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Autore: _Lady di inchiostro_    11/05/2017    6 recensioni
C’è chi dice che la nostra strada è già stata decisa, che è il destino che stabilisce quali difficoltà dobbiamo incontrare durante il cammino, o chi ci accompagnerà durante il percorso.
C’è chi dice che la nostra strada, invece, ce la costruiamo da soli, che siamo noi a decidere chi incontrare, siamo noi padroni delle nostre azioni.
Iwaizumi Hajime aveva sempre creduto nella seconda opzione. Finché non ha incontrato Oikawa Tooru. E allora si chiese se il destino non volesse farli incontrare per davvero, in qualsiasi modo possibile.
***
[Future Fic and What if?] [Tanto angst e cose belle ♥]
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IV
~




 

[4 novembre 2016]






«Va bene, per oggi abbiamo finito!»
La voce del mister gli arrivò ovattata alle orecchie, mentre si asciugava il sudore col dorso della mano. L’aria della palestra, come alla fine di ogni sessione d’allenamento, si era fatta più pesante e veniva quasi difficile respirare, come se i polmoni cercassero nuova aria ricca di ossigeno. 
Oikawa si diresse verso gli spogliatoi assieme agli altri suoi compagni, l’allenatore che sorrideva al loro indirizzo, sebbene sul suo volto non mancassero quei tratti spigolosi che lo caratterizzavano. Era stata dura, per tutti, dopo la sconfitta che non aveva permesso alla squadra di qualificarsi per le Olimpiadi. C’erano state diverse tensioni, litigi, qualche insulto, ma alla fine la situazione era tornata come quella di prima. 
Oikawa non era uno che si arrendeva, mai. Certo, la sconfitta bruciava ancora, ma ricordava benissimo le parole dell’allenatore dopo la partita, le sue scuse per non essere riuscito a fare il bene della squadra, e il suo pensiero gli faceva pizzicare gli occhi e prudere le mani. Non sarebbe successo un’altra volta: c’erano tante cose in cui la squadra doveva migliorare, forse da troppo tempo oramai, ma lui non si dava per vinto. Sarebbero migliorati, avrebbero vinto l’oro nelle prossime Olimpiadi. Forse era una cosa un po’ spavalda da dire, ma Oikawa non si era sentito così deciso dai tempi del liceo, quando si ammazzava di fatica per riuscire ad essere sempre in gran forma.
Magari, in quegli anni, aveva preso la pallavolo un po’ sottogamba, l’ammetteva, ma adesso la cosa non gli andava più giù. 
Aprì il suo borsone celeste, molto simile al colore di quello che aveva al liceo, afferrando il cellulare e controllando se gli fossero arrivati dei messaggi. Qualche notifica su Twitter, un messaggio di Eiko su Line e uno di… 
«Guarda un po’ come è contento Oikawa…»
«Certo, il mister non ha fatto che omaggiarlo oggi!»
«Ma no, parlo della sua espressione mentre fissa il cellulare…»
Il castano si girò verso la fonte delle voci, un sopracciglio appena alzato, trovandosi davanti Kuroo appoggiato al suo armadietto e Bokuto che si asciugava il viso e sorrideva, divertito. Prima di conoscerli, aveva avuto modo di sentir parlare di loro, erano conosciuti per la loro bravura durante il liceo, e non c’era da stupirsi che fossero riusciti a entrare nella Nazionale. Quando Oikawa debuttò all’interno della squadra, non era ben sicuro su come prendere quei due, almeno fuori dal campo, perché era sempre stato bravo a capire quale tipo di alzata uno schiacciatore preferisse o meno. 
E, dai discorsi su come perfezionare la traiettoria della palla, si era passati alla confidenza nuda e cruda, senza che tra di loro ci fosse alcuna vergogna. Erano pur sempre i suoi compagni. 
«Molto spiritoso Ku-chan! Davvero molto spiritoso!» disse, rispondendo di fretta al messaggio e richiudendo il telefono dentro il borsone.
Il centrale rise. «Oh, andiamo, volevo solo sapere che cosa ti avesse scritto Eiko!»
«Kuroo, ma non saranno affari suoi?» intervenne l’ace della squadra, togliendosi la maglietta e lanciandola in direzione del suo borsone aperto. 
«Grazie Boku-chan!»
«Non prendere le sue difese, tanto lo so che muori anche tu dalla voglia di saperlo!» continuò a ridacchiare l’altro, i suoi occhi affilati come quelli di un gatto puntanti in quelli grandi e vispi del compagno. 
«Ti sbagli» disse, incrociando le braccia. «Al contrario di te, io porto rispetto all’alzatore della squadra.»
«Il che vuol dire che gli lecchi semplicemente il culo!»
Volò qualche colpo da parte sia dell’uno sia dell’altro, ma senza che si facessero realmente male, e Oikawa stette ad osservarli senza sapere se ridere o, semplicemente, alzare gli occhi al cielo. Era sempre così con loro due. 
Tossicchiò, e i due giocatori lasciarono l’opera a metà. «Comunque, il messaggio non era di Eiko, ma di una persona con cui devo uscire stasera…»
«Aspetta, non mi dirai che tradisci Eiko-san!» Come al solito, Bokuto era saltato a conclusioni troppo affrettate, e aveva spalancato gli occhi e alzato la voce per la sorpresa. 
«Che c’è di male se Oikawa vuole divertirsi un po’?» disse Kuroo, togliendosi anche lui la maglietta. «Come si chiama?»
«Non è una lei» cominciò, rendendosi conto solo in quel momento che lui era ancora l’unico a non essersi tolto nulla in quello spogliatoio. «Mi vedo con Iwa-chan, stasera!»
