisco, io la odio.» dissi sorridendo, ero fiera di me stessa: era raro che riuscissi a sostenere un discorso. «Pensa che oggi ho scoperto che giovedì ci sarà una verifica ed io non ne avevo nemmeno idea.» mi lamentai sedendomi accanto sprofondando nel materasso del letto.
«Anche io giovedì ho una verifica, infatti domani mi vedo per studiare con un amico che è un asso in matematica.»
«Perché io non conosco gente del genere?» scherzai.
«Vuoi venire? Non credo che sia un problema se ci sei anche tu.»
«Bhe, non saprei.» iniziai io, avrei voluto dire di no ma sapevo quanto mi servissero delle ripetizioni di matematica, «Sì, ti ringrazio.»
«Perfetto, ci troviamo qua da me subito dopo scuola, ma se vuoi all'uscita puoi venire direttamente con noi.»
«In realtà solitamente il ritorno lo passo con Adam, vi raggiungo appena arrivo.»
«Come preferisci.» Notai il cellulare che avevo posato sulla scrivania accendersi ad avviso di un messaggio, così mi alzai per andare a leggere e mi lasciai sfuggire un sospiro. «Tutto bene Sophie?» domandò Sam notando che avevo cambiato espressione.
«Mia madre mi ha appena scritto che ha un emergenza e tornerà tardi. Sam, posso fermarmi qui per cena?» L'avevo già disturbata abbastanza e mi dava fastidio doverle chiedere anche quello, ma non avevo molta scelta. «Prometto che me ne vado appena uno dei miei genitori torna dal lavoro.»
«Certamente, nessun problema.»
A cena conobbi anche Daryl Clifford, il compagno della madre di Samantha nonché padre di Michael. Rimasi dai vicini fino a quando mio padre non tornò a casa, prima di incamminarmi verso il garage dove stava parcheggiando la sua auto, ringraziai Samantha e la sua famiglia per l'ospitalità e mi ripromisi che avrei poi dovuto ricambiare il favore.

   
 
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