Dopo l’ultima serata che avevano passato assieme e dopo quanto Iwaizumi gli aveva raccontato, i due avevano continuato a sentirsi, scambiandosi qualche messaggio di tanto in tanto. Certo, adesso Oikawa cercava di mandarli ad orari più decenti e che non svegliassero Iwa-chan nel cuore della notte, perché altrimenti rischiava che si arrabbiasse e che non si facesse sentire per tutta la giornata. Letti da un esterno, probabilmente sarebbero stati visti come dei messaggi di poco conto, dove l’uno – in questo caso il setter – chiedeva all’altro cosa stesse facendo, mentre si organizzavano per una futura uscita.
Oikawa avrebbe voluto vederlo prima, ma tra gli allenamenti e gli impegni di lavoro di Hajime non erano riusciti a trovare delle ore buche per una possibile uscita. Alla fine, il giornalista l’aveva contattato la sera prima, dicendogli che era riuscito a liberarsi e che, se voleva, potevano vedersi l’indomani. Non aspettava altro, Iwa-chan gli aveva dato campo libero e alla fine, facendo una lista di tutti i posti meno cari del paese, non troppo lontani e dove si mangiasse bene, era riuscito a trovare il posticino che avrebbe visto Hajime come il perdente della scommessa. 
Ripensò alla sua risposta al selfie che aveva scattato prima di entrare nel palazzetto e sorrise. Iwa-chan, per messaggi, era sempre lo stesso, poteva sembrare freddo e distaccato, ma sotto sotto si nascondeva una persona dall’animo gentile e paziente. Molto paziente. 
I suoi compagni inclinarono la testa di lato, e se non avesse avuto la mente da un’altra parte, Oikawa li avrebbe persino trovati divertenti. «Iwa-chan è… il giornalista di cui ci hai parlato?» chiese Kuroo e all’affermazione del compagno, tutto sorridente, non poté non rispondere con un altro sorrisetto che lasciasse intendere altro. «Oh, allora è così che stanno le cose!»
«Così come?» chiese Oikawa, confuso. 
Il centrale ed ex-capitano della Nekoma, una tra le squadre più forti del paese, finì di spogliarsi prima di rispondere, sentendo gli occhi di Oikawa e di Bokuto, ex-capitano della Fukurodani, addosso. Non smise di sorridere neanche per un minuto. «Tranquillo, Tooru, tanto l’ho sempre detto che fondamentalmente sei bisessuale.»
Se non fosse che oramai conoscevano Oikawa da diversi anni, entrambi i compagni avrebbero giurato di averlo visto arrossire, in una frazione di secondo, anche se la sua pelle bianco latte era tornata ad essere immacolata.
«E con questo cosa vorresti insinuare?» chiese, storcendo il naso, quasi indignato e cercando di non far trasparire il suo imbarazzo per quella frase. 
Come se non bastasse, non solo venne totalmente ignorato, ma Bokuto si affrettò ad aggiungere la sua. «Dici? Io ho sempre sostenuto che fosse pansessuale…»
Kuroo lo guardò perplesso, ed entrambi non badarono affatto al crescente stupore del setter, che adesso non si apprestava più a celare. «Perché, tu sai che cosa significa?»
«Certo che so che cosa significa!»
«Allora hai seriamente un cervello…?»
Bokuto stava per mollargli uno scappellotto sulla nuca, ma il centrale bloccò facilmente il suo polso, ed entrambi stettero a fissarsi come due animali che stavano per scannarsi a vicenda; Oikawa era quasi certo che sia Kuroo sia Bokuto sarebbero stati in grado di spezzare il braccio all’altro se ne avessero avuto la possibilità. 
«Guardate che io sono ancora qui…» disse, ancora offeso per essere stato messo da parte nonostante l’oggetto della discussione fosse proprio lui. 
Il centrale lasciò il polso dell’ace per avvicinarsi ad Oikawa, passandogli un braccio attorno al collo, e il setter si ritrovò a stringere le spalle. Di norma, non aveva problemi con manifestazioni di questo tipo – con Kuroo, poi, era stato il primo con cui era riuscito ad avere ottimi rapporti –, ma in quel caso stava facendo di tutto per mostrare all’altro il suo sdegno. Questo, però, non lo fermò ugualmente. 
«Ehi, capitano, secondo te Oikawa è bisessuale o pansessuale?»
Tooru spostò lo sguardo di lato, incontrando gli occhi affilati del capitano della squadra, nonché suo avversario di vecchia data. Ushijima Wakatoshi li stava guardando senza fare alcun cenno o far trasparire alcun stupore.
Dopo essere riuscito a entrare, finalmente, nella squadra come alzatore titolare, Oikawa sapeva benissimo che avrebbe avuto a che fare con quel tipo che, da sempre, era stato il motivo fisso per cui si allenava fino a cadere stramazzato a terra. 
Ricordava che una volta, mentre si stava allenando alla battuta, aveva quasi rischiato di pestare a sangue un suo kohai solo perché gli aveva chiesto se potesse allenarsi con lui, ma questa era un’altra storia. 
L’idea di vivere nell’ombra, di non riuscire a diventare il giocatore che voleva essere, l’aveva torturato da sempre. Dopo quella storia e dopo aver rischiato di finire in ospedale un paio di volte, quell’ossessione si era un poco attenuata, specie dopo aver avuto a che fare con la sua squadra del liceo, che nonostante tutto l’aveva sostenuto sempre. Ma non era scemata del tutto, ogni tanto ricompariva, soprattutto quando sapeva che tra lui e Ushijima c’era un livello di forza notevolissimo, e fu uno dei motivi per cui non riuscì mai a batterlo al liceo. 
Adesso erano compagni e doveva ammettere che, dopo averlo conosciuto un po’, per quanto gli fosse stato possibile, non era male come persona. Tutto sommato, avevano un buon rapporto.
Li guardò, perplesso, anche se non si dava a vedere. «Ma Oikawa non è fidanzato, scusate?»
«Sì, ma a quanto pare si è preso una sbandata per il giornalista che l’ha intervistato l’altra volta.»
Oikawa cercò di fare di tutto per non trasalire, per non dare a Kuroo ulteriore conferma di quello che stava dicendo. Certo, quella settimana era stata forse la più strana che avesse mai vissuto nei suoi ventidue anni di vita: aveva cominciato ad essere un po’ scostante nei confronti di Eiko, ma questo non significava che non le volesse più bene e non era più capitato quanto successo la sera che si era visto con Iwa-chan. Eppure, quel ragazzo era sempre un pensiero costante, a dimostrazione del fatto che avesse totalmente ignorato il messaggio della sua fidanzata per rispondere a quello del giornalista. 
Ammettere che stava cominciando a sentire qualcosa di diverso per Iwa-chan era fuori discussione: era solo preso dalla foga del momento, probabilmente sarebbe passata col tempo e avrebbe ripreso a baciare e coccolare Eiko-chan come faceva sempre. 
«Non mi sono preso una sbandata per Iwa-chan!» bofonchiò. «Stiamo solo diventando amici!»
Kuroo continuò a non ascoltarlo, e avvertì lo sguardo pungente di Wakatoshi su di sé, che lo squadrò da capo a piedi. Era una cosa che faceva anche Oikawa, ma quando era lui ad essere la vittima designata gli dava fastidio. 
«Mi sembra che vi abbia risposto» disse, e nel mentre si diresse verso la doccia, un asciugamano a coprirgli il basso ventre. 
«Dai, capitano, non mollarci così!» gli urlò Kuroo, lasciando Oikawa che non la smetteva di produrre versi indignati. 
«Tuttavia – e Wakatoshi si fermò poco prima di raggiungere gli altri in doccia – ho sempre avuto il sospetto che fosse bisex.»
Il centrale produsse un’esclamazione di vittoria, guadagnandosi un dito medio da parte di Bokuto. Il setter, in tutto questo, aveva osservato Ushijima mentre si dileguava dentro la doccia senza riuscire a spiccare parola. Riuscì a elaborare una frase di senso compiuto solo poco dopo.
«Ushijima-chan, questa me la paghi!»







Il posto in cui aveva deciso di portare Iwa-chan quella sera non era altro che una semplice bancarella di takoyaki, e non appena si erano trovati là davanti, il proprietario che gli aveva sorriso, Iwaizumi aveva pensato che l’altro lo stesse prendendo in giro. Non gli avrebbe propinato un posto simile a quello dell’altra volta, questo era ovvio, ma non si aspettava nemmeno un classico cibo da street food. 
Oikawa si era fatto le più belle risate della sua vita, seduti sugli sgabelli, in una delle zone più popolose di Tokyo, Hajime che lo guardava torvo e mormorava tra sé e sé parole che l’altro non capiva. 
«Questo vuol dire che ho vinto io, giusto Iwa-chan ~?» gli aveva detto, e l’altro rispose masticando un’imprecazione; cosa che destò ancora di più l’ilarità di Tooru, guadagnandosi uno schiaffo dietro la testa.
Benché avesse perso la scommessa, Hajime si era sentito più a suo agio in un posto del genere, il proprietario che gli parlava pacatamente, l’odore di polpo che saliva lungo le sue narici. Li aveva provati la prima volta a Osaka, sua figlia aveva insistito tanto perché li mangiasse, e aveva sorriso per tutta la serata, Akane che muoveva le gambine troppo corte per la sedia, la faccia tutta impasticciata e che Hajime dovette aiutarla a ripulire. 
E, proprio come allora, non solo aveva trovato i takoyaki ottimi, ma si era persino ritrovato a sorridere. Oramai era appurato che Oikawa avesse un certo ascendente su di lui, non sapeva bene se in senso positivo o negativo. Questo suo lato – quello di un ragazzo qualunque, cui semplicemente bastava passare una semplice serata in compagnia per essere felice – piaceva ad Hajime. Preferiva parlare con lui in questo modo, con quella persona che stava fuori dallo schermo, dal campo di gioco, dalle fotografie nelle riviste, che con l’altra parte, quella che oramai conoscevano tutti.
Appariva molto più vero così, divertendosi a mangiare un semplice piatto cucinato per strada.
Avevano passeggiato per un po’,  le strade coloratissime e illuminatissime come sempre, fiumi di persone e macchine che si muovevano attorno a loro; avevano parlato del più e del meno, Oikawa raccontando che Eiko stava facendo le valigie per un servizio fotografico che avrebbe girato a Parigi, Iwaizumi parlottando un po’ di sua figlia e della carriera da violinista di sua moglie. Il setter aveva cercato di essere il meno invadente possibile, anche se andava contro la sua natura, e sebbene Hajime avesse sospirato più e più volte, oramai non c’era nulla che non potesse seriamente dirgli. Gli aveva parlato del suo passato, la cosa che da sempre nascondeva al mondo, per Oikawa non aveva più segreti e questo lo sapeva bene.
Erano incappati in una bancherella di taiyaki, e Oikawa lo aveva assillato talmente tanto, mettendo persino gli occhi da cucciolo bastonato, che alla fine Hajime li aveva comprati – e questo, con la cena di adesso e il cinema, si sommava a tutto il resto. 
Senza volerlo, mangiucchiando i dolci ancora caldi, erano arrivati fino al parco dove erano stati l’altra volta. Certo, le bancarelle non erano poi così lontane, ma neanche tanto vicine. 
«Guarda dove siamo finiti, Iwa-chan!» aveva esclamato Oikawa, finendo di mangiare il suo taiyaki, e Hajime aveva sbattuto gli occhi, ancora incredulo. Avevano camminato sul serio così tanto?
Decisamente sì. Ed era la prima volta che Iwaizumi apprezzava la compagnia di Oikawa. Non c’è due senza tre, dice un famoso detto, e anche se la seconda volta è sempre la migliore, in quel caso non era andata così. Era come se il fatto di sentirsi praticamente quasi tutti i giorni con messaggi vari, il fatto che gli avesse raccontato della morte dei suoi genitori, lo facesse sentire più leggero, capace di aprirsi liberamente con lui. Rimaneva sempre la classica persona burbera e che sorrideva in occasioni rare, ma Oikawa… era un bambino un po’ troppo cresciuto, eppure sotto sotto gli piaceva andargli dietro. Del resto, con una figlia piccola, sapeva benissimo come comportarsi. 
Per cui, sì, fu la prima volta in cui Hajime non avvertì il desiderio di voler fuggire a gambe levate verso casa; ovviamente, non lo avrebbe ammesso mai. 
Adesso, erano seduti ancora una volta sui piloni, senza dire nulla in particolare, mentre Oikawa teneva il naso rivolto verso l’alto, come nel tentativo di respirare un po’ d’aria pulita. Si accorse di un pallone di pallavolo abbandonato, solo quando i suoi occhi vagarono sugli alberi che circondavano il perimetro e che si muovevano sotto i colpi del vento.
«Ti va di fare qualche alzata?» chiese, un sorriso affabile a dipingergli il volto.  
Iwaizumi aprì appena le palpebre, gli occhi verdi leggermente sopresi, grattandosi poi la nuca. «Non gioco da diverso tempo, non so…»
«Andiamo, Iwa-chan, voglio vedere quanto sei bravo!»
Il giornalista prese un bel respiro, prima di alzarsi e dirigersi verso Oikawa, al centro del piccolo parco, mettendosi davanti a lui e aspettando di ricevere la palla.
«Ti avverto che ci andrò pesante!» gli disse, e ancora una volta assunse quell’aria di sfida che procurava ad entrambi una scarica di adrenalina lungo tutto il corpo. 
«Non aspetto altro!» rispose, scoprendo i denti un ghigno famelico, e Oikawa si sentì subito euforico. 
Non scherzava quando disse che avrebbe giocato ad un livello superiore rispetto alla media – d’altronde, lui era abituato così; questo, però, non scoraggiò minimamente Hajime, che rispose sempre alla palla che riceveva con la giusta mossa e il giusto tempismo. All’inizio era stata un po’ dura, ma alla fine era riuscito ad abituarsi al ritmo, e ammetteva che gli mancava da morire: sentire i polmoni che quasi bruciavano, le ginocchia cedere, lo esaltava da morire. E, a giudicare dall’espressione di Tooru, anche per lui doveva essere lo stesso.
Era talmente concentrato su quello che stavano facendo, sull’espressione del setter che a una prima occhiata avrebbe ucciso anche un killer, dal non accorgersi che, nel frattempo, l’altro gli stava parlando. Gli faceva più che altro dei complimenti, chiedendo ogni tanto qualcosa sulla sua squadra del liceo o perché non avesse ancora deciso di ricominciare a giocare, e Hajime rispondeva sempre usando monosillabi. Fu la successiva domanda che lo fece distrarre del tutto.
«Lo sai che l’altra notte ti ho sognato?»
I suoi occhi erano oramai solo per la figura di Tooru che, con un gesto fluido e calcolato, come se non avesse detto niente di che, mandò la palla nella sua direzione, convinto che l’altro l’avrebbe presa. Si accorse del madornale errore solo quando Iwaizumi fu a terra, massaggiandosi il naso per il dolore. 
«Cazzo!» esclamò, e guardandosi il palmo della mano si accorse che era leggermente sporco di sangue. Niente di grave, però.
«Iwa-chan, tutto okay?» chiese, avvicinandosi di tutta fretta verso di lui, che si era sollevato da terra. Notò il leggero rivoletto di sangue che gli usciva dal naso. «Sei stato fortunato, era una delle mie battute peggiori. Se fosse stata più forte forse avrei potuto romperti il naso…»
«E dovrei ringraziarti per questo?» disse, asciugandosi con un fazzoletto. Per fortuna, la perdita non fu eccessiva, smise di sanguinare poco dopo. 
«Dai, ti do una mano» e nel dirlo gliela porse, gesto a cui Hajime rispose spingendo l’altro per terra, verso di lui. Sentì le lamentele di Tooru poco dopo, mentre si toccava la fronte. «Ma ti sei bevuto il cervello?»
«Questo è per esserti vendicato del colpo che ti ho dato io quando eravamo piccoli!» In effetti, poteva sembrare un piccola vendetta che il vicecapitano della squadra si era preso per quanto successo anni prima. 
«Ti giuro che è stato un incidente, Iwa-chan!» pigolò, la fronte che cominciava ad arrossarsi proprio al centro. «E poi, se mi faccio male, ne subirai le conseguenze, lo sai?»
«Vuoi farmi causa? O vuoi picchiarmi anche tu, perché su quest’ultimo punto sono un po’ restio a crederci…»
«Guarda che posso farti venire un occhio nero, Iwa-chan!»
«Voglio proprio vedere, Shittykawa!»
Ed eccola di nuovo, quell’atmosfera di sfida, solo che questa volta era c’era qualcosa di diverso, come se improvvisamente si fosse innescata una reazione chimica e fosse esploso qualcosa, come se l’aria fosse pregna di elettricità e loro ne fossero inevitabilmente delle vittime. Oikawa non scherzava quando diceva che se la sapeva cavare con le mani anche senza un pallone, aveva visto talmente tante volte Kuroo e Bokuto arrivare alle mani, scherzosamente, che oramai era abituato a certe cose. 
E la faccia che aveva assunto Kageyama, il suo kohai, dopo che gli aveva mollato un ceffone in faccia, gli diceva che non era stato un colpo così leggero. 
Si era scusato con quel ragazzo solo dopo anni, quando la sua squadra, la Karasuno, aveva battuto la Seijoh nella semifinale che avrebbe decretato quale scuola sarebbe stata rappresentante al Torneo Primaverile. In quel lasso di tempo, tra i due c’era stato solo un muto odio, oltre che alla determinazione di superare l’altro in tutto e per tutto. 
Rimaneva il fatto che, in quel momento, quello ad essere più manesco era decisamente Iwa-chan, e forse era per questo che stava avendo la meglio, nonostante Oikawa gli avesse fatto male in diversi punti. Sembravano due ragazzini di quindici anni, e anche se Hajime aveva picchiato diverse persone nella sua vita, non l’aveva mai fatto senza l’intento di voler seriamente ferire qualcuno. Non c’era rabbia tra i due. Era solo un gioco. 
Gli fu addosso solo poco dopo, bloccandogli il collo con una mano, e Oikawa si ritrovò a gemere leggermente e a imprecare in maniera colorita, anche se Hajime non poté sentirlo per via del colpo che gli aveva dato all’orecchio e che l’aveva stordito un po’. Sorrise, un sorriso di vittoria sul suo volto, e si chiese quante persone potessero dire di avere visto Oikawa Tooru così, vulnerabile e con la consapevolezza di essere stato appena battuto. Il petto gli si alzava e abbassava a un ritmo costante, come anche il suo, alla continua ricerca di un po’ di aria. Avevano entrambi i capelli appiccicati ai lati della fronte e i vestiti mezzi sporchi, ma non si posero il problema che sarebbero dovuti ritornare a casa conciati in questo modo.
Senza volerlo, Oikawa puntò gli occhi castani nei suoi, e fu la prima volta che riuscì ad osservarli così bene, ogni singola nervatura che diventava più scura non appena si avvicinava alla pupilla, e avvertì il cuore schizzargli direttamente in gola. Iwa-chan non era uno che aveva l’abitudine di evitare lo sguardo dell’altro, era un po’ come lui, non aveva paura di sostenerlo, perciò non era la prima volta che gli capitava di incrociarli; ma non li aveva mai guardati da così vicino, e voleva credere che la sensazione di calore che sentiva salire dalla bocca dello stomaco, fino al petto, fosse dovuta alla fatica di poco prima.  
«Non mi sono preso una sbandata per Iwa-chan!»
La sua voce gli rimbombò dentro le orecchie come un ricordo lontano, e graffiava persino i timpani. No… Non poteva seriamente essersi preso…
Il filo dei suoi pensieri fu spezzato, non appena si rese conto che Iwa-chan si era buttato di lato, togliendosi da sopra di lui, e l’altro riuscì finalmente a respirare decentemente, entrambi affannati. 
«Hai ragione, non te la cavi male…» ammise.
Oikawa fece una mezza risata, scacciando quello che era successo prima dalla mente. «Te l’avevo detto…»
Continuarono a prendere fiato, entrambi restii ad alzarsi da terra – perché, al momento, gli doleva da tutte le parti. Fu Oikawa a parlare, di getto, senza pensarci.
«Una volta ho mollato uno schiaffo a un mio kohai…»
Hajime voltò la testa di scatto, sorpreso. L’idea che anche Oikawa potesse picchiare qualcuno per pura rabbia, lo metteva un po’ a disagio, ma non disse niente, lasciò che fosse lui a parlare liberamente, esattamente come aveva fatto Tooru quando lui raccontò il suo passato. Evidentemente, dalla faccia che aveva assunto, non ricordava quell’episodio con tanta fierezza. 
«Mi aveva chiesto di aiutarlo con le battute… Ero alle scuole medie, la mia squadra era stata sconfitta ancora una volta da quella di Ushijima-chan, perciò non facevo che altro che allenarmi.» S’interruppe un attimo, il viso rivolto verso il cielo stellato. No, per adesso non riusciva proprio a guardarlo di nuovo negli occhi. «Tobio-chan era del primo anno ed era decisamente più bravo di me in molte cose, un talento naturale. Perciò lo vedevo come una minaccia… E quando mi chiese se poteva allenarsi con me, io…»
Si morse il labbro inferiore, sapeva che lo sguardo indagatore di Iwa-chan – quello che, senza che se ne rendesse conto, assumeva quando lavorava – lo stava giudicando. 
«Mi ha odiato, ovviamente. Il mister insabbiò la cosa, per fortuna era arrivato prima che potessi fare di peggio…»
«Te ne sei pentito?»
La domanda di Iwaizumi fu inaspettata, e adesso Oikawa riuscì finalmente a spostare lo sguardo sull’altro. Non si ritrovò davanti lo stesso spettacolo di prima, né uno sguardo di rimprovero da parte di Hajime, sembrava quasi che… lo capisse. 
Annuì. «Dopo anni… ma sì. Anche se non è stato facile scusarmi, ho pur sempre un orgoglio, io.»
Hajime alzò gli occhi al cielo, le braccia dietro la nuca; adesso, erano i suoi occhi puntati verso il cielo. Gli aveva raccontato quell’episodio di cui tutti erano all’oscuro pur sapendo che faceva il giornalista sportivo e che, queste cose, per lui erano come oro colato. Non sapeva come sentirsi a proposito del fatto che Oikawa gli aveva praticamente dato piena fiducia. «Sempre meglio di niente…»
Tornarono in silenzio e a fissare il cielo per poco, poiché il giornalista parlò di nuovo. «La mia prima rissa è stata a sette anni… Dei miei compagni, avevano offeso mia madre…» Mandò in gola un grumo di saliva, Oikawa che lo guardava con la stessa espressione di quella sera d’ottobre. Si massaggiò le nocche, come se ricordasse il dolore che aveva provato non appena si era reso conto non solo di essersele scorticate, ma anche di quello che aveva fatto. «Mi avevano affidato alla sorella di mia madre, e lei andò fuori di testa quando lo seppe. La strigliata vera e propria arrivò solo a casa, e ricordo di… essere scoppiato a piangere. Al funerale non avevo pianto, e probabilmente non lo facevo da due anni… Mi rintanai in camera e non sono uscito per delle ore.»
E ancora una volta, Oikawa non seppe cosa dire. Solo che stavolta non c’era essenzialmente niente da dire. Funzionava così tra loro due, si scambiavano messaggi futili e di poco valore quando non si vedevano, e si raccontavano tutto alla prima occasione. Era come se sapessero esattamente che l’altro l’avrebbe ascoltato, che gli avrebbe potuto raccontare qualsiasi cosa senza rimpianti. Come se parlassero così da tutta la vita e non da un mese scarso. 
Hajime decise di non continuare il discorso, una domanda che ancora gli pizzicava sulla punta della lingua e che aveva dato il via a tutto. «Quindi, mi avresti sognato?»
Non era un esperto di psicologia, ma sapeva che non era mai una cosa positiva. Il setter sorrise. «Tranquillo, non è niente di che! Ho sognato che eravamo diventati amici dopo l’incidente della palla!»
«E meno male che era solo un sogno!»
«Iwa-chan, sei antipatico!» e nel dirlo gli mollò un pugno sul braccio, ricambiato subito  dall’altro, e probabilmente ce ne sarebbero stati degli altri, se Oikawa non avesse continuato a parlare. «Eravamo persino nella stessa squadra alle medie e al liceo, e tu giocavi nel ruolo di asso.»
«E magari andavamo pure d’accordo?»
«Mi picchiavi sempre, ma eravamo in perfetta sintonia!»
Hajime fece una smorfia poco convinta, poi aggiunse. «Beh, di certo avrei evitato che picchiassi il tuo kohai dandoti una craniata sul muso e facendoti sanguinare…»
«Iwa-chan, perché devi essere sempre così cattivo con me?» gli urlò nell’orecchio, offeso. 
«Se urli di nuovo così, giuro che te la do adesso una testata!» gli rispose l’altro, e Oikawa non poté che sporgere il labbro inferiore e tornarsene buono buono a guardare il cielo stellato. 
Era raro poter assistere ad una cosa del genere a Tokyo. Le luci dell’insegne erano troppo forti e la gente troppo presa dalla sua vita sulla terra per accorgersi di chi popolava la notte. Oikawa era sempre stato un patito di tutto quello che riguardava lo spazio, e lo era fin da quando – da bambino –  guardava le stelle con suo nonno nella sua piccola villetta fuori città, in campagna. Là, lo spettacolo era mille volte meglio, ma ci si poteva accontentare: qualche piccola stella ancora si intravedeva. 
Fu una questione di qualche minuto, i due ancora distesi come se fossero sul pavimento pulito delle loro case, prima che l’umore di Oikawa cambiasse repentinamente. Hajime se n’era già accorto prima, quando aveva parlato di quel piccolo battibecco, e si meravigliò di constatare che Oikawa Tooru era effettivamente umano e non un macchina pronta al servizio. Nascondeva tanto, forse un mondo, dietro quella maschera che indossava solo durante le dirette televisive e, possibilmente, con i suoi compagni di squadra. 
Gli occhi gli brillavano mentre osservava il cielo, stella dopo stella, eppure giurò che il volto gioviale di Tooru avesse assunto una sfumatura malinconica, quasi triste. 
«Iwa-chan» lo chiamò lievemente. «Non hai mai avuto la sensazione che qualcosa mancasse nella tua vita?»
Emise una sorta di grugnito, senza dare troppo peso alla domanda che gli era stata rivolta e che, in verità, gli aveva causato una fitta all’altezza del petto. Cercò di non dare a vedere nulla, come se stesse cercando di cacciare via qualcosa che lo stava infastidendo, tornando ad osservare il cielo. 
«La mia vita è sempre stata un casino, quindi non ci ho mai pensato veramente…»
Oikawa accennò una risata, giochicchiando col cordoncino della sua felpa. «Io sì…»
L’altro si appoggiò sul gomito, squadrandolo dall’alto in basso, un sopracciglio alzato. «Sta parlando il setter della Delegazione Nazionale Giapponese, fidanzato da quattro anni con una delle modelle più famose del paese?»
«Sei sempre così antipatico, Iwa-chan!»
«Mi fai incazzare, cosa mancherebbe alla tua vita perfetta, sentiamo?»
«Non lo so.» Ci fu un attimo di silenzio, il cordoncino che si attorcigliava all’indice di Oikawa, quest’ultimo che lasciava vagare lo sguardo. Sguardo che, ancora, Iwaizumi non poteva fare a meno di scrutare con un leggero cipiglio. «L’ho sempre avuta… Fin da quando ero piccolo. Non ci prestavo attenzione sempre, ma quando ero solo era tremendo… sentivo un vuoto all’altezza dello stomaco e non se ne voleva andare più via…»
Per un po’, non dissero niente, Hajime che scrutava il suo viso facendo saettare gli occhi dall’alto verso il basso, e viceversa. Ora aveva finalmente capito che tipo di persona fosse Oikawa: in campo, sui social e in televisione era quel favoloso setter che tutti ammiravano, quella furia che in campo pareva inarrestabile, trincerata in una squadra che, nonostante gli elementi forti, detenesse ancora qualche debolezza; fuori dal campo, tuttavia, era una persona estremamente fragile. Tooru aveva delle debolezze, Tooru forse si sentiva ancora surclassato dalla figura magistrale e imponente di Ushijima, e lui nascondeva tutto questo dietro un sorriso e il suo atteggiamento scherzoso.
Aveva avuto anche lui i suoi momenti in cui si sentiva completamente solo, tagliato fuori da tutto e da tutti, e forse era per questo che aveva avuto bisogno di credere che ci fosse qualcosa che non andasse nella sua vita. Come se gli mancasse qualcuno accanto a riscuoterlo dal suo stato di totale depressione. 
Hajime non ci credeva a queste cose. O, semplicemente, non ci voleva credere per principio. Perché, oltre alla sensazione di inadeguatezza, oltre alla sensazione di sentirsi sbagliato, aveva provato anche quella sensazione di vuoto. Ma troppe cose erano mancate nella sua vita, e oramai ci aveva fatto l’abitudine. 
Era una cosa normale, magari dettata dalla sua mente. Niente di che. 
«Tu lavori troppo di fantasia… Probabilmente era solo la fame…»
Gli arrivò un altro pugno, stavolta sulla spalla. Provò una sensazione di sollievo, giusto il tempo di vedere Oikawa di nuovo con il broncio da bambino. «Iwa-chan! Io stavo facendo un discorso serio!»
«Questo l’avevo capito… Peccato che io non riesca a rimanere serio se si parla di fatalità e destino» disse, quasi con uno sbuffo. «Lo facevo anche con la mia ex-moglie…»
Il castano non seppe perché il solo essere paragonato all’ex-moglie di Hajime gli fece venire una fitta proprio all’altezza del petto, la gola secca e ruvida come cartavetrata, gli occhi che tremolavano mentre osservavano il profilo del giornalista. Scosse appena la testa, ma un dolore non fisico aveva oramai rimpiazzato quello che sentiva lungo tutto il corpo. No, si sbagliava. Lui non… 
«Credeva persino alla leggenda del filo rosso, pensa!»
«Perché, tu non ci credi?»
Hajime districò i capelli sudaticci tra le dita. «L’ho sempre considerata una storia per bambini o che si racconta a qualcuno col cuore spezzato.»
«Io non la penso così. Penso che la gente sia realmente legata tra loro, in qualche modo. Prendi noi due, – nel dirlo, si guadagnò un’occhiataccia scettica da parte dell’altro – io penso che eravamo destinati per forza ad incontrarci!»
«O forse si è trattato solo di uno sfortunato caso, tu che dici?»
«Ah, Iwa-chaaan ~!» strascicò Oikawa, tornando a sorridere come sempre, anche se gli angoli della bocca gli vibravano appena. E non era per quello che aveva detto, no, probabilmente c’era dell’altro, ma Hajime al momento non seppe identificare cosa. Una parte di sé avrebbe voluto che tornasse in quel modo per poter avere una migliore conversazione con lui, ecco, sentirlo più vicino al suo mondo.« Non sei per niente romantico, sai?» 
Fece schioccare la lingua e non disse una parola, rimettendosi seduto, il dolore al naso che era nullo in confronto a quello della schiena.
«Ad ogni modo, – cominciò, sapendo già che quello che stava per dire avrebbe scatenato un putiferio – Tomoko mi ha prestato l’intera saga di Star Wars, e l’ho vista…»
Era stato a casa della sua collega qualche tempo prima, per aiutarla a riorganizzare le idee per il suo nuovo articolo e, come ricordava bene, aveva uno scaffale pieno di dvd messi in bella mostra in salotto, e il cofanetto nero contenente tutti i film della saga spiccava rispetto agli altri. O forse era Hajime che tendeva a buttarci un occhio, ripensando a come da una semplice sciocchezza come quella si fosse passato a tutt’altro. Alla fine, era stata Tomoko stessa a darglieli, notando la sua continua disattenzione a quello che stesse dicendo, e anche se Hajime cercò di rifiutare con tutte le sue forze, la ragazza era comunque riuscita a metterglieli in mano.
Decidere di guardarli fu come andare contro se stesso e i propri principi.
«E che ne pensi?» Il setter si issò anche lui a sedere, speranzoso come non mai. 
Era quasi tentato di dirgli che sì, aveva confermato la sua idea su quei film, eppure…
«Che non sono poi così male…» borbottò, e come c’era d’aspettarsi Oikawa produsse un urletto degno di una gallina cui era stato torto il collo, e con un balzo veloce fu in piedi, dimenticandosi del dolore lanciante alle gambe, per via degli allenamenti e di quanto era successo poco prima. Maledizione a lui, ai suoi stupidi assilli e alle sue fotografie idiote di lui con una spada laser in mano che gli mandava tramite messaggi!
«Lo sapevo, lo sapevo che saresti passato al lato oscuro della Forza!» urlò, e Iwaizumi inarcò un sopracciglio, perché sentirlo parlare come un nerd non era di certo una cosa che si addiceva ad Oikawa. «Che c’è, non dirmi che non ti piacerebbe essere un Sith!»
Preso allo sprovvista – e ancora più stupito di come quel ragazzo sapesse cambiare umore in una frazione di secondo, in base a ciò di cui si stesse parlando – il giornalista non rispose subito, prendendosi un attimo per assimilare la domanda. «Scusami, quindi non stai dalla parte di Luke Skywalker?»
Il ragazzo infossò il collo. «Beh, sì… Ma non ti nego che mi dispiacerebbe essere un Sith…»
«Ora che ci penso… Ti ci vedo come re dispotico o signore del male…»
«Però a te non ti ci vedo proprio come Jedi, Iwa-chan…»
L’altro alzò gli occhi al cielo. «Non sono intenzionato ad esserlo…»
«Allora andiamo a vedere lo spin-off che esce a dicembre assieme?»
Il giornalista sgranò lo sguardo, ancora una volta preso in contropiede, fissando Oikawa senza sapere cosa rispondere esattamente. Per un attimo, il setter si era pentito di averglielo chiesto, considerando quanto gli avesse detto, e la sua faccia non suggeriva nulla di nuovo. Non era tanto questo, però, il vero problema di Iwaizumi al momento. Se inizialmente aveva ritenuto che vedere quei film sarebbe stata un tortura, quando aveva cominciato a capire i vari meccanismi e incastri della serie li aveva trovati estremamente interessanti. Anche l’ultimo uscito – contenuto in un dvd a parte rispetto al cofanetto – non gli era dispiaciuto, sebbene non raggiungesse l’epicità delle altre trilogie, ma questo non era buon motivo per essere trascinato al cinema da quella specie di fanatico. 
«Scusami, di solito non ci vai con Eiko-san?» gli chiese.
Il castano si grattò la nuca, le dita sui capelli soffici e fini, un sorriso nervoso che cresceva, partendo dalla gola. «L’ultimo film l’ho visto da solo… A nessuno delle persone che conosco piace questa saga…»
Ci fu giusto un attimo di silenzio, prima che Iwaizumi sbottasse, quasi indispettito. «E allora si può sapere perché con gli altri non hai insistito e con me sì?»
«Smettila di urlarmi contro, Iwa-chan!» Lo disse con la stessa vocina acuta di quel bambino di cinque anni che si era avvicinato per chiedere ad Hajime di giocare. Ricordava perfettamente quel momento, e come allora si era ritrovato a temere un possibile rifiuto.
Si perse nell’osservare i suoi occhi, ancora leggermente perplessi, sebbene l’espressione di Hajime fosse sempre accigliata, e si ritrovò bisognoso di poter scrutare meglio quelle sfumature più scure sui suoi occhi. E quando l’altro distolse lo sguardo, scuotendo la testa e ridendo, Oikawa sentì ancora il cuore lungo la gola, e gli ostruiva il passaggio, temeva di non riuscire più a respirare bene.
Lui… lui si era…
«Lo sai che sei proprio uno stronzo?»
Le pupille di Oikawa, se possibile, divennero sempre più piccole, frastornato tra quello che gli aveva detto Iwa-chan e quello che sentiva lui. Non fu in grado di rispondergli adeguatamente, che l’altro fu già in piedi, scotolandosi la terra da dosso e facendo scrocchiare la schiena leggermente indolenzita. 
«Andiamo?» chiese, schioccando le dita davanti a un Oikawa imbambolato, che parve riscuotersi subito. Lo raggiunse poco dopo, tossicchiando e cercando di assumere nuovamente il suo solito atteggiamento. 
«Allora, dopo stasera possiamo dire che siamo diventati amici?»
Iwaizumi lo guardò di traverso: aveva la testa inclinata, uno stupido sorriso stampato in faccia e le mani nelle tasche dei pantaloni, esattamente come lui. Dapprima non rispose, sibilando qualcosa tra i denti, e Oikawa dovette tendere letteralmente l’orecchio per sentire, aumentando soltanto l’irritazione di Hajime.
«Per quanto mi scocci ammetterlo, ho perso, quindi…» sospirò, e le labbra dell’altro si incurvarono in un piccolo sorriso.






Iwaizumi e Oikawa aveva oramai imparato a conoscersi.
Per quanto detestasse ammetterlo, il primo aveva cominciato ad apprezzare la compagnia del giovane setter, anche se non sapeva bene come chiamare quel loro singolare rapporto, perché non riusciva proprio a vederla nell’ottica di un’amicizia.
Il secondo, invece, era certo fin dall’inizio che quella non fosse altro che una bella amicizia. Una bellissima amicizia che rischiava di sfiorire prima che arrivasse ad essere qualcosa di concreto a causa di semplici e stupidi presentimenti senza fondamento, per via dei suoi attacchi di gelosia nei confronti della moglie di Iwa-chan, per via di come si sentiva quando lo guardava troppo intensamente. 
Oikawa non voleva sentirsi così. Quei sentimenti gli stavano scomodi e forse non erano necessari. E sentiva il polso stingere e fargli male, lì dove il destino aveva messo un filo di colore rosso.


 
[Lately, I've been, I've been losing sleep
Dreaming about the things that we could be
But baby, I've been, I've been praying hard
Said no more counting dollars
We'll be counting stars]
 



Delucidazioni:
Giuro che non sono sparita dalla circolazione, ma in questo periodo ho avuto una prova e quindi ho dovuto studiare. Mi scuso per il ritardo nell'aggiornamento >.<
Per il resto, abbiamo scoperto qualcosa in più riguardo al nostro setter del cuore, e sono apparsi altri personaggi. Mi è sempre piaciuta l'idea di una squadra composta da Kuroo come centrale, Bokuto come asso e Ushijima come opposto; tuttavia, ho cercato di essere il più coerente possibile con la situazione attuale della squadra giapponese, quindi ho tentato di spiegare che per adesso la squadra è forte ma non c'è l'unità adatta per vincere una partita del calibro delle Olimpiadi.
Per quanto riguarda la storia tra Kageyama e Oikawa, spero si sia capito: non c'era Iwa-chan a fermarlo, quindi Kags il colpo se l'è preso. E mi piace l'idea che Oikawa se ne sia pentito.
Qualche informazione in più: queste sono delle foto dei tokoyaki, sono delle polpette di polpo molto in voga in Giappone, soprattutto ad Osaka; qua ci sono altri cibi tipici, tra cui i taiyaki; il cofanetto dei film di Star Wars è ispirato a quello che ho io a casa; lo spin off di cui parla Oikawa è Rogue One, e questo è anche uno dei motivi per cui ho deciso di scrivere la storia in questo periodo, sto male; lo spezzone alla fine è tratto dalla canzone Counting Stars dei One Republic.
Tralasciando il fatto che Hajime è passato al lato oscuro della forza (??), che ne pensate della reazione del nostro Oikawa? Secondo voi che sta succedendo?
*la lanciano in un bidone*
Vi avviso di un paio di cose: nel prossimo capitolo avremo ancora Bokuto, Kuroo e Ushijima <3; farà la sua comparsa Eiko; ci sarà della musica da discoteca (???)
Che dire, grazie di essere arrivati fin qui. Fatemi sapere cosa ne pensate della caratterizzazione dei personaggi, sto un po' in ansia...
Alla prossima miei prodi <3
_Lady di inchiostro_

l'uccellino cinguetta ♥ 
  
